Andava tutto bene o quasi a Motorilandia, in Italia, fino alla fine degli anni Ottanta: Fiat aveva fatto shopping dei Marchi nazionali una volta concorrenti, e la politica del Pentapartito era ancora in sella al Belpaese.
Le frontiere di Est Europa e Cina si aprivano, e superato il sistema di gestione di Vittorio Ghidella, il nuovo asse di comando Romiti/Cantarella dettò il nuovo palinsesto strategico: il problema non era l’esistenza di stabilimenti nati per favorire il mercato dei voti elettorali e sindacali (Termini Imerese, Pomigliano d’Arco, Pratola Serra, ed altri) con la effettuata o programmata chiusura di centri di eccellenza a Nord (Desio, Lambrate, Borgo San Paolo……); no, il problema era ben altro e nasceva dall’Input dirigenziale di raggiungere la chimera della “Qualità Totale” in un sistema produttivo come quello raggiunto all’epoca dal Minestrone chiamato Gruppo Fiat.
Bene, le vendite crollarono, Romiti & Co cominciarono a fare shopping dentro Fiat di aziende di Food e GDO (oltre che di Redazioni di giornali) e l’iconografia commerciale e sportiva di Marchi come Alfa, Lancia, Autobianchi fu lentamente cancellata opponendo auto “Commodity” ad un mondo che cominciava a costruire e preferire i “Brand”. Senza contare che con la famosa controscalata di Continental alla Pirelli l’Italia di inizio anni Novanta aveva già avuto la sua prima cinquina in faccia.
Una lenta decadenza del Paese, coperta dal “Benaltrismo”
Poi ad inizio anni Novanta, con le frontiere doganali abbattute ed una esposizione del sistema Italia alle correnti di burrasca della finanza internazionale puntata contro la Lira, con l’Italietta di Mani Pulite messa alla berlina dalla politica europea, il problema non fu di cedere alla concorrenza tedesca un vero patrimonio del futuro prossimo mercato di massa del Diesel, cioè il Common Rail di Magneti Marelli oltre ad una prima infornata di Aziende un tempo detenute o controllate dallo Stato e che erano un piccolo patrimonio industriale; no, il problema era ben altro: proteggere l’Italietta e l’Europa dal pericolo di invasione giapponese.
Infatti dal Giappone l’Italia dell’auto ha ricevuto nel tempo almeno quattro milestones (la prima Mitsubishi industrializzata di inizio secolo ‘900 fu una Fiat 508 su licenza, l’Alfa Romeo Nissan, lo stabilimento Honda di Atessa, e successivamente l’accordo Fiat / Mazda sulla “124”) mentre dalla Germania ancora ricordiamo i calci in faccia della Signora Merkel…..Nel frattempo l’Italia dei Brevetti e dei Distretti di eccellenza cominciava a franare. E anche in quel caso il problema era ben altro: era liberare l’Italia dal cancro della corruzione. Che a quanto pare è rimasto, mentre i Distretti sono beatamente scomparsi. Come nel breve lasso di un quarto di secolo – una dopo l’altra – l’Italia ha visto spegnersi, fallire o passare di mano il patrimonio dei Centri e delle Firme di Stile dei Carrozzieri che avevano fatto grande il Design auto italiano nel mondo.
