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Sta per arrivare il SUV McLaren

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Il primo SUV MCLaren è ad un passo dal lancio commerciale.

Dopo Porsche, Ferrari e Lamborghini, l’irriducibile mago McLaren potrebbe finalmente concedersi i servizi di un SUV, a medio termine.
Fino a poco tempo fa, l’azienda di Woking giurava che non avrebbe ceduto al richiamo dei SUV. Ma vedendo Ferrari lanciarsi finalmente nella mischia, insieme ad altri costruttori di supercar, ha finalmente deciso di farlo, dato che questa architettura è una vera e propria gallina dalle uova d’oro. Una garanzia di continuità per perpetuare le sue attività nel campo delle “vere” auto sportive.

L’evento scatenante
Per il momento sono trapelate poche informazioni al riguardo, ma questa volontà di lavorare alla creazione di un SUV McLaren ha subito un’accelerazione in seguito alla recente fusione tra l’azienda di supercar e la start-up britannica Forseven, in riferimento al numero 47 del pilota Bruce McLaren quando brillava nelle competizioni. All’opera c’è il fondo di investimento di Dubai CYVN, già azionista di maggioranza di McLaren, ma anche di Nio, specialista cinese di supercar elettriche, e dello studio di progettazione GMT di Gordon Murray, padre dell’iconica McLaren F1.

IL TEAM DI CAMPIONI

Al comando di un esercito di circa 700 ingegneri di alto livello presso Forseven c’è un certo Nick Collins, ex ingegnere capo di Ford e Jaguar-Land Rover, nonché creatore delle ultime generazioni di Range Rover e Defender.

Secondo le nostre informazioni, il futuro SUV McLaren utilizzerà una propulsione 100% elettrica, una novità assoluta per il mago inglese. A tal fine, il veicolo beneficerà dell’esperienza di Nio in questo campo, dato che la sua hypercar EP9 ha polverizzato il record della sua categoria sul mitico circuito del Nürburgring nel 2017. Ma dovrebbe anche coprirsi le spalle con una meccanica ibrida.

Ancora un po’ di pazienza
Sebbene i primi prototipi del SUV McLaren abbiano recentemente superato i primi test di messa a punto, al momento non è stata ancora annunciata alcuna data di introduzione sul mercato. Per quanto riguarda la produzione, potrebbe essere trasferita da Woking alle sedi di Jaguar-Land Rover a Coventry.

L’Auto e il Benaltrismo italiano: quando il problema è sempre altrove

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Andava tutto bene o quasi a Motorilandia, in Italia, fino alla fine degli anni Ottanta: Fiat aveva fatto shopping dei Marchi nazionali una volta concorrenti, e la politica del Pentapartito era ancora in sella al Belpaese. 

Le frontiere di Est Europa e Cina si aprivano, e superato il sistema di gestione di Vittorio Ghidella, il nuovo asse di comando Romiti/Cantarella dettò il nuovo palinsesto strategico: il problema non era l’esistenza di stabilimenti nati per favorire il mercato dei voti elettorali e sindacali (Termini Imerese, Pomigliano d’Arco, Pratola Serra, ed altri) con la effettuata o programmata chiusura di centri di eccellenza a Nord (Desio, Lambrate, Borgo San Paolo……); no, il problema era ben altro e nasceva dall’Input dirigenziale di raggiungere la chimera della “Qualità Totale” in un sistema produttivo come quello raggiunto all’epoca dal Minestrone chiamato Gruppo Fiat.

Bene, le vendite crollarono, Romiti & Co cominciarono a fare shopping dentro Fiat di aziende di Food e GDO (oltre che di Redazioni di giornali) e l’iconografia commerciale e sportiva di Marchi come Alfa, Lancia, Autobianchi fu lentamente cancellata opponendo auto “Commodity” ad un mondo che cominciava a costruire e preferire i “Brand”. Senza contare che con la famosa controscalata di Continental alla Pirelli l’Italia di inizio anni Novanta aveva già avuto la sua prima cinquina in faccia.

 

Una lenta decadenza del Paese, coperta dal “Benaltrismo”

Poi ad inizio anni Novanta, con le frontiere doganali abbattute ed una esposizione del sistema Italia alle correnti di burrasca della finanza internazionale puntata contro la Lira, con l’Italietta di Mani Pulite messa alla berlina dalla politica europea, il problema non fu di cedere alla concorrenza tedesca un vero patrimonio del futuro prossimo mercato di massa del Diesel, cioè il Common Rail di Magneti Marelli oltre ad una prima infornata di Aziende un tempo detenute o controllate dallo Stato e che erano un piccolo patrimonio industriale; no, il problema era ben altro: proteggere l’Italietta e l’Europa dal pericolo di invasione giapponese. 

Infatti dal Giappone l’Italia dell’auto ha ricevuto nel tempo almeno quattro milestones (la prima Mitsubishi industrializzata di inizio secolo ‘900 fu una Fiat 508 su licenza, l’Alfa Romeo Nissan, lo stabilimento Honda di Atessa, e successivamente l’accordo Fiat / Mazda sulla “124”) mentre dalla Germania ancora ricordiamo i calci in faccia della Signora Merkel…..Nel frattempo l’Italia dei Brevetti e dei Distretti di eccellenza cominciava a franare. E anche in quel caso il problema era ben altro: era liberare l’Italia dal cancro della corruzione. Che a quanto pare è rimasto, mentre i Distretti sono beatamente scomparsi. Come nel breve lasso di un quarto di secolo – una dopo l’altra – l’Italia ha visto spegnersi, fallire o passare di mano il patrimonio dei Centri e delle Firme di Stile dei Carrozzieri che avevano fatto grande il Design auto italiano nel mondo.

 

Poi, verso la fine degli anni Novanta, con l’era dell’Ecoincentivo rottamazione di Bersani il problema non fu l’invasione e l’ingerenza perniciosa dei Marchi Costruttori dentro al mondo dei Dealer, con la proliferazione di schemi di vendita evangelici e l’esposizione finanziaria ed imprenditoriale di centinaia di famiglie impegnate storicamente nella distribuzione commerciale auto; no, il problema era ben altro: era la esigenza di svecchiare il Parco Auto e rendere il Bel paese sempre più ecologico e moderno….Di fatto una parte importante dei Dealer storici sul territorio è fallita per sovraindebitamento prima ancora di vedere la famigerata esplosione dei due milioni e mezzo di immatricolazioni in un anno

 

E se da inizio anni Duemila le “Survey” vere (non le decine di veline statistiche fatte ad arte ed a vuoto per compiacere il Committente di turno, come accade oggi) di settore gettavano l’allarme sulla piena incapacità della Rete Dealer nazionale di saper “marginare” e creare Business anche sul Post Vendita e sui Ricambi (a differenza dei principali Partners europei) puntando tutto il risultato operativo sulla vendita di auto e sul finanziato, il problema non era certo quello: il problema era ben altro, e cioè avviare una guerra sui listini e sui margini finalizzata a far cadere dalla torre i Dealer più deboli, tappezzando il territorio di Showrooms inutili e dispendiosi perché, nel frattempo, il concetto legislativo del Commissario UE Mario Monti – che aveva fatto presa sui Dealer – era solo quello relativo alla abolizione delle esclusive di zona e non quello – alla lunga sistematicamente più pernicioso – della parificazione tra OEM e IAM nella offerta di Componenti e Servizi al consumatore finale.

Di fatto ancora oggi, in Europa, il Dealer italiano è quello meno capace di creare valore, margini e operatività su vendita Ricambi, Servizi postvendita, Assistenza e fidelizzazione del parco Clienti in Officina. Ma il problema, anche qui, è quello che a macchinetta ripete ogni anno la illustre Associazione di Categoria dei Dealer italiani: il problema è che servono gli ecoincentivi.

 

L’Italia affonda a due, tre, e quattro ruote. Ed oggi anche sui pluriasse (Trucks)

Nel frattempo, non è che nel settore del ciclo e motociclo le cose andassero molto meglio in Italia dopo la cancellazione dei valichi doganali di frontiera e dei dazi su cui la nostra Industria aveva fatto fortuna: facciamo un rapidissimo excursus su un mondo che a fine anni Ottanta contrapponeva tre Gruppi Italiani tra i primi cinque in Europa e tra i primi dieci nel mondo che ancora si contava entro i confini occidentali. 

Piaggio era la realtà industriale più solida, vantando non solo un mercato a prova di crisi ma anche una espansione che ne aveva già fatto il primo Costruttore estero in India ed altre aree dell’altra parte del mondo. 

Ma Piaggio, bontà sua, scontava davvero molto marginalmente l’effetto concorrenziale dell’Industria giapponese, dato il suo prodotto esclusivo. 

Un po’ meno solida tuttavia appariva la situazione all’atto della abolizione delle Dogane intraeuropee e del superamento della vecchia legge De Tomaso sui superdazi ed  i contingentamenti delle importazioni: il mercato italiano viene così in poco tempo invaso da Scooters orientali di basso costo.

Quella che piano piano finisce in una palude è senza dubbio Cagiva, forte di un monopolio elettivo nazionale rinforzato da una esplosione finanziaria e commerciale che in poco tempo mostra tutta la debolezza di un cashflow in crisi e di una struttura industriale molto poco consolidata. Uno ad uno i principali Marchi del Gruppo Cagiva vengono ceduti da inizio anni Novanta accentuando l’ingresso di Gruppi di controllo internazionali.

Il Gruppo De Tomaso si smonta lentamente, con la separazione proprietaria tra Benelli e Moto Guzzi, ed una significativa ristrutturazione che se da un lato “svecchia” e trasforma una strategia originaria non proprio incisiva del vecchio Patron argentino; dall’altro con l’uscita dal capitale azionario della Finanziaria pubblica GEPI si riducono cashflow e fondi per nuovi investimenti.

Quando parliamo del calo di occupazione e industrializzazione del mondo auto, è perché ci vergogniamo a esporre le cifre della desertificazione del settore industriale nazionale a due ruote. Ma il problema anche qui era ben altro.: contro una nuova concorrenza a basso costo proveniente dall’Asia, il problema non eraquello di proteggere la galassia di piccoli marchi Costruttori favorendo operazioni sane di M&A e supportando molte aziende ad un rinnovamento tecnologico ed al superamento del metodo di lavoro vetero artigianale. Ma no, anche in questo caso il problema era ben altro: era quello per l’opinione pubblica e per la stampa di rendere l’Italia europeista aprendo il mondo degli appalti pubblici ai Marchi esteri e di tirare la volata alla New Age dei Sindaci rampanti, quelli che con lo Scooter erano allo stesso tempo efficienti ed ambientalisti.  Nel giro di un lustro l’Italia ha perso DECINE di Marchi nazionali attivi nel motociclo leggero e nella mobilità urbana.

Già, i Marchi nazionali: sono decine anche quelli che per declino, malagestione o obsolescenza diventano diritto commerciale di investitori e Imprenditori esteri che qui da noi fanno uno Shopping fortissimo di vecchi e nuovi Brand e Marchi.

Ma anche in questo caso il problema non fu di tutelare un patrimonio storico imprenditoriale unico al mondo; no, il problema era ben altro: quello di favorire a tutti i costi personaggi e rider industriali che portarono al fallimento ed al pregiudizio Marchi anche storici di grande fama. Tra anni Novanta e metà del nuovo Millennio progetti ventilati od appena iniziati di rilancio di Marchi storici finiscono al macero (vedi i casi esemplificativi di Giuliano Malvino – Isotta Fraschini, e di Rossignolo – De Tomaso, ma l’elenco è davvero lungo).

Scappano i Marchi storici, arriva Marchionne, potrebbe cambiare l’Italia. No.

L’Italia diventa suo malgrado terra di commodities a quattro ruote, salvo il tentativo riuscito di Montezemolo su Ferrari e soprattutto Maserati. Lamborghini, Bugatti, Ducati, ed altri prendono residenza ed HeadQuartersall’estero.

 

Arriva Marchionne, scomparso Gianni Agnelli, e tenta di ricostruire una dimensione Fiat disastrata. 

Ed anche là il problema non è aprire il dibattito, ma ben altro: si tratta di ricostruire, a beneficio di CGIL e di talune Redazioni di giornale, un clima da anni Settanta solo per provocare un anacronistico muro contro muro “Padroni contro operai” anche se le Assemblee operaie ed i Congressi degli iscritti della FIOM degli anni Duemila, rispetto agli anni Settanta, si potrebbero tenere dentro una cabina telefonica

Dopo il Crack Lehman Marchionne compie l’operazione Fiat / Chrysler, una delle più poderose fusioni a livello mondiale di inizio del nuovo Millennio mentre a livello internazionale la politica italiana interna non è che affronti una benevolenza generalizzata: il “corpo estraneo” Berlusconi continua anche con suo apporto comportamentale personale, ad essere lo zimbello degli Statisti e dei Governanti europei.

Ebbene, anche in quel caso il problema di politica e sindacati non è quello di supportare un’Italia tornata improvvisamente e potenzialmente grande, no: il problema è ben altro, ed è quello di continuare il pingpong e le frecciate su Fabbrica Italia, sulla Multipla che è un cesso, sulle diatribe sindacali nostalgiche degli anni Settanta, e sul Governo delle Olgettine.

 

Dopo il crollo di immagine del Governo del Cavaliere, il Bunga bunga, gli sberleffi franco-germanici e l’arrivo dell’uomo della Provvidenza Mario Monti, il problema del mondo auto non è in fondo quello di riportare al centro del mercato il concetto sacro e virtuoso della proprietà tradizionale, mitigando gli effetti devastanti che il credito a pioggia ha portato nel rapporto tra Dealer e Cliente potenziale. No, anche in quel caso, fino all’esaurirsi dell’onda negativa del Crack Lehman e del Credit Crunch il problema è ben altro. 

E consiste nel tentare di frenare l’emorragia di immatricolazioni in calo e di proposte di finanziamento rigettate, promuovendo oltre ogni ragionevole prudenza e decenza tutto quello che può essere alternativo alla proprietà.

 

La Proprietà dell’Auto? E’ un peccato. E poi ci lamentiamo dei nostri giorni

Car Sharing, da grande promessa a grandissimo flop; e poi i progressi sempre omeopatici del Noleggio italiano a confronto di GB; Spagna, Francia e Germania; i. Rentto Rent, e poi la grande fuffa del Pòoling aziendale mai divenuto cosa concreta. E si inizia già a parlare di Smart e micromobility con Scooter ed e-Bike. Insomma, il circo mediatico, i Dealer, gli Stakeholder si spellano le mani ad applaudire a turno le grandi invenzioni contrattuali e similfinanziarie della mobilità interinale, fatta di mordi e fuggi offerto solo apparentemente agli automobilisti per affrontare Centri Urbani e mobilità agile, o per surrogare con il Noleggio gli incagli di istruttorie finanziarie bloccate dal Credit Crunch.

Ovviamente, anche in questo caso la visione di brevissimo periodo fa pendere il “benaltrismo” su posizioni tendenzialmente perniciose: invece che sollevare, tutto il sistema auto, una levata di scudi verso il Governo in tema di regolazione fiscale impari tra Proprietà e noleggio, invece che invocare la Garanzia di Stato sui finanziamenti auto richiesti da una larga fetta di Clienti residenti in Italia; invece che sollecitare il Governo a promuovere una nuova cultura nei rapporti tra Automobilista e fiscalità, il “Think Tank” del mondo auto nazionale decide che il problema è ben altro: ed è quello di garantire con sistemi e strumenti che a lungo termine l’Italia rigetterà il minimo sindacale di immatricolazioni annue rese possibili dagli acquisti delle Captive legate ai Marchi Costruttori. Una eresia, che inizia ad accumulare Usato invenduto nei piazzali e che cristallizza nell’automobilista italiano l’idea che “Possesso è meglio di proprietà”, “Nolo è meglio di acquisto”, “meglio cambiare,no?”. L’idiozia Woke e bimbominkiasta insita in questo tam tam mediatico ci porta alle “survey” insensate di questi ultimi anni. Mercato LCV in crisi e contemporaneamente Boom dell’affitto a breve di furgoni; migliaia di autoimmatricolazioni Captive che iniziano a rimanere nei piazzali per il crollo verticale dello Sharing (grande promessa franata miseramente ad onta dei mille Convegni e del battage pubblicitario che la stessa Aniasaaveva a suo modo promosso a partire da una decina di anni fa.

I Dealer falliscono? Il Benaltrismo punta dritto all’ E-commerce

Gia, Piazzali e Dealer. Mentre incombe il nuovo Codice del Consumo, ed i Clienti sono molto più accorti ed esigenti per effetto della crisi, i primi “cedimenti” della Rete Dealer (fallimenti, chiusure improvvise, fughe con tutta la cassa Clienti, etc..) portano alla ribalta la fragilità di un sistema che rimane l’unico all’epoca titolato a “custodire” e movimentare le auto dei clienti e sul quale tuttavia i Mandanti in crisi riducono il supporto logistico e finanziario. Ecco che dunque gli Showrooms diventano ambiente coreografico per la vendita di “laqualunque” abbia una attinenza con la mobilità: quadricicli, scooters, eBike, ma anche la moltiplicazione dei mandati e l’avvio di attività porta a porta. Tutto in funzione di un sostegno al Cashflow ed alla operatività in crollo

E però, mentre il 50% dei Punti vendita che erano sul territorio alla data del 2007 chiude per sempre, il problema non è quello di promuovere ed appalesare la tenuta e la garanzia di solidità del sistema di Rete dei Dealer. No: il problema inquadrato dai Guru e da formatori e Coach rimasti disoccupati è ben altro, è quello di governare l’irrefrenabile ed ineluttabile transizione dei Dealer verso il Web e l’e commerce.

 

Il Post vendita, Service e Componentistica. Dove si perdono davvero i miliardi.

Ma non sia mai che ogni tanto pensiamo anche a chi le auto le ripara e non solo le vende: perché come già ricordato il sistema auto nazionale è già di per sé poco disciplinato nella cura dell’auto, decisamente creativo nella ricerca di soluzioni alternative e di basso costo alla manutenzione ufficiale, e per ultimo vittima di un far west sulla componentistica usata e da rottamazione. Nel frattempo le eccellenze italiane della rettifica, della rigenerazione e dell’autoriparazione / Carrozzeria cominciano un lento declino causato dal crollo della domanda, dalla accelerazione del trend di aggiornamento della produzione auto, e soprattutto dalla crescente difficoltà di accesso alle informazioni ed ai dati OEM per la riproducibilità e la riparazione. 

Intanto la concorrenza dei Paesi a più basso costo di servizi e componentistica IAM si fa sempre più graffiante, come finisce per essere una spina nel fianco la piaga della contraffazione ma anche la concorrenza del circuito meno “ortodosso” della rottamazione auto.

Ma se questo avviene, da parte di analisti e della politica nazionale il problema non è quello di promuovere politiche attive per la formazione, l’inserimento e il ricambio generazionale tra gli operatori, od il supporto nella implementazione tecnologica. No, il problema anche qui è ben altro: è quello di rimpinzare le officine di Courtesy Car e di aumentare le sempre meno convenienti convenzioni tra Autofficine indipendenti e Reti Ufficiali (Dealer, Noleggiatori, etc.) di distribuzione e commercio auto.

DieselGate, Elettrificazione: ma il problema sono colonnine ed ecoincentivi

Da un certo punto in poi dopo il buio profondo della crisi post Governo Monti (l’unica Stagione dall’epoca della crisi energetica dei primi anni Settanta in cui tutte le voci contabili del mondo Automotive ha avuto segno negativo) l’Italia cerca di vivere una nuova primavera. Governo Letta ma soprattutto Governo Renzi attivano supporti e sistemi di sostegno alla ripresa dei consumi. 

Dal lato Automotive al ritorno alla tassazione fiscale delle storiche con età inferiore a trenta anni il Governo Renzi porta alla ribalta il sistema nuovo degli ecoincentivi legati alle soglie di emissione da un lato e dall’altro (sul versante B2B) porta alla nascita dell’Iperammortamento: escamotage tramutato in moltiplicatore di autoimmatricolazioni, molte delle quali aprono la strada alla prima elettrificazione BEV della Flotta dei Noleggiatori e delle Captive.

Ma nel frattempo irrompe il DieselGate, dentro un Paese in cui VM di Cento è ancora e sempre un vanto nazionale; e di fronte a questo nessun media, politico né opinion Leader nostrani alzano la voce per cercare di frenare una deriva disfattista e soprattutto sempre più evangelica verso l’elettrico.

Risultato: invece che proteggere simboli anche nazionali, i problemi in Italia sono ben altri: costruire una Rete infrastrutturale di ricarica degna di tutti gli altri Paesi più attrezzati e promuovere il verbo di Elon Muskcriticando Marchionne che non lascia FCA libera di percorrere la via alle Emissioni Zero. Infatti la FCA di Marchionne era molto più solida di questa Stellantispseudo elettrica.

Il risultato è chiaro fino ad un attimo prima del Lockdown: Il Paese che lentamente ha lasciato che intorno a sé cadessero in disgrazia ambiti e culture di riferimento per l’Italia nei tempi di un passato prossimo ancora vicino, e che sulla base di quel patrimonio perduto avrebbe potuto sul serio essere un ponte importante per la ripresa di tutta l’Europa dell’Auto post Lockdown, rimane invece ancorata al palo dalla crisi legata alla carenza di microchips,alla subalternità rispetto alla UE sulla transizione ecologica e rispetto alla Germania  sui carburanti alternativi. Ma sia ben chiaro, anche in questo caso: la mobilità elettrica è roba troppo seria perché ad occuparsene sia un’Impresa nazionale. E così quella Micro-Vett prima Azienda italiana ad occuparsi di mobilità elettrica massiva; quel marchio emiliano romagnolo che per primo aveva elettrificato Piaggio Porter e Fiat 500, chiude per fallimento benchèrisulti creditore verso alcuni Enti Locali di somme ben più alte di quelle contestate dagli istanti fallimentari. Ma il problema è ben altro: non è tutelare e proteggere un Marchio italiano famoso nel mondo, ma è quello di confermare la famosa “Clausola di Stabilità” del Governo che autorizza i Comuni a non saldare i creditori a fronte di dissesti di Bilancio.

Attaccare Tavares sullo stipendio ma non disturbare il manovratore

Nel frattempo la FCA incontra PSA e fonda Stellantisdiventando un Big Player dalle tinte in chiaroscuro: poco elettrico, Brand da rinnovare e rilanciare, patrimonio dismesso ed una netta sensazione al giorno d’oggi; Tavares o ha toppato clamorosamente venendo pagato profumatamente per i suoi insuccessi, oppure aveva solo bisogno di tempo; oppure al contrario ha trascinato Stellantis nelle sabbie mobili con un chiaro intento predefinito con la alta proprietà del Gruppo. Ora bisogna solo capire il movente, e da là si capirà chi è stato davvero l’assassino.

Perché ad esempio non è chiaro come mai di Tavaresnessuno abbia men che meno contestato (Autoprove a parte) la decisa azione liquidatoria di pezzi importanti del patrimonio logistico e strumentale di FCA (Impianti, Magazzini, Reparti ex Mopar, etc…) consentendo chiusure, dismissioni e delocalizzazioni di cui il tessuto produttivo nazionale avrebbe avuto forte esigenza.

Attività liquidatoria che si spinge ultimamente alla minaccia di chiudere Atessa,che della ex FCA è diventato nel tempo un fiore all’occhiello europeo nella produzione di LCV.

Eh, ma anche solo fino all’Autunno scorso il problema non era tentare un fronte di obiezione e pacifica contestazione collettiva e generalizzata di questo processo di dismissione: il problema era ben altro, cioè formalizzare pubblico disprezzo nei confronti dello stipendio stellare dell’ex stellatico CEO di Stellantis.

Il sottoscritto rimane tetragono su una opinione ed una proiezione: Stellantis non è una fusione né una alleanza né un Gruppo, strategicamente parlando. E’ un “rassemblement”tipicamente alla francese, un raggruppamento di scopo di cui l’Italia a mio avviso farebbe bene a comprendere ed a prevedere lo scopo. Secondo me la continua erosione e riduzione del potere e del patrimonio operativo della ex FCA in Italia può solo che anticipare la prossima dismissione di Marchi. E su questo, legittimamente, mi sono già esercitato in una ipotesi di cessione Alfa Romeo a Renault, di Lancia a Daimler Mercedes, mentre Maserati è troppo iconica e divisiva per essere ceduta “palesemente”. 

Ritengo più plausibile nel medio termine una sorta di “compressione” industriale e produttiva tra DS e Maserati per una nuova articolazione di piattaforme comuni, e alla mia previsione che “questa” Stellantis” abbia il futuro segnato da uno scioglimento, Maserati rientrerebbe nella separazione dei beni a PSA, in cambio plausibilmente di una ennesima ipotesi di fusione tra Fiat ed Opel per una sorta di colosso generalista. Cosa che, se davvero dovesse realizzarsi, porterebbe Corso Marconi dritto nelle mani di un promesso sposo quasi eterno, localizzato in India…..

 

Aftermarket in crisi, produzione al palo, vendite giù; ma il problema è il prezzo

Ed arriviamo alle statistiche, fredde e implacabili. Dal periodo d’oro delle vendite finanziate ed ecoincentivatedi circa venti/quindici anni ad oggi, la media annua di immatricolato nuovo ha perso molto più del mezzo milione di clienti che tra fine anni Novanta al 2007/2008 ha regalato ai Dealer circa due milioni di nuove targhe all’anno; mentre l’ultimo quinquennio sfiora a malapena il milione e mezzo all’anno di immatricolato. Dicevo: il mercato non ha perso solo quel mezzo milione all’anno mediamente di pezzi targati; e questo sarebbe perfettamente congruo con la riduzione del potere di acquisto, il Credit Crunch, la confusione che regna sovrana nel futuro dell’Automotive europea tra solo dieci anni. Sarebbe cioè puramente comprensibile che lo scenario espresso sia di ostacolo per almeno mezzo milione di anime all’anno di automobilisti che disertano gli Showroom e non comprano. Anzi: potremmo riflettere sul fatto che una perdita così limitata dovrebbe essere vista come una buona notizia visto il tiro al piccione che il contesto attuale riserva ai potenziali clienti di auto nuove.

Ma la notizia è ben più grave: tra autoimmatricolazioni“Captive” e quota parte di auto immatricolate per Renting e Flotte, c’è oltre un  milione di privati cittadini che si è imboscato rendendosi invisibile alle statistiche ed alla cassa dei Dealer. Ma non è questo, non è neppure questo il problema secondo l’intellighenzia che snocciola e srotola statistiche. 

Il problema non è la disaffezione, la ripulsa, la dissociazione ormai continuata tra un mercato che offre solo commodities ed un parco di clienti potenziali che forse vorrebbero anche tornare ad un acquisto emotivo. Hai visto mai? No. Il problema è ben altro. E’ il prezzo di vendita medio. 30.000,00 Euro di prezzo medio del nuovo, secondo le statistiche di notabili Redazioni. Beh, allora il problema è risolto. Vuol dire che almeno un milione di potenziali acquirenti di auto nuove sono fermial palo in attesa delle offerte Low cost in arrivo dalla Cina. Eh, beh: allora il problema in questo caso, sarà ben altro. Perché decretetà la fine dell’Automotive europeo ed occidentale. 

L’Europa produrrà solo auto cinesi su licenza? Il problema è ben altro.

Proprio la ricerca di auto di basso costo, a prezzo del rischio di farle arrivare dalla Cina e produrle su licenza in Europa, segna il vero e continuato fronte di crisi dei Costruttori non solo in Italia ma in tutta Europa. Con le prossime nuove norme Euro 7 combinate con quella che pare essere la forma più plausibile di “BER 2028” il Business dell’autoriparazione in mano ormai estesa al mondo IAM contro gli OEM potrebbe finalmente vedere una inversione di tendenza in Europa: monitoraggio continuo, BlockChain e recupero e rigenerazione Ricambi porta la possibilità per i Costruttori ed il mondo OEM di “blindare” per un orizzonte temporale abbastanza lungo il fronte di guerra con la dimensione IAM. Fronte di guerra che in solo un quarto di secolo si è ribaltato epocalmente a favore di questi ultimi il cui fatturato annuo, moltiplicato per 25 anni, Vi fa capire quanta sia la Guerra che i Costruttori hanno perso per combattere le battaglie tra di loro. 

Dunque, l’esigenza commerciale dei Costruttori europei è quella di garantirsi, anche su licenza, lo spazio in segmenti di mercato dove la concorrenza cinese potrà essere letale; garantendosi allo stesso tempo la possibilità di far crescere il fatturato anche di Post vendita e distribuzione ricambi. Mentre sui piani alti il continuo ricorso a software operativi ed al controllo da remoto già ora sta svolgendo il ruolo di “firewall” rispetto alla concorrenza IAM. Dunque per ora il problema non è combattere i cinesi in primo luogo favorendo il ritorno ad una piena produttività dei Costruttori europei anche sulla Gamma popolare. No, il problema è ben altro: è assicurare nel brevissimo termine nuova occupazione, fatturato ed operatività del Service Management riconvertendo gli Stabilimenti europei alla produzione su licenza asiatica. Che poi questo possa configurare nel medio e lungo termine la desertificazione intellettuale, progettuale e industriale del prodotto auto tipico europeo, questo è un problema che magari tra vent’anni non sarà Bruxelles a dover affrontare. Forse, a quella data, l’Unione Europea non esisterà neppure più. E questo ancora una volta sarà tutt’altro problema. 

Riccardo Bellumori

Nuova Dacia Sandero Stepway: Rendering del Restyling

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L’auto più popolare in Europa secondo i risultati di vendita del 2024 si prepara al restyling e abbiamo presentato come sarà la versione aggiornata della versione fuoristrada.

La Dacia Sandero hatchback di terza generazione ha debuttato insieme alla berlina Logan nell’autunno del 2020. Nell’estate del 2022 i modelli sono stati aggiornati per conformarsi al nuovo stile e al nuovo logo del marchio. La hatchback ha avuto un grande successo: già nel primo anno è riuscita a dare filo da torcere alla Volkswagen Golf, leader di lunga data delle vendite europee. In base ai risultati di vendita del 2021, si è classificata al quarto posto, solo leggermente dietro alla top three composta dalla già citata Golf, dalla Renault Clio e dalla Peugeot 208. E l’anno scorso la Sandero è diventata per la prima volta la più venduta con 268.000 esemplari venduti.

Questi rendering di Kolesa.ru ci permettono di dare uno sguardo al modello.

Rendering Kolesa.ru

LA NUOVA SANDERO

Il prossimo aggiornamento è destinato a consolidare il successo, e i prototipi delle hatchback restyling sono già stati più volte immortalati dagli obiettivi dei fotografi spia. Oggi esamineremo la versione crossover con il suffisso Stepway, che avrà una serie di dettagli caratteristici, diversi dalla normale hatchback. Ad esempio, avrà un paraurti anteriore originale con inserti decorativi ai bordi, in cui sono integrati i fendinebbia rotondi. Inserti simili nella forma appariranno anche nel paraurti posteriore (anche se gli elementi delle luci posteriori rimarranno al loro posto), mentre la nicchia della targa sarà leggermente più stretta. Comuni a tutte le versioni della berlina saranno i nuovi fari, la griglia del radiatore più stretta e la grafica modificata dei fanali con strisce LED orizzontali. Inoltre, la Sandero avrà cerchi con un nuovo design a 4 razze e sul tetto apparirà un’antenna più moderna a forma di pinna.
La Dacia Sandero di terza generazione è costruita sulla piattaforma modulare CMF-B, utilizzata anche dalle europee Renault Clio, Captur e Arkana. La hatchback è disponibile esclusivamente con motori a 3 cilindri da 90 o 100 CV. È probabile che dopo il restyling la gamma sarà completata da una versione ibrida, già presente nei modelli Jogger, Duster e Bigster.

Con la spinta dei Costruttori i Dealer non sanno più vendere auto?

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Ha creato un certo “subbuglio” tra i nostri visitatori il Post nel quale – fatemi un attimo riepilogare – ho esternato alcune cifre che in parte a mio modo di vedere corroborano ed integrano le statistiche così tanto in voga oggi e per contro “correggono” alcune considerazioni ed elaborazioni trasmesse all’opinione pubblica da alcuni studiosi.

Ho infatti scritto, in un confronto tra periodi commerciali diversi che un ipotetico acquisto”medio” effettuato da un potenziale Cliente presso un Dealer nel 2003 comportava una spesa (media appunto) di circa 14.000,00 Euro grazie fondamentalmente al contributo Rottamazione dei Costruttori (all’epoca l’ecoincentivo Statale si era interrotto). 

Trasferendo le cifre in una Gamma di offerta di quel 2003 e della quale io sono assolutamente certo, potrei dire che con 14.000,00 Euro del 2003 (corrispondenti ad Euro 18.500,00 di oggi) un Cliente “medio” avrebbe potuto acquistare comodamente una Ford Fiesta 5 porte Turbodiesel Ghia oppure una Focus Station Wagon 1400 “Ambiente” benzina con Clima, Radio CD, metallizzato, più tutti gli accessori inclusi di serie (ABC, VE, CC, SS, Chiave di accensione con chip magnetico, ad esempio). Entrambe rigorosamente Euro 4 ed entrambe rigorosamente a Zero ADAS, connettività, Infotainment. Ed entrambe rigorosamente solo con rottamazione, senza permuta, e per un buon 70% dei contratti di vendita finanziato. E quanto scritto l’ho potuto basare sulla mia esperienza diretta dell’epoca.

1) Poi, in successione, ho scritto che basandomi sulla analisi di “Bain&Company” commissionata da Aniasa si poteva concludere che un Cliente del 2013 ha speso “in media” 19.000,00 Euro (21.500,00 Euro di oggi) per comprare (permuta o rottamazione, acquisto “Cash” o finanziato) una Segmento “C” con Euro 5, soprattutto TurboDiesel, soprattutto Berlina 2 oppure Volumi/Station Wagon; con ADAS, infotainment, connettività al minimo sindacale.

Facciamo solo una riflessione su queste prime serie scalari di anni e di cifre: con 18.500,00 Euro di oggi quanti di Voi comprerebbero una Ford Focus SW 1400 16V full optional? O preferireste una Fiat “Ritmo 65 S” 5 porte del 1983 con cinque marce e Radio cassette? In effetti il prezzo di vendita di quella Ritmo (10.300.000 Lire dell’epoca) viene rivalutato dai coefficienti Istat proprio alla cifra di 18.500,00 Euro odierni. Bene, ammettendo l’ipotesi assurda che “quella”Focus” e “quella” Ritmo fossero commercializzabili in Unione Europea anche oggi tal quali, per quale delle due spendereste 18.500,00 Euro? 

E a confronto di una Fiat “500 Dolcevita” odierna, Hybrid ed Euro 6 acquistabile genericamente alla stessa cifra, la scartereste per Focus 2003 o Ritmo 1983? No, chiaramente: anzi, scandalizzati dal prezzo altissimo di entrambe queste ultime, ne chiedereste a gran voce il taglio del prezzo di vendita proprio secondo il Benchmark della “500 Dolcevita” scegliendo poi a grande maggioranza quest’ultima. Ed ovviamente ho preso in riferimento un modello attuale diffuso e conosciuto ma potevo allargare ad altri modelli. 

Se ciò avvenisse, vorrebbe dire che i Vostri genitori o zii o antenati hanno speso forse un po’ troppo in quel 1983 e 2003? Ma non si dice in genere l’esatto contrario?

2) Nel caso della vendita media registrata e analizzata da Bain&Company, invece, se con 21.500,00 odierni nel 2013 si comprava mediamente una Segmento “C” Euro 5, soprattutto TurboDiesel, soprattutto Berlina 2 oppure Volumi/Station Wagon; con ADAS, infotainment, connettività al minimo sindacale; dieci anni prima con quella cifra potevate aggiudicarvi al massimo una delle prime “Segmento C” monovolume pensate sempre da Ford con la “C Max” 1600 benzina in offerta e il corredo “full optional”. 

Evito di elencare la serie potenziale di modelli oggi opzionabili da un Cliente medio che avesse a disposizione in tasca 21.500,00 Euro da spendere su un’auto. E sono forse molte di più, le opzioni disponibili, di quanto potreste pensare

Potrei fare diverse ipotesi ma mi interessa segnalare solo un ricordo ulteriore: con 11 milioni di Lire del 1983 (21.500,00 Euro rivalutati ad oggi) un Vostro antenato portava a casa al massimo una bellissima Fiat Regata 1300 color carta da zucchero, all’epoca la 3 Volumi “Segmento C” della Casa Torinese (sempre se non  volevate risparmiare e comprare una delle ultime 131 in fine vita commerciale). 

Insomma, si stava davvero così meglio una volta rispetto ad oggi? Perché tutti ripetono questo “Jingle”?

3) Infine, sempre riprendendo il testo ed il tono della mia ricerca espressa nel Post che ricordavo appena sopra, mi aveva a tal punto suggestionato la ricerca di Fleet & Mobility da averne fatto oggetto della mia controdeduzione: secondo F&M il prezzo medio di vendita di auto nel 2024 è salito a 30.000,00 Euro; senza riportare il complesso delle mie ricostruzioni, prendo per buono in questo contesto il valore contabilizzato dalla ricerca in esame, e vado a riflettere: 

con 30.000,00 del 2025 il sottoscritto poteva vendere nel 2003 (presso i poco noti “Salottini Galaxy” pensati negli Showroom per incentivare quella che all’epoca era una vendita “monstre” per il Listino medio Ford) la Gamma del monovolume “Galaxy” TDI con il 1900 iniettore pompa di origine Volkswagen. 

Dunque, non so se i pur tanti nostalgici di questo ottimo sette posti monovolume (l’ho provato e Vi assicuro che era un modello straordinario) ripeterebbero oggi la spesa di 30.000,00 per comprarlo in luogo del modello di auto più facilmente reperibile sul mercato odierno (SUV, Hybrid, Euro 6, cambio automatico, Connettività/ADAS/Infotainment di ottimo livello). Quello su cui però scommetto una cena è che pochi folli nostalgici oggi investirebbero 30.000,00 Euro su una Fiat Croma “1.6” del 1984 che costava parametricamente 18.500.000 di Lire in quell’anno.

Se volete, allargo il focus di confronto e recupero storico: una bellissima Lancia Dedra 1800 si vendeva in offerta al 1989 al prezzo odierno di 37.000,00 Euro; la Maserati “Biturbo” di De Tomaso fu pubblicizzata in offerta “Promo” nel 1983 a Lire 20 milioni corrispondenti a quasi 40.000,00 Euro di oggi. 

Ve le aggiudichereste ora alle condizioni commerciali di allora? Ma se non volevate spendere troppo per stare larghi e comodi, nel 1990 la Hyundai per fare breccia nel pubblico italiano (che ancora la conosceva poco) proponeva sempre a 20 milioni di Lire la sua Ammiraglia “Sonata 2.0 16V”; non so se all’epoca sarebbe stato un affare, ma quella grande 3 Volumi oggi la paghereste l’equivalente di 24.500,00 Euro.

E per chiudere con la piccola ed amatissima “Autobianchi A112 Elegant” del 1974, venduta a Lire 1.755.000: per la stessa cifra rivalutata nel 2003 io Vi avrei venduto una Ford Ka full Optional (9.750,00 Euro) e oggi qualcun altro Vi potrebbe proporre ad Euro 14.800,00 una Panda Hybrid. 

Quale di tutti questi acquisti lungo mezzo secolo ha avuto o avrebbe più senso per Voi?

Il Listino Auto, quell’eterno “pendolino” tra fidelizzazione e margini

In qualunque modo potete pensare e giudicare dal lato del Vostro personale gradimento il mercato auto, è abbastanza evidente che il budget mediamente necessario per l’ acquisto di un’auto lungo mezzo secolo non è oggettivamente aumentato quanto ad obbligo medio di esborso richiesto al Cliente potenziale per comprare un’auto. Io direi che casomai il prezzo medio si è in questi anni “aggiornato” rispetto a tre direttrici dinamiche ed evolutive: una dinamica “istituzionale” una “tecnologica” ed una dinamica “finanziaria. 

Tre direttrici che lungo mezzo secolo si sono tra loro incrociate segnando una traiettoria orientata verso le esigenze primarie che di decennio in decennio esprimeva il mercato: negli anni Cinquanta l’ esigenza primaria di motorizzare la massa si sposava con l’obbiettivo di espandere l’occupazione industriale, ed è per questo che la mano pubblica e statale era presente nel controllo e nel finanziamento dell’industria Automobilistica per sostenere occupazione e prodotto nazionale: per questo sul mercato si moltiplicano i modelli pensati per acquisire Clienti dal mercato motociclistico che nel frattempo apriva le porte ai transfughi dal mondo delle biciclette. 

In questa fase del mercato la rete di vendita è quasi completamente gestita e partecipata dai marchi Costruttori ed è in questo periodo che la “cambiale” diventa il mezzo di intermediazione preferita (sostenuta dai fidi dei Costruttori) mentre la canonica SAVA lancia il suo slogan “Un po’ alla volta” per pubblicizzare il sistema di acquisto a rate. Serve a poco, comprare un’auto è una impresa finanziaria straordinaria per poche centinaia di migliaia di privati e famiglie ogni anno, il resto delle targhe deriva dalle Pubbliche amministrazioni, le Poste, la Grande Distribuzione.

Negli anni Sessanta a questa esigenza primaria e’ stata aggiunta quella di sviluppare il sistema del Postvendita, adeguando il sistema territoriale e giuridico ad una crescente maturità e gradimento dei consumatori. E’ il periodo in cui il commercio e la distribuzione auto aprono alla strutturazione delle Reti di Officine controllate direttamente; ma è anche il periodo in cui utilitarie e medie estere cominciano ad entrare in numero cospicuo nei diversi mercati nazionali d’Europa. La Rete dei Dealer si amplia con i primi soggetti “imprenditoriali” privati, gli Importatori. La base della vendita apre lentamente alla fidelizzazione in officina e la prima “mole” di Usato viene gestita totalmente dai Dealer. La nazionalizzazione dei Servizi pubblici di utilità primaria dà una bella spinta alle immatricolazioni, ma l’auto di massa comincia a diventare reale anche se con listini e prezzi stellari.

Negli anni Settanta la scelta primaria del mercato è non crollare di fronte alla crisi energetica che travolge il mondo. Mezzo secolo fa la spallata che la crisi medioorientale diede alla mobilità fu tale da minare la tenuta del settore Auto; eppure la congiunzione tra settore Pubblico che continua a sostenere le Industrie e mondo Auto che tira fuori dal cappello a cilindro il Jolly del Diesel è la base per la rinascita: la tecnologia ed il progresso delle piattaforme tecniche portano ad ampliare verso il basso la Gamma auto globalmente offerta e ad occupare progressivamente con il motore a Gasolio le fasce alte del mercato. In questa dinamica, incredibilmente, la segmentazione e la crescita dei Listini al Cliente è netta ed evidente. 

Eppure siamo in tempo di crisi, ecco perché settore pubblico e bancario si mettono in primo piano per supportare i consumi. Arriva la prima vera contabilità “seria” del Noleggio (breve più che Long Term) in volume di targhe all’anno.

La crisi che negli anni Settanta aveva un poco “congelato” i numeri del mercato aveva però spinto in avanti il settore dell’Usato con organizzazioni professionali sempre più articolate; aveva diffuso il Gasolio nelle strutture aziendali e nelle Ammiraglie ed aveva aumentato l’offerta di auto utilitarie da città sempre più confortevoli e belle. 

Sono questi i binari che fanno crescere l’immatricolato e gli scambi negli anni Ottanta, ma è soprattutto la concorrenza commerciale sostenuta dalla interazione tra tecnologia, status Symbol e immagine mediatica e sportiva del settore auto. Ovvio, il primo elemento che spinge le immatricolazioni negli anni Ottanta è la domanda potenziale: con 17 milioni e mezzo di auto circolanti, ed anzianità media del Parco auto di 14 anni, gli anni Ottanta sono l’ambiente ideale per sostenere la crescita dell’immatricolato nazionale grazie all’aumento delle formule finanziarie e del benessere sociale. 

I Listini diventano, più che un parametro di crescita dei prezzi, un palcoscenico di rappresentazione del miglior “Value for Money” da parte di ciascun Marchio nella estensione e diffusione quasi forzata di questo concetto esploso dall’America a fine anni Settanta. 

Il cliente potenziale, chiamato ad un sacrificio economico potente (dal milione e 232 mila Lire di una 126 nel 1974 si passa a minimo 4 milioni e mezzo per la nuova meta degli italiani in tema di superutilitaria, la Panda “45” per non parlare di quel che costano proporzionalmente di più nelle tasche degli italiani tutte le novità di gamma che surrogano le auto anni Settanta) trova però il conforto della intelligente strategia mediatica del periodo : “Caro Cliente, guarda cosa stai per comprare ora con un po’ di impegno e ricorda quel che lascerai, pur avendolo pagato ugualmente uno sproposito”.

Inizia il percorso di fidelizzazione ed un moderato ma sensibile ed articolato “dumping” auto-organizzato da Costruttori e Dealer sui prezzi. E un po’ come nel paniere Istat dove a calmierare il prezzo del pane arrivano le ciriole, o la mortadella nel paniere degli insaccati; così nella Gamma di Dealer ed Importatori arrivano – senza che nessuno ci abbia mai dato seriamente peso – le prime vere “Low Cost”: Fiat inventa la serie “126”,“127”, “128” “Unica; Citroen fa arrivare la “Axel”; Skoda viene importata nella Gamma “100”; Ford inventa il “monoprezzo”, e Renault cerca di mantenere fin quanto possibile la “R4” in Gamma. 

ARNA (Alfa Romeo) e Seat tentano a loro volta di percorrere strade assimilabili a questo  nuovo fronte commerciale

Eppure qualcosa sta cambiando. Di certo nella percezione e nella “evangelizzazione” mediatica: sembra quasi essere avvenuto, in Italia, un “Trust” tra informazione di settore, Case Costruttrici e Rete Dealer. Sono arrivati gli anni Novanta, tempo di ecologia, di finanziamenti a pioggia, ma soprattutto tempo di separazione tra “mano pubblica” dello Stato nelle Case Costruttrici e delle Reti di Vendita (che tende a sparire con la chiusura dell’IRI e della GEPI e la fine delle grandi promesse politiche sulla industrializzazione della Fiat al SUD) e l’avvio di una campagna di incentivazione fiscale sia sul Cliente Retail che sulle Flotte (Noleggio).

L’arrivo in prima battuta e piano piano dei Costruttori nei Consigli di Amministrazione e nella partecipazione finanziaria diretta dentro alle Reti Dealer moltiplica i punti vendita, allarga la Gamma esposta negli Showrooms e soprattutto moltiplica la leva finanziaria di supporto all’acquisto. Ma porta i Dealer ad una eccessiva “evangelizzazione” dei sistemi di vendita e comunicazione dei Costruttori.

Monomotore, Ciclo di sostituzione, Credito a pioggia: “Doping” o Dumping sui listini Auto?

Ed entra in campo, nelle analisi di mercato, la previsionalità che attraverso la previsione dei volumi necessari a sostituire il parco auto non catalizzato e lo stimolo all’acquisto proattivo finanziato fa entrare in scena una serie di nuove voci di valore e vantaggio nell’acquisto di auto: il concetto di “Stock Pronta consegna”, quello del “Ciclo programmato di sostituzione”, quello del “Full Optional” scontato. E’ per questo che il confronto parametrico dei listini tra Gamma in offerta a metà anni Novanta e seconda metà decennio precedente è impietoso per questo periodo: sembra paradossale ma al prezzo mediamente speso per un modello anni Ottanta, dieci anni dopo si spende più o meno la stessa cifra per un modello comparabile ma catalizzato, accessoriato, aggiornato. 

Il “trucco” c’è ma non si vede e nasce dalla scommessa fatta tra Costruttori, Captive e Dealer su un triplice obbiettivo

1)Abbassare il margine sull’auto trasferendolo sul piano di finanziamento;

2)Acquisire nuovi Clienti ed aumentare le vendite e la fidelizzazione “spalmando” i margini di una sola vendita pluriennale del periodo precedente ad un nuovo sistema di “cicli” di vendita plurimi sullo stesso periodo a confronto;

3)Generare Stock di usato “fresco”, aggiornato e garantito con il miraggio (spento molto presto) di aprire canali di vendita nei nuovi mercati dell’Est Europa e della Cina.

Scommessa che sul piatto delle giocate viene persino aumentata e rilanciata dal Croupier (il mondo degli operatori, dei Dealer e dei Costruttori) all’atto di un nuovo “terzo incomodo” rispetto al quale il sistema commerciale auto deve inventare un nuovo sistema di autodifesa. E’ il famoso Regolamento Monti sulla regolazione degli accordi verticali che piazza una bastonata agli stinchi del mondo OEM. Dal 2003 a valanga questa dimensione comincia a perdere come un colapasta il fatturato del Postvendita che viene piano piano accaparrato dal mondo indipendente degli IAM. 

Da questo momento parte un “imbastardimento” del processo di vendita e di costruzione dei listini auto che, a distanza di anni, possiamo definire davvero aberranti rispetto agli obbiettivi di sana e corretta remunerazione delle vendite. 

Il motivo? Semplice, il trasferimento sul piano finanziario di TUTTA la marginalità legata alla vendita dell’auto e dei suoi servizi postvendita. 

Un equilibrismo ed allo stesso tempo un esercizio di prestidigitazione contrattuale sposta tutto il risultato provvigionale e l’utile ad una prerogativa: la finanziabilità dei contratti e le risorse delle Captive. 

Nel frattempo, per la prima volta dalla prima motorizzazione di massa, il Cliente potenziale ha nel nuovo millennio la sensazione di pagare di meno l’auto: condizione favorita dal perverso incrocio della conversione in Euro dei listini e del trasferimento effettivo dei margini di vendita dal corpo vettura al piano finanziario

Ma è vero che “paga di meno”? No, anche in questo caso l’estremizzazione del concetto di “Value for Money” fa pesare all’attenzione del potenziale Cliente il vantaggio competitivo di far rientrare in un budget paragonabile a quello del decennio precedente un mezzo molto molto più accessoriato e tecnologico. 

Quanto dura questa illusione ottica? Fino al Crack Lehman del 2007. Da allora l’attuale mercato auto sta ancora scontando il simil default che una montagna di credito erogato e di Non Performing Loans ha generato

Aggiungiamo la guerra unica sul Turbodiesel che obbliga i Costruttori ad aggiornare la Gamma e l’offerta tecnologica all’impazzata e a farsi guerra fratricida sui listini. 

Ma aggiungiamo che al Cliente generico abbiamo fatto nascere l’illusione ottica di poter cambiare auto spendendo progressivamente sempre meno. 

Ecco da dove parte il Crack attuale del mercato, che nessuno potrà colmare invedendo la vendita del  nuovocon pseudo o presunte nuove auto da 10/12.000 Euro.

L’attuale fase di mercato? Brutta, ma curativa.

Io inviterei gli osservatori ed i commentatori di settore a fare una breve analisi di settore e di segmenti di mercato:

1) Quando il settore delle Utilitarie, o cosiddette entry level copriva oltre il 40% di mercato e di vendite in volume di mercato ma ben di più in percentuale di fatturato e di margini, questo accadeva fino alla metà degli anni Ottanta ed in questo frangente storico il segmento delle utilitarie aveva prezzi decisamente impegnativi, abbiamo visto prima; è un caso che tale periodo storico coincide con il peso della mano pubblica nel settore Automotive europeo ed italiano che oggi possiamo solo sognare?

2) Dagli anni Novanta il peso delle “SubB” come Target di mercato si è progressivamente ridotto ma soprattutto non ne è mai stata remunerativa la vendita se non con la leva finanziaria collegata all’auto :questo proprio perché parliamo di modelli di auto dal Listino (rivalutato ad oggi) compreso fino al 2009 tra 12.000,00 e 14.000,00 Euro, cioè il Listino che in molti vedrebbero salvifico per il mercato auto attuale.

3) La leva finanziaria a pioggia fino al 2007, spostando margini e redditività sulle operazioni di credito erogato limitando la crescita dei Listini, ha in parte “viziato” il Cliente potenziale illudendolo che quel che è accaduto (per effetto Doping per una quindicina di anni) sia la norma e che dunque sia ragionevole attendersi che al passare del tempo il costo dell’auto nuova tenda a decrescere.

Ma non è la norma, è stato un artificio commerciale di brevissimo respiro del quale paghiamo ancora le conseguenze;

4) Detto in parole povere, l’apporto in termini di margini di una eventuale Gamma Low Cost non ha portato finora e non porterà domani vantaggi in termini di fatturato o di riduzione del prezzo medio o di aumento degli acquisti: avere in Gamma modelli ipotetici da 11.000,00/13.000,00 Euro di prezzo di acquisto “finito” per i Costruttori non ha alcun effetto garantito se non quello di dover ricevere dalla Cina linee di montaggio su licenza. Dove sarebbe il vantaggio? Beh, il vantaggio ci sarebbe, e riguarda la nuova prossima piaga del mercato:

Autoimmatricolazioni o immatricolazioni “a Babbo morto”?

Lo tsunami del Crack Lehman ha scoperto dentro alla pancia dei Dealer la piaga degli Stock giacenti pieni zeppi di auto nuove invendute e di Usato ormai obsolescente; chi può escludere che piano piano il problema non si ripeterà con le Autoimmatricolazioni? 

La soluzione invocata dai “Guru” della consulenza e dell’informazione parla sempre più spesso non di riduzione dei Listini in vigore per l’offerta corrente, ma dell’ingresso in Gamma di auto dal costo assolutamente basso. Io comincio a pensare che questa “pezza calda” del tutto nuovamente deleteria nel lungo termine (perché inonderà l’Europa di modelli di auto costruiti su licenza di Marchi cinesi) nel breve termine sia utile non solo per acquisire crediti di Carbonio dal calcolo delle emissioni totali ma serva anche ad ammortizzare il peso sempre più crescente delle autoimmatricolazioni nella loro giacenza da invenduto che pesa in termini di interessi bancari passivi. Se però, per l’ennesima volta, Dealer e Costruttori cercano di perseguire una via (i modelli LowLow Low Cost in Gamma) solo per un beneficio aleatorio di breve periodo con rischio però di ennesima degenerazione nel medio e lungo termine, stavolta dovremmo essere noi cittadini europei a mettere le barricate.

Se i Dealer sanno ancora vendere, facciamo come chi vendeva 40 anni fa

Francamente il “targhificio” che l’Italia ha espresso fino al 2007 è stata la riprova che il mondo dei Dealer aveva finito per essere telecontrollato dalla evangelizzazione e dal dogmatismo pragmatico dei Marchi Costruttori che si sono imposti nella organizzazione delle Reti di vendita da un quarto di secolo: Protocollo di vendita predefinito e schematico, evangelizzazione finanziaria, codice comunicativo e comportamentale non hanno fatto altro che demolire l’empatia alla ricerca della fidelizzazione schematica dettata dal ciclo programmato di sostituzione. Terminata la leva del credito a pioggia, gli Showrooms si sono desertificati di Clienti e riempiti di poveri Agenti a Partita Iva h24 e sette su sette blindati dentro i pochi saloni rimasti in attività. 

In attesa di un nuovo ecoincentivo statale, o di una gamma da 11.000,00 Euro da vendere “Express”……O di tornare a lavorare per la Folletto. Sempre meglio di questo settore Automotive.

Riccardo Bellumori

Maserati ci ripensa e resuscita il V8?

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È passato quasi un anno da quando quella che si pensava fosse l’ultima auto Maserati con motore V8 è arrivata negli Stati Uniti, una Quattroporte Grand Finale Edition. All’epoca, questo evento ha segnato la fine di un’era per il marchio del Tridente. Da allora, Maserati ha dovuto fare i conti con vendite stagnanti e lanci di modelli ritardati o cancellati.

Nonostante le turbolenze, c’è una flebile possibilità che il V8 possa tornare, ma solo nelle giuste circostanze, secondo il responsabile tecnico dell’azienda.

Nel 2023, Maserati ha annunciato che avrebbe gradualmente eliminato il suo V8 di origine Ferrari, posizionando il V6 Nettuno di produzione interna come motore di riferimento fino alla transizione del marchio a una gamma completamente elettrica entro il 2030. Ma molto è cambiato nell’ultimo anno. Come molti altri, Stellantis ha rivalutato la sua strategia a lungo termine in risposta alla domanda di veicoli elettrici inferiore alle aspettative e all’incertezza normativa.

Sebbene il V6 Nettuno dovesse portare avanti la tradizione dei motori a combustione di Maserati, la porta per un ritorno dei V8 non è stata completamente chiusa. In una recente intervista con CarExpert, Davide Danesin, responsabile dell’ingegneria Maserati, ha riconosciuto il continuo interesse del mercato per i V8.

“Conosciamo bene l’opinione del mercato sui motori V8”, ha affermato, “e non diremmo mai che non useremo mai più un V8: forse per versioni speciali o altri modelli è qualcosa che potremmo prendere in considerazione”.

Sebbene ciò sembri promettente, Danesin ha chiarito che il V6 “è al centro della nostra strategia di propulsione in questo momento”. Il responsabile dell’ingegneria ha affermato che il Nettuno “presenta molte innovazioni, è super leggero, super compatto, con un’elevata densità di potenza”, aggiungendo che dal punto di vista del design “ha davvero tutto ciò che serve per offrire la migliore esperienza di guida al cliente”.
La Quattroporte Grand Finale è stata l’ultima Maserati equipaggiata con il V8 di origine Ferrari.
L’ultima versione del V8 biturbo da 3,8 litri di origine Ferrari produceva 572 CV (427 kW / 580 PS) e 730 Nm di coppia nella Maserati Ghibli, Levante e Quattroporte. A titolo di confronto, il V6 biturbo da 3,0 litri di Maserati offre fino a 632 CV (471 kW / 640 PS) e 720 Nm di coppia nella MC20 GT2 Stradale con motore centrale.

IL RITORNO DEL V8

Il V6 Nettuno è presente anche nei modelli GranTurismo e GranCabrio, che hanno due cilindri in meno rispetto ai loro predecessori. Klaus Busse, responsabile del design di Maserati, ha spiegato che un “V6 super compatto e super potente” era l’unico modo per realizzare un concetto di motore anteriore centrale, poiché un “grande motore V8” non sarebbe entrato dietro l’asse anteriore.

Sebbene un V8 possa avere più peso in termini di “diritto di vantarsi”, Busse ha sottolineato che in questi modelli comporterebbe in realtà prestazioni complessive inferiori rispetto a quelle offerte oggi dal V6.

Il futuro dei V8 alla Maserati potrebbe dipendere dai modelli che possono fisicamente ospitarli, come una nuova versione esotica in edizione limitata o versioni ridisegnate della Levante e della Quattroporte. Entrambe erano originariamente destinate a diventare elettriche, ma hanno subito ritardi a causa di difficoltà finanziarie e vendite poco entusiasmanti dei veicoli elettrici.

È interessante notare che Stellantis ha reintrodotto l’opzione del propulsore Hemi V8 da 5,7 litri nel Ram 1500, un anno dopo averlo eliminato dalla gamma. Ciò dimostra che i dirigenti potrebbero essere aperti a una nuova Maserati con motore V8, consentendo al marchio di alta gamma di competere meglio con Aston Martin, Porsche, Lamborghini e Mercedes-AMG. Tuttavia, con la fine della partnership con Ferrari e l’inasprimento delle normative sulle emissioni, non è chiaro quale V8, se ce ne sarà uno, sarebbe adatto alla Maserati di prossima generazione.

Nuova Maserati MCPura: restyling della MC20

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A quasi cinque anni dal suo debutto, la Maserati MC20 è stata sottoposta a un restyling che ha portato con sé alcune modifiche sottili e un nuovo nome: MCPura. In vendita a partire dal modello del 2026, inizieremo con ciò che è rimasto invariato rispetto al passato.

Per cominciare, la MCPura sarà disponibile sia in versione coupé che cabriolet (Cielo), entrambe con motore V6 biturbo a benzina “Nettuno” da 3,0 litri che eroga 630 CV (621 hp o 470 kW) a 7.500 giri/min e 730 Nm di coppia da 3.000 a 5.500 giri/min. Abbinata a un cambio a doppia frizione a otto rapporti che aziona le ruote posteriori, la MCPura impiega 2,9 secondi per passare da 0 a 100 km/h e raggiunge una velocità massima di oltre 325 km/h (coupé) o 320 km/h (Cielo).

In termini di modifiche visibili, la MCPura sfoggia un nuovo frontale con una griglia di forma più trapezoidale. A questo si aggiunge un paraurti ispirato alla vettura da corsa GT2 Stradale con un telaio scuro rivisto che si estende da sotto i fari anteriori fino a uno splitter anteriore modificato. Per quanto riguarda la parte posteriore, il paraurti ha ora un aspetto più scolpito che accentua i doppi scarichi e sfoggia anche un nuovo diffusore.

LA SPORTIVA ITALIANA

In occasione della sua presentazione al Goodwood Festival of Speed di quest’anno, Maserati ha presentato la MCPura in una nuova verniciatura AI Aqua Rainbow con finitura opaca per la coupé e lucida per la Cielo. A seconda dell’angolo da cui la si guarda, questa tonalità di blu cambia al sole e mostra sfumature di altri colori. Sono disponibili anche tre nuovi colori chiamati Devil Orange, Verde Royale e Night Interaction.

Altre modifiche esterne riguardano la nuova finitura dei badge, mentre per i loghi del tridente (griglia e montanti posteriori), i coprimozzo e la scritta del modello è stata utilizzata una tinta magenta con scaglie di mica blu, lucida (coupé) o opaca (Cielo).

All’interno, la Maserati MCPura sembra identica alla MC20, ma ci sono nuovi sedili con rivestimenti in Alcantara incisi al laser con strisce verticali. Questi nuovi sedili sono dotati di un rivestimento double-face rosso iridescente con blu e blu iridescente con rosso, con una tecnica di produzione che conferisce un aspetto 3D.

Nuova Hyundai Ioniq 5 N: Anteprima

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Hyundai ha presentato al Festival della Velocità di Goodwood (Regno Unito) la berlina sportiva Ioniq 6 N, annunciata già nel 2022: come previsto, ha preso in prestito le caratteristiche tecniche dalla crossover Hyundai Ioniq 5 N, che condivide la stessa piattaforma, dalla quale ha ereditato anche una ricca dotazione di dispositivi elettronici.

La Hyundai Ioniq 6 N è un chiaro esempio di quanto le case automobilistiche occidentali, tra cui oggi si può includere anche la sudcoreana Hyundai Motor Group, siano rimaste indietro negli ultimi anni rispetto ai concorrenti cinesi in termini di veicoli elettrici. Mentre la Xiaomi SU7 batte i record di vendita e la sua versione top di gamma Ultra da 1548 cavalli supera la Porsche al Nürburgring, Hyundai ha finalmente lanciato la sua Ioniq 6 N con caratteristiche tecniche piuttosto mediocri rispetto alle migliori auto cinesi.

Il precursore della Ioniq 6 N è stato il concept Hyundai RN22e del 2022, ma l’azienda sudcoreana non ha mai deciso di produrre la Ioniq 6 N in serie con la carrozzeria pre-restyling. La scorsa primavera, la Ioniq 6 originale è stata sottoposta a un restyling e oggi a Goodwood ha finalmente debuttato la versione top di gamma N, ovviamente con la carrozzeria restyling. La berlina sportiva elettrica presenta gli inserti rosso-neri tipici dei modelli N di Hyundai sulla carrozzeria, oltre al colore principale, e un kit aerodinamico avanzato, tra cui un alettone posteriore sul cofano del bagagliaio. I cerchi molto eleganti con raggi forati sono equipaggiati con pneumatici Pirelli P Zero 5, progettati appositamente per questa vettura.

DATI TECNICI E MOTORE

Il sistema di trazione è a doppio motore, quello anteriore elettrico eroga 166 kW (226 CV), quello posteriore 282 kW (383 CV), la potenza massima complessiva è di 448 kW (609 CV) e 770 Nm, mentre in modalità N Grin Boost, che si attiva con il tasto rosso sul volante e dura 10 secondi, la potenza massima aumenta a 478 kW (650 CV), proprio come nella Hyundai Ioniq 5 N di due anni fa. La berlina sportiva elettrica accelera da 0 a 100 km/h in 3,2 secondi (0,2 secondi più veloce della Hyundai Ioniq 5 N), con una velocità massima di 257 km/h (260 km/h per la Hyundai Ioniq 5 N). La capacità della batteria è di 84 kWh, l’autonomia con una singola ricarica non è stata ancora annunciata.

