Oggi, a pensarci, pare non sia mai accaduto. Ed infatti il ricordo di questo quarantesimo anniversario non è solo tributo a due ottimi campioni e ottimi ragazzi italiani, che ci hanno rappresentato con onore nel mondo; è anche un modo per ricordarci di noi stessi e di quel che siamo stati, non potendo forse esserlo mai più.
Oggi che nello sport motoristico in generale e nella Formula Uno in particolare l’Italia è non pervenuta, Ferrari a parte. Anche se “questa” Ferrari, per nuove prassi globaliste, non si può più intendere come quella di quaranta anni fa totalmente immersa nella dimensione modenese.
Certo, l’Italia è protagonista in Superbike e MotoGp con Ducati italotedesche in ottimo sfoggio mondiale e con Francesco Bagnaiainsieme a nuove promesse, mentre quaranta anni fa sulle due ruote la Cagiva era leader nelle classi minori del mondiale Cross ma nel Mondiale 500 era ancora una bella speranza.
Ma era tutto il contesto globale del mercato a rendere il tricolore davvero un riferimento per l’industria, a metà anni ‘80; proprio Cagiva era il Gruppo europeo più in crescita esponenziale sui mercati internazionali, e in campo auto l’Italia aveva:
-Cinque Gruppi “quasi” indipendenti tra loro e dieci Marchi Costruttori (Fiat, Lancia, Autobianchi, Iveco in Fiat; Alfa Romeo/IRI; Maserati, Innocenti e De Tomaso nel Gruppo De Tomaso/Gepi; Lamborghini nel Gruppo Chrysler e Piaggio che aveva iniziato a progettare la linea in Joint Venture italogiapponese per il futuro “Porter”; e mentre Rayton Fissore si sarebbe espresso pochi anni più tardi come piccolo Costruttore del “Magnum”, nel 1987 Romano Artioli avrebbe iniziato il progetto Bugatti; e – last but not least – il Belpaese si era riservato ancora la parentesi ludica ma onorevole della romana “Puma” – che vendeva in Kit le celebri “Dune Buggy” e le “GTV” con motore del Maggiolino – ed attendeva poche settimane prima della nascita della seconda fabbrica europea per anagrafe di anzianità in tema di mobilità elettrica, la “Micro-Vett”);
-Una leadership europea di Fiat rispetto a Volkswagen e Renault;
-due modelli leader di vendite in Europa: la Fiat “Uno” nelle Utilitarie e incredibile a dirsi la Lancia “Thema” nelle Turbodiesel;
-Il maggior numero di modelli Granturismo estreme a motore posteriore prodotte in Europa: l’Italia sfornava all’epoca quattro serie della Ferrari (208-308 GTB-GTS/288 GTO/Testarossa/Mondial), due modelli Lamborghini (Jalpa/Countach), uno per De Tomaso (Pantera), mentre Lancia forniva ancora qualche pezzo fine serie della “Montecarlo” mentrepreparava il colpaccio – a trazione anteriore – “Thema 8.32” Ferrari;
-Il monopolio assoluto del Design con almeno sette firme di elite a pieno regime tra Studi e liberi professionisti (alla data del 1985 Pininfarina, Bertone, Italdesign, Zagato erano completati dall’opera indipendente di Marcello Gandini, Fioravanti, Ercole Spada ed altri ottimi Designer); e Vi risveglio un ricordo: non era direttamente attinente solo al settore Automotive, ma anche il Business del particolare di prestigio (selleria, ebanisteria, vetro, etc, condizionamento….).
Vogliamo aggiungere che l’Italia è stata tra i primi discepoli della grande epopea del Carbonio, che la componentistica di qualità e sportiva era solo italiana (Weber, Marelli, Marzocchi, Brembo, Pirelli, Varta, etc…), che anche nella ricerca aerodinamica eravamo un riferimento, che la “VM” di Ferrara forniva i suoi Turbodiesel a Costruttori internazionali e che nel settore del Karting e della costruzione di telai sportivi eravamo quasi monopolisti?
D’obbligo ricordare il contesto in cui si muovevano i nostri campioni dello sport che per nostra fortuna ci rappresentavano al meglio in ogni categoria del Motorismo da competizione; e dunque quello che accadde in mezzo alla Primavera del 1985 è stato un poco un esempio di primavera tricolore.