Poi, verso la fine degli anni Novanta, con l’era dell’Ecoincentivo rottamazione di Bersani il problema non fu l’invasione e l’ingerenza perniciosa dei Marchi Costruttori dentro al mondo dei Dealer, con la proliferazione di schemi di vendita evangelici e l’esposizione finanziaria ed imprenditoriale di centinaia di famiglie impegnate storicamente nella distribuzione commerciale auto; no, il problema era ben altro: era la esigenza di svecchiare il Parco Auto e rendere il Bel paese sempre più ecologico e moderno….Di fatto una parte importante dei Dealer storici sul territorio è fallita per sovraindebitamento prima ancora di vedere la famigerata esplosione dei due milioni e mezzo di immatricolazioni in un anno
E se da inizio anni Duemila le “Survey” vere (non le decine di veline statistiche fatte ad arte ed a vuoto per compiacere il Committente di turno, come accade oggi) di settore gettavano l’allarme sulla piena incapacità della Rete Dealer nazionale di saper “marginare” e creare Business anche sul Post Vendita e sui Ricambi (a differenza dei principali Partners europei) puntando tutto il risultato operativo sulla vendita di auto e sul finanziato, il problema non era certo quello: il problema era ben altro, e cioè avviare una guerra sui listini e sui margini finalizzata a far cadere dalla torre i Dealer più deboli, tappezzando il territorio di Showrooms inutili e dispendiosi perché, nel frattempo, il concetto legislativo del Commissario UE Mario Monti – che aveva fatto presa sui Dealer – era solo quello relativo alla abolizione delle esclusive di zona e non quello – alla lunga sistematicamente più pernicioso – della parificazione tra OEM e IAM nella offerta di Componenti e Servizi al consumatore finale.
Di fatto ancora oggi, in Europa, il Dealer italiano è quello meno capace di creare valore, margini e operatività su vendita Ricambi, Servizi postvendita, Assistenza e fidelizzazione del parco Clienti in Officina. Ma il problema, anche qui, è quello che a macchinetta ripete ogni anno la illustre Associazione di Categoria dei Dealer italiani: il problema è che servono gli ecoincentivi.
L’Italia affonda a due, tre, e quattro ruote. Ed oggi anche sui pluriasse (Trucks)
Nel frattempo, non è che nel settore del ciclo e motociclo le cose andassero molto meglio in Italia dopo la cancellazione dei valichi doganali di frontiera e dei dazi su cui la nostra Industria aveva fatto fortuna: facciamo un rapidissimo excursus su un mondo che a fine anni Ottanta contrapponeva tre Gruppi Italiani tra i primi cinque in Europa e tra i primi dieci nel mondo che ancora si contava entro i confini occidentali.
Piaggio era la realtà industriale più solida, vantando non solo un mercato a prova di crisi ma anche una espansione che ne aveva già fatto il primo Costruttore estero in India ed altre aree dell’altra parte del mondo.
Ma Piaggio, bontà sua, scontava davvero molto marginalmente l’effetto concorrenziale dell’Industria giapponese, dato il suo prodotto esclusivo.
Un po’ meno solida tuttavia appariva la situazione all’atto della abolizione delle Dogane intraeuropee e del superamento della vecchia legge De Tomaso sui superdazi ed i contingentamenti delle importazioni: il mercato italiano viene così in poco tempo invaso da Scooters orientali di basso costo.
Quella che piano piano finisce in una palude è senza dubbio Cagiva, forte di un monopolio elettivo nazionale rinforzato da una esplosione finanziaria e commerciale che in poco tempo mostra tutta la debolezza di un cashflow in crisi e di una struttura industriale molto poco consolidata. Uno ad uno i principali Marchi del Gruppo Cagiva vengono ceduti da inizio anni Novanta accentuando l’ingresso di Gruppi di controllo internazionali.
Il Gruppo De Tomaso si smonta lentamente, con la separazione proprietaria tra Benelli e Moto Guzzi, ed una significativa ristrutturazione che se da un lato “svecchia” e trasforma una strategia originaria non proprio incisiva del vecchio Patron argentino; dall’altro con l’uscita dal capitale azionario della Finanziaria pubblica GEPI si riducono cashflow e fondi per nuovi investimenti.
Quando parliamo del calo di occupazione e industrializzazione del mondo auto, è perché ci vergogniamo a esporre le cifre della desertificazione del settore industriale nazionale a due ruote. Ma il problema anche qui era ben altro.: contro una nuova concorrenza a basso costo proveniente dall’Asia, il problema non eraquello di proteggere la galassia di piccoli marchi Costruttori favorendo operazioni sane di M&A e supportando molte aziende ad un rinnovamento tecnologico ed al superamento del metodo di lavoro vetero artigianale. Ma no, anche in questo caso il problema era ben altro: era quello per l’opinione pubblica e per la stampa di rendere l’Italia europeista aprendo il mondo degli appalti pubblici ai Marchi esteri e di tirare la volata alla New Age dei Sindaci rampanti, quelli che con lo Scooter erano allo stesso tempo efficienti ed ambientalisti. Nel giro di un lustro l’Italia ha perso DECINE di Marchi nazionali attivi nel motociclo leggero e nella mobilità urbana.
