Era il 1984: quella sua Suzuki RGB mi sembrava uscita da poco da un hangar dove era stata chiusa almeno cinque anni sotto il classico telo cerato; cosicchè lui mi sembrava un Centauro alla caccia di una moto di emergenza per il “TT” che, dopo aver rottamato la propria lungo un tornante, si era intrufolato dentro qualche vecchio magazzino recuperando quella, con i dischi arrugginiti, le gomme indurite ed i cilindri incollati dalle incrostazioni.
Ed avendola riportata in strada, lui con le sue bende di alluminio da cucina e nastro per tende (a circoscrivere e proteggere le parti più esposte della sua tuta) il nostro Gigante buono si era evidentemente messo pazientemente a movimentarla e sbloccarla, nella mia immaginazione.
Perchè a contrasto della lucidità e perfetta linearità delle carenature delle diverse altre ufficiali, quella sua Suzuki sembrava un poco una sorta di caterpillar da corsa, con la tinta vagamente opaca, gli adesivi posticci applicati e soprattutto quell’aria da trincea che la contraddistingueva. Il che faceva davvero di quel ragazzone un Cavaliere di Ventura.
Insomma quella accoppiata da antichi duelli con armatura e cavallo sembrava una delle classiche avventure di coraggiosi privati di retroguardia. invece forse con quella moto sarebbe diventato senza saperlo l’ultimo Centauro della storia delle Gare Internazionali di moto, a correre sia nella Classe Regina sia al TT dell’Isola di Man, quel ragazzone inglese.
Ultimo “Highlander”, Rob McElnea, Cavaliere post-moderno
E difatti Robert Nigel McElnea, da Briggs nel Lincolshre, appariva quasi un Pilota da “fermo immagine” senza tempo: quel casco rosso ciliegia a sovrastare una tuta di classica pelle nero/moro stile da anni ’70 con le tipiche bordature in Blu Suzuki, quasi a voler sottolineare una sorta di appartenenza ideale con il Marchio gestito in Gran Bretagna dalla Heron.
Gli mancavano solo le folte basettone che invece aveva RonHaslam, ma per il resto sembrava una cartolina uscita dall’ultimo Mondiale vinto dal suo connazionale Barry Sheene quasi dieci anni prima.
Il tutto a contenere un fisico da fabbro ferraio, e non era solo una metafora: Big Rob, famiglia operaia classica della metà anni Sessanta, aveva avuto un passato giovanile da Fabbro negli impianti industriali di Scunthorpe (centro siderurgico tra i più importanti in Gran Bretagna) dove aveva abitato per anni; e dove per aiutare il bilancio domestico si era dovuto adeguare alla scuola serale per poter lavorare di mola e piegatubi da quando aveva solo sedici anni.
Ed il nomignolo non era appioppato a caso: nella sua migliore e più “leggera” condizione fisica, Big Rob” fini’ per pesare comunque ben 85 chili !!!!! senza mai scendere sotto, anzi: in condizione post invernale gli capitava di salire in moto per gli allenamenti privati con un dislocamento di quasi 90 chili. Frutto, merito o colpa (chi può dirlo) dei turni di lavoro in fabbrica e delle tonnellate di putrelle e tubi lavorati nel corso degli anni.
Big Rob, il Fabbro più veloce del mondo
Il buon Rob assume una struttura fisica da “camallo” che non lo abbandonerà più: utilissima in caso di caduta, ma ingombrante per il carico ponderale che gli mette addosso.
Avete capito bene: il nostro ragazzone finiva per pesare circa 12 chili più di un pennellone come Freddie Spencer e quasi 18/20 più di Eddie Lawson, suo futuro compagno di Squadra, o di Franco Uncini suo collega di Marchio.
Anche per questo Rob sembra un Centauro di altri tempi.
