Tema: riduzione delle emissioni.
Svolgimento: Se si parla di “Euro 5” (Vedi Griglia emissioni limite consentite) a partire da Ottobre 2025 i Diesel non potranno più circolare in Padanìa, mentre Roma ladrona dovrebbe spingersi a vietarne le ZTL (o Fascia Verde) da Novembre. Se si parla di Euro 4, Roma Ladrona ha da tempo concesso una indulgenza parziale motivata, presumo, dalla esigenza di rendere praticabile la circolazione estesa nel Giubileo Cristiano: le Diesel Euro 4 possono circolare liberamente grazie ad un emendamento al previsto blocco da Ottobre 2024. Ovviamente per i Benzina Euro 4 nessuna limitazione. E se si parla di Euro da “3” a “0”?
Beh, là interviene ormai a fagiolo una norma entrata nel lessico comune di tutti gli automobilisti: Articolo 60 CdS Comma 4: veicoli di interesse storico o collezionistico possono circolare su strada dove la possibilità di circolazione è subordinata al rispetto di specifici requisiti. Questi requisiti sono legati all’età del veicolo o alla sua iscrizione a un registro storico (come ASI o altri registri riconosciuti), ma riguardano anche le condizioni del veicolo, la sua manutenzione, e la conformità agli standard di sicurezza e ambientali previsti per la circolazione; in sostanza è sufficiente che un’auto abbia 20 anni per essere considerata storica, e per circolare liberamente: deve anche superare la revisione e avere una copertura assicurativa RCA, e deve rispettare eventuali limitazioni alla circolazione. Inutile invocare il “Certificato di Rilevanza Storica” rilasciato a pagamento dai Presidi ASI territoriali: a mio giudizio se ne è fatto un abuso rilasciandolo a tipologie di auto e modelli che di interesse storico avevano quasi nulla. In sostanza, si circola sempre meglio se si è in condizioni potenzialmente di “fuori norma” alla norma. Mentre il previsto blocco ai Diesel Euro 5, che fa il paio con le ipotesi di chiudere Milano alle Diesel Euro 6 solo fino a pocni anni fa, ricade in quel paradosso legislativo che proveremo a spiegare in tre modi. Il primo: cosa cambia nei limiti di emissione tra i diversi Step“Euro……”?
Le nuove “Tabelline” per Automobilisti modello: Euro per Euro, è tutto un “48”
Sarebbe stato bello oggi, dopo oltre tre decenni di “StepEuro” passati da Zero a “Sei” , poterci dire che ad ogni sostituzione di auto eravamo rasserenati e compiaciuti nel poter confermare e migliorare le emissioni a tutela della natura: con salti graduali e forse impercettibili ma con la serena considerazione che dalla prima catalizzata del 1992 ad oggi avevamo contribuito ad abbattere le emissioni di “CO”del 55% e del 75% nel caso del Diesel ed il temibile particolato di scarico del 70%. Sarebbe stato bello dire questo. Invece, sbirciando le tabelle, appare ormai fin troppo palese l’abuso e la distorsione normativa con cui per oltre un ventennio siamo stati noi automobilisti europei ed italiani vessati sulla discrezionalità sia di applicare le norme, sia di costruirle alla luce di una presunta tutela dell’ambiente. Ad esempio appare oggi ancora più assurdo il divieto di circolazione alle “auto più inquinanti, ad eccezione delle Euro—–“ che il Governo italiano ed i Comuni applicavano ad esempio lasciando libere di circolare le Euro “4” a benzina che per norma hanno limite di CO identico alle Euro “5” ma che per beffa oltre al danno sono per limite identiche alle Euro “2” Diesel; oppure peggio ancora abusare da parte delle Istituzioni del dispositivo di sostituzione commerciale programmata delle auto creando Step antiemissione che, dal precedente a quello nuovo abbassavano i valori a soglie omeopatiche ma che, nel nuovo codice comunicativo proibizionista, diventavano una ulteriore tappa obbligata per il Consumatore ad intensificare il ciclo di sostituzione. Da una Euro “1” del 1992 ad una “Euro 3” del 2000 l’abbattimento di CO è pari ad un misero 5% e la somma di “HC+Nox” si abbassa solo del 45% nel caso del Diesel. In tutto questo, e lo dico da appassionato, il favoritismo un poco plebeo con cui una ottima e perfettamente tenuta “Fiat Marea” del 1996 viene tutelata dal dispositivo del “Certificato Storico” ASI contro le barricate che Comuni ed Istituzioni mettono verso auto omologate con criteri e livelli antiemissione raggiunge livelli di parossismo prossimo al “mobbing” proprio con il previsto blocco verso le “Euro 5” del prossimo Autunno. Euro “5” che dal 2009 al 2015 sono state immatricolate (secondo la fonte “DataForce Italia” che ringraziamo sempre per la ottima professionalità e disponibilità) in un numero complessivo di 12.463.371 unità tra Passenger Cars e Light Commercial Vehicles, con una media di immatricolato pari ad un milione e 780 mila pezzi all’anno sulla base di un crollo del mercato e dei volumi proprio tra il 2009 ed il 2014, con un recupero nel 2015.