Già, i Marchi nazionali: sono decine anche quelli che per declino, malagestione o obsolescenza diventano diritto commerciale di investitori e Imprenditori esteri che qui da noi fanno uno Shopping fortissimo di vecchi e nuovi Brand e Marchi.
Ma anche in questo caso il problema non fu di tutelare un patrimonio storico imprenditoriale unico al mondo; no, il problema era ben altro: quello di favorire a tutti i costi personaggi e rider industriali che portarono al fallimento ed al pregiudizio Marchi anche storici di grande fama. Tra anni Novanta e metà del nuovo Millennio progetti ventilati od appena iniziati di rilancio di Marchi storici finiscono al macero (vedi i casi esemplificativi di Giuliano Malvino – Isotta Fraschini, e di Rossignolo – De Tomaso, ma l’elenco è davvero lungo).
Scappano i Marchi storici, arriva Marchionne, potrebbe cambiare l’Italia. No.
L’Italia diventa suo malgrado terra di commodities a quattro ruote, salvo il tentativo riuscito di Montezemolo su Ferrari e soprattutto Maserati. Lamborghini, Bugatti, Ducati, ed altri prendono residenza ed HeadQuartersall’estero.
Arriva Marchionne, scomparso Gianni Agnelli, e tenta di ricostruire una dimensione Fiat disastrata.
Ed anche là il problema non è aprire il dibattito, ma ben altro: si tratta di ricostruire, a beneficio di CGIL e di talune Redazioni di giornale, un clima da anni Settanta solo per provocare un anacronistico muro contro muro “Padroni contro operai” anche se le Assemblee operaie ed i Congressi degli iscritti della FIOM degli anni Duemila, rispetto agli anni Settanta, si potrebbero tenere dentro una cabina telefonica
Dopo il Crack Lehman Marchionne compie l’operazione Fiat / Chrysler, una delle più poderose fusioni a livello mondiale di inizio del nuovo Millennio mentre a livello internazionale la politica italiana interna non è che affronti una benevolenza generalizzata: il “corpo estraneo” Berlusconi continua anche con suo apporto comportamentale personale, ad essere lo zimbello degli Statisti e dei Governanti europei.
Ebbene, anche in quel caso il problema di politica e sindacati non è quello di supportare un’Italia tornata improvvisamente e potenzialmente grande, no: il problema è ben altro, ed è quello di continuare il pingpong e le frecciate su Fabbrica Italia, sulla Multipla che è un cesso, sulle diatribe sindacali nostalgiche degli anni Settanta, e sul Governo delle Olgettine.
Dopo il crollo di immagine del Governo del Cavaliere, il Bunga bunga, gli sberleffi franco-germanici e l’arrivo dell’uomo della Provvidenza Mario Monti, il problema del mondo auto non è in fondo quello di riportare al centro del mercato il concetto sacro e virtuoso della proprietà tradizionale, mitigando gli effetti devastanti che il credito a pioggia ha portato nel rapporto tra Dealer e Cliente potenziale. No, anche in quel caso, fino all’esaurirsi dell’onda negativa del Crack Lehman e del Credit Crunch il problema è ben altro.
E consiste nel tentare di frenare l’emorragia di immatricolazioni in calo e di proposte di finanziamento rigettate, promuovendo oltre ogni ragionevole prudenza e decenza tutto quello che può essere alternativo alla proprietà.