Come tutti i ragazzi inglesi appassionati di motociclismo alla sua epoca, spende i suoi primi stipendi in vecchie Triumph e BSA riadattate per gare più vicine al Dirt Track ed alla Regolarità che non in Pista tra i 17 ed i 19 anni.
Tra l’altro in questo divideva la passione con suo fratello Gerald, con il quale ad un certo punto decide di “superare l’argine” che divideva canonicamente la passione pura dalla voglia di compiere l’Impresa: il 7 Maggio del 1979 a Caldwell Park si iscrivono entrambi alla “May Day National Solo Race Senior”: Gerald con il numero 60 guida una Honda 850 e Rob con il numero 50 una Yamaha 350 2 tempi.
Corrono per un premio in palio di ben 200 Sterline tra i Seniores e gli Juniores: Rob arriva quinto ma, considerando che corre anche contro le 1000 a 4T e finisce “dritto” in un curvone non va affatto male.
Ma i riflettori si accendono a Mountain dove il ragazzo Robentra nel giro del “TT” alla “1979 NewComers MGP”: arriva secondo dopo Luckman nella Junior e si ritira mentre è terzo tra i Seniores.
Ottimo inizio dopo il quale è F.J. Gallen / Star Garage, piccola organizzazione locale di Glanford Brigg, la sua città nel Nord LincolnShire ad affidargli una vecchiotta e poco rassicurante Yamaha 750 tutta rossa (come lui all’epoca) che però fino ad Ottobre 1982 gli regala ben poco a parte la vittoria al Senior Manx Grand Prix nel 1980, collezionando solo cadute e botte epiche dalle quali grazie a Dio si riprende sempre.
L’incontro con Heron SUZUKI, Big Rob inizia la sua avventura
Heron Suzuki capisce il talento ed il “pelo sullo stomaco” del giovane appena ventitreenne e gli affida così per il famoso “Ulster Grand Prix” una sua “RGB” non proprio di primo pelo (è una fine 1981 ex Wil Hartog) con cui Rob però sale subito in cattedra: nel “TT 1983 SENIOR CLASSIC TT RESULTS” è allo stesso tempo primo assoluto, recordman tra i pochi sotto le 2 ore e quasi record per la velocità media di 115 miglia orarie.
E si ripete a Dudrod arrivando terzo nel TT1 dopo due come Joey Dunlop e Mick Grant…e vince un round del Campionato del mondo di Formula 1 TT nel 1983, arrivando secondo proprio a Joey Dunlop nella classifica finale della stagione.
E si ripete con be due vittorie al TT dell’anno successivo quando viene iscritto dalla Heron anche nel Mondiale Classe 500.
Chiaro che la sua “pezzatura” ideale è proprio una mezzo litro; e soprattutto nella struttura delle classiche e cavernose Suzuki quattro in quadrato con induzione a Disco rotante trova più o meno le stesse peculiarità del suo predecessore Hartog, non a caso a sua volta una sorta di armadio in tuta di pelle: la predominanza fisica nel poter guidare di forza e quasi a pipistrello una moto che altrimenti per non esserne travolti doveva essere condotta il più linearmente in curva.
In questo Rob è forse il più yankee dei Piloti inglesi. Una ulteriore caratteristica che lo distingue dal Gruppone europeo a quei tempi.
Rob Mc Elnea è un poco la metafora del calabrone che contro ogni legge fisica può volare; “Big Rob” – con il suo metro e ottantadue ed i suoi 85 chili di minimo peso forma – poneva alla fisica ed alla ortodossia agonistica su due ruote di quel tempo nuove incognite e nuovi parametri.
Big Rob e il paradosso del calabrone
Da poco infatti il Motomondiale aveva salutato un altro gigante come Wil Hartog, la cui Suzuki guarda caso era stata ereditata dal nostro inglese.