La domanda che calza benissimo in tutta questa premessa la faccio ora: è solo una mia impressione o constatate anche Voi che il vantaggio in termini ambientali tra “Euro 1” ed “Euro 2” è a tal punto misero da poter fondere i due stepantiemissione in uno consentendo al consumatore di superare all’origine l’obbligo di sostituzione intermedio tra il 1992 ed il 2000? E che lo stesso ragionamento lo possiamo articolare tra “Euro 4” ed “iE che dunque la scala di “Stepantiemissione” sarebbe potuta essere ragionevolmente intervallata lungo solo quattro passaggi nell’arco di 30 anni, consentendo una scelta meno frenetica ed “imposta” ad automobilisti che ancora oggi manifestano l’idiosincrasia rispetto a quel modello commerciale e mediatico di “imporre piacevolmente” il cambio auto? Chiaro che ve ne rendete conto, perché sapete da tempo che tutto questo arzigogolo serviva solo a eccitare il Vostro livello di attitudine al cambio auto. Su questo erano tutti favorevoli e, se permettete, ci hanno magnato in tanti (detto in gergo trasteverino): Dealer, componentisti, Costruttori, Organi di informazione.
Il Blocco delle Euro 5? Tutta colpa dei “giornalettari”
Diffidate da Giornali e giornalisti che scrivono impunemente: “Il peggioramento del clima è dovuto all’invecchiamento del Parco Auto circolante”. E se potete boicottate le Redazioni e le Agenzie che continuano a scrivere questa fregnaccia. Volete esempi calzanti di tutto questo?
I dati di UNRAE correlati alla elaborazione delle tabelle del Ministero dei Trasporti ci dicono che nel 2009, (all’apice di un ciclo di sostituzione programmata che in Europa era ovviamente già presente nei canali “Fleet” e “Rental” ma con percentuali omeopatiche rispetto al totale immatricolato anno per anno) il sistema inaugurato da Ford ed arrivato in Italia nel 1994 aveva permesso una riduzione “monstre” dell’anzianità media del Parco Circolante a soli 8 anni. Premesso che la mitica Intelligenza Artificiale di Google (la usano tutti, la usiamo anche noi) dava per lo stesso anno una anzianità media nel 2005 di 11 anni per il totale del parco circolante europeo, avere nel 2009 un Parco circolante del genere significava avere auto che nella migliore configurazione antiemissione erano Euro 4, e dove le “Euro Zero” più giovani avevano 17 anni, cioè non tantissimi anche per un uso quotidiano. Insomma: auto pessime sotto l’aspetto ecologico.
IL problema è che la Deficienza Naturale di Bruxelles non contempla e non riconosce quale fattore negativo nella anzianità del Parco Auto e nella densità dello stesso il fattore “immigrazione”. In Italia sono centinaia di migliaia i residenti o lavoranti provenienti da Stati Membri il cui Parco Auto è un colabrodo, e sono loro che fino a ieri, con la perdita di possesso fittizia e con la reimmatricolazione extra Italia facevano rientrare dalla finestra migliaia di bidoni a quattro ruote che noi italiani alienavamo dalla porta.
Se all’epoca del 2005 l’anzianità media del parco circolante dell’Unione Europea era di 11 anni circa è bene ricordare, dopo un decennio a tutta birra di acquisti finanziati e di crescente quota di contratti con ciclo di sostituzione programmata, che l’aumento della anzianità è sempre stato favorito (e coperto in modo indegno dalle Istituzioni) dalla mole di vecchissime auto circolanti soprattutto negli Stati “deboli” di volta in volta entrati in questo colabrodo di Unione Europea.
Poi? Poi arriva il Crack Lehman, il no finisce, il credit crunch rallenta investimenti ed acquisti; e poi il DieselGate, e poi il Lockdown. Ed ecco che l’IA di Google rivela che nel 2023 l’anzianità media del Parco Auto europeo è aumentata a 12,8 anni.