La Proprietà dell’Auto? E’ un peccato. E poi ci lamentiamo dei nostri giorni
Car Sharing, da grande promessa a grandissimo flop; e poi i progressi sempre omeopatici del Noleggio italiano a confronto di GB; Spagna, Francia e Germania; i. Rentto Rent, e poi la grande fuffa del Pòoling aziendale mai divenuto cosa concreta. E si inizia già a parlare di Smart e micromobility con Scooter ed e-Bike. Insomma, il circo mediatico, i Dealer, gli Stakeholder si spellano le mani ad applaudire a turno le grandi invenzioni contrattuali e similfinanziarie della mobilità interinale, fatta di mordi e fuggi offerto solo apparentemente agli automobilisti per affrontare Centri Urbani e mobilità agile, o per surrogare con il Noleggio gli incagli di istruttorie finanziarie bloccate dal Credit Crunch.
Ovviamente, anche in questo caso la visione di brevissimo periodo fa pendere il “benaltrismo” su posizioni tendenzialmente perniciose: invece che sollevare, tutto il sistema auto, una levata di scudi verso il Governo in tema di regolazione fiscale impari tra Proprietà e noleggio, invece che invocare la Garanzia di Stato sui finanziamenti auto richiesti da una larga fetta di Clienti residenti in Italia; invece che sollecitare il Governo a promuovere una nuova cultura nei rapporti tra Automobilista e fiscalità, il “Think Tank” del mondo auto nazionale decide che il problema è ben altro: ed è quello di garantire con sistemi e strumenti che a lungo termine l’Italia rigetterà il minimo sindacale di immatricolazioni annue rese possibili dagli acquisti delle Captive legate ai Marchi Costruttori. Una eresia, che inizia ad accumulare Usato invenduto nei piazzali e che cristallizza nell’automobilista italiano l’idea che “Possesso è meglio di proprietà”, “Nolo è meglio di acquisto”, “meglio cambiare,no?”. L’idiozia Woke e bimbominkiasta insita in questo tam tam mediatico ci porta alle “survey” insensate di questi ultimi anni. Mercato LCV in crisi e contemporaneamente Boom dell’affitto a breve di furgoni; migliaia di autoimmatricolazioni Captive che iniziano a rimanere nei piazzali per il crollo verticale dello Sharing (grande promessa franata miseramente ad onta dei mille Convegni e del battage pubblicitario che la stessa Aniasaaveva a suo modo promosso a partire da una decina di anni fa.
I Dealer falliscono? Il Benaltrismo punta dritto all’ E-commerce
Gia, Piazzali e Dealer. Mentre incombe il nuovo Codice del Consumo, ed i Clienti sono molto più accorti ed esigenti per effetto della crisi, i primi “cedimenti” della Rete Dealer (fallimenti, chiusure improvvise, fughe con tutta la cassa Clienti, etc..) portano alla ribalta la fragilità di un sistema che rimane l’unico all’epoca titolato a “custodire” e movimentare le auto dei clienti e sul quale tuttavia i Mandanti in crisi riducono il supporto logistico e finanziario. Ecco che dunque gli Showrooms diventano ambiente coreografico per la vendita di “laqualunque” abbia una attinenza con la mobilità: quadricicli, scooters, eBike, ma anche la moltiplicazione dei mandati e l’avvio di attività porta a porta. Tutto in funzione di un sostegno al Cashflow ed alla operatività in crollo.
E però, mentre il 50% dei Punti vendita che erano sul territorio alla data del 2007 chiude per sempre, il problema non è quello di promuovere ed appalesare la tenuta e la garanzia di solidità del sistema di Rete dei Dealer. No: il problema inquadrato dai Guru e da formatori e Coach rimasti disoccupati è ben altro, è quello di governare l’irrefrenabile ed ineluttabile transizione dei Dealer verso il Web e l’e commerce.
Il Post vendita, Service e Componentistica. Dove si perdono davvero i miliardi.