Che non ci mise molto a distinguersi anche a livello mediatico, non solo perchè era socievole, simpatico e sempre sorridente; non solo perchè appunto nelle passeggiate nel Paddock più che un collega di Centauri sembrava la loro guardia del corpo;
ma soprattutto perchè iniziava un’epoca di moto “TailorMade” per effetto dello sviluppo e della evoluzione soprattutto della componentistica (forcelle, freni, ammortizzatori, angoli caratteristici, etc) e di certo “settare” e personalizzare una moto sotto un peso massimo come il suo non era certo facile per la Heron, che tuttavia nel 1984 lo schiera dall’inizio al Motomondiale 500.
Delle quattro “RGB” gestite dalla Squadra inglese la più “pregiata” è chiaramente quella con telaio della specialista Harris affidata a Barry Sheene; segue per ordine di pedigree la moto di Mick Grant ormai uscito dalla esperienza orribile in Honda, e con il saltuario impegno del nostro bravo Attilio Riondato in Squadra appunto c’è anche lui, Big Rob: come detto, la sua “RGB” proveniva direttamente da quelle della Scuderia di Wil Hartog che nel 1981 chiuse la sua esperienza nel Motomondiale.
Dunque era una “versione Clienti” 1980 aggiornata ed una volta acquisita dalla Heron Suzuki era stata di nuovo leggermente aggiornata ed affidata a Rob.
Per confermare la provenienza da un gigante delle due ruote come Wil – McElnea aveva tenuto l’abbassamento al limite delle pedane e l’arretramento del codone per allungare un poco lo spazio di seduta in longitudine della sua RGB. In conformazione Oversize la 500cc giapponese si ritagliava comunque molto spesso un suo posto a metà schieramento.
Dobbiamo aggiungere a questo il giro del “TT” che Robcomincia a correre da vero protagonista: due vittorie TT nella Premier Classic del 1984 stabilendo un record di gara di 116,122 mph e un giro più veloce di 117,17 mph, rendendo il 24enne il vincitore del TT più veloce di sempre all’epoca, su una 4 T da 1000 cc.
Il più veloce di sempre al “TT”
Con un ruolino di marcia vincente come questo in un appuntamento prestigioso e “sacro” per l’Union Jack, chiaro che Big Rob comincia a diventare oggetto di interesse anche mediatico e commerciale: sarà per questa sua configurazione XXL, sarà perchè nel frattempo inizia una fase “Family feeling” delle Squadre e dei Piloti in base alla quale ogni Marchio prevede una sorta di “divisa” istituzionale (dalla quale appunto un “battitore libero” come Mc Elnea si distingue parecchio), o sarà perchè la sempre maggiore “muscolarizzazione” della struttura delle moto dove il telaio a trave, il serbatoio maggiorato e la carena semi-integrale diventano dei “gusci” sopra ai quali la maggior parte dei “fantini” scompare;
fatto sta che nei fermo immagine (più che i servizi TV) nelle bagarre e nei grupponi di passaggio in curva, si vede fin troppo bene quanto la stazza di Robert, sporgendosi verso il lato l’interno della sua Suzuki, sia davvero esorbitante rispetto alla media.
Ma come detto, lui non ci fa caso e ci dà dentro, riuscendo evidentemente a dominare la natura decisamente bisbetica della RGB.
Uno dei suoi record negativi, in questo quadro: McElnea oltre ad essere uno dei meno facili da superare in curva è tuttavia anche uno dei pochissimi ad aver subito quasi la totalità dei sorpassi in rettilineo dove, a causa della stazza molto poco aerodinamica e debordante e dell’inerzia ponderale che la sua moto deve affrontare in accelerazione, è mediamente uno dei meno performanti.
Tuttavia ha coraggio, resistenza e tattica: cosa che gli consente di gestire al meglio la sua prima Stagione mondiale con la Heron: nel 1984, in cui vince ben due volte il TT, Robè il terzo miglior Pilota inglese in Classifica di Stagione nel Motomondiale dopo Barry e Ron Haslam, ma quel che più interessa alla Squadra inglese è che il nostro massiccio mastino risulta il secondo miglior Pilota tra quelli delle due Squadre assistite dalla Suzuki in veste semi ufficiale dato che Boet Van Dulmen ha in pratica un proprio Team di gestione.