Mentre UNRAE in una propria analisi del 2021 (quindi attualmente ancora di riferimento) affermava che un quarto delle auto circolanti in Italia era stata immatricolata prima del 2006 – nientemeno – in quella coda di periodo in cui il nostro Paese dichiarava oltre due milioni di nuove immatricolazioni (Euro 4, ovviamente) all’anno.
Ok. Ma nel 2005 il “plus” delle motorizzazioni ecologiche era al meglio quello dell’Euro IV; e la più giovane delle “Euro 0” aveva pur sempre “solo” dodici anni per seguire poi ad età maggiori;
Nel 2021 siamo invece allo step più evoluto di “Euro 6” e a undici anni di anzianità abbiamo proprio le Euro IV mentrele Euro “0” più “giovani” toccano i 30 anni.
Ma dando un senso compiuto alla ricerca suddetta di UNRAE, e affiancandovi altri contesti deduttivi, dovremmo aggiungere che:
1) Nel 2021 il 75% del Parco Circolante aveva meno di 15 anni di anzianità, e dunque partiva da Euro 4 per collezionare poi via via gli altri Steps antiemissione successivi; la logica aristotelica mi conforta in questo;
2) Stando così’ le cose è chiaro che il 25% delle auto più vecchie di Euro 4 dovrebbe essere maggiormente responsabile dell’inquinamento rispetto ai tre quarti più in linea con norme stringenti;
3) Nel 2021 siamo persino allo step più evoluto di “Euro 6” e a dodici anni e mezzo di anzianità media (ricordando le statistiche dette sopra) abbiamo addirittura le “Euro V” mentre le Euro “0” più “giovani” toccano i 30 anni; e per la ricerca UNRAE Euro “0”, Euro “1”, “2” e “3” sono circoscritte dentro una famiglia di una su quattro del Parco circolante. “Vuoto per pieno” ciò potrebbe equivalere ad un massimo ponderabile di non più di cinque o sei milioni di vetture, molte delle quali ricomprese anche nella dimensione del “dolce far nulla” in quanto oggetto di collezionismo, di ammirazione statica, di studio.
Dunque le considerazioni portano ad una analisi schietta: frega poco dal punto di vista dell’impatto ambientale il fatto che le auto abbiamo una anzianità media maggiore o minore di anni, ma conta la qualità e l’architettura di cui è composto maggioritariamente il Parco circolante auto: se nel 1990 avessimo avuto inEuropa una anzianità media di (facciamo un caso) solo sei anni tra tutte “Euro Zero”, avremmo avuto un vantaggio ambientale in più rispetto ad oggi? No, evidentemente; allo stesso modo i Testimoni di GeoWATTdesiderano un mondo fatto al 100% di BEV: cambia per l’impatto ambientale che il Parco Auto BEV sia più o meno vecchio? Se qualche “Guru” della politica o dell’informazione dovesse un giorno dire di si, inseguitelo con i forconi, perché la presa per i fondelli. L’unica rilevanza che può identificarsi con l’aumento dell’anzianità del Parco Auto è un rischio potenziale per la sicurezza sulle strade. STOP,
La bufala dell’anzianità del Parco Auto come effetto sul Clima.
Dunque l’associazione un po’ farlocca della Stampa compiacente (che spergiura sul fatto che ad inquinare l’aria sia l’anzianità media a prescindere dalla omologazione anti emissione maggioritariamente presente nel Parco Auto circolante) secondo cui quell’aumento di “vecchiaia” passato dagli undici anni del 2005 a quei dodici anni e mezzo di oggi sarebbe un motivo necessario e sufficiente per “obbligare” gli automobilisti a rinnovare a proprie spese il parco circolante per migliorare l’aria, è ormai una piacevole fregnaccia voluta con lo stesso vecchio criterio con cui si è sparso l’allarme climatico e della qualità dell’aria in Europa per almeno trenta anni: Targhe alterne, blocchi del Traffico ed altro sono serviti e servono, dati alla mano, a sollecitare l’acquisto del nuovo.
“Footprint”, ovvero l’Albero di Bertoldo?Il vantaggio di un problema senza soluzione
La questione è più semplice: se i coglionorevoli di Bruxelles e dei Governi nazionali avessero avuto ragione, il progresso lineare verso la decarbonizzazione avrebbe dovuto da tempo, oltre 30 anni dopo “Euro 1” e tutti gli altri Step, rivelare valori già oggi proiettivi di “Carbon Zero” a data certa, considerando che contemporaneamente al settore automobilistico si è andato a “ripulire” il comparto delle emissioni di altre categorie di trasporto, di produzione industriale, di servizi logistici e commerciali: pensiamo solo alla presenza di treni, carrelli elevatori, dispositivi “Z.E” e la costante metanizzazione degli edifici civili al posto del carbone. Il problema è però quello di rivelare, una volta per tutte, quanto è forte la Lobby dei settori civili, sociali, istituzionali ed industriali dove viene regolarmente taciuto il fatto che la decarbonizzazione non è MAI iniziata.