Ma non sia mai che ogni tanto pensiamo anche a chi le auto le ripara e non solo le vende: perché come già ricordato il sistema auto nazionale è già di per sé poco disciplinato nella cura dell’auto, decisamente creativo nella ricerca di soluzioni alternative e di basso costo alla manutenzione ufficiale, e per ultimo vittima di un far west sulla componentistica usata e da rottamazione. Nel frattempo le eccellenze italiane della rettifica, della rigenerazione e dell’autoriparazione / Carrozzeria cominciano un lento declino causato dal crollo della domanda, dalla accelerazione del trend di aggiornamento della produzione auto, e soprattutto dalla crescente difficoltà di accesso alle informazioni ed ai dati OEM per la riproducibilità e la riparazione.
Intanto la concorrenza dei Paesi a più basso costo di servizi e componentistica IAM si fa sempre più graffiante, come finisce per essere una spina nel fianco la piaga della contraffazione ma anche la concorrenza del circuito meno “ortodosso” della rottamazione auto.
Ma se questo avviene, da parte di analisti e della politica nazionale il problema non è quello di promuovere politiche attive per la formazione, l’inserimento e il ricambio generazionale tra gli operatori, od il supporto nella implementazione tecnologica. No, il problema anche qui è ben altro: è quello di rimpinzare le officine di Courtesy Car e di aumentare le sempre meno convenienti convenzioni tra Autofficine indipendenti e Reti Ufficiali (Dealer, Noleggiatori, etc.) di distribuzione e commercio auto.
DieselGate, Elettrificazione: ma il problema sono colonnine ed ecoincentivi
Da un certo punto in poi dopo il buio profondo della crisi post Governo Monti (l’unica Stagione dall’epoca della crisi energetica dei primi anni Settanta in cui tutte le voci contabili del mondo Automotive ha avuto segno negativo) l’Italia cerca di vivere una nuova primavera. Governo Letta ma soprattutto Governo Renzi attivano supporti e sistemi di sostegno alla ripresa dei consumi.
Dal lato Automotive al ritorno alla tassazione fiscale delle storiche con età inferiore a trenta anni il Governo Renzi porta alla ribalta il sistema nuovo degli ecoincentivi legati alle soglie di emissione da un lato e dall’altro (sul versante B2B) porta alla nascita dell’Iperammortamento: escamotage tramutato in moltiplicatore di autoimmatricolazioni, molte delle quali aprono la strada alla prima elettrificazione BEV della Flotta dei Noleggiatori e delle Captive.
Ma nel frattempo irrompe il DieselGate, dentro un Paese in cui VM di Cento è ancora e sempre un vanto nazionale; e di fronte a questo nessun media, politico né opinion Leader nostrani alzano la voce per cercare di frenare una deriva disfattista e soprattutto sempre più evangelica verso l’elettrico.
Risultato: invece che proteggere simboli anche nazionali, i problemi in Italia sono ben altri: costruire una Rete infrastrutturale di ricarica degna di tutti gli altri Paesi più attrezzati e promuovere il verbo di Elon Muskcriticando Marchionne che non lascia FCA libera di percorrere la via alle Emissioni Zero. Infatti la FCA di Marchionne era molto più solida di questa Stellantispseudo elettrica.
Il risultato è chiaro fino ad un attimo prima del Lockdown: Il Paese che lentamente ha lasciato che intorno a sé cadessero in disgrazia ambiti e culture di riferimento per l’Italia nei tempi di un passato prossimo ancora vicino, e che sulla base di quel patrimonio perduto avrebbe potuto sul serio essere un ponte importante per la ripresa di tutta l’Europa dell’Auto post Lockdown, rimane invece ancorata al palo dalla crisi legata alla carenza di microchips,alla subalternità rispetto alla UE sulla transizione ecologica e rispetto alla Germania sui carburanti alternativi. Ma sia ben chiaro, anche in questo caso: la mobilità elettrica è roba troppo seria perché ad occuparsene sia un’Impresa nazionale. E così quella Micro-Vett prima Azienda italiana ad occuparsi di mobilità elettrica massiva; quel marchio emiliano romagnolo che per primo aveva elettrificato Piaggio Porter e Fiat 500, chiude per fallimento benchèrisulti creditore verso alcuni Enti Locali di somme ben più alte di quelle contestate dagli istanti fallimentari. Ma il problema è ben altro: non è tutelare e proteggere un Marchio italiano famoso nel mondo, ma è quello di confermare la famosa “Clausola di Stabilità” del Governo che autorizza i Comuni a non saldare i creditori a fronte di dissesti di Bilancio.