Quel che invece più conta per McElnea, è che con un ciuffo di punti in più (quattro) sarebbe salito proprio lui al posto di Boet: finisce il 1984 da undicesimo ma simbolico ottavo, una impresa incredibile.
Missione compiuta, si arriva al 1985.
Big Rob, quella Heron in Carbonio ed il sellino rotto
La Stagione 1985 nel Motomondiale per Rob Mc Elnea, dopo il suo inizio e le due stagioni 1983/1984, rappresentava un poco le “Colonne d’Ercole” per lui, per la Heron Suzuki e per la Marca giapponese.
Quest’ultima stava seriamente in difficoltà visto che l’ultima prestazione “globale” onorevole era stata la terza piazza iridata di Mamola nel 1982 (anno dell’ultimo Mondiale Piloti), e dunque erano passati i primi 24 mesi continuativi, dalla nascita della famosa RG, di risultati bucati;
allo stesso modo il Team Heron, il glorioso baluardo britannico legato alla figura mitologica di Barry Sheene, cominciava a soffiare via la polvere dagli ultimi trofei di rango:
dalla ultima volta in cui un Pilota Heron aveva visto la terza piazza iridata a fine Stagione (Pat Hennen) erano passati ormai sette anni; gli anni che andavano dal 1979 al 1984 (escluso l’ottavo posto di Barry appunto) erano stati un segnalibro di decime/ventesime posizioni in Classifica, ed a questo punto viste le medie molto più interessanti del Team Gallina e di altre Squadre semi-ufficiali, la Suzuki cominciava ad interrogarsi sulla reale razionalità di rimanere legati ad una organizzazione che – a quanto pare – aveva per quasi un decennio beneficiato della sola opera di gente come Graeme e Barry che, tuttavia, nel 1985 non erano più disponibili.
Motivo per cui la Suzuki aveva “discretamente” fatto capire che tutto quel decalogo di appoggi, Know How, unito ad una non indifferente libertà di manovra gestionale su Specialità e calendari, non sarebbe durato in eterno.
Anche perchè, come per gli altri marchi giapponesi, l’Union Jack fine a se’ stesso cominciava a stare stretto: la frontiera di Oltreoceano con Stati Uniti ed Australia ritornavano di stretto interesse commerciale e strategico.
E forse neppure la Heron aveva chiaro quale sarebbe stato il suo immediato futuro da lì a due anni.
Per chi non lo sapesse, Heron è una Società immobiliare inglese che dal Marzo 1972 aveva deciso di creare una divisione motociclistica (Heron Motor Group Limited con General Manager in G.M. Ronson) dedicata alla gestione e commercializzazione di diversi Marchi motociclistici con la incorporazione di Newbury Motors di 130 Worcester Road a Droitwitch e di Scottish Automobile Company.
Aveva tuttavia creato una Joint Venture di natura tecnica e promozionale figurando sia come Sponsor che come Partner di Suzuki nei due mondiali vittoriosi di Barry Sheene del ’76 del ’77.
All’inizio degli anni ’80 Heron era una delle più grandi società private del Regno Unito, con un patrimonio di oltre 1,5 miliardi di sterline, inclusa una partecipazione significativa nell’industria americana dell’home video tramite Media Home Entertainment e le sue etichette sussidiarie, che Heron acquistò in 1984.
Ma fu oggetto nel 1986 di una condanna penale per frode azionaria, e uscì in fretta da ogni partecipazione esterna per affrontare debiti per oltre 1 miliardo di sterline.
Per far sopravvivere Heron si dovettero mobilitare nomi come Bill Gates, Rupert Murdoch, Craig McCaw, il fondatore di Oracle Corporation, Larry Ellison e altri che hanno concesso prestiti di ristrutturazione; motivo per il quale dal 1987 il celebre nome “HERON Suzuki” sparì dalle scene per lasciare il posto al Team Pepsi.