La Pattuglia Tricolore nel Motorsport
Andiamo a quel Mondiale di Formula Uno, contestualizzandolo: si era negli anni Ottanta in cui il classico confronto tra “Rossa” e garagisti stava lasciando il passo alla presenza più forte dei Costruttori totali (Alfa Romeo, Ferrari e Renault), mentre l’esplosione del fenomeno Turbo aveva risvegliato l’interesse di motoristi di eccellenza: insieme ai tre sopra ricordati, a circondare il povero Ford Cosworth 3 litri c’erano BMW, TAG Porsche, Hart, Zakspeed; e dal lato organizzativo il profilo del “garagista” stava progressivamente lasciando il posto alla presenza di Holding superorganizzate delle quali il primo esempio era proprio il Team “MP4 McLaren TAG” ed a cui seguira’ la rinnovata Williams che grazie alla abbondante iniezione di petroldollari arabi aveva già rivoluzionato sé stessa.
Sembrava si potesse dire la stessa cosa della nascente Lola-Beatrice-Ford, ma i fatti dimostreranno il contrario.
Di certo da quella metà anni Ottanta i dualismi celebri negli scontri iridati cambiano: l’antagonista preferenziale della Williams non è più la rampante Brabham ma diventa proprio la McLaren; o meglio, è ancora il mondo mediatico che segna per la Williams un posto quasi d’obbligo nelle pretese mondiali, anche se il 1984 ha visto la McLaren TAG vincere come uno schiacciasassi e tutto fa pensare che il 1985 sia l’anno del bis.
Siamo anche ad un passo dal debutto di una futura superholding vincente, la Benetton, ma qui è ancora nel mondo dei sogni la sua ambizione mondiale.
Ma era tutto il contesto del Circus ad essere cambiato, per effetto della sovraesposizione mediatica e dell’allargamento dei confini del calendario Gare; ed a farne le spese erano proprio i piccoli Costruttori artigianali (dagli storici Tyrrell e Ligier ai nuovi Osella, Minardi, Zakspeed) mentre in quel 1985 anche due eterni opposti concettuali ed industriali erano ormai un ricordo, e tutto questo parte contemporaneamente nel 1982 per i quattro protagonisti del nostro racconto: Ferrari, Michele, Elio e la Lotus.
Colin Chapman, che ne fu il fondatore, era scomparso a fine 1982 dopo aver lanciato in aria il suo cappellino in segno di vittoria il 15 Agosto 1982 a Zeltweg, in Austria, per l’ultima volta grazie ad Elio; mentre Enzo Ferrari, il Drake, per essendo ancora in vita era protagonista suo malgrado di una guerra sottile, segreta e resa nota solo decenni dopo con la Fiat, una guerra per il controllo di Maranello che fu in parte causa di una delle stagioni più feroci e piu’ drammatiche della Rossa.
In quel 1982 si cristallizza contemporaneamente una nuova dimensione del Mondo della F1. Elio e Michele (vincitore del suo primo Gran Premio quell’anno) sono la nuova generazione vincente e mediaticamente moderna; Ferrari e Chapman non potranno pungersi mai più velenosamente come hanno fatto per decenni, ma soprattutto Enzo Ferrari non è più da anni “il Drake”, ma è solo un ultimo Highlander resistente di un mondo ormai chiuso in un cassetto; ed infatti l’ultimo Garagista Campione del Mondo (Williams) saprà perculare sapientemente forse per l’ultima volta il Drake – chiudendo per senpre la questione e una intera epoca storica – facendo capire che lui, da “garagista” aveva saputo vincere il Titolo che Ferrari al contrario era stato capace solo di perdere.
Ed infatti anche Frank dovrà abdicare a sé stesso e far diventare la sua Squadra una Holding in stile MP4 McLaren; purtroppo ci riuscirà in parte, perché un terribile incidente nel 1986 lo condannerà per sempre.
Elio e Michele, punte di diamante tricolore
La guerra strisciante tra Drake e Fiat era ovviamente accentuata dalla serie di “buchi” a carico del cavallino dopo l’ultimo Titolo mondiale del 1979: e se Fiat fu concorde nel concedere a Maranello l’anno sabbatico 1981 in cui le Rosse correvano per la prima volta con un motore turbocompresso V6 da 1,5 litri abbandonando il secolare 12 cilindri contrapposti aspirato; certo a Corso Marconi erano perlomeno inferociti per la perdita di un Titolo sicuro nel 1982 e di uno molto papabile nel 1983 quandoalla fine il pilota di punta – Renè Arnoux – era stato sempre ad un passo dai due contendenti di testa.
