Il Rally della Regina Elisabetta: Safari Rally compie 70 anni

L’Africa dei motori racconta tre storie di avventure ormai lontane nel tempo. I Rallyraid come la “Paris Dakar” sono stati fin troppo documentati e raccontati. Ad Autoprove rimangono solo due storie meno note da raccontare: quella dei “peugeottari” e quella del rally africano forse più leggendario della storia, insieme a quello della Costa d’Avorio (Bandama). Proviamo a raccontare le vicende meno conosciute partendo dal Safari Rally ed in parte il Bandama.

Regina Elisabetta e Safari Rally – Quando compirà 70 anni nel 2023 sarà orfano della sua Regina. Il “Safari Rally” infatti era nato originariamente come “East African Coronation Safari”, attraverso una fondazione nata l’anno precedente per festeggiare, da parte di un ex Colonia dell’Impero britannico, l’incoronazione della Regina Elisabetta II (che, ricordiamo, avvenne un anno dopo l’avvicendamento della stessa al padre Re Giorgio VI, deceduto appunto nel 1952; e proprio nel 1953 si tenne la prima edizione.

Il Rally iniziò come kermesse/vetrina celebrativa soprattutto per avvicinare il Motorsport europeo ad un mercato in via di sviluppo: infatti dal 1953 fu slegato da contesti agonistici organizzati, in quanto il mondo internazionale dei Rally offriva il Torneo Europeo dal 1953, e solo nel 1970 nacque il Campionato Internazionale Costruttori al quale fu subito “agganciato” il Safari Rally. Piccolo almanacco storico: dal 2002 ad oggi, lungo 20 edizioni, la gara è stata inserita nel solo Campionato Africano Rally, per due volte non ha avuto alcun contenitore Iridato ufficiale; infine due edizioni sono state iscritte nell’Intercontinental Rally Challenge – IRC (torneo organizzato dal 2006 dal 2012 per fondersi con l’ERC nel 2013). Ovviamente tre edizioni in Calendario, il 2002 e le edizioni 2021/2022, sono inserite nel WRC.

L’avventura vera: finire la Gara era già una vittoria

Purtroppo spesso ci capita di descrivere degli “Stargate” storici: fino a “prima di Internet” il calendario delle Gare automobilistiche mondiali – ed in particolare i Rally – erano anche l’occasione per il pubblico di mettere un occhio su confini inarrivabili, e con ben due rally africani le riviste e le trasmissioni televisive rimandavano foto e panorami unici, tra savane e tramonti attraversati da auto circondate dalla polvere. Il Safari si dilungava per 5000 Km tra Nairobi, il lago Naivasha, la Great Rift Valley, il lago Elmenteira tra guadi e paludi, strade di sabbia, e variabili climatiche estreme tra tifoni, sole bruciante, escursioni termiche tipiche del panorama desertico. Ma soprattutto per i tifosi che seguivano il Circo iridato quei due Rally africani erano l’occasione per ammirare in foto o negli speciali TV alcune auto che mai si sarebbero ritrovate in vetta a Gare europee degli anni ’70 od ’80: Datsun Violet, Mitsubishi Galant, Toyota Corolla ma anche VW 416 o la transatlantica Mercedes 450. In particolare non lasciatevi ingannare dall’abitudine: le giapponesi che oggi dominano nel WRC dovettero attendere sino alla metà degli anni ’80 per cominciare a esprimere i loro “acuti”……

Africa: dietro l’emozione, spuntava la tragedia

La Gara, tradizionalmente, prima della istituzione delle Prove speciali era un percorso aperto all’esterno tra motorini e biciclette, carovane di lavoratori ed autobus, ma soprattutto l’incognita della fauna locale che d’improvviso si parava davanti alle auto in corsa……Davvero una macelleria automobilistica dalla quale uscivano solo le vetture che resistevano alla macinatura della sabbia, agli urti con le dune, all’esplosione dei motori spinti al massimo, alle temperature oppure alle fatalità che quei terreni tenevano sempre dietro l’angolo. Tra le tragedie che il Safari annovera ne ho rintracciate alcune, ma credo siano parziali, tra il 1957 ed il 2002. Il Bollettino ricorda 10 vittime tra spettatori, passanti e semplici residenti; cinque Piloti e sei meccanici, oltre a quattro membri di Staff tecnici delle Squadre, e persino tra le vittime un poliziotto. Tra le tragedie più impressionanti, lo scontro a Mombasa tra l’auto di servizio di una Squadra al seguito di un’auto che prese in pieno, dopo una duna, un camion; e l’annegamento nel 1996 di tre meccanici che cercavano di superare un guado…..

