MV Agusta: la Contessa della Velocità a mezzo secolo dalla sua ultima stella

Solo due o tre anni prima, se qualche preveggente avesseosato vaticinarlo sarebbe stato preso per sacrilego: sarebbe mai potuto accadere alla gloriosa ed irresistibile MV Agusta di vedere al più vicino orizzonte la sua fine, l’interruzione del ciclo vincente e virtuoso che aveva messo il Marchio di Cascina Costa al vertice del mondiale Velocità a due ruoteper una sequenza impressionante di Stagioni ?

“Quella” MV Agusta, portabandiera di rango, accompagnata o preceduta fin dagli albori del Campionato mondiale Velocità dalle esperienze importanti di Gilera e Mondial, e pronta difendere come pioniere l’onore e soprattutto la dignità sportiva e tecnologica di un’ Italia ammessa con una certa e malcelata “puzza sotto il naso” nel Torneo motociclistico mondiale fatto ad immagine e somiglianza abbastanza discriminante di Gran Bretagna e Francia (le vincenti europee della Seconda Guerra) in termini di regolamenti e calendario organizzativo; lo stesso torneo che, per includere in qualche modo la ancora più disastrata ed emarginata Germania, aveva inventato di sana pianta la categoria dei “sidecar” al fine di rimettere in circolazione lotti interi di bicilindrici Boxer di BMW, Zundapp, MZ, etc che trovavano il loro sito ideale dentro la struttura rudimentale dei “Side” delle prime Stagioni mondiali. 

Insomma, in quel Campionato Iridato Velocità che sembrava un tributo globale a Tourist Trophy e Bol d’Or, l’Italia aveva fatto la sua fatica a rimettere in sesto le sue due ruote nel primo Dopoguerra e incentivare i suoi Marchi Costruttori a prendere parte al Mondiale sin dalla prima edizione del 1949

Da quel momento tuttavia per BSA, Triumph, Matchless e Velocette le cose si sono fatte più difficili: dal 1949 al 1959 – solo per considerare la Classe Regina 500 cc. – Geoff Duke, Leslie Graham e John Surtees sono i tre mattatori inglesi al vertice del decennio contro Masetti e Liberati; ma dal lato “Marche” le Case italiane MV e Gilera sono da subito mattatrici aggiudicandosi 8 Titoli Costruttori su undici e lasciando le briciole ad AJS e Norton.

E sul versante “Piloti” (che è sempre ed ancora il termine di riferimento più significativo) la Classe Regina vede MV Agusta accompagnare i suoi Piloti per 18 dei 26 Titoli in palio tra il 1949 ed il 1974.

Aggiungiamo, se nel caso fosse sfuggito, che nessun altro Marchio, oltre alla nostra “MV Agusta” è mai riuscito a vincere un decennio intero DI FILA di Titoli Mondiali Piloti nella Classe Regina; dal 1960 al 1969 tutti e quattro i Titoli ciascuno di Ago ed Hailwood, come i due di Surtees ed Hocking sono della Agusta, che di un soffio evita il “Bis” nei Costruttori solo perchè nel 1966 vince la Honda interrompendo il monopolio seriale. In nessuna altra Classe del Motomondiale ed in nessuna altra epoca questo Record è stato ripetibile, a dispetto di risorse ed investimenti da piccolo Stato nazionale che nella loro storia diversi Costruttori hanno speso. 

E la MV rimane tuttora, ad oggi, il secondo Marchio per Titoli Mondiali vinti come Costruttore dopo la Honda. In tutta la storia del Motomondiale Classe Regina. Onore al merito.

Italia protagonista nelle due ruote da sempre

Torniamo al 1974. Ultimo anno Iridato per Cascina Costa, in quel contesto in cui, come ho detto, se al brindisi di Capodanno per il 1975 e gli anni a venire qualcuno avesse predetto la fine di quella epopea gloriosa per MV sarebbe stato preso per matto.

Si, certo: le due Tempi e le giapponesi, con soprattutto la Yamaha a fare da spartiacque tra vecchio e nuovo mondo. Ma in generale fin da quel primo Gran Premio vinto da un semplice motore bicilindrico Due Tempi Suzuki, o dopo la più ridondante prima vittoria di una 2T ufficiale in ogni sua parte (la Kawasaki) si era capito che al massimo della evoluzione possibile in cui la quattro Tempi più vincente per decenni era arrivata, da là poteva partire il minimo sindacale per i motori a miscela, che “frullavano” a regimi maggiori e soprattutto pesavano meno. 

LE TAPPE DEL MARCHIO

Dunque nonostante l’orgoglio e la vanità emanata da quei portanumero “1” e “2” sulle carene rosso-argento di Phil Read e Gianfranco Bonera, il pericolo “Jap” era più di una ipotesi a partire dal 1975 in cui la “MV” schierava la evoluzione estrema della St84 500 4 cilindri su cui persino si era affacciato un rudimentale ma furbo monoammortizzatore che poi però per il resto di Stagione lascerà posto ai tradizionali due ammortizzatori al forcellone. Molto curiosaera la soluzione ibrida, con gli ammortizzatori telescopici sul forcellone e la sola molla operata sotto la sella dal rinvio.