Ma era questione di tempo: le “auto di Stato” cominciavano a diventare, da inizio anni ’80, un lusso difficile da mantenere a lungo; e l’uscita della Maserati dalla Gepi poteva dettare il suo countdown da quando la stessa nel 1984 aveva obbligato De Tomaso a fondere insieme Innocenti e Maserati per risanare un colossale buco di bilancio: tutti già sapevano che il Boss di Canalgrande (là risiedeva nell’albergo di famiglia) cercava disperatamente un potenziale acquirente in Lee Iacocca (Chrysler) ma questi, sebbene amico di Alejandro e molto interessato alla Maserati, aveva rifiutato diverse proposte di fusione proprio per i conti disastrosi del Tridente; insomma, Torino sapeva che colpo su colpo prima o poi la Maserati sarebbe arrivata a portata di tiro. Nel frattempo, l’idea di Vittorio Ghidella si era orientata verso un “polo del Lusso” Fiat, il cui incubatore diventò – una volta acquisita Alfa Romeo – la nuova Divisione “Alfa Lancia Industriale Spa” che incluse Desio, Chivasso ed Arese. Siamo già alla seconda metà degli anni Ottanta, quando tra l’altro prese vita una nuova creatura voluta da Ghidella: la Thema Ferrari 8.32. Insomma, con Alfa/Lancia il nostro Ghidella stava semplicemente anticipando l’operazione in casa Volkswagen dove la popolarità di Wolfsburg sarebbe stata affiancata in alto dal nuovo lusso a quattro anelli, ed in cui Porsche – interna al Gruppo – rappresentava un lussuoso “Laboratorio” capace di creare e progettare di tutto.
Nel 1984 la svolta, certo promossa da Fiat, del ritorno di un campione italiano sulla “Rossa”: Michele Alboreto, ancora giovane ma già talento in grado di garantire risultati Top, e grande rimpianto di Ken Tyrrell che suo malgrado lo aveva liberato per il passaggio in Ferrari nonostante il milanese fosse stato l’alfiere del ritorno alla vittoria del team inglese dopo anni di purgatorio.
Esattamente quel che era stato, e restava in quel 1985, Elio De Angelis per la Lotus: il portabandiera del rilancio, il primo a riportare la squadra sul gradino più alto in Austria 1982 dopo tre anni di digiuno assoluto; con dedizione e impegno il già maturo ventenne approdato alla corte di Chapman era diventato il capitano di un Team allo sbaraglio, una volta perso il suo fondatore a Dicembre 1982.
Elio si era caricato sulle spalle contemporaneamente il lavoro di sviluppo della nuova monoposto a motore Turbo Renault, ed insieme era stato il collante umano ed empatico della squadra – dai meccanici al nuovo progettista Gerard Ducarouge – salvo uno stizzito e paranoide Peter Warr che, forse persino a sua insaputa, sarà responsabile in primis dell’insabbiamento finale del Marchio Lotus.
Alboreto e De Angelis, battaglie a distanza
Elio De Angelis e Michele Alboreto: due della piccola armata di tanti italiani presenti in Formula Uno (con loro Patrese, Giacomelli, Eddie Cheever e De Cesaris in qualità di “confermati” e stabili; Mauro Baldi, Teo e Corrado Fabi, Piercarlo Ghinzaniinvece più spesso come illustri “Jolly” provvisori mentre Beppe Gabbiani, arrivato con la Osella nel 1981, era uscito dal Circus mondiale così come un promettente Sigfried Stohr); ma Elio e Michele erano i due di una eccellente terna – con Riccardo Patrese – in grado di far sognare l’impossibile contro ogni pronostico.
Perché se è vero che il primo profumo di gloria 100% tricolore, dopo anni, ci arriva a fine Settembre 1980 dalla prestazione monstre di Bruno Giacomelli che con l’Alfa 179 ottiene la Pole a Watkins Glen negli USA e guida metà gara lasciando il vuoto dietro di sé prima del ritiro, bisogna concedere a Riccardo, Elio e Michele l’onore della menzione storica: se abbiamo contato da quel 1980 Podi, Pole Position e soprattutto piazzamenti iridati in zona di alta classifica lo dobbiamo ai nostri tre alfieri. In particolare al più costante dei tre in quel 1985, cioè proprio Elio.
Michele purtroppo era stato fino al 1983 davvero ostaggio di una eccessiva precarietà del team Tyrrell e Riccardo a sua volta era in quel 1985 a cavallo di due situazioni simmetriche: se solo nel 1982 e 1983 era seduto al volante di una potenziale pretendente mondiale (la Brabham dove tuttavia era la seconda guida di Nelson Piquet) la nuova situazione Alfa Euroracing era decisamente deficitaria da due anni per lui come lo fu la Arrowsche aveva lasciato nel 1981.
Dunque, con un po’ di rammarico per le grandi doti di Riccardo Patrese alle prese con una Alfa Romeo ormai in dismissione in tutti i sensi, le aspettative mondiali erano affidate per il tricolore al duo Michele/Elio, quaranta anni fa.