In secondo luogo occorre realismo e salubrità mentale: i coglionorevoli di Bruxelles non hanno quasi mai avuto ragione in trent’anni di normative antiemissione, ma solo interessi e poteri economici forti da proteggere.
E per questo, quali generici pubblici mentitori impuniti di fronte alla opinione pubblica, ma di fronte ad una platea mediatica che non li sbugiarda in assise plenaria, i nostri eurorappresentanti “svicolano” perennemente da una corresponsabilità all’altra (mancano le elettriche, mancano i Biocarburanti, ci sono le cavallette ed i terremoti) piuttosto che ammettere lealmente la verità: che cioè non è attualmente operabile concretamente un modello di calcolo, valutazione e proiezione della Decarbonizzazione basata esclusivamente sulla chimera di conversione totale del Parco auto circolante europeo in veicoli “Z.E.” a data certa.
Perché questo non avverrà MAI! E lo dico in piena responsabilità fin da ora.
La professione “scorretta”: complici prima, Tribuni della Plebe oggi. The Giornalist !!!!
Vorrei poter essere scorretto, senza purtroppo saperlo esserlo in maniera raffinata come alcuni professionisti dell’informazione “sottile” ed elegantemente deviante che su questo hanno costruito la loro fortuna. Che bella sensazione, immagino, deve essere il sentirsi dei meravigliosi camaleonti sulla scena mediatica pubblica capaci di essere proni ad un fronte di Governo forte nel momento in cui si mostra forte, per poi riuscire in tempi ed orizzonti diversi ad applaudire il più diretto antagonista contemporaneo del potente di turno precedente riuscendo persino a farsi scambiare per originari ed inflessibili fedelissimi da sempre dei nuovi poteri. E’ qui che sta la scorrettezza, in questi eterni mutanti che finiscono per affinare più la capacità di restare a galla in qualunque tipo di mare piuttosto che la dote fondamentale per un cronista: il dovere all’informazione corretta.
L’Altro ieri, il panegirico al Marchio nazionale per eccellenza, ed arrivano gli anni Novanta: improvvisamente la Fiat è il vecchio Borgo antico e il nuovo pensiero unico è il Premium Branding tedesco incorniciato nella Qualità Totale. Arriva la sbornia del credito facile, i Costruttori si sbattono lungo contro l’altro sul fronte della guerra dei Listini (sissignore, l’abbiamo battezzata noi in Europa quella battaglia che oggi sembrerebbe minacciare il mercato interno cinese), fino al Crack Lehman. Nuovo Evangelo, quello elettrico. Nuovo evangelo e vecchi soliti sacerdoti nelle camerae caritatis delle Redazioni. Nessun mea culpa, solo assoluzioni. E il giornalettismo Automotive si scopre vigliacco come lo è certa dottrina Cristiana resa farlocca dall’eccesso di autopietismo. Non è il soggetto peccatore ad avere colpa, è il sistema ad averlo indotto in tentazione.
Ma l’Italia è pur sempre la base culturale del pensiero “Franza o Spagna basta che se magna” e la casta dei giornalisti è fortemente popolata da perpetui “Tengo Famiglia”.
Io invece sono solo un rozzo scribacchino, un operaio della tastiera , ed un povero scemo appassionato di auto, ancora; che ha pagato persino per la sua tendenza a voler ricostruire un caso strano ed un poco equivoco come il DieselGate, sul quale scrivendo da subito le opinioni e le possibili dietrologie che, a dieci anni di distanza, sembrano volgere verso la realtà di quel che davvero è accaduto in America (il mio Titolo:” Il Diesel doveva morire affinchè non si uccidesse da solo” di Settembre 2015 è perfettamente didascalico) ha comunque viste interrotte le sue collaborazioni con Testate periodiche importanti nel settore….Da anni mi sono scagliato contro la “Monocoltura a Soia Green” del comparto Automotive europeo così come ero contrario al monoprodotto europeista della Premium alla tedesca con il Turbodiesel; e così come fui da subito critico con la ossessione monopensiero di Eustace Wolfington e del ciclo predefinito di sostituzione dell’auto. Ma i fatti dicono che in un mercato auto europeo in cui ha fallito Eustace, ha fallito il mondo delle “Captive Bank” ho toppato anch’io.
