Avevo nemmeno quattro anni quando cominciò ad uscire alla ribalta, più spesso per sortite verso la politica e i Sindacati in un inizio di periodo di ferro e fuoco per l’Italia. La sua mimica, il suo slang italo-spagnolo colorito da inflessioni e pause in stile “Padrino buono” e il suo perenne grisaglia con cravatta, polsini e sigaro cubano: era Alejandro De Tomaso, uno dei Signori dell’Automotive anni Settanta e Ottanta in Italia ed Europa.
Uno che ci sapeva fare anche se a modo suo aveva il dono di saper rovesciare elegantemente il tavolo da gioco per ripristinare i valori in campo. Ed in una Italia Fiat centrica, dove la fortezza di Stato Alfa Romeo era a sua volta blindata dall’ombra dell’IRI, l’unico modo che De Tomaso aveva per poter combattere ad armi pari era diventare a sua volta un Costruttore di Stato.
Io francamente non so in che modo era arrivato a farsi ascoltare (e finanziare) dalla GEPI, alternativa all’IRI nel risollevare con fondi pubblici le Aziende nazionali strategiche ed a sua volta ben accompagnata da almeno altre due finanziarie dedite al settore Trasporti e motorizzazione visto che nel periodo anche Ducati e MV Agusta erano fortemente partecipate dallo Stato.
Ma se devo condividere un ricordo, mi ispirava simpatia per quello sguardo furbetto e la smorfia di sorriso che lo assimilava ad un Principe De Curtis con la plastica correttiva.
Certo il suo personaggio lo aveva studiato bene e lo esercitava ottimamente nello scenario televisivo, dove raramente aveva concorrenti.
In questo noi di Autoprove abbiamo il piacere del ricordo diretto di persone del mondo Automotive e del Motorsport di prestigio. Uno dei nostri amici più gettonati è di sicuro Gianluca Bardelli che ancora ragazzo ebbe occasione di vedere ed incontrare Alejandro De Tomaso che venne in visita al Centro Bardelli di Roma (dove si lavorò egregiamente anche sulle supercar marchiate De Tomaso) inun modo straordinariamente “naif”: con l’auto ed una splendida Roulotte al seguito. Vi promettiamo che nel prossimo speciale sulla “Pantera” ne parleremo con lui e Vi racconteremo il quadretto in modo completo.
Alejandro De Tomaso, una ventata di innovazione e di provocazione in Italia
Aveva ventidue anni, Alejandro De Tomaso, quando Piero Dusio arrivò alla corte di Peron a Buenos Aires.
Dusio era partito da Torino verso l’Argentina, e qui si fermò per gli effetti della procedura di amministrazione controllatae trovo’ nel leader populista un ponte ed un rifugio per continuare progetti automobilistici e per ritrovare liquidità.
Ma fu Dusio stesso, anni dopo, a ricreare in Argentina una seconda vita ed una nuova famiglia, insieme ad un rapporto di amicizia con Peron.
Invece Alejandro era nato in Argentina come erede di una neodinastia iniziata da nonno Di Tommaso (capostipite di una famiglia, parrebbe, molisana) partito in Argentina alla fine dell’Ottocento per fare fortuna come carpentiere.
Divenne Costruttore, latifondista, uomo ricco ed influente.
Suo figlio Antonio ottenne la nuova determina presidenziale argentina per modificare il cognome in “De Tomaso”.
Antonio, padre di Alejandro e di altri tre figli, divenne un protagonista della politica nazionale. Si, avete capito: in meno di due generazioni i De Tomaso passano dalla miseria al potere assoluto; e in questo i geni di Alejandro corrispondono molto poco ad un rampollo di famiglia bene e più a quelli di un monello popolare.
Per questo io sono affezionato alla sua figura. E da monello venne trattato e tratteggiato un po’ dappertutto, anche in Argentina. Sospettato di un progetto di attentato contro Peron, fu poi costretto ad emigrare prima in Uruguay e forse, incrociando solo per un attimo il Piero Dusio di Corso Peschiera, Alejandro fece rotta in Italia.
Prima a Torino, poi a Modena.