Elio è stato mobbizzato, offeso, provocato, messo a disagio in una faida che tuttavia ha spaccato in due non solo il sentimento del romano verso il suo team, ma soprattutto un Marchio ed un Team (dove tutti i meccanici ed i dipendenti di lungo corso erano assolutamente affezionati e fedeli a De Angelis) che a parte pochi acuti nel 1986, da metà del 1987 comincia a spalmarsi nella zona bassa delle classifiche fino a scomparire temporaneamente.
Le premesse c’erano tutte, in raffronto sinottico con la stagione precedente, dove i due bulldozer McLaren TAG (Lauda e Prost) avevano monopolizzato la Stagione con complessive dodici vittorie su sedici disponibili e sei piazzamenti a Podio su 32 possibili tra secondo e terzo posto. Inutile una qualunque velleità dei concorrenti, cui rimaneva poco; ma su quel poco Elio era stato capace di mostrare spirito di sacrificio e un grado di giudizio superiore a tutti.
Alla fine della Stagione 1984 è terzo in Classifica mondiale, 27 anni dopo un altro italiano come Luigi Musso; dopo di lui per la prima volta dopo anni un italiano sulla Rossa è quarto in quel 1984: Michele si toglie la soddisfazione di essere anche il primo italiano su una italiana a brindare da vincitore di un Gran Premio dopo anni e anche questa è una nota che avevamo perso nel tempo.
Inizia il Mondiale 1985, tra Spy-story, luci ed ombre
Come inizia quel 1985? Prima del Calendario di Gare, sappiamo solo di recente quel che accadde a Maranello.
Ma quale aria si respirasse al Team Lotus lo fece capire Elio in una intervista al vetriolo contro (in primis) la Stampa inglese ma in subordine anche rivolta al sedicente Manager Peter Warr. Se la Lotus era terza in Classifica Piloti lo si doveva alla capacità di Elio di superare davvero ogni limite, alla abnegazione con cui Elio si era negato ogni colpo di testa garantendosi comunque piazzamenti invece che osare rischiando di compromettere la Gara.
Eppure Elio si era dimostrato quasi sempre più veloce del futuro “leone” Nigel Mansell, per cui non disdegnava di menare le mani per un’impresa; ma in Elio prevaleva la visione strategica di Gara, la capacità di leggerne l’andamento e di “fissare” le tattiche dei diretti antagonisti per prevenire le loro mosse.
Tesi di Laurea di tutto questo talento fu proprio il finale di Gara in Austria in quel 15 Agosto di tre anni prima, quando molti altri piloti più esperti sarebbero stati spiazzati dalla serie asfissiante di “finte” e attacchi velenosi da parte di Keke Rosberg che, tuttavia, trovò nel molto più giovane Elio un vero “sherpa” dentro quella Lotus, esente da errori e da cedimenti emotivi.
Eppure era Ferragosto, erano gli ultimi Giri e il romano era in testa; dietro di lui il futuro Campione del Mondo 1982 e vero lupo di mare che, a fine Gara, testimonierà tutta la sua ammirazione verso la grande prestazione di Elio.
Tre anni dopo aver regalato alla Lotus la prima gioia dopo un periodo buio ed un terzo posto inciso sulla pietra nobile dell’Albo d’Oro sportivo in un 1984 in cui aveva tenuto dietro la sua dama “nero-oro JPS” nomi come Ferrari, Renault Brabham e Williams, Elio iniziava il 1985 come separato in casa, per la frenesia dei piani alti del Team e della stampa inglese di accogliere il predestinato: Ayrton Senna che, oltre che le prospettive e le aspettative, portava con se’ begli sponsor che evidentemente Elio non aveva alcun bisogno di procurare; anche se, occorre dire, l’anno prima era stato lui sponsor della Lotus accettando di decurtare il suo ingaggio per contribuire alle spese necessarie ad assicurare al Team un progettista geniale come Gerard Ducarouge.
Tutto vero, tutto documentabile ma Elio, abituato a non apparire e contrario alle autocelebrazioni, ha sempre tenuto nascosto questo suo modo di essere fedele e utile al suo Team; a differenza di chi, tra dialoghi con l’Altissimo e falsa modestia, costruiva l’idolo di sé stesso in Brasile e nel mondo.
E se questo era l’inizio del 1985 per Elio alla Lotus, come detto prima l’aria a Maranello anche per Michele Alboreto non doveva essere serena.