Il motore quattro cilindri 500 da Gran Premio della MV Agusta 1975 era a sua volta evoluto a livelli stratosferici: 99Cavalli a 14.000 Giri/min. per un peso moto di “solo” 120 Kg. erano la soglia più elevata e sublime della tecnica a quattro tempi per quei tempi. Oltre era impossibile andare.

Tra l’ultima vittoria della MV Agusta al Gran Premio di Germania il 29 Agosto del 1976, e la prima della Cagiva C592 al Gran premio di Ungheria il 12 Luglio del 1992, passa un piccolo leggendario intermezzo italiano : la Sanvenero 500 vince a Nogaro il Gran Premio di Francia il 9 Maggio del 1982, ma questo è il panorama. Dopo MV Agusta il dominio tricolore diventa un ricordo fino al 2007 e poi negli anni buoni per la Ducati.

MV Agusta, dopo mezzo secolo non la batte nessuno

Uno non ci pensa mai, ma questa Contessa da Pista (guai a Voi se la chiamate Milfona!!) dopo oltre mezzo secolo dal suo ultimo Titolo Costruttori (battendo, badate bene, Yamaha-Suzuki-Konig-Husqvarna-Kawasaki-H.M.-Matchless-Rotax) si permette ancora il lusso al giorno d’oggi di rimanere seconda dopo la Honda e prima della Yamaha ferma con 14 Titoli Mondiali vinti. 

Resta il fatto, e in un tempo in cui tutti cercano di ricavare “allori” dal proprio passato non è cosa da poco, che la MV Agusta rimane e rimarrà per Sempre la “Regina” della Classe Regina 500 cc. prima dell’avvento della MotoGp: ma soprattutto con l’uscita di scena di MV si chiude l’esperienza industriale nel mondo sportivo di uno degli ultimi “Patron” dell’era moderna nelle Gare iridate. 

Di fronte alle invincibili armate giapponesi nelle quali a comandare è sempre e soprattutto la gloria del Sol Levante; e di fronte ad un futuro successivo fatto dai Castiglioni, dagli Ivano Beggio e pochi altri, la figura straordinaria e fiabesca del Conte Agusta è e rimane inegiagliata anche in certi incredibili eccessi di rango e di pedigree di cui sono pieni alcuni aneddoti. Un esempio?

Un camioncino telonato si muove coil suo rombo soffuso nella mattina ssßdd de aristocratica e sonnolenta del Lido di Venezia. Sono da poco passate le sette. Quel camioncino, verniciato in rosso corsa con inserti in bianco e blu, è un “1100 D2” MV Agusta. E tanto per non tradire l’appartenenza riporta in disegno elegantissimo la dicitura “Squadra Corse MV”. Nonostante l’età (1959) è ancora arzillo ed abbastanza agile ed elegante per muoversi bene e non sfigurare. E nonostante la destinazione d’uso “battagliera” conserva quel tocco di nobiltà dei suoi interni in pelle color Cognac e per quel cassone pavimentato e lastrato con legno di pino e di noce.

Arrivato da Cascina Costa alle quattro di notte a ridosso del Lido, il suo equipaggio ha trascorso circa due ore per un riposino nell’approdo del Cavallino a Murano. Poi con una chiatta il vettore è arrivato sul Lido, destinazione l’Hotel più esclusivo di quel lembo di isola all’epoca rinomato in tutta Europa e meta di soggiorno della elìte nobiliare: l’Hotel des Bains al numero 17 del Lungomare Guglielmo Marconi. Ancora non sa, quell’Hotel, della piena di acqua e sabbia che lo inonderà nell’autunno del 1966, ma si sta preparando ad un altro piccolo “terremoto” di natura mondana.

Conte Domenico Agusta, Mecenate e padrone

Tra i camerieri già in movimento per l’organizzazione del buffet mattutino, i fattorini dei giornali e degli approvvigionamenti, quel “1100 D2” arriva tra il cortile di ingresso e la spiaggia. Tre uomini scendono, sollevano i teloni mossi dalla leggera brezza, e posizionano le rampe per far scendere una creatura mai vista: la “MV” 350 tre cilindri. 

Se il camion di ordinanza della MV Agusta è là a quell’ora, è perché il suo legittimo titolare, il Conte Domenico Agusta, non avrebbe mai voluto che in realtà vi dovesse arrivare. Tuttavia, per i tempi allungati eccezionalmente per la gestazione e la messa in opera di un progetto innovativo e rivoluzionario sia per il settore che per la stessa MV, lo Staff di sviluppo aveva preannunciato, a fine Luglio, lo stop programmato feriale delle attività in previsione della pausa ferragostana. Salvo poi riprendere l’attività da Settembre.

Il roccioso ed imperioso Conte Domenico, a quel punto, armeggiò con il Telex usando l’autorità che gli era naturale: “Portate la moto al Lido di Venezia entro l’inizio delle mie Ferie. Cioè entro la prima settimana di Agosto. Voglio vederla con i miei occhi e sentirla in moto con le mie orecchie! Finita e pronta per correre!”. 