Dunque io sono totalmente inadatto a trattare di un mondoAuto che è stato pazientemente e con cinismo efficacissimoricondotto al rango di commodities e di operazioni di Monopoli o Risiko e non per caso. A mio avviso, ripetendo una dietrologia incline a quella che mi ha spinto a “radiografare” anziché raccontare il DieselGate, il motivo è che Governi, Stati Nazionali e sistemi continentali hanno in animo di trasformare il mercato auto secondo due direttrici: chiudere la fase storica del globalismo che ormai coincide con una vecchia diga rimasta aperta mentre davanti a lei sta per formarsi l’onda di tsunami; e poi riportare il sistema industriale auto in un alveo di controllo e gestione diretta da parte delle Istituzioni attraverso la soppressione, chiusura, estinzione di tanti dei Gruppi e Marchi Costruttori ancora presenti nel mercato verso una nuova situazione della quale Sergio Marchionne fu ottimo profeta dieci anni fa quando nell’incredulità generale prefigurò un sistema Automotive abitato da massimo cinque o sei gruppi Costruttori in tutto il mondo. E forse l’ingerenza politica è l’unica opzione “tabu’” che guarda caso nessun Santone dell’informazione Automotive ha azzardato: l’ipotesi di uno scontro Macron – De Meo sul futuro della Renault già feudo dell’Eliseo pare essere l’eventualità impronunciabile a causa necessaria e sufficiente per spingere il CEO italiano a lasciare la Losanga.
Questo perché l’automobile sta sempre più diventando una “dimensione funzionale “ e non solo un mezzo di trasporto; ma di questo parleremo più avanti. Ma per avvalorare quel che dico Vi basti solo riflettere sulla evidenza che il sistema normativo internazionale trascontinentale sta aumentando il peso economico e commerciale/occupazionale sul versante del “postvendita” più che della “produzione”.
Ed è forse questa la considerazione più seria che gli Automobilisti devono affrontare:l’epoca della effervescenza commerciale universale del mercato auto è davvero finita, come sono finite le liste di modelli infiniti in Gamma Auto dei Costruttori. Giusto parlare di razionalizzazione e “normalizzazione” del sistema industriale dopo decenni di sbornia commerciale e promozionale per effetto della quale abbiamo navigato per generazioni tra modelli di auto che l’uno rispetto all’altro differivano per un poggiatesta in più o meno, per una cilindrata superiore od inferiore del 10% sulla cubatura totale, e altre amenità del genere.
Così come prima o poi, più presto che tardi, si esaurirà la spinta assolutamente aleatoria, voluttuaria ed un poco farlocca di voler – noi automobilisti – scegliere tra persino cinque o sei modelli apparentemente diversi e con Logo, nome, Marchio diverso l’uno dall’altro pur condividendo la medesima piattaforma o Chassis motorizzato.
Al contrario sta sempre più configurandosi ed ampliandosi un “focus” mai considerato prima di recupero, rigenerazione, controllo, monitoraggio, sostituzione e “upgrade” parziale dei modelli di auto venduti nel prossimo futuro al Cliente.Certo, questo può apparire come un freno all’acquisto emotivo.
Il problema oggi? Ve lo dico semplicemente: la paranoia del BLOCCO EURO 5 da Ottobre prossimo.
Ma per gli appassionati sono tempi duri da diversi anni, o decenni: è lontanissimo nella memoria il tempo in cui i sacrifici che ogni automobilista riservava all’acquisto e gestione di un’auto (è appena il caso di ricordare che trenta o quaranta anni fa le spese individuali sostenute dagli automobilisti non erano una passeggiata, come alcuni amano parafrasare…) erano ripagati dalla cerimonia ripetuta di periodiche nuove “iniziazioni” attraverso le quali rinnovare un rito di appartenza e solidarietà con una “nuova” auto, magari dello stesso Marchio.
In una liturgia di scelta e decisione guidata ovviamente da motivazioni pratiche ma con una “scia” animata dalla emotività e dalla “pancia”. Al contrario di oggi quandonell’acquisto e scelta dell’auto domina il “mal di pancia” generato dalla controreazione allergica ad un “Virus ammorbante originario delle Fiandre: il “Footprint”.
Che scandisce i suoi tempi attraverso “step antiemissione” e decarbonizzazione mentre un tempo – non proprio lontano – il mercato auto scandiva l’evoluzione della dimensione auto attraverso la progressione delle linee mozzafiato delle carrozzerie o mediante l’aggiornamento tecnologico spesso frenetico e competitivo tra diversi Marchi Costruttori.