Già dopo la prima gara scoppia il “Renè-Gate”, cioè una questione spinosa tra letti, corna (e altro) che mette alla porta della Ferrari Renè Arnoux, colpevole di comportamenti anti aziendali: veri o presunti che fossero, la cacciata di Arnoux segna a maggior ragione un ambiente dove appunto il Drake è asserragliato nei suoi fortini in una battaglia tra fedelissimi da un lato contro i miliziani di Corso Marconi dall’altro.
E Michele, in mezzo a questi due fuochi, lavora come sempre con abnegazione: compie migliaia di chilometri sulla sua monoposto del 1984 in attesa della nuova, condivide con Ingegneri e tecnici – tra i quali fa ancora parte Mauro Forghieri – il vademecum per lo sviluppo precampionato della Rossa; ed evidentemente sa di dover prima o poi fare a meno del suo Compagno per far posto al nuovo arrivato Johansson.
Dunque, per motivi diversi ed opposti, Elio e Michele sanno contemporaneamente di non poter contare su una “spalla” degna di questo rango: Elio per colpa della faida contro di lui, e Michele perché nonostante buona volontà e comportamento leale, quel suo nuovo compagno Stefan non è da subito all’altezza dei primi.
Eppure, come solo nelle favole, è da subito Grand’Italia: primo terzo di Stagione, un simbolico giro di boa importante ai fini statistici dei primi sei gran premi dell’anno: contro solo poveri ventisei punti ottenuti da Alain Prost, Michele ne capitalizza 30 ed Elio 21; Senna e Keke Rosberg a confronto sono ancora fermi a nove e dodici punti.
Ma la cosa clamorosa avviene “dentro” quel primo step di sei gran Premi svolti: già alla seconda Gara infatti Alain Prost conquistanove punti ed un ritiro; Michele e la Ferrari portano in dote due secondi posti e 12 punti, e per la prima volta dopo anni un italiano su Ferrari occupa il primo posto provvisorio in classifica mondiale.
Ma basta arrivare alla terza Gara per gridare al miracolo: Elio De Angelis a sedici punti vola in testa al Mondiale; Michele rimane secondo sempre con dodici punti e terzo segue, addirittura, Patrick Tambay protagonista con la rediviva Renault di un inizio pimpante: due podi ed un quinto posto, totale 10 Punti Iridati.
Alain Prost è incredibilmente quarto sempre a nove punti ed ex aequo con Ayrton Senna che, badate, si pone a sette lunghezze da Elio.
Il quale, non contento, sa che la sua visione di Gara matura ed il talento puro alla guida possono fare la differenza: quarta Gara, Elio è monumentale e somma altri quattro punti confermandosileader con due punti di vantaggio su Alain Prost ed Alboreto (ex aequo con 18) punti.
Quinta Gara, Michele torna in cima grazie alla vittoria ed a 25 punti con cui distanzia Elio a 22 punti e Alain Prost a 21.
Senna – sempre per puro esempio – colleziona due ritiri, un settimo ed un sedicesimo, restando a nove punti.
Sesta Gara, appunto dopo aver doppiato un terzo di Calendario stagionale 1985: come accennato in anticipo, Alboreto è in testa provvisoriamente con 30 Punti, Elio è secondo con 24 punti, Alain Prost terzo con 22 Punti; insomma, due italiani in lizza per il Titolo ed una McLaren TAG che, probabilmente, conferma la previsione di alcuni analisti e commentatori che vedono nel prestigioso Porsche V6 biturbo il limite più grande dell’armata saudo-anglo-tedesca, ed un monopolio 1984 irripetibile.
Volete proprio esagerare? Si, e allora sappiate che a metà Stagione (otto di sedici Gran Premi) il ruolino di marcia dei primi tre supereroi della F1 1985 è ancora un invito a sognare:
Michele Alboreto (Ita, Ferrari): 36 punti, 1 vittoria, 5 Podi e due ritiri;
Alain Prost: (F, Mc Laren TAG): 35 punti, 3 vittorie, due ritiri, una squalifica per peso minimo irregolare, due podi;
Elio De Angelis (Ita, Lotus): 26 punti, 1 vittoria, due podi, sei piazzamenti, un ritiro.
Metà Stagione, due Piloti italiani in condizioni di vincere un Titolo: fossimo stati in Francia, il Sindaco di Roma come fece quello di Parigi nel 1983 avrebbe tappezzato i muri capitolini di Poster inneggianti “Daje Elio”; infatti nel 1983 il Sindaco di Parigi pannellò i muri di Parigi di manifesti con il casco di Prost e l’esclamazione “Allez Alain” in sostegno morale della sfida mondiale (poi persa) del francese.
Eppure, se da quel momento cambia tutto in modo drammatico nella classifica, la colpa non fatela – per carità – ricadere sulle spalle dei nostri alfieri.