Ancora adolescente in Argentina, da amante della velocità e dei prototipi da corsa, affronta la scomparsa a soli 15 anni di suo padre Antonio e diventa da subito una delle colonne familiari nella gestione della fattoria che il nonno aveva creato come sede familiare. Ma la passione per le auto rimane: suggestionato dalle cronache dell’idolo nazionale Fangio, attende di superare di poco i vent’anni per iniziare a gareggiare in piccole corse locali con altri coetanei.
Ma a 26 anni partecipa alla sua prima Mille Miglia di Buenos Aires del 1954 con un’Alfa Romeo, per poi entrare in contatto con l’importatore della Maserati: nel 1955 come copilota . Nel frattempo cresce in lui l’indole di contestazione espressa con giornaletti clandestini contrari alla politica peronista. Ne paga le conseguenze, appunto, fuggendo dal suo paese mentre le inchieste giudiziarie arrivano a scagionarlo poco tempo dopo. Arriva a Modena e per mantenersi collabora con una Officina mantenendo passione ed attività agonistica.
L’Italia diventa la sua patria adottiva anche quando, libero da accuse, potrebbe tornare a casa. Corre direttamente con le auto fino al 1959: poi, a 31 anni, diventa piccolo Imprenditore e fonda a Albareto (Modena) la sua piccola Factory in nome proprio costruendo ed assemblando piccole monoposto di Formula Junior che arrivano anche negli States, dove i suoi avversari sono personaggi del calibro di Frank Reisner e Peter Monteverdi.
E se si dice che dietro ad un grande uomo c’è una grande donna, la seconda moglie di Alejandro – Elizabeth Haskins – è un poco la vera “Mentore” e Mecenate delle scorribande industriali di De Tomaso: molto ricca ed influente come ramo familiare, accompagna prima Alejandro nella gestione di Rowan Automotive per poi presentarlo al Jet Set di General Motors e di Ford con cui il nostro reuccio argentino stringe un sodalizio che è favorito soprattutto dalla visione molto eclettica e rivoluzionaria di Ford Europa nello sport.
De Tomaso Costruttore, fuori dai soliti schemi
Debutta in Formula Uno nel 1961con una “co-gestione” della Scuderia Serenissima che prende alcune scocche e le motorizza Alfa Romeo mentre un’altra con motore “Osca” fa alcune apparizioni. Continua per altre due Stagioni ma il rapporto “Costi/risultati” è decisamente negativo e così Alejandro si dedica di nuovo nelle formule minori
Nel 1969, torna con Frank Williams, ma nel 1970 arriva la tragedia di Piers Courage a Zandvoort. Quella fu l’ultima stagione di sempre per De Tomaso in F1.
Arriva la specializzazione nelle Gran Turismo in una sorta di “co-gestione” tra Ghia (di cui diventa la guida grazie all’appoggio della Ford) e visione sportiva legata ad un “must” tipico delle competizioni: il motore posteriore centrale. Dalla concept per “Vallelunga” passando per Mangusta e poi per la eterna ed iconica “Pantera”.
Il legame con Ghia si rompe nel 1972: Ford ha idee molto diverse da Alejandro sulla gestione della Firma di stile cheper l’Ovale ha semplicemente un ruolo subordinato alla strategia direzionale, mentre al contrario il “polso”diAlejandro vorrebbe in fondo una linea di continuità con la idea di Luigi Segre, cioè un Centro Stile capace di produrre e disegnare non solo in termini “Captive”. Ed ecco che, ceduta Ghia al Gruppo Ford, De Tomaso riversa sul suo proprio Marchio decine di progetti di stile, prototipi e concetti che in linea produttiva “di serie” o in produzioni dedicate, diventano il segno distintivo del Marchio De Tomaso.
Dentro cui il classico ferro a T utilizzato dai maniscalchi per lavorare sugli zoccoli dei cavalli diventa quasi una provocazione verso il “Cavallino” di Maranello (molto vicino ad Albareto): caro Drake, occhio alla tua cavalcata od al tuo galoppo; l’arma per sfilarti via gli zoccoli e bloccarti la corsa la De Tomaso ce l’ha.