Vincere in Africa: un primato “triste” per il dominio del mercato

Eppure nella durezza e drammaticità del Safari ed in genere dei Rally africani si materializzava un obbiettivo concreto e molto poco “sentimentale” dei Costruttori Automotive. Tutto quello che appare romantico ed avventuroso in Africa nasconde infatti una faccia “triste” in ombra : un giorno racconteremo la saga epica e tragica dei “Peugeottari”. Ma una cosa è certa: l’Europa dei Costruttori ha sempre cercato una vetrina di spicco per apparire in un mercato che già negli anni ’60 proiettava (potenzialmente) 5 milioni di nuove immatricolazioni favorite soprattutto dai rapporti coloniali ancora forti. Non a caso il primo blocco occidentale di Costruttori in Africa era francese. In un mercato che ha il primato di auto di “ennesima mano” (l’UNEP ha recentemente denunciato che da Europa, USA e Giappone arriva ordinariamente il 40% dei modelli vecchi dismessi in Occidente e riciclati in Africa appunto, con punte anche di 5 / 6 milioni di pezzi all’anno).

In un Continente nel quale – a parte gli Stabilimenti dei Costruttori esteri – i Marchi autoctoni sono davvero un infinitesimo (tra gli altri la Kvm, Innoson, Ghana Turtle, kantaka, Kiira, e pochi altri) rispetto al resto del mondo, la speranza dei brand di UE, USA e Giappone si stringe intorno all’usato, unica arma al momento per opporsi alla minaccia di espansione dei “soliti” cinesi. E meno male che alla luce del reddito medio disponibile non è al momento pensabile una vendita di massa di auto nuove, e che il mercato usato in Cina non ha esuberi da riversare al di fuori.

Ma mentre al momento sono i Costruttori tedeschi a lanciare l’assalto al mercato africano (recente un accordo tra l’associazione dei marchi tedeschi VDA e l’associazione locale AAAM per lo stimolo produttivo e l’avvio di Joint Ventures), il Business dell’Usato e dei ricambi è guidato dai Giapponesi. Secondo una ricerca di un Dealer locale, il 90% dei veicoli importati in Africa, ad esclusione del SudAfrica, è giapponese, di anzianità media 8 anni, acquistati online a prezzi che vanno dai 6.000 ai 15.000 Dollari.

Il Giappone, leader in strada ed in Gara in Africa

Dunque a tutt’oggi, tra vecchie auto, Pickup e antesignani dei Suv sui quali il Giappone offre da mezzo secolo il primato produttivo, è chiaro che il Sol Levante oggi assume un ruolo di leader sia nella consistenza di auto giapponesi sulle “strade” africane (ovviamente usate) sia quello che si. Guardiamo, tornando al Rally Safari, le statistiche lungo 70 anni e come si sono espressi i diversi Costruttori. Abitudine, questa, che Autoprove continua ad esprimere con dovizia e diligenza.

Pensate che la prima vittoria internazionale di un Marchio giapponese nei Rally (anzi: doppietta con primo e secondo posto) avviene nel 1970 proprio al Safari nel quale vince la Datsun 1600 SSS (4 mt. lunghezza, peso 965 Kg., 1600 cc. 130 Cv): quella vetturetta fu addirittura celebrata in un film “Safari 5000” realizzato proprio in Giappone ed aprì la strada alla continuità agonistica della Datsun nei Rally. Sapete come finì quella edizione?  Nei primi unici 19 arrivati alla fine troviamo 6 Datsun, 8 Peugeot, una Toyota, ed addirittura una Alfa Romeo Giulia…

Ma soprattutto quella vittoria fece da apripista per una vera e propria leadership storica al Rally Safari: su 60 Edizioni corse sino ad oggi, i Costruttori occidentali sono fermi a 27 vittorie contro le 39 dei Marchi giapponesi !!!

La Mitsubishi vince il “mal d’Africa”

Tra i marchi giapponesi è la Mitsubishi a primeggiare con 19 edizioni Safari vinte, contro le 10 della Toyota, le 7 della Datsun (ormai scomparsa) e le 5 della Subaru.  Il primo marchio europeo presente è la Ford, seguono Mercedes, Lancia e Volkswagen con tre, ed infine un nugolo di europee con una vittoria sola.