Insomma, comunque, la Squadra inglese si era data una scossa in quel 1985 e, dopo l’ esperimento di personalizzazione del telaio con quello Harris per Sheene, arriva il colpo di scena: Ciba Geigy crea per la Heron un monoscocca in Fibra di Carbonio, e per l’occasione Suzuki fornisce sia agli inglesi che al Team Gallina una evoluzione “XR70” del motore.
Arriva, grazie al partenariato con la “RAM” anche la sponsorizzazione della Skoal Bandit.
Tuttavia, partendo senza più pedine importanti come Mick Grant e Sheene (ormai ritirati) improvvisamente il Team si trova senza un portabandiera.
O meglio, ne ha uno in casa che va completamente costruito ed imposto all’Opinione pubblica “British”. E’ Big Rob.
Lui e Paul Lewis sono gli unici portabandiera “Old Style” insieme a Ron “Rocket” Haslam in grado di poter tenere sulle spalle l’onore della Regina.
Ed infatti così è: dopo Ron Haslam c’è lui in classifica, 9° finale e a furia di quinti e sesti posti con una Suzuki RGB500 Heron che più sperimentale non si poteva; ma fondamentalmente è il vincitore morale di almeno tre sottocategorie.
Rob è il primo Pilota in Classifica con la Suzuki, staccando Sito Pons ed Uncini (13° e 15°); ma soprattutto è l’uomo della Provvidenza in casa Heron, visto che il suo Compagno Paul Lewis finisce al 27° Posto stagionale.
Ed infine il nostro “Gigante Buono” convince più di ogni altra cosa i Media ed il pubblico inglese: lui è alla sua seconda Stagione, a soli 25 anni, in Classe 500 ed in entrambe è finito nei primi dieci; alla fine, il suo rivale di bandiera Haslam si trova nel 1985 alla sua ottava Stagione iridata, ha ormai 30 anni e nessuno più crede che possa far meglio della seconda guida e del quinto posto iridato.
Ecco perchè da quel fine Stagione ’85 le Riviste inglesi ed internazionali cominciano sempre più spesso a ripetere e raccontare quel suo nomignolo, “Big” Rob, che probabilmente è il saluto che gli avrà fatto Giacomo Agostini quando, vedendolo provare la Cagiva in veste di possibile rimpiazzo di Virginio Ferrari (ormai ai titoli di coda con i Castiglioni) lo incrocia nel Paddock e lo convince a firmare per la Yamaha come “spalla di lusso” di Eddie Lawson nel 1986.
E chi potrebbe dire di no? La stella di Robert Nigel, da ex fabbro a Pilota di punta di un Team mondiale, si è appena accesa.
Il passaggio al Team Agostini: scommessa vinta a metà
Rob Mc Elnea. “Big Rob” per gli amici non riusciva davvero “ad entrare” tutto su una Classe 500.
Uno che, da compagno di Squadra nel 1986 di Eddie Lawsonalla Yamaha del Team Agostini, sembrava più il Bodyguard dell’americano che non un Pilota di Motomondiale Classe 500.
Ed in effetti in una recente intervista Rob ha espresso il suo unico rimpianto: non essere mai riuscito a scendere sotto gli 86 kg. neppure sotto tortura.
Cosa che lo ha reso protagonista di un singolare Record, di essere tra i pochissimi Piloti a non avere mai compiuto un sorpasso in rettilineo, qualunque moto abbia guidato.
Eppure di concorrenti ne ha superati parecchi, dato che nelle sue poche stagioni in Classe 500 ha tenuto posizioni onorevoli in classifica Iridata: 11° ad inizio e fine carriera (1984-1989); 9° nel 1985 con una Suzuki RGB500 Heronche più sperimentale non si poteva.