Attaccare Tavares sullo stipendio ma non disturbare il manovratore
Nel frattempo la FCA incontra PSA e fonda Stellantisdiventando un Big Player dalle tinte in chiaroscuro: poco elettrico, Brand da rinnovare e rilanciare, patrimonio dismesso ed una netta sensazione al giorno d’oggi; Tavares o ha toppato clamorosamente venendo pagato profumatamente per i suoi insuccessi, oppure aveva solo bisogno di tempo; oppure al contrario ha trascinato Stellantis nelle sabbie mobili con un chiaro intento predefinito con la alta proprietà del Gruppo. Ora bisogna solo capire il movente, e da là si capirà chi è stato davvero l’assassino.
Perché ad esempio non è chiaro come mai di Tavaresnessuno abbia men che meno contestato (Autoprove a parte) la decisa azione liquidatoria di pezzi importanti del patrimonio logistico e strumentale di FCA (Impianti, Magazzini, Reparti ex Mopar, etc…) consentendo chiusure, dismissioni e delocalizzazioni di cui il tessuto produttivo nazionale avrebbe avuto forte esigenza.
Attività liquidatoria che si spinge ultimamente alla minaccia di chiudere Atessa,che della ex FCA è diventato nel tempo un fiore all’occhiello europeo nella produzione di LCV.
Eh, ma anche solo fino all’Autunno scorso il problema non era tentare un fronte di obiezione e pacifica contestazione collettiva e generalizzata di questo processo di dismissione: il problema era ben altro, cioè formalizzare pubblico disprezzo nei confronti dello stipendio stellare dell’ex stellatico CEO di Stellantis.
Il sottoscritto rimane tetragono su una opinione ed una proiezione: Stellantis non è una fusione né una alleanza né un Gruppo, strategicamente parlando. E’ un “rassemblement”tipicamente alla francese, un raggruppamento di scopo di cui l’Italia a mio avviso farebbe bene a comprendere ed a prevedere lo scopo. Secondo me la continua erosione e riduzione del potere e del patrimonio operativo della ex FCA in Italia può solo che anticipare la prossima dismissione di Marchi. E su questo, legittimamente, mi sono già esercitato in una ipotesi di cessione Alfa Romeo a Renault, di Lancia a Daimler Mercedes, mentre Maserati è troppo iconica e divisiva per essere ceduta “palesemente”.
Ritengo più plausibile nel medio termine una sorta di “compressione” industriale e produttiva tra DS e Maserati per una nuova articolazione di piattaforme comuni, e alla mia previsione che “questa” Stellantis” abbia il futuro segnato da uno scioglimento, Maserati rientrerebbe nella separazione dei beni a PSA, in cambio plausibilmente di una ennesima ipotesi di fusione tra Fiat ed Opel per una sorta di colosso generalista. Cosa che, se davvero dovesse realizzarsi, porterebbe Corso Marconi dritto nelle mani di un promesso sposo quasi eterno, localizzato in India…..
Aftermarket in crisi, produzione al palo, vendite giù; ma il problema è il prezzo
Ed arriviamo alle statistiche, fredde e implacabili. Dal periodo d’oro delle vendite finanziate ed ecoincentivatedi circa venti/quindici anni ad oggi, la media annua di immatricolato nuovo ha perso molto più del mezzo milione di clienti che tra fine anni Novanta al 2007/2008 ha regalato ai Dealer circa due milioni di nuove targhe all’anno; mentre l’ultimo quinquennio sfiora a malapena il milione e mezzo all’anno di immatricolato. Dicevo: il mercato non ha perso solo quel mezzo milione all’anno mediamente di pezzi targati; e questo sarebbe perfettamente congruo con la riduzione del potere di acquisto, il Credit Crunch, la confusione che regna sovrana nel futuro dell’Automotive europea tra solo dieci anni. Sarebbe cioè puramente comprensibile che lo scenario espresso sia di ostacolo per almeno mezzo milione di anime all’anno di automobilisti che disertano gli Showroom e non comprano. Anzi: potremmo riflettere sul fatto che una perdita così limitata dovrebbe essere vista come una buona notizia visto il tiro al piccione che il contesto attuale riserva ai potenziali clienti di auto nuove.