Perché ci sono motivi ambientali e strategici importanti per poter scagionare almeno i due ragazzi, Elio e Michele, dalla colpa grave di aver perso per strada un sogno iridato.
A tre quarti di Stagione (dodici Gran Premi, dunque ad una soglia di percorso più che sufficiente per proiettare pronostici e aspettative) la McLaren TAG di Alain Prost inizia un percorso lineare e perentorio di avvicinamento al traguardo mondiale: in altre quattro gare dopo la metà del calendario Alain raccoglie lo stesso carnet di punti che aveva raggiunto nelle prime otto gare, e con 65 Punti comincia a timbrare il cartellino verso il Titolo.
Michele Alboreto, pur straordinario e regolarissimo comincia a vedere il suo avversario con il binocolo, ma non è certo colpa sua: con 19 punti dopo l’ottava gara risponde come può al francese della McLaren ma si ferma con 54 punti al secondo posto; e comincia a dover ammettere che fino alla fine della Stagione dovrà recuperare 3 punti a Gara sul rivale per ribaltare i piani. In poche parole, Michele sempre primo, Alain sempre secondo; Michele sempre secondo, Alain sempre quarto; Michele sempre terzo, Alain al massimo sempre sesto. Se non fosse già impossibile per statistica, lo diventa per davvero a causa di quattro maledetti ritiri nelle ultime Gare.
Ed Elio? Per lui si materializza il dramma del divorzio da Lotus: il Campione romano che arriva come un metronomo a conquistare 3 punti per Gara nella prima mezza Stagione si rassegna a mezzo punto per gara nella seconda parte; mentre il divino Paulista suo (si fa per dire) “Compagno di Squadra” inizia un rally che lo porta da quattro ritiri e un punto a Gara nel primo mezzo di Stagione a conquistare quattro podi ed una vittoria nella seconda metà? Mmmmhh, no: non quadra. Cosa potrebbe essere successo, a Maranello ed in casa Lotus?
Ferrari, quel grande assedio di Ghidella a casa del Drake
Purtroppo Michele si trova suo malgrado ed a sua insaputa in una sorta di “redde rationem” del Rapporto sempre in chiaroscuro tra Torino e Maranello: con l’Avvocato grande estimatore del Cavallino, ma con un peso economico della Ferrari enorme nei conti Fiat e relative contestazioni degli azionisti, a cui rispondeva per ruolo e personalità il personaggio esploso da poco a Mirafiori: Vittorio Ghidella.
Dopo il giovane e graditissimo dalla Fiat Luca di Montezemolo mandato ad affiancare la Squadra Corse di Maranello soprattutto per rappresentarne in quel contesto i desiderata del Marchio di Torino, la lenta azione di perimetrazione dei sacri poteri di Enzo dentro la Ferrari trova con Ghidella un elemento scatenante: dopo la parentesi mondiale del 1979 che assicura al Drake credito dalla Fiat condizionato e soprattutto a termine, il termine arriva alla fine del 1982; dopo un 1980 da nascondersi sotto la sabbia (peggiorato dagli ottimi acuti della Alfa 179 a contraltare) ed un 1981 interlocutorio in cui Fiat mette di nuovo mano al borsellino per finanziare la nuova era del turbo presso il Cavallino, il 1982 potrebbe essere l’anno del mondiale vinto sul divano.
Ma anche a causa di un Enzo Ferrari invecchiato e appannato, quella Stagione finisce nell’annuario tra le peggiori della storia della Rossa che perde per sempre Gilles, abbandona Didier dopo il drammatico incidente in Germania, ma soprattutto appare un galeone alla deriva, preda delle guerre di corrente e senza un leader.
La famosa saga del Grande Vecchio baluardo contro i garagisti è ormai una semi-bufala: dall’ingresso di Fiat in Ferrari nel 1969 fino al 1985 i “garagisti” hanno comunque vinto tredici titoli contro i tre assegnati a Maranello; e per di più quei Garagisti stanno cominciando una conversione manageriale che lascia il Cavallino sempre più rappresentazione monastica di una sorta di banda di Templari guidata dal Grande Sacerdote sempre più isolato.
Ma facciamo un attimo una piccola digressione: chi era Vittorio Ghidella? Arrivato in Fiat dall’esperienza nella fabbrica paterna di accessori Auto, pur giovane ingegnere aveva raccolto le sfide e le missioni che progressivamente il Gruppo gli impartiva. Il momento d’oro fu però a partire dalla “Marcia dei Diecimila” del 1978, un vero piccolo terremoto che contribuì a cambiare l’approccio dei Media e dell’opinione pubblica sulle motivazioni e sulle ragioni della lotta operaia fuori e dentro le fabbriche.