Ormai come detto, a quest’epoca è diventato un beniamino del pubblico, un benemerito della causa motociclistica inglese, ed in più un nome che team Manager e Costruttori segnano sull’agenda.
Ovviamente la Heron Suzuki non vedrebbe nulla di meglio che confermarlo, nella considerazione che persino la Casamadre giapponese ha finalmente assicurato un ritorno al pieno investimento sportivo in Classe 500 dopo che la “XR45” era stata praticamente prorogata a sè stessa da almeno tre Stagioni.
Ed in fondo, a parte l’eco di una inchiesta per frode che investe la Holding principale Heron Investments – che però non ha alcun riverbero nella attività sportiva – rimanere dentro Suzuki per Rob sarebbe una scelta comoda: con l’obbligo morale di conseguire al massimo settimi od ottavi posti iridati, potrebbe serenamente continuare a “vivacchiare”.
Ma ovviamente il richiamo della sfida professionale, all’alba dei 26 anni, è troppo forte. Rinuncia all’invito di Cagiva, corroborato da una ottima proposta contrattuale, e si mette alla prova con Agostini e la Yamaha.
Una brutta bestia: Virginio Ferrari (decimo a 22 Punti) nel 1984 e Raymond Roche (settimo con 50 punti) nel 1985 hanno concluso a distanze siderali da Lawson e si sono bruciati la carriera. Il rischio per lui è ancora più serio, data appunto la sua “rocciosità”.
Ma la pur peggior Yamaha del Team “Ago” non potrà essere peggiore del Caterpillar che ha guidato per tre Stagioni, e Rob infatti, a furia di quarti e quinti posti ed una regolarità da metronomo si mette dietro una bella sfilza di Top Bikers: 60 Punti, quinto Posto, penultimo degli Yamaha davanti ad un certo Sarron che guida per la Sonauto (importatore francese di Iwata).
Rob è anche, nel 1986, il primo inglese in Classifica Iridata; ha superato di parecchio l’altra “ex gloria nazionale” RonHaslam.
Ed infine, anche a prima vista, il miglior secondo della Marlboro Yamaha da tre Stagioni prima (altro risultato non da poco visti i due precedenti illustri) vede con il cannocchiale la sua ex Marca: Frankie Chili è solo decimo (primo dei Suzuki) ed i sostituti di Rob alla Heron(McKenzie, Paul Lewis ed un debuttante Schwantz) sono rispettivamente 11°, 18°, 22°.
Purtroppo nel 1987 il “condominio” a tre (Lawson/Taira/McElnea) nella Stagione meno esaltante di quel decennio per Ago, penalizza Big Rob costretto a diventare la terza guida in nome del favoritismo che Iwatariserva al giapponese Taira, tutto fuorchè un fulmine di guerra;
La Stagione 1986 dovrebbe finalmente aver consacrato “Big Rob” Mc Elnea tra i Top Bikers della Classe Regina: si, d’accordo, mancano i Podi (perchè quei 20 chili di zavorra che mette di se’ stesso sopra la moto sono un pacco proporzionale di cavalli che si perdono per strada), ma in cambio il ragazzo è fedele e votato alla causa di Squadra, e da secondo si comporta con sacrificio e lealtà.
Il problema tuttavia, ad Iwata, è di “geomarketing”: dopo aver coccolato l’Italia (Agostini), gli USA (Roberts e Lawson), la Francia (Sarron e Roche) come anche la Gran Bretagna (Barry Sheene e proprio Rob), pare proprio arrivato il momento di Giappone ed Oceania.
Tadahiko Taira: 30 anni, ma gloria locale sotto il Fujiama, e soprattutto fedelissimo Yamaha.
Nelle uniche due apparizioni mondiali nel 1984 e 1985 – pur correndo con Yamaha assistita da Casamadre a supporto del Team del Pilota – ottiene risultati omeopatici a confronto dell’impresa di Mc Elnea sulle Suzuki.