Difficile immaginare fino ad un quarto di secolo fa una trattativa di acquisto basata su grammi di CO2 emessa, su presenza o meno di un motore elettrico ausiliario a supporto dell’endotermico quasi al di là delle qualità intrinseche dell’endotermico stesso. Siamo passati lungo mezzo secolo dalla domanda chiave relativa ad una specifica auto“Scusi, quanto costa?” a quella della crisi energetica “Scusi, quanto fa al litro?”, per poi passare alla domanda chiave degli anni Ottanta “Scusi, a quanto va?”, passando ancora per la domanda “Scusi, a quanto la posso rivendere?” ma MAI avremmo pensato di dover declinare al Venditore, come prima domanda “Scusi, ma quanta CO2 emette??”
Monossido di Carbonio, l’assistente invisibile alla scelta dell’auto
Colpa nostra, Voi direte: acquistare auto senza la minima attenzione all’ambiente ha portato a questo contrappasso moderno.
Ma è davvero così? O forse non siamo stati proprio noi consumatori automobilisti ad aver nel tempo premiato le auto che si arrugginivano meno (sinonimo di minor dispersione nell’ambiente di materia degradata), che consumavano di meno, che si rompevano di meno? Ed infine non siamo stati sempre noi consumatori a premiare i modelli di auto più parsimoniosi fino a quello scandalino DieselGate che ha potenziato l’idea sempre meno recondita in noi sulla sostanziale disparità e schizofrenia tra dati dichiarati e dati reali?
E che, nonostante questo, per almeno il 60% della popolazione Cliente di Concessionarie auto, apparteniamo a quella fascia di consumatori che dalla prima uscita di quel famoso “Euro 1” di metà anni Novanta ad oggi ha sostenuto – almeno almeno – l’impegno economico di quattro o cinque auto sostituite lungo trenta anni?
Ricordo i miei nonni, che con una fedelissima Fiat “1100D” acquistata nuova hanno convissuto quasi un quarto di secolo; ricordiamo (tutti noi di mezzo secolo) i nostri genitori cambiare al massimo due o tre auto tra il 1970 ed il nuovo millennio (e tra l’altro in almeno un caso lo scambio è stato con una ottima auto usata).
Ma la “Eurogeneration” si è trovata a tal punto da subito impelagata nei prodromi della questione pseudo ambientalista da dover diventare protagonisti spesso inconsapevoli di un ciclo di sostituzione medio di sei anni tra l’acquisto di una nuova auto ed un’altra. E sebbene la frenesia del “Compri, lasci, saldi, cambi” sia rimbalzata per circa un quindicennio nelle selezioni e valutazioni dei potenziali consumatori in tutta Europa, il tanto sperato rinnovo totale del Parco Auto è rimasto del tutto irrealizzato in Europa come in Italia. Il che, legittimamente, mi pone una domanda sulla esatta lettura e recupero dei dati di immatricolazione, trasferimento proprietà e rottamazione di auto.
La stessa lettura di dati e di statistiche che la ancora mantenuta (non si sa per quanto) democrazia del Web ci assicura nel reperire e confrontare dati, cifre, proiezioni.
E se alla fine “Footprint” non fosse altro che la moderna riproposizione della favoletta di Bertoldo condannato ad essere impiccato all’albero che lui stesso è chiamato a scegliere, fin tanto da dover ammettere che l’albero ideale si trova sulla Luna? Perché più passa il tempo e più Footprintappare come una sorta di ombra incombente fissa su di noi ad ammonirci che tutto deve passare attraverso di lui; e che però, nonostante questo, il mondo ideale per lui e per Bruxelles è troppo lontano.
“Chiagn’ e Foot…Print”:l’impronta di Carbonio, questa sconosciuta.
L’Europa sarà libera dalla CO2 quando tutto il globo smetterà di produrla, e tutto il mondo che conta e che si trova circostante il Vecchio Continente al momento sta bellamente aumentando le emissioni perché è in piena accelerazione economica ed industriale. Perché l’unica vecchia regola Miltoniana, Hemiltoniaia, Keynesiana o come volete chiamarla alla data del 2025 è che le economie crescono con un unico segno globale indifferibile e chiaro, l’aumento di emissioni di CO2.
Nel frattempo i dati che l’Intelligenza Artificiale di Google (visto che va tanto di moda, la usiamo anche noi….) ci snocciola, dicono che l’Unione a ventisette e con 270 milioni di auto circolanti (tralasciando il numero di motocicli in continua crescita) nel 2023 dovrebbe (il condizionale è ormai d’obbligo) aver raggiunto un volume di emissioni di CO2 pari a 36,8 miliardi di tonnellate.