Se per quanto tale la Marcia dei Diecimila sortì effetti che fecero breccia nell’opinione pubblica, l’immagine stessa di Ghidella (ottimo tecnico, brava persona e soprattutto originario di quella appartenenza e fisionomia sufficientemente popolare in grado di familiarizzare con le maestranze) dovette apparire forse all’Avvocato similare a quella del mitico Michael Edwardes che, in Gran Bretagna, riuscì gradualmente ad avere ragione di un vero e proprio marasma sociale e industriale che stava portando l’Automotive inglese nel baratro.
Dunque Ghidella scalò rapidamente le vette del potere diventando a fine anni Settanta il Capo della divisione Auto di tutto il Gruppo Fiat, con dunque autorità e potere decisionale su Fiat, Lancia, Autobianchi, e ovviamente Ferrari.
E arrivato al timone di comando del Gruppo, ne diede segnale allarmante proprio in direzione di Maranello: che, guarda caso, da fine 1977 comincia a rendersi “eretica” verso Fiat.
Obtorto collo, Maranello dovette in qualche modo cedere potere decisionale in chiave commerciale e dare spazio alle “piccole” cilindrate per effetto dell’IVA pesante e della crisi energetica del decennio ’70, ma anche per estendere le vendite: per questo nascono le 208 GT4/GTB-GTS; per questo anche nasce la Stratosa motore Dino; per questo infine il Gruppo Fiat aveva deciso di promuovere in casa Ferrari una operazione di “griffe” basata anche sul Fashion, nome da esorcizzare fino ad allora entro i cancelli del Cavallino: “Ferrari Formula” è una linea di merchandising che odora “Made in Corso Marconi” da lontano, ed il motivo è semplice.
Dal 1979 come detto sopra la mano dell’Ingegner Vittorio si mostra da subito con la ristrutturazione commerciale e industriale di Lancia, per poi coinvolgere in questo processo tutti i Marchi del Gruppo.
Ma l’attenzione di Ghidella dai primi anni Ottanta va decisamente oltre i confini di casa Fiat. Il lavoro paziente di cesello a cui il Manager sta lavorando è impegnativo: si tratta di immaginare uno spazio aureo in cui collocare due obbiettivi in quei primi anni Ottanta, uno dei quali fortemente nel mirino e l’altro al contrario abbastanza incerto. Quest’ultimo è in sostanza il “Tridente di Stato“, quella Maserati “intrusa” tra Lambrate e Modena sotto Don Alejandro De Tomaso che aveva rilevato nel 1976 – con i soldi pubblici della Gepi – un Marchio vicino alla bancarotta e l’aveva riportato su buoni livelli: la “Quattroporte” di Giugiaro del 1979 era diventata la nuova auto del Capo dello Stato (contro la gloriosa Lancia Flaminia) mentre la Gamma Biturbo creava un nuovo paradigma di lusso e sportività che, nel Gruppo Fiat, “puntava” dritto alla nuova fascia della sportività Lancia Abarth.
Nella mia personalissima impressione, l’attenzione di Ghidella era stata molto probabilmente attratta dall’esperienza commerciale ed industriale dell’altro “Cavallino” di Stoccarda, appartenente alla galassia Volkswagen: ad un passo dalla bancarotta alla fine degli anni ’70 il Marchio di Stoccarda aveva ripreso fiato con una differenzione estrema di servizi, di strategie commerciali (pensate solo all’enorme fatturato generato da Porsche Design e Porsche Engineering) e di produzione anche conto terzi ed in outsourcing, parole queste che a Maranello erano sconosciute, ma che avrebbero significato soprattutto nuovo fatturato in crescita.
TTanto per dare una idea, il motore che in F1 avrebbe tolto ad Alboreto la speranza pur debole del Mondiale non era direttamente Porsche ma bensì una commessa ben pagata dalla T.A.G. alla Casa di Stoccarda. Se questa mia opinione potrebbe apparire sacrilega ai puristi (perché in concreto implicherebbe l’ipotesi balenata a Torino di fare della Ferrari anche una Griffe), i più attenti ricorderanno che nel 1983 apparve con un certo stupore generale una iniziativa mediatica e promozionale di forte impatto.
Nacque la linea “fashion” Ferrari Formula che dal 1983 presentò per la prima volta un merchandising che andava dallo Sportwear alle penne, ai gadget, ai profumi, persino una serie di orologi Cartier.
Probabilmente Ghidella cercava di “modellare” un nuovo profilo della “Rossa” prendendo spunto dalla evoluzione e dai risultati commerciali della nemica Porsche, questa la mia idea.