Ma la notizia è ben più grave: tra autoimmatricolazioni“Captive” e quota parte di auto immatricolate per Renting e Flotte, c’è oltre un milione di privati cittadini che si è imboscato rendendosi invisibile alle statistiche ed alla cassa dei Dealer. Ma non è questo, non è neppure questo il problema secondo l’intellighenzia che snocciola e srotola statistiche.
Il problema non è la disaffezione, la ripulsa, la dissociazione ormai continuata tra un mercato che offre solo commodities ed un parco di clienti potenziali che forse vorrebbero anche tornare ad un acquisto emotivo. Hai visto mai? No. Il problema è ben altro. E’ il prezzo di vendita medio. 30.000,00 Euro di prezzo medio del nuovo, secondo le statistiche di notabili Redazioni. Beh, allora il problema è risolto. Vuol dire che almeno un milione di potenziali acquirenti di auto nuove sono fermial palo in attesa delle offerte Low cost in arrivo dalla Cina. Eh, beh: allora il problema in questo caso, sarà ben altro. Perché decretetà la fine dell’Automotive europeo ed occidentale.
L’Europa produrrà solo auto cinesi su licenza? Il problema è ben altro.
Proprio la ricerca di auto di basso costo, a prezzo del rischio di farle arrivare dalla Cina e produrle su licenza in Europa, segna il vero e continuato fronte di crisi dei Costruttori non solo in Italia ma in tutta Europa. Con le prossime nuove norme Euro 7 combinate con quella che pare essere la forma più plausibile di “BER 2028” il Business dell’autoriparazione in mano ormai estesa al mondo IAM contro gli OEM potrebbe finalmente vedere una inversione di tendenza in Europa: monitoraggio continuo, BlockChain e recupero e rigenerazione Ricambi porta la possibilità per i Costruttori ed il mondo OEM di “blindare” per un orizzonte temporale abbastanza lungo il fronte di guerra con la dimensione IAM. Fronte di guerra che in solo un quarto di secolo si è ribaltato epocalmente a favore di questi ultimi il cui fatturato annuo, moltiplicato per 25 anni, Vi fa capire quanta sia la Guerra che i Costruttori hanno perso per combattere le battaglie tra di loro.
Dunque, l’esigenza commerciale dei Costruttori europei è quella di garantirsi, anche su licenza, lo spazio in segmenti di mercato dove la concorrenza cinese potrà essere letale; garantendosi allo stesso tempo la possibilità di far crescere il fatturato anche di Post vendita e distribuzione ricambi. Mentre sui piani alti il continuo ricorso a software operativi ed al controllo da remoto già ora sta svolgendo il ruolo di “firewall” rispetto alla concorrenza IAM. Dunque per ora il problema non è combattere i cinesi in primo luogo favorendo il ritorno ad una piena produttività dei Costruttori europei anche sulla Gamma popolare. No, il problema è ben altro: è assicurare nel brevissimo termine nuova occupazione, fatturato ed operatività del Service Management riconvertendo gli Stabilimenti europei alla produzione su licenza asiatica. Che poi questo possa configurare nel medio e lungo termine la desertificazione intellettuale, progettuale e industriale del prodotto auto tipico europeo, questo è un problema che magari tra vent’anni non sarà Bruxelles a dover affrontare. Forse, a quella data, l’Unione Europea non esisterà neppure più. E questo ancora una volta sarà tutt’altro problema.
Riccardo Bellumori