La bella avventura imprenditoriale di De Tomaso con le Supercar potrebbe trovare il suo punto di inciampo nella crisi energetica e sociale che arriva dai primi anni Settanta in Europa e che vede saltare uno dopo l’altro decine di Marchi di auto sportive, di lusso e di fattura artigianale. Se Alejandro non fa la stessa fine di persone con le spalle davvero coperte come Renzo Rivolta è grazie ad un complesso articolato di spavalderia in grado di attrarre fiducia,favori politici conquistati in Italia, disponibilità e risorse economiche in parte familiari (con la moglie Elizabeth davvero “socia” di capitali) e soprattutto per l’ascendente che Alejandro ha su fornitori, partners e collaboratori. La forza straordinaria di De Tomaso è soprattutto molto vicina (a sua insaputa) a quella del Drake Enzo Ferrari: coalizzare le “parti” di società di interesse in un unico mandato riconosciuto al grande Capo per guidare la battaglia contro il nemico di turno.
Anche se poi, magari, il nemico diventa anni dopo un compagno di battaglie: esemplare per De Tomaso la questione giapponese. Da vero ed elegantissimo giocatore di Poker riesce da un lato a coalizzare il resto dei concorrenti del settore moto (una volta acquisite Benelli e Moto Guzzi) su una legge dello Stato che aumenta i dazi – in termini di IVA – al 38% del prezzo di listino delle moto estere di importazione fino a 380 cc. In parole povere significa blindare il mercato italiano delle motoleggere costringendo la Honda, ad esempio, ad aprire lo Stabilimento ad Atessa.
Sul fronte auto adotta la stessa prosopopea per garantire il sostegno pubblico alla Innocenti, la cui Gamma di auto di piccolo taglio aveva il rango ideale per essere sfidato dalla produzione giapponese di elite; salvo poi chiudere accordi industriali con Daihatsu, in risposta all’accordo Alfa Romeo Nissan, per la fornitura di piccoli motori del Costruttore nipponico.
Arrivato al controllo di Innocenti e Maserati dalla fine del 1975, mezzo secolo fa, De Tomaso ha però un merito gigantesco connaturato al suo talento: più che un industriale Alejandro era un perfetto Raider finanziario: adocchiava le Aziende in difficoltà, o quasi sull’orlo del baratro, ed aveva l’occhio per capire se e quando quei Marchi sarebbero potuti tornare a galoppare sul mercato. Con Innocenti e Maserati è così, e sul Marchio del Tridente De Tomaso compie una sorta di piccolo capolavoro diplomatico: insinua nei francesi di PSA, prossimi alla ipotesi di chiusura della Casa di Modena, l’allarme di un pregiudizio storico ed insieme politico di ripulsa del prodotto auto francese in Italia (mercato ottimo per PSA dal lato del Diesel); un po’ quello che anni dopo spingerà le quattro Case Giapponesi al salvataggio a spese proprie di Harley Davidson in America. Ed insomma, pur di favorire quello che a Parigi si presenta come uomo della Provvidenza, Peugeot Citroen decide di dirigere diverse centinaia di miliardi di Lire equivalenti (in Franchi francesi) verso De Tomaso per……”finanziargli” l’acquisto di Maserati. Può esistere negli annali una operazione finanziaria più machiavellica di questa? Ipotetici liquidatori di un Marchio auto che arrivano a finanziare l’aspirante aquirentecontro il pregiudizio mediatico di un fallimento. Roba da Agatha Christie.
De Tomaso, l’improvvisatore che diventa Re di Modena
E così, convinta la GEPI con cui De Tomaso aveva già acquisito Benelli ed Innocenti, Alejandro diventa il reuccio di Modena (De Tomaso e Maserati) ed inizia una sinergia “salviamo il salvabile” tipica anch’essa del genio dell’argentino: Kyalami e Quattroporte III sono i primi modelli “Executive” con cui si indirizza il Tridente lungo una nuova direttrice di mercato e di concorrenza: spostare il focus di Gamma da una inutile e sterile concorrenza a Ferrari, Lamborghini, Lotus, ed alla stessa De Tomaso e spingere Maserati verso il nuovo mercato delle berline Premium sportive che con BMW, Mercedes, Audi in Germania; Saab e Volvo in Svezia e Toyota ed Honda in Giappone stava prendendo piede. Una ad una le Merak, le Bora, le altre “berlinette” escono di produzione in attesa del nuovo paradigma. La Biturbo. E se dovessi essere didascalico e pedante dovrei ora elencare le pecche di un Manager che su circoli di qualità, controlli di processo, cura dei particolari e soprattutto promesse mantenute ha davvero un record negativo. Fa niente: in un’Italia dove si spendevano centinaia di miliardi pubblici per le Arna, o dove la Lancia Gamma aveva aperto voragini di bilancio per una approssimazione manufatturiera, o dove fino a pochi anni prima la cancrena della ruggine aveva bollato un intero mercato, Don Alejandro aveva fretta.
Ogni giorno perso per sviluppare nuovi modelli e per curare a puntino ogni particolare era un giorno guadagnato per BMW, Mercedes, Audi, Saab Turbo, Porsche 944, Honda Prelude e Toyota Celica.
Quando la Biturbo si propone al mercato a metà del 1982 con un prezzo di soli venti milioni di Lire, è inutile che io elenchi la serie di lamentele, disdette contrattuali, critiche sui giornali. Però, da appassionato ed analista di un settore di mercato (l’auto) dove la vocazione di santità è del tutto estranea, mi faccio qualche domanda: da inizio anni Ottanta De Tomaso “motociclistico” prende topiche clamorose, graziato dal successo di mercato di quel benedetto “V2” Carcano/Guzzi che Alejandro voleva boicottare sull’altare dei quattro e sei cilindri emuli dei giapponesi; e che poi salva la cassa e la situazione del Gruppo Benelli/Moto Guzzigrazie ai volumi garantiti di vendite e di appalti pubblici.
E dunque è così che De Tomaso cede lo scettro di primo Gruppo europeo anticamente detenuto da Moto Guzzi a favore del Gruppo Cagiva: lui, che aveva esteso la legge anti giapponesi sotto i 380 cc. crea una Gamma Frankenstein che porta Benelli e Guzzi agli ultimi posti di mercato sulle taglie piccole. Pensate solo che di fronte alla competizione ad alto livello sul Due tempi e persino di fronte alle uniche due 4T 125 europee mono (Morini e Honda) Benelli/Guzzicontrappongono vecchi bicilindrici 2T oppure “madama Complicazione” 124. Mentre la sola vendutissima serie “V35” di Moto Guzzi non basta a far quadrare i conti.
Anni Novanta, fine dei sogni
Al contrario del De Tomaso a due ruote, l’imprenditore auto azzecca i paradigmi e i nuovi trends di mercato, ma sbaglia molte volte i processi; e quando non li sbaglia ci pensa la politica a farlo sbagliare: le lotte sindacali in Italia, poi l’opposizione della Gepi (abbastanza stuzzicata in questo da interrogazioni parlamentari piuttosto “favorite” da Gruppi vicini all’Avvocato…) al famoso gioco contabile di Alejandro che spostava gli attivi della Innocenti sui buchi di bilancio del Tridente. Si arriva al “presunto” (secondo me) scandalo delle autocombustioni in California delle Biturbo ed il colpo finale è alla fine arrivato. De Tomaso “deve” cedere elegantemente il pacchetto Innocenti / Maserati alla Fiat, e cedere Benelli e Guzzi in altrettante operazioni di cessione che però servono nella liquidità a ripianare i buchi ed il lento declino della “De Tomaso Factory” che rimane lentamente in attività fino a metà anni Novanta.
Da allora, quando il verbo sportivo e Premium comincia a dover parlare la lingua della Qualità totale, dell’ecologia e dell’ingresso nei nuovi mercati di Asia ed ex URSS, per la De Tomaso si chiudono i battenti. E se questo racconto Vi è servito per conoscere un poco meglio un Capitano di Industria che io, personalmente, vorrei ad ogni angolo di strada senza però caffè corretti in Carcere……Beh, se tutto questo è successo, spero che come me vorrete un poco più di bene a questo speciale ed unico Alejandro De Tomaso.
Riccardo Bellumori