Ma la politica ed il mercato hanno sempre la precedenza, e nel 1987 la seconda di tre moto nella Squadra di Giacomo “deve” essere di Taira.
“Ago” non nasconde la sua simpatia per Rob, ma è un uomo di Squadra, persino al limite del cinismo : ed infatti Tairafinirà quel mondiale al sesto posto;
e l’inglesone penalizzato chiuderà decimo, con il legittimo dubbio viste le posizioni finali che a parti invertite forse la seconda Yamaha di Ago avrebbe visto vette decisamente migliori.
Quello che forse più brucia nel sentimento del “Gigante buono” tuttavia, è aver perso il titolo di “Battistrada” dell’Union Jack, perchè a fine stagione stavolta è terzo inglese dietro al redivivo Haslam e a Niall Mckenzie: scivolone cristallizzato nella esclusione del ragazzo dalla Squadra inglese del “transatlantic Trophy” di quell’anno dopo tre partecipazioni consecutive.
Ultimi sprazzi in Classe 500 ma un allievo formidabile per Big Rob: KEVIN !!
Pazienza, l’anno finisce dietro le spalle e Mc Elnea si accasa di nuovo alla Suzuki Pepsi, con un compito niente male: fare da chioccia ad un certo Kevin Schwantz, scavezzacollo americano arrivato in Europa ma poco incline alla disciplina ed al cameratismo in squadra, ed infatti nel biennio 1986/87 con Frankie Chili le performances erano state deludenti.
Big Rob, che come già ricordato aveva avuto un passato giovanile da Fabbro negli impianti industriali di Scunthorpe(centro siderurgico tra i più importanti in Gran Bretagna) cerca di educare lo Yankee a modo suo, cioè anche con sonori schiaffoni.
E ci riesce, a giudicare dal Palmares di Kevin.
E lui, Big Rob, che aveva trovato la fama per la prima volta sulla Heron Suzuki vincendo tre gare del TT all’Isola di Man nel 1983 e nel 1984, continua come un motopeschereccio inarrestabile a “dragare” risultati Gara per gara da Compagno di Squadra di Kevin, per poi chiudere la sua epopea nel Motomondiale con la “Cabin Honda”; mentre però il texano comincia ad avere un effetto “molla” sulle sue performances passando passo passo alle posizioni di testa, Big Rob rimane fedele alla decima Posizione collezionando ben VENTUNO arrivi tra il nono ed il dodicesimo Posto in due Stagioni.
Per questo, arrivato alla soglia dei 30 anni e comunque ancora giovane per un pensionamento, decide di passare la mano, ma non di chiudere con lo Sport: è primo nella Superbike inglese, Categoria F1, con la Yamaha Loctite nel 1991, ci va vicino l’anno dopo ma un pesante infortunio lo costringerà al ritiro da Pilota nel 1993.
Dopo di che ad High Street, Scampton (Linclonshire) prende vita un suo Team destinato a scoprire e lanciare bei talenti.
Oggi “Big Rob” è un tranquillo (si fa per dire) uomo d’affari che ha definitivamente abbandonato la vita da “Frontman” agonistico, ed a 64 anni si gode anche i ricordi e la fama meritata di essere stato uno dei quindici migliori piloti inglesi a due ruote di tutti i tempi.
Ed io, per la grinta e le emozioni che mi ha regalato guardando la Classe 500 anni ’80 lo ringrazio da ex ragazzo (io) “oversized” innamorato della moto, anche perche’ in effetti lui è stato un po’ il nume tutelare di tutti i cicciottoni in sella come me, all’epoca, quando la taglia massima delle tute in pelle era la “Super Slim”…
Prima o poi, promesso, penso che andrò a trovarlo a Scunthorpe. Per ora ve l’ho presentato per come io l’ho tifato quaranta anni fa; e spero di non averVi annoiato.
Riccardo Bellumori