Le curiosità e gli anniversari al Safari Rally

L’ultima vittoria di sempre per il classico “Maggiolone” Volkswagen nei Rally internazionali arriva al Safari Rally edizione 1962 al termine di una serie di quattro centri. L’ultima Gruppo B a vincere per sempre con uno schema “classico” (motore anteriore, trazione posteriore) senza turbocompressore è la Opel Ascona 400 nel 1983.

I “plurivincenti” al Safari: spiccano i “nordici”

A parte lo specialista di sempre, cioè l’indiano Sheckar Mehta che ha vinto – ancora imbattuto – cinque edizioni del Safari ma che, a differenza degli altri piloti, si preparava tutto l’anno solo per le competizioni africane; oppure eccezion fatta per Carl Tundo, nato a Nairobi; a guidare la pattuglia dei plurivincenti europei sono il grande Bijorn Waldegaard (4 vittorie al Safari) oltre a Kankkunen ed il britannico Colin Mcrae con 3 vittorie.

Appendice “africana”: il Rally Bandama.

Abbiamo appena il desiderio di aprire una finestra sul “cugino” Rally del Bandama o meglio Costa d’Avorio, per 15 volte iscritto nel Mondiale Rally tra il 1978 ed il 1992. Denominato “Bandama” perchè si corre sulle strade della omonima Regione. Qui siamo in piena ex-colonia francese, e dunque tra Inghilterra e Francia si combatte una sottile guerra parallela su quattro ruote……La prima edizione è del 1969; nell’edizione del 1972 nessun partecipante riuscì ad arrivare al traguardo, e dopo il 1992 la Gara è iscritta al solo Campionato africano, anche per le tensioni geopolitiche che mettono a repentaglio il continuo e regolare svolgimento. Tuttavia nonostante le tensioni e l’esclusione dal circuito del Mondiale Iridato, ancora oggi anche il Bandama rimane nell’ottica dei Costruttori ufficiali. Come detto l’edizione del 1972 è l’unico Rally internazionale del Dopoguerra senza un solo partecipante a finire. Su 43 equipaggi (10 Peugeot, otto Renault, cinque Citroen DS, ed alcune Datsun, ed altre), a fine della terza tappa solo undici vetture erano rimaste in Gara. Dopo la quarta tappa il duello si limitò agli ultimi due davvero esperti di Rally africani: Tony Fall (che per ironia della sorte spirò nel mentre stava organizzando un evento storico proprio al Safari Rally) su Peugeot 504 e Sheckar Mehta su Datsun. Come se non fossero abbastanza gli ostacoli in Gara, imperversò un acquazzone tale da far affondare i due nel fango da cui uscirono aiutandosi l’un l’altro. Mehta, per lo sforzo e la tensione, fu colto da un colpo di sonno e abbandonò la gara. Ma la “tragicommedia” doveva ancora arrivare. Gli ultimi due rimasti (Fall e Mehta appunto) si erano a tal punto attardati nel superamento del fango che quando Fall, unico rimasto, arrivò primo al traguardo……..trovò solo i suoi meccanici. Gli organizzatori ed i Giudici di Gara avevano decretato la fine della Gara senza attendere nessuno, convinti che tutti i Piloti si erano ormai ritirati; e fatte le valigie erano ripartiti…..Altri due record assoluti conseguiti al Bandama: l’ultima vittoria di sempre di una vettura a schema tradizionale (1988, Ambrosino, Nissan 200X  con motore anteriore e sola trazione posteriore); la prima di sempre per la Volkswagen Golf nel 1987; la prima ed unica vittoria di sempre per una vettura “Gruppo N” e contemporaneamente l’ultima di sempre per una vettura a sola trazione anteriore: la Renault “Supercinque Turbo”.

I“Re d’Africa”: Mitsubishi e Bijorn !!!!

Vi ricordate le classifiche fatte per il Rally Safari? Bene, in modo un poco irrituale aggiungiamo le sole 15 edizioni iridate del Bandama: 23 vittorie totali dunque in terra africana per la Mitsubishi; 13 alla Toyota, 9 alla Datsun, Ford 7; mentre Subaru rimane a 5 e si appaia alla Mercedes- Poi tutte le altre dopo Volkswagen con quattro e Peugeot con 3 vittorie. Ma con le tre vittorie al Bandama un grande campione come Bijorn Waldegaard si conquista un meritato titolo “ufficioso”: è il Re d’Africa con sette vittorie mondiali tra Safari e Costa d’Avorio. Nessun altro come lui!!!

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