Beh, argomento convincente, senza dubbio. Il padrone era Lui, e a Cascina Costa leggendo quel Telex in molti dovettero cambiare programma estivo…

Sabato sera Primo Agosto 1964, tanto per far capire che a quel punto in fabbrica non esistevano più neppure i Weekend, Arturo Magni aveva contattato il Conte Domenico, all’Hotel. “Conte, entro sera avremo allestito tutto e messo il camion su strada direzione Venezia. In suo onore, perché domani è Domenica”.

E così fu.

Prima del suono della campana del Santuario del Lido, quell’isola patinata ed aristocratica fu svegliata alle otto e mezza circa dal rombo infernale di una moto da Competizione. Tre minuti circa di sinfonia, e l’applauso coinvolto degli altrettanto nobili villeggianti. Sessanta anni fa, il palcoscenico più esclusivo per il debutto mondano di una regina. Molto più degli altri “Titolari” della Casa Costruttrice, Domenico Agusta considerava MV come suo Feudo e sua figlia, alla quale non faceva mancare iniezioni di soldi oltre ogni ragionevole prudenza gestionale e commerciale. 

Ed ecco perché il passaggio alla gestione pubblica dell’EFIM spegne per sempre questa stella. Ovvio, nessuno si aspettava che lo Stato rimettesse in Pista la “MV”, sarebbero stati soldi buttati. Ma interrompere l’evoluzione commerciale dell’ultima regina, la “750 America” senza voler tentare una programmazione pluriennale di consolidamento commerciale di fronte alla crescita esponenziale (grazie proprio ai giappones) delle Maximoto, fu forse un gesto miope; anche perché la decimazione della produzione motociclistica nazionale “pesante” ha sullo stesso versante tagliato un poco le gambe alla subfornitura ed alla componentistica.

Senza dimenticare che oltreoceano ed in alcuni Paesi europei, Germania in testa, il Marchio e la gloria MV aveva mantenuto tutto il suo fascino. Al punto che, come spesso capitato in tema di Automotive italiano, la rinuncia di MV ad un futuro plausibile ha finito per cambiare la sorte ad una potenziale concorrente. Vi racconto per sommi capi.

Quella MV che diventò…Katana

Se pensavamo che solo Fiat aveva avuto i paraocchi rifiutando nel 1995 la proposta di Giorgetto Giugiaro per una “Nuova Cinquecento” basata sulla concept che poi darà vita alla Best Seller “Matiz”……Allora questa storia fa il paio con una “storiella” a due ruote di fine anni ’70. 

La Concept Design, un Centro di Disegno industriale già attivo e famoso per lo studio di particolari, si era rivolto al mondo dei Costruttori per avviare collaborazioni in tema di “vestizione” di moto da Gran Turismo e sportive nelle quali la forma e la linea diventavano prerogative importanti quanto la potenza o le prestazioni. 

In particolare, anche in ottica di rilancio del Marchio, Concept Design decise di dedicare una una opera prima “Concept” elaborando una “vecchia” MV Agusta 750. 

La caratteristica del freno ancora a tamburo sull’anteriore non lascia dubbi in proposito, così come i Carter motore. 

Insomma, Concept avvia i primi contatti con MV alla fine del 1977, poco prima che la Casa di Cascina Costa diserti clamorosamente il Salone di Milano per poi dedicarsi alla produzione aeronautica cedendo il 51% dell’Azienda all’EFIM; in verità l’interesse forse ci sarebbe anche da parte del Management, visto che lo Studio di Design riceve un prototipo già piuttosto innovativo sviluppato nella Factory con serbatoio e fiancatine molto avveniristici. 

A fronte del quale invece i Manager abbastanza incapaci susseguiti a Domenico Agusta morto nel 1971 si dedicarono alla impresa nata fallimentare della “750 America” del 1973.

Concept insomma dopo un periodo di “stasi” – legato anche alla ibernazione del comparto moto voluto da EFIM – lavora con impegno su una linea ed una struttura che volutamente cerca di non stravolgere il telaio e la ciclistica di serie, per non gravare su costi di produzione e margini previsti.

L’impegno in termini di “mission Impossible” è dunque notevole, e per essere un prototipo del 1980 dobbiamo ammettere che la proposta della Concept era straordinaria: nulla di simile era mai balenato nelle proposte neppure più oniriche, ed a disporne in esclusiva era un Marchio italiano di cui ancora risuonava l’eco della leggenda sportiva. 

Eppure, evidentemente, MV Agusta/EFIM non se la sente di tornare sui suoi passi. Nel decennio forse tra i più ricchi e favorevoli per le moto d’elite, con uno spazio pur occupato dai “Jap” dove però l’ingombro di almeno quattro Marchi inglesi di peso (Norton, BSA, Triumph, AJS) è ormai scomparso o sta per esserlo.

L’occasione persa per questa Concept non lo è però proprio per chi ha saputo interpretare per il verso giusto i mutamenti ed i gusti del mercato. 

L’originaria proposta Concept Design per la MV Agusta, diventerà la leggendaria, iconica e vendutissima Suzuki Katana. E non so se mi spiego…

Riccardo Bellumori

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