Se l’obbiettivo “Carbon Zero” è azzerare in poche decine di anni da qui al 2050 la soglia base di emissioni totali di CO2 posta nella sua lancetta al 1990 (in una CEE di 12 Paesi che complessivamente contavano 166 milioni di auto circolanti nei loro confini) allora dovremmo dire che secondo la IA di Google siamo a cavallo: nel 1992 con il 45% di Stati Membri e il 60% di Parco auto circolante rispetto ad oggi, la neonata Unione avrebbe raggiunto, dicono le stime, emissioni globali di CO2 per una soglia di 22,7 miliardi di tonnellate. Oggi, con il doppio di Stati Membri ed quasi il doppio di auto circolanti rispetto al 1990 la produzione di CO2 non è raddoppiata ma è cresciuta solo del 60%. Il problema è l’obiettivo irraggiungibile posto alla vetta del 2050: proiettare da qui a un quarto di secolo le prospettive ed i desiderata un poco esaltati di Bruxelles non è opera che mi competa. Però un fatto è chiarissimo: lungo trenta anni il Vecchio Continente decarbonizza ed i suoi vicini no. Un poco come se in un Condominio solo un inquilino smettesse di cucinare broccoli e cavolfiori e gli altri invece no. L’olezzo rimarrebbe a meno di non chiudersi dentro casa a finestre sigillate, e pare che tra Continenti i confini non si possano sigillare con infissi e doppi vetri.
Risultato di tutto questo fraseggio scomposto? La fisima di “Footprint” sul cambio auto chiaramente non è servita a nulla, se non a consentire a Bruxelles di fare la allegoria di Bertoldo spostando su limiti umanamente irraggiungibili l’obbiettivo di Carbon Zero (che ovviamente QUESTA Unione non riuscirà a conseguire né al 2050 né mai.) non è un reato. E’ un diritto.
Abbiamo scoperto che, dal lato della ragionevolezza e della tecnologia, più passano gli anni e più allarmarsi per l’anzianità del Parco auto circolante come problema climatico è una fregnaccia legalizzata di cui gli estensori sono ben consapevoli. Abbiamo dimostrato che seppure nel suo raddoppio di Stati Membri e delle auto in circolazione, l’Unione Europea lungo trent’anni ha tagliato del 40% le sue emissioni di CO2. E che dunque è l’obbiettivo di Carbon Zero al 2050 che va ridiscusso, non la composizione del Parco Auto. E allora, come regolarsi?
I nuovi “UNTORI” del Clima: i Veicoli Commerciali
Improvvisamente Unione e Governi, dopo essersi sbizzarriti in blocchi, vincoli, anatemi, ed aver condotto una contraerea mirata sulle “Passenger Cars” spingendo al rinnovo su tutti i canali, oggi hanno inaugurato un nuovo fronte di battaglia che, Vi anticipo, inizierà probabilmente un suo mediocre carosello da Autunno prossimo e durerà almeno un biennio: la guerra ai Veicoli Commerciali (LCV ed “N1”) proclamata in nome di un provvedimento che non si può più procrastinare oltre la “forse” dovuta attenzione e premura verso la tutela alla continuità lavorativa di milioni di piccoli Imprenditori ed artigiani europei legati alla vita del proprio Veicolo Commerciale. In verità la questione ha una propria fondatezza data dalla anzianità media del parco circolante LCV molto maggiore di quella della auto, dalla potenziale assenza nei Veicoli Commerciali più vecchi di supporti ADAS e di sistemi di geolocalizzazione e di teleassistenza da remoto, ed ovviamente il problema simmetrico di una percorrenza annua che è tripla o quadrupla rispetto alle Passenger Cars svolta con motori esclusivamente Diesel che per effetto dell’eta media sono comunque motori di vecchia concezione che circolano in maggioranza per l’Italia.
Senza contare che rispetto al 25% presente nelle auto, UNRAE stima persino un 45% di LCV circolanti “ante Euro 4”.
Questo un motivo “etico” cui si contrappongono motivi decisamente economici: l’economia in sofferenza non spinge certo al rinnovo del Parco LCV presente nelle Imprese, e la famosa confusione che regna sovrana in Europa sulla eventualità dello stop all’endotermico nel 2035 abbatte ancora di più la tensione a rinnovare i mezzi da lavoro e cantiere.