Che tuttavia si fosse verificata una vera e propria intrusione gestionale di Mirafiori dentro Maranello non è né una immaginazione né tantomeno una opinione.
Le ingerenze della Fiat su quello che riguardava la vita della Ferrari divennero ad un certo punto così concrete da creare una sorta di scontro al vertice: era il 1985 e fu presentata la Ferrari “408”, la Rossa più strana mai ideata a Maranello, opera di Mauro Forghieri ma che in verità Vittorio Ghidella impose all’allora A.D. Sguazzini (uomo Ferrari di stampo classico) con l’obbiettivo proprio di sviluppare concetti quasi sacrileghi a Maranello: telaio chassis monoscocca portante e non tubolare, turbo e trazione integrale e, probabilmente, destinazione Rally e Pikes Peak.
Ma ancora all’epoca il Cavallino riteneva sé stesso sacro e inviolabile, cosicchè non senza vittime sacrificali la “408” richiesta da Ghidella a Mauro Forghieri finì nel cassetto.
Sguazzini e Forghieri uscirono dalla Ferrari ed il Drake, stranamente, rimase in silenzio; ma la ferita era aperta.Come andarono le cose successivamente lo sappiamo bene: Ghidella affrontò uno scontro frontale e sanguinoso con Cesare Romiti. Il Manager cucciano vinse, in ultima istanza, portando Ghidella ad uscire dal Gruppo Fiat e di fatto interrompendo e stravolgendo la programmazione avviata dall’Ingegnere.
La guerra tra Ghidella e Romiti iniziò proprio nel 1985 e vide il suo apice sull’ipotesi di accordo con la Ford su cui aveva lavorato Ghidella: se fosse giunta in porto avrebbe creato un Gruppo del 25% di mercato in Europa, un gigante imbattibile per tedeschi e giapponesi.
Invece a frenare Torino sull’accordo ci pensò proprio Romiti che paventò il rischio di “ingerenza/ingestione” di Detroit su Corso Marconi: saltato l’accordo di fusione con Fiat, Dearborn assunse Vittorio Ghidella come consulente speciale del presidente Ford, e l’Ingegnere di Vercelli abbandonò l’Avvocato finendo nel fuoco di fila di pettegolezzi e accuse pesanti del nuovo potere di Mirafiori.Ecco quali sono stati i fronti di guerra interni alla Fiat e tra Fiat e Ferrari in quel 1985 targato “KKK”: l’alibi – per non dire l’eresia – di un cambio dichiarato di fornitore turbine alla Ferrari che, poiché tedesco e passibile di simpatie filo-Porsche, era in realtà (mi prendo la responsabilità di dirlo) una sorta di sacrificio sabbatico di SansonEnzo, privato dei lunghi capelli da GhidellALILA: “muoia il Titolo 1985 con tutti gli sgherri Fiat dentro Maranello !!!”. Perché forse Michele non ci poteva riuscire comunque a recuperare tre punti a Gara su Prost nelle ultime quattro Gare: ma certo quattro ritiri in fila nella coda di Stagione non possono essere solo un problema di nuove o vecchie turbine. Forse quel 1985 segna per sempre la rottura del ponte tibetano tra Maranello e Mirafiori: dalla fine del 1986 Enzo scompare dalla scena pubblica e mediatica, e ad Agosto 1988 scompare per sempre.
La Ferrari davvero, da allora, diventa una questione solo ed esclusivamente di Fiat per almeno un quindicennio. Ed attenderà ben 21 anni dal 1979 per vincere un nuovo Titolo Piloti.
Elio e la faida WARR/SENNA/Jenkinson
Come anche in questo caso abbiamo fatto con Autoprove, quel “faldone” coperto di polvere dalla presunta sacralità di Senna e dal bestiario del giornalismo mercenario che per elemosinare spicci da libri ed articoli commemorativi ha fatto per l’ennesima volta la onorevole figura di nesquik di cui è sempre capace. Se contate gli articoli che abbiamo dedicato a Senna persino i più stupidi di Voi si fanno la chiara idea di come dovrebbero essere condotte certe rievocazioni storiche.
E questo, anche, è un riconoscimento postumo per Elio: nessuno, dopo di lui, sarà mai più in grado di dimostrare le spalle larghe su cui il nostro campione si è caricato il fardello di una Lotus allo sbando. Nessuno, dopo lui.
Così come, se pure avesse senso, provate a contare gli italiani sulla Ferrari dopo Michele in grado di lasciare il segno come ha fatto lui.
Il tempo, in questi casi, è sempre galantuomo.
Riccardo Bellumori