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Toyota si prepara ad un 2025 terribile

I dazi imposti dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump stanno facendo molto male a Toyota. Per l’anno fiscale che si concluderà a marzo 2026, il gigante giapponese dell’auto ritiene che il suo utile netto possa scendere fino al 34,9% e si prepara a un crollo dell’utile operativo di oltre il 20%. Tuttavia, c’è una buona notizia: non aumenterà i prezzi, almeno non nel breve periodo.

Nell’ultimo rapporto finanziario pubblicato l’8 maggio, Toyota ha rivelato che l’utile operativo scenderà del 20,8% a 3,8 trilioni di yen, pari a circa 26 miliardi di dollari, nel prossimo anno fiscale che terminerà a marzo 2026. In confronto, l’utile operativo per l’anno fiscale appena trascorso è stato di 4,8 miliardi di yen. Anche il calo di quasi il 30% dell’utile netto a 3,1 trilioni di yen (~21,5 miliardi di dollari) è un segnale di difficoltà per l’azienda.

Leggi: La Corolla Cross americana del 2026 sembra più nitida, ma le manca qualcosa

I dazi non sono l’unica ragione delle spaventose finanze di Toyota. Si prevede un impatto di 745 miliardi di yen (~5,1 miliardi di dollari) dovuto all’apprezzamento dello yen giapponese rispetto al dollaro USA. L’aumento dei prezzi dei materiali colpirà Toyota per altri 350 miliardi di yen (~2,4 miliardi di dollari). A causa della rapidità con cui il Presidente Trump sta modificando le sue politiche tariffarie, Toyota non è stata in grado di specificare quale sarà l’impatto totale di queste ultime, se non prevedere un impatto negativo di 180 miliardi di yen (1,2 miliardi di dollari) per i soli mesi di aprile e maggio.

TOYOTA PRONTA AL PEGGIO

“Poiché il governo e le sue agenzie stanno attualmente lavorando sodo, i dettagli dei dazi [statunitensi] sono ancora mutevoli”, ha dichiarato Koji Sato, presidente e amministratore delegato di Toyota. “È molto difficile prevedere cosa accadrà in seguito. D’altra parte, abbiamo già incluso [l’effetto delle] parti che sono state implementate nelle nostre previsioni per questo anno fiscale”.

La più grande casa automobilistica del mondo ha appena avvertito di un anno tremendamente negativo in arrivo
Nonostante ciò, le vendite di Toyota negli Stati Uniti rimangono forti. Il direttore finanziario Yoichi Miyazaki ha sottolineato che il marchio prevede di vendere 2,94 milioni di veicoli in Nord America nell’anno fiscale in corso, il che rappresenterebbe un aumento dell’8,8% rispetto all’anno precedente. Ha aggiunto che “Toyota non adotterà alcuna misura a breve termine, come l’aumento dei prezzi a causa delle tariffe”.

Parlando con Nikkei Asia, Sato ha aggiunto che alcuni veicoli destinati agli Stati Uniti potrebbero essere spediti in altri mercati, dato che Toyota continua ad apportare modifiche: “Sarebbe auspicabile distribuire i prodotti negli Stati Uniti, dove ci sono molti clienti”, ha dichiarato. “Ma nel breve termine, dovremmo anche considerare di adeguarci alle loro destinazioni”.

Mitsubishi porta negli USA una Nissan

Mitsubishi sta intensificando il suo impegno nel campo dell’elettrico con non uno, ma due nuovi modelli elettrici all’orizzonte, entrambi previsti per la seconda metà del 2026, ognuno dei quali si rivolge a un mercato differente. Poi, Mitsubishi sta collaborando con Foxconn per sviluppare un veicolo elettrico separato destinato al mercato australiano.

Il crossover basato sulla Leaf dovrebbe arrivare nei concessionari di Stati Uniti e Canada entro l’estate del 2026. Come suggerisce il teaser ufficiale, assomiglierà molto alla nuova Nissan Leaf, adottando una silhouette simile a quella del crossover con una linea del tetto spiovente e un’identica firma luminosa a LED. Per ora non è chiaro se ci saranno altre differenze evidenti tra questo nuovo modello elettrico Mitsubishi e la sua controparte Nissan, a parte gli stemmi Mitsubishi.

Questo nuovo veicolo elettrico si appoggerà sulla piattaforma CMF-EV, la stessa della prossima Nissan Leaf, e sarà dotato di un unico motore elettrico. Ciò significa che, come la Nissan Ariya, leggermente più grande, non ci sarà un’opzione di trazione integrale. Tuttavia, Mitsubishi ha confermato che il modello basato sulla Leaf includerà una porta di ricarica NACS e punta a un’autonomia di oltre 300 miglia (482 km).

In cambio, Mitsubishi sta aiutando Nissan con una versione ibrida plug-in della Nissan Rogue (X-Trail), che dovrebbe arrivare nel 2026 come versione rimarchiata della Mitsubishi Outlander PHEV. L’ibrido plug-in Rogue si affiancherà alle varianti ibride a benzina e a ricarica automatica, con elementi stilistici diversi per distinguerle. L’obiettivo di Mitsubishi, ovviamente, è quello di “rafforzare la partnership con Nissan” attraverso i veicoli elettrificati.

Oltre all’ampliamento della gamma di veicoli elettrici, il piano Momentum 2030 di Mitsubishi prevede anche un nuovo approccio alle vendite al dettaglio e un’espansione della rete di concessionari in Nord America. Questo sforzo è volto a incrementare le vendite in tutta la regione.

Mitsubishi ha anche firmato un memorandum d’intesa con Foxtron, una filiale per veicoli elettrici del gigante tecnologico Foxconn, confermando le precedenti notizie su una potenziale collaborazione. Il risultato sarà un nuovo veicolo elettrico Mitsubishi che sarà sviluppato da Foxtron e prodotto da Yulon Motor a Taiwan.

IL RITORNO NEGLI USA

Il modello, ancora senza nome, sarà introdotto in Australia e Nuova Zelanda nella seconda metà del 2026.

Mitsubishi sostiene che il nuovo modello avrà “eccellenti prestazioni di guida come EV”, aggiungendo che sarà dotato di “un sistema di infotainment avanzato”. Anche se non è stato confermato, il nuovo modello potrebbe essere una versione ribrandizzata della Foxtron Model B, disegnata da Pininfarina e presentata per la prima volta nel 2022.

Anche se l’accordo sembra quasi concluso, sia Mitsubishi che Foxtron hanno dichiarato che continueranno a discutere prima di concludere l’accordo. Oltre all’EV sviluppato da Foxtron per l’Oceania, la strategia più ampia di Mitsubishi prevede modelli sviluppati in proprio per l’ASEAN, modelli basati su Renault per l’Europa e modelli basati su Nissan per il Nord America.

Nuovo Livan 7: il SUV low cost

È passato circa un anno da quando Livan è arrivata in Spagna. Era l’ottobre del 2024 quando questo giovane marchio cinese di auto a prezzi economici registrò le prime immatricolazioni nel nostro mercato.

All’epoca, questa azienda sostenuta dal colosso cinese Geely iniziò la sua carriera commerciale con l’interessantissima Livan X3 Pro. Un SUV economico dal prezzo rivoluzionario.

Pochi mesi dopo, la gamma è stata ampliata con il nuovo Livan X6 Pro. Un modello che, tra l’altro, abbiamo recentemente avuto l’opportunità di provare. Dopo l’arrivo della X6 Pro nelle concessionarie spagnole, Livan può ora concentrarsi su quella che sarà la sua prossima grande novità. Un modello che arriverà nel 2026 per rafforzare la sua offerta di prodotti.

Il Gruppo Invicta, che importa il marchio in Spagna, ha confermato in un recente evento la prossima novità Livan che arriverà nelle nostre concessionarie. Una novità che, come abbiamo sottolineato, sarà disponibile il prossimo anno. Si tratta del nuovo Livan 7. Un SUV plug-in con grande autonomia elettrica.
Questo modello, noto anche come Ruilan 7 o Maple Cao Cao 60, è stato anticipato da un modello concept che il marchio ha presentato al Chongqing Motor Show tenutosi nel 2022. La Livan RL7 Concept. La versione di serie è già in vendita nella lontana Cina. Un modello che ha iniziato il suo percorso commerciale con una meccanica 100% elettrica. Tuttavia, arriverà in Spagna con un diverso sistema di propulsione.

La Livan 7 sarà disponibile sul mercato spagnolo in una versione elettrica ad autonomia estesa. Un EREV. Tuttavia, analizzando il funzionamento e le specifiche tecniche, sarebbe più corretto dire che si tratta di un’auto ibrida plug-in (PHEV) con una lunga autonomia elettrica.

DATI TECNICI E MOTORI

La sua potenza è di 140 kW (190 CV). Grazie a una batteria da 50,4 kWh, è in grado di percorrere un totale di 400 chilometri in modalità 100% elettrica secondo il ciclo WLTP. Tuttavia, un serbatoio di benzina da 52 litri offre un’autonomia supplementare. L’autonomia totale WLTP ammonta rispettivamente a 1.243 km. La vettura si fregerà del marchio ambientale 0 emissioni della DGT, con tutti i vantaggi di mobilità che ne derivano.

È lunga 4,69 metri. Una lunghezza che lo colloca all’estremità inferiore del segmento dei D-SUV. Per contestualizzarla, è un po’ più grande della Nissan X-Trail ma più piccola della nuova Tesla Model Y.

Sarà il modello più grande ed esclusivo della crescente gamma Livan. I prezzi sono, per il momento, sconosciuti. Tuttavia, prendendo come riferimento i prezzi dei modelli attualmente commercializzati dal marchio in Spagna, possiamo prevedere un prezzo innovativo.

Nuova Nissan Juke 2026: Rendering

L’attuale Nissan Juke si sta confermando un progetto di successo. Il rendering in copertina di auto-moto.com ci permette di scoprire come sarà la nuova generazione.
Pochi giorni prima di assumere l’incarico ufficiale in aprile, il nuovo capo di Nissan, Ivan Espinosa, ha fatto un ulteriore passo avanti per rassicurare i mercati finanziari e gli investitori mondiali, svelando il futuro piano di prodotti della casa giapponese. In preda a gravi difficoltà finanziarie, il costruttore ha voluto dare un’impressione duratura svelando le prime immagini delle nuove generazioni di Micra e Leaf, oltre a una serie di altri modelli meno identificabili per mantenere la suspense.
Tra questi, abbiamo potuto ammirare la terza generazione di Nissan Juke, attesa per il 2026, ma che potrebbe aspettare fino al 2027 prima di essere messa in vendita. Rivelato dietro le quinte, questo nuovo modello sembra basarsi sugli stessi fondamenti dei suoi predecessori, con una silhouette tozza che lascia poco spazio ai vetri per sostenere il suo dinamismo. Tuttavia, per la prima volta, abbandonerà i fari rotondi per i quali è famosa, a favore di fari esagonali, in linea con alcune delle scelte stilistiche fatte da Mini negli ultimi anni per modernizzare il look tondeggiante.

DESIGN DISTINTIVO

Questi nuovi “occhi” continueranno a essere sormontati da firme nitide e luminose, in linea con lo stile distintivo della Nissan Juke originale, apparsa nel 2010. Per il resto, il modello 2026 si ispirerà probabilmente alle forme origami distillate nel 2023 dallo concept Hyper Punk, sia per i passaruota che per le fiancate della carrozzeria, mentre la parte posteriore avrà un profilo inclinato, in contrasto con l’aspetto arrotondato del “sedere” del modello attuale. Resta invece da vedere quale stile animerà l’abitacolo.
Per quanto riguarda la piattaforma, al momento è difficile dirlo, anche se è ipotizzabile l’utilizzo della nuova base AmpR Small sviluppata da Renault, che rimane un alleato d’elezione nonostante lo scioglimento dell’Alleanza tra i due costruttori negli ultimi mesi. La futura Nissan Juke è destinata a un futuro 100% elettrico, cosa che non sarà necessariamente il caso della prossima generazione di Renault Captur, con cui finora ha condiviso la base tecnologica. Infatti, il SUV francese potrebbe optare per propulsori ibridi, lasciando libero il Renault 4 E-Tech nel campo elettrico.

Costi di produzione: in Germania sono da record

Con l’entrata in vigore dei dazi sulle importazioni del Presidente Trump, le case automobilistiche straniere, comprese quelle tedesche, stanno valutando la possibilità di costruire più veicoli all’interno dei confini americani. Nel caso di Audi, ciò significherebbe avviare la produzione negli Stati Uniti per la prima volta.

Tuttavia, a quanto pare, evitare i dazi non è l’unico incentivo a spostare la produzione dalla Germania agli Stati Uniti; un altro fattore importante è la possibilità di sfuggire all’elevato costo del lavoro nazionale che sta mettendo a dura prova l’industria automobilistica tedesca.

Un nuovo studio della società di consulenza Oliver Wyman ha rivelato per la prima volta l’enorme divario nel costo del lavoro tra la Germania e gli altri Paesi. Inoltre, contribuisce a spiegare perché la produzione automobilistica nazionale è diminuita di oltre un quarto nell’ultimo decennio e perché è probabile che il declino continui.

I ricercatori, confrontando 250 stabilimenti automobilistici in tutto il mondo, hanno scoperto che la Germania è il Paese più costoso del pianeta in cui produrre nuove auto, con una spesa media di 3.300 dollari per ogni veicolo che copre i salari, i contributi pensionistici e altri benefici. Spostando la produzione negli Stati Uniti, il costo si dimezzerebbe e non di poco.

Ma anche costruire automobili in America sembra costoso rispetto alla produzione in Cina, dove il costo del lavoro per veicolo è di soli 585 dollari. In alcuni casi, secondo lo stesso rapporto, produrre un’auto in Germania costa fino a 7.800 dollari in più che in Cina.

LA SFIDA DEI COSTI DI PRODUZIONE

“Ci si chiede come si possa continuare a consentire la produzione di veicoli in Germania in futuro”, ha dichiarato Fabian Brandt, responsabile per la Germania di Oliver Wyman, al quotidiano Handelsblatt. “Se i volumi continueranno a diminuire, molti fornitori di medie dimensioni ci abbandoneranno o cesseranno del tutto l’attività”.

Ma se i dazi non dovessero più essere un problema e la riduzione del costo del lavoro fosse una priorità assoluta, ci sono scelte migliori della Cina per un nuovo stabilimento. Lo studio ha individuato diversi Paesi in cui il costo della manodopera fa sembrare costoso persino quello cinese, tra cui il Messico, dove il costo della manodopera per veicolo è di 305 dollari, e la Romania, dove è di soli 273 dollari.

Il Paese che offre davvero un buon rapporto qualità-prezzo è il Marocco, dove il costo della manodopera per veicolo è di ben 106 dollari, meno di un trentesimo del costo del made-in-Germany. Non sappiamo quale sia il misero stipendio degli operai marocchini dello stabilimento Renault, ma probabilmente farebbe venire un infarto a Shawn Fain dell’UAW.

Audi in crisi vende Italdesign

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Audi ha avuto un 2024 disastroso e ha recentemente annunciato l’intenzione di eliminare 7.500 posti di lavoro in Germania entro il 2029. Al momento dell’annuncio dei tagli, l’amministratore delegato Gernot Dollner ha invitato la casa automobilistica a “diventare più veloce, più agile e più efficiente”.

I tagli sembrano essere in aumento, poiché un nuovo rapporto suggerisce che l’azienda potrebbe mettere in vendita Italdesign. L’azienda di stile risale al 1968 e ha presto collaborato con Volkswagen per la prima generazione di Golf e Passat.

La reputazione e il portafoglio dell’azienda continuarono a crescere e alla fine Volkswagen acquisì una partecipazione del 90,1% nella casa di design. Audi è stata messa al comando e la quota rimanente del 9,9% è stata ceduta nel 2015.

AUDI IN CRISI

Mentre questa è solo una breve passeggiata nella memoria, Autonews riporta che i rappresentanti dei sindacati hanno dichiarato a un giornale locale che sono in corso i preparativi per la pre-vendita. Secondo quanto riferito, si tratta di una due diligence e del calcolo del valore di Italdesign. Un annuncio ufficiale potrebbe arrivare già la prossima settimana, dato che una riunione di tutti i dipendenti è prevista per il 12 maggio.

Una delle più famose case di design italiane potrebbe essere il prossimo grande sacrificio di Audi
Non ci sono notizie sui potenziali pretendenti, ma Auto News afferma che Italdesign impiega circa 1.000 persone distribuite tra Cina, Europa e Stati Uniti. Si spera che vengano tutti mantenuti, ma solo il tempo ci dirà cosa succederà.

Detto questo, l’interesse potrebbe essere grande, visto il prestigio di Italdesign e la sua esperienza nel campo dello stile e dell’ingegneria. Dall’Audi 80 e dall’Alfa Romeo Brera originali alla BMW M1 e alla DeLorean DMC-12, le impronte del design dell’azienda sono ovunque. Più di recente, ha collaborato con Nissan per la GT-R 50 in produzione limitata e ha persino lanciato la Quintessenza, una coupé ad alte prestazioni da 2.145 CV, di nicchia ma memorabile.

La forza delle BEV? L’inesperienza dei potenziali acquirenti

Lo Scooter Tiggo arriva il Cina con Italdesign

L’evangelismo pagano – la attitudine a sacralizzare in modo grottesco e provinciale i fatti terreni del mondo – è davvero la religione dei poveri: il tifo calcistico spinto all’eccesso, i divi del cinema, i cosiddetti divi della canzone defilippiana o la stessa prosopopea sociopolitica con cui si sono divinizzati nel tempo movimenti culturali, fronti politici contrapposti e personaggi istituzionali dalla dubbia vocazione od ispirazione politica.

Con l’evangelismo pagano si promuovono modi di vita, trend e mode, consumi, scelte di acquisto, persino l’affidamento di soldi, carriere, futuro; l’evangelismo pagano è quindi il velo di pseudoanimismo e di artificiosa sacralità con cui rivestire ed impreziosire azioni, contesti, prodotti, personaggi altrimenti persino banali o rivedibili.

A muovere l’evangelismo pagano – allo stesso modo con cui si propaganda in modo scorretto ed interessato quello sacro e religioso – sono quattro categorie sociali, a due a due tra loro contrapposte: da un lato ci sono i “volponi” capaci di articolare un approccio evangelico e fideistico su un aspetto concreto solo per ottenere un vantaggio; ma dall’altra parte dei volponi vi devono essere necessariamente “allocchi” in grado di seguire pifferi magici ovunque questi li portino.

La seconda Categoria di “emittenti” è quella dei “Soloni” ovvero degli Ipse Dixit: in Occidente e nel mondo industrializzato li abbiamo chiamati “Opinion Leader” e sono quei soggetti cui attribuiamo doti divinatorie e scientifiche di eccellenza per il solo scopo di renderci più comodo e perdonabile lo scegliere qualcosa ad cacchium e senza consapevolezza, “tanto lo ha consigliato l’Opinion Leader, l’Esperto, il Guru”. 

E se poi scopriamo di avere toppato nella scelta, cambiamo sia l’acquisto che un nuovo Guru. Categoria cui si contrappongono i “parvenue”, cioè coloro che comprano libri solo con la Targhetta “Oro” del Premio Campiello, o che sorbiscono con il mignolo alzato il thè delle cinque anche se si trovano in Ciociaria. 

Tutto questo preambolo sulla evangelizzazione pagana per anticipare un tema sul quale non ho mai nascosto idiosincrasia e diffidenza proprio perché è nato TOTALMENTE su aspetti fideistici. 

E quei “Fuck Elon” a base di bomboletta Spray sulle fiancate delle Tesla sono la concretizzazione mediatica della mia ragione quasi ventennale sul tema. Senza evangelizzazioni di sorta il settore dell’elettrico sarebbe fermo alla fallimentare “EV1” di General Motors.

L’evangelizzazione mediatica con cui si è voluta anticipare la ineluttabile e straordinaria rivoluzione elettrica, si è dunque perfezionata, dentro un contesto di Medi e Istituzioni politiche assolutamente a favore, con Agenzie di Consulenza rinomate che all’atto del 2010 si spingevano a prevedere una soglia di penetrazione – nell’arco di vent’anni – del 50% di BEV sull’immatricolato annuo ed un 30% di presenza sul parco circolante; con una Opinione Pubblica che apprendeva dei possibili Default di Marchi e Gruppi “tradizionali” quasi che essere rappresentati sul mercato auto dal vecchio endotermico significasse la condanna all’estinzione; e in tutto questo con la esaltazione – appunto – evangelica di chi con grande supercazzola si esponeva a trattare di CO2, di litio e nichel come fosse un Rettore accademico; ma soprattutto con l’emergere all’orizzonte dei nuovi Dei pagani della purificazione decarbonica globale (Elon “The” Musk, ed altri più o meno oggi seppelliti nella parte anonima della nostra memoria, anche per le vere e proprie “stangate” che hanno inferto ai rispettivi Marchi o Gruppi con perdite finanziarie bibliche dopo aver affrontato l’elettrificazione di Gamma).

A Bruxelles non sanno fare il proprio lavoro, ma sanno tutto di BEV!

Ammettendo di poter comparare – perdonate la bestemmia – Border Leyen con Delors, oppure Sir Leon Brittain oppure Marcelino Oreja con gli omologhi odierni; ed ammettendo che gli attuali ventisette Commissarini siano paragonabili per mole e qualità del lavoro con gli originari 12 di trenta anni fa, io non ricordo una Commissione del passato così monotematica e ossessiva su temi sui quali obbietta e contesta tra l’altro di valori tecnici ed accademici ma è del tutto inetta e notoriamente impotente a generare e costruire la piattaforma politica e strategica su cui imperniare una articolazione normativa. 

Volete che ricordi quanti temi sono rimasti in sospeso, sull’Automotive, da quando la istrionica – a sua  volta – War Der Leyen si è improvvisamente, come sempre, stufata di parlare di quello di cui parlava prima e si è trasformata dalla vecchia “Von BEV Leyen” votata a costruire con tutta la sua “straordinaria statura politica” un’Industria di Guerra in Europa (tra l’altro immettendo modalità industriali inquinantissime – quelle belliche – dentro Stabilimenti nei quali ha imposto a breve il desideratissimo Carbon Zero…).

E volete contare quante crisi aziendali, quanti licenziamenti, quanti punti di PIL ha comportato una tarantella politica come quella che ha sin qui governato le scelte e le strategie di Bruxelles?

Nel frattempo su:

Step Euro 7, 

BER 2028, 

Step di revisione ipotizzato al 2026 per la eventuale revoca del termine del 2035 per lo stop alla produzione di endotermici;

e sullo stesso termine del 2035 definito su “Fit for 55” si è calato un velo di mistero e suspence: “Se fa’ o nun se fa?????” Direbbe un romano DOC…

Il Brand che crea un’atmosfera? Nel mondo elettrico a cosa serve?

A cosa serve per un Costruttore elettrico essere “BEV Brand”, nel settore elettrico dove non c’è storia, simbologia né narrativa in grado di “identificare” nessun Brand originariamente endotermico? 

Questa domanda non la deve fare un Marketing Consultant, ma semplicemente un ragazzo al primo anno di Istituto di Comunicazione Post Diploma; come è stato possibile avviare – tra il 2010 ed il 2015 circa – la farloccata della ricerca di immagine fine a se’ stessa, illudendosi che la clientela potenziale seguisse a ruota le evoluzioni in un ambito di mobilità dove il valore aggiunto iniziale era esattamente quello di mostrare all’opinione pubblica di saper più in fretta degli altri uscire dal repertorio storico endotermico su cui si era tuttavia espresso un percorso di eccellenza tecnica e sportiva spazzato via dalla propaganda pasticciona che esaltava Elon, l’elettrico, la nuova frontiera elettrica. Eppure..

L’Automotive Gattopardesco, fingere di cambiare lasciando tutto come sempre

Ma davvero avete creduto che un esercito di Marketing Manager, Comunicatori, Dirigenti, sottopancia, etc… potesse rinunciare ad un percorso storico ed industriale costruito per decenni? Che i Marchi volessero davvero rinunciare ad un repertorio produttivo, ad un tessuto di subfornitura e di componentistica, oltre che un Know How di Service Management sul territorio che costituiva il Presidio territoriale dei Marchi, dei Brand, dei Gruppi Costruttori?

 

Bravi fessi: quando negli States è esplosa la “bolla immobiliare” con il crack Lehman, il montante dei crediti incagliati per acquisti di auto era drammaticamente più elevato; far esplodere una bolla su un settore creditizio più garantito come quello immobliliare e fondiario era il modo migliore per “stoppare tutto” senza appalesare voragini dalle quali, in ambito Automotive, non ci sarebbe più rialzati. 

Ricordate il 2007? Un mercato “occidentecentrico” dove i consumatori avevano assunto un vizio indotto dalla propaganda: mentre cresceva la mole di credito sospeso, e si moltiplicava la serie di strumenti derivati (ABS in primis) per finanziarlo, il controvalore usato circolante diventava spazzatura anche perché dall’altra parte dell’occidente non avevamo trovato le auspicate porte aperte di mercati disposti ad assorbire la mole di vecchie auto in circolazione in Usa ed Europa. 

Ed in ultimo, la guerra commerciale tra Costruttori si era radicalizzata sui listini, progressivamente in crollo, o meglio: per consentire ai Clienti un desiderato “upgrade” di gamma e modelli, il mercato aveva progressivamente attuato un sistema “crossover” in base al quale il passaggio a modelli superiori trovava il suo complemento nell’arricchimento di optional e dotazione tecnica che faceva percepire il vantaggio del Cliente a spendere di più per avere molto di più in termini di qualità e lusso.

In soldoni, il margine sul “Pezzo di ferro” si riduceva sempre di più mentre la guerra commerciale imponeva un continuo arricchimento ed aggiornamento in R&D e ricchezza: in tutto questo il tradizionale Marketing alla Philip Kotler aveva mostrato tutta la sua inattualità

Il Web moltiplicava consapevolezza e conoscenza dei diversi target potenziali. “Divide et Impera” aveva perso efficacia in un mondo dove la segmentazione estremizzata delle categorie di mercato vedeva sempre più debole ed esposto il mondo dell’offerta soprattutto in tema Auto; mentre al contrario dalla parte della domanda la continua frammentazione e delimitazione delle categorie di mercato generava una costante consapevolezza ed esperienza su prezzi e rapporto qualità e prezzo.

In parole povere, più i Costruttori (con l’ausilio suicida delle Istituzioni politiche di contesto) creavano scalini progressivi per costringere il Cliente a salirli e disorientarsi temporaneamente, più in realtà i Consumatori salendo i gradini metaforici della scala del Mercato segmentato acquisivano consapevolezze e prevenivano, guidandole, le scelte dell’Industria.

Occorreva mettere in atto un “frullatore” socio-economico: da un lato spezzare la catena della consapevolezza del consumatore evoluto e maturo in Occidente, e dall’altro aprire i varchi per cominciare a moltiplicare le vendite nei mercati in prevedibile ascesa e crescita di consumi.

Il momento ideale, al contrario di come tanti pensano, è arrivato in coincidenza non delle fasi “virtuose” del mercato ma in occasione delle sue ultime catastrofi collettive di sistema dal 2008 ad oggi: Credit Crunch e Crack Lehman, DieselGate, Brexit e Lockdown con ripensamento della intera filiera di Supply Chain globale e connessa PRESUNTA crisi dei semiconduttori. E’stata lungo questa slavina progressiva che i Costruttori sono riusciti a:

​-Stravolgere categorie e regole di mercato classico con la interposizione del paradigma “Elettrico” attraverso il quale hanno preventivamente cestinato diversi Market Target (a partire dalle “utilitarie”) dove i margini erano diventati negativi;

-Così facendo si è potuta ridisegnare la disciplina del “Pricing parametrico”: senza alcune Categorie di mercato canoniche e con nuove dimensioni da conoscere, il Consumatore non ha avuto più il “benchmark” a disposizione;

​-Con la supercazzola delle “BEV” nel frattempo si intruppavano le menti e le coscienze del Consumatore potenziale generico con nuovi concetti: Autonomia, tipologia di Batterie, efficienza, modalità/tempi/supporti/costi di ricarica diventavano sempre più assiomi incomprensibili da assumere come evangelo;

​-Con questa “supercazzola” la continuata secretazione da parte dei Costruttori di rango delle tecnologie discriminanti per le proprie piattaforme tecnologiche “o cosiddette” ha portato da un lato a perpetuare la carenza di lessico tecnico di base masticabile da parte dei consumatori potenziali; e dall’altro ha moltiplicato messaggi e comunicazioni tese a rinforzare un ipotetico senso di appartenenza tra Clienti e tradizionali “Brand” anche su una tecnologia cosiddetta nuova, anche se non solo non è nuova ma dubito che, ad ammortamenti industriali perfezionati, sia più costosa delle tradizionali piattaforme endotermiche.

Il che mi fa discretamente pensare che diversi “Profit Warning” di taluni Costruttori che lamentano miliardi di perdite sulle piattaforme elettriche siano semplice fuffacontabile.

Ma sono io che lo penso. Sia chiaro.

Pericolo scampato: mercato endotermico in salvo. Le BEV tornano nei cassetti?

Contate le presunte uscite previste lungo dieci anni dai Costruttori in tema di nuovi modelli BEV: potete riscrivere l’elenco telefonico. Nulla, in confronto alle volte in cui gli stessi Costruttori hanno abiurato il maledetto Diesel, per poi ritrovarlo oggi a discapito proprio della possibile uscita di nuove BEV.

Ovviamente il percorso elettrico non è finito: con una faccia da vero e proprio organo basso di equilibrio centrale, i Costruttori spacciano ridicolmente per rivoluzione elettrica la Ibridazione di prodotto. Ma è una bufala almeno per i due terzi del prodotto europeo in commercio od in proposta. Si tratta semplicemente di interposizioni sistemiche di propulsione elettrica in affiancamento e surroga parziale del classico (e vecchissimo) endotermico e conseguente gestione elettronica della interazione tra sistemi. Come pensare oggi ad un prodigio nel momento in cui ci si rendesse conto della straordinarietà di un sistema a Gas/GPL che interagisce intelligentemente ed automaticamente con la classica alimentazione a benzina dei motori classici. 

Mi prendereste per idiota, così come mi ridereste dietro se io ritenessi un’auto a benzina di “ieri” un vecchio modello, e il corrispondente modello Bifuel di oggi un “nuovo” modello.

 

E allora perché avete ritenuto da subito, facendo un poco la figura dei fessi, un “nuovo modello” la stessa auto di pochi anni fa semplicemente addizionata di un “Primo Impianto” Ibrido elettrico a supporto della meccanica tradizionale?

Potrei continuare , ma la cosa che più mi preme sottolineare come didascalica, per farVi capire come diversi Costruttori basano il loro Profitto decarbonizzato sulla vostra ingenua ignoranza e impreparazione, è solo chiederVi in successione:

​-Dieci anni fa credevate morto in Diesel che eravate abituati a comprare a prezzi stracciati?

​-Per quasi due lustri avete più visto un assortimento di Gamma Diesel degno di questo nome, dimenticando ovviamente anche i rispettivi listini che accompagnava tale assortimento?

-Ed allora perché oggi quello stesso Diesel praticamente quasi invariato da allora si è autoriabilitato dal ruolo di untore dell’ambiente, e sta tornando lentamente in affiancamento ai sistemi ibridi ma a prezzi di partenza lunari rispetto a dieci anni fa?

Ma, soprattutto, Voi di questo Vi siete mai realmente accorti???

Forse, un giorno tra un anno o un secolo leggeremo un titolo di cronaca: “Quella falsa Commection elettrica nata in Europa per salvare gli Endotermici”…

Peccato solo, ma si fa per dire, che in caso a Bruxelles abbiano voluto scherzare sulla questione elettrica come ho appena responsabilmente scritto, il problema di oggi è che dalla zona del Dragone sono poco propensi a scherzare e stanno facendo maledettamente sul serio.

E non bastano i superdazi a metterci una toppa: Von BEV Leyen, se ci sei (sperando davvero in questo) batti un colpo. Il casino lo avete cominciato Voi e Voi dovete risolverlo.ù

 

Ma se qualche parruccone o Solone della storia del mercato Auto volesse –e magari, ma di sale in zucca per commentare od obbiettare in modo interessante non se ne vede – obbiettare a questa mia visione maliziosa e persino diffamatoria della evoluzione del mercato auto lungo dieci anni, lascio il periodo completo che riporto fedelmente di seguito e che appartiene ad un articolo ancora in Rete, che ho scritto…il 27 Settembre 2015. Ecco cosa dice:

Un mio articolo. Di dieci anni fa. Non profezie: solo tanto buon senso

“Il Diesel di oggi ha superato ogni limite sia su strada che sul Mercato che nello Sport. Ha offerto in 40 anni uno valanga di soluzioni, Brevetti, dispositivi ed architetture che il mondo del “ciclo Otto” non aveva totalizzato neppure in un secolo. 

Ha coperto ogni Target di mercato ed ogni tipo di veicolo che avesse più di 2 ruote.

Ormai il Mercato del Nuovo è occupato da TUTTI i Playersmondiali con offerta di gamma sovrabbondante. 

Sul campo dell’Usato il Turbodiesel occupa la scena a discapito spesso di altre motorizzazioni. 

Tutti ormai dichiarano gli stessi miracolosi consumi, praticamente le stesse prestazioni. E tutti si combattono su tutti i segmenti di mercato. In una sola parola :TUTTI…….Ergo, ormai sul Diesel non vince più nessuno. Tutto comincia a diventare troppo uguale per tutti, ed è un rischio. Se non vince più nessuno perdono tutti.…Ecco perchè il Diesel deve morire.

O meglio: deve morire “questo” profilo di Diesel che ci siamo abituati a comprare fino ad ora. 

Perchè sennò il motore a Gasolio rischierà di fare come il biblico Sansone con i Filistei. E allora vuoi mettere la “destabilizzazione competitiva” possibile che si avrebbe sbattendo sotto al naso dell’Automobilista una bella ed imperscrutabile inchiesta sulle “emissioni occulte” tale da mettere a rischio il suo orientamento di scelta? 

Un Automobilista che possa scegliere consapevolmente e che si orienta con esperienza su un mercato che conosce bene è un Consumatore che fa paura, lo capiamo bene. Ormai il Consumatore sul Turbodiesel sa tutto, o perlomeno crede di sapere…

E allora, meglio ucciderlo “questo” Diesel. Tutto troppo uguale, tutto troppo democratico…Facciamolo morire, è il grido di guerra del mercato Auto. E allora un giorno leggeremo : ” Il Diesel è morto, prima che si uccidesse da solo. Correva l’anno 2016…”.

Riccardo Bellumori

Automobili Mignatta Rina: la Supercar in incognito

La giovane azienda piemontese Automobili Mignatta ha presentato il suo modello di debutto, la Rina, che combina le migliori caratteristiche delle auto sportive italiane degli anni Sessanta, ovvero una carrozzeria biposto elegante e leggera, un potente motore a benzina e un telaio dalla messa a punto fredda.

L’azienda Automobili Mignatta è stata fondata dall’imprenditore Jose Mignatta. Il primo modello è stato chiamato così in onore di sua nonna Carerina ed è una barchetta leggera a due posti, cioè un’auto sportiva senza tetto né parabrezza, con visiere individuali per il conducente e l’unico passeggero.

La carrozzeria della Rina è basata su una monoscocca in fibra di carbonio di propria progettazione, che pesa solo 71 kg e ha una rigidità torsionale di oltre 10.000 Nm/grado. Le sospensioni sono a doppio braccio oscillante. All’interno delle ruote traforate con dado centrale si nascondono potenti freni a disco ventilati Brembo, con diametro dei dischi anteriori di 360 mm (pinze a 6 pistoncini) e posteriori di 350 mm (pinze a 4 pistoncini). Tra i sistemi ausiliari troviamo il servosterzo e l’ABS. I pneumatici di serie sono Pirelli P Zero Trofeo RS.

Sotto il cofano è installato il V8 Coyote atmosferico Ford da 5,0 litri, modificato dall’azienda italiana Italtecnica Engineering; le sue caratteristiche non sono ancora state rese note, ma si prevede che la potenza massima sarà al livello di 500 CV, il tutto trasferito alle ruote posteriori attraverso un cambio automatico a 6 rapporti e un differenziale autobloccante. Dato che il peso a vuoto della Rina sarà di circa 1000 kg, ci si può aspettare una dinamica di accelerazione pazzesca.

LA SPORTIVA UNICA

Nell’abitacolo a due posti della Rina, generosamente decorato in fibra di carbonio, non ci sono schermi touch screen, ma solo indicatori analogici: cinque su un pannello di fronte al volante e un tachimetro al centro del pannello anteriore, con una velocità di 320 km/h. Sotto il tachimetro si trovano una serie di classici interruttori a levetta e tre manopole rotanti del sistema di microclima. Il rivestimento in pelle dei sedili striscia letteralmente sul tunnel centrale. Le portiere sono dotate di profondi incavi per i caschi da corsa.

Automobili Mignatta prevede di produrre solo 30 esemplari della Rina Barchetta all’anno. Gli ordini sono già in corso, con un prezzo a partire da 260.000 euro, tasse escluse, e la produzione e le consegne inizieranno il prossimo anno.