I motivi però per i quali la prossima zona di guerra si svolgerà (credo entro e dentro un biennio) sui Veicoli Commerciali sono forse a tal punto banali da non doverli neppure elencare. La sovrabbodanza di SUV immatricolabili come “N1” e la mantenuta posizione “ancora” dei Brand europei nel mercato dei Veicoli Commerciali (dove la concorrenza asiatica pur aggressiva in termini di prezzi non riesce ancora a scalare la reputazione, la storia e dunque la maggior preferenza riversata a Costruttori europei e giapponesi ) DEVE spingere l’Europa a conservare per i suoi Costruttori un ambito di “agevolazione” alla sostituzione di LCV europei con europei (o assimilabili) puntando sui margini e sui fatturati monstre in termini di vendita di soluzioni e supporti accessori e di assistenza post vendita. In secondo luogo l’Europa “DEVE” agire prima che l’Asia superi anche negli LCV la suggestione (o la superstizione) degli occidentali in tema di affidabilità e qualità nel tempo, soprattutto in un panorama in cui le aree urbane dedicate alla logistica di Ultimo Miglio diventeranno oggetto di azioni mirate della Unione. Insomma, sempre motivi commerciali dietro all’allerta ambientale in tema di auto? Sempre. L’allerta serve per riposizionare nella Vostra Scaletta di Maslow l’esigenza di cambiare auto ai posti alti della piramide. Anche nel blocco delle Euro 5 da Ottobre ci sono esclusivamente finalità commerciali, spiace evidenziare che Comuni, Regioni e persino Istituzioni politiche nazionali potrebbero diventare facilmente una compagine di piazzisti al soccorso di Dealer, Distributori e Costruttori travolti da una crisi interminabile.
Euro 5? Nemiche dell’Ambiente, amiche delle trattative di vendita.
Abbiamo ricordato poco sopra le statistiche preziose ed indubbiamente affidabili di Dataforce sulle Euro “5” che dal 2009 al 2015 sono state immatricolate in un numero complessivo di 12.463.371 unità tra Passenger Cars e Light Commercial Vehicles, con una media di immatricolato pari ad un milione e 780 mila pezzi all’anno sulla base di un crollo del mercato e dei volumi proprio tra il 2009 ed il 2014, con un recupero nel 2015. Parliamo di vetture e veicoli che spaziano dai dieci ai sedici anni di anzianità e che per effetto di questo avranno avuto almeno (ipotizzo io) un 40% di alienazioni dal Parco circolante nazionale. Dunque ammettendo una presenza di circa sette milioni e mezzo di Euro 5 in circolazione in un Parco Usato nazionale fatto ormai di oltre 40 milioni di modelli, viene fin troppo ovvio pensare che il miglioramento climatico non possa avvenire togliendo dalle strade circa un quarto del Parco auto globale censito, poiché in questo caso la già straordinaria efficacia ambientale dei livelli di emissione dell’Euro 5 rispetto ad una sostituzione effettuabile in maggioranza solo con Euro 6 e con Ibride non potrebbe migliorare in termini apprezzabili l’aria che respiriamo. Questa banalità è talmente ovvia che il solo tacerla, da parte di quasi tutti i media, è di per sé un atto vergognoso.
Per contro, sarebbe più giustificabile il polso duro nei confronti di quell’altro 25% di auto che secondo UNRAE partono da Euro 3 in giù: come è possibile che sulle nostre strade siano ancora potenzialmente circolanti oltre sette milioni di auto e veicoli che per le più giovani superano il quarto di secolo? Chiaro che anche in questo caso l’operazione di sostituzione forzata sarebbe climaticamente indifferente, come lo è impedire alle Euro 5 (dai limiti di emissione fin troppo siamesi con Euro 6) l’accesso alle ZTL o il blocco dal traffico. Ed allora cosa potrebbe spingere Enti Locali, Media e Governo ad affrontare questo gioco a rimpiattino reciproco?
Beh, semplice: per il Governo stabilire una ulteriore proroga di fronte ad una azione climaticamente indifferente equivale ad avere la coscienza a posto ed un favore elettorale maggiore. Per i Comuni dell’area Padana mantenere il punto sul blocco significa potenziare comunque una linea legislativa e commerciale che vede il NordEst impegnato più di altre aree italiane nella erogazione di contributi per la sostituzione ed il rinnovo del Parco circolante e soprattutto un ramo di economia (la Distribuzione auto) che al Nord è comunque un asse trainante del PIL.
Per i Dealer l’aquisizione “benedetta” di Euro 5 nello Stock dell’Usato da rivendere è la garanzia di nuova operatività per l’anno prossimo. Le Euro 5 sono auto usate desideratissime e carissime, e il blocco decretato dalle Istituzioni assolve anche all’ottica di abbassare un poco le pretese dei Clienti all’atto della permuta, così da consentire ai Dealer una quotazione più interessante per loro (per i Dealer, ovvio). Insomma, tutti contenti. Per ora. Vedremo gli sviluppi
Riccardo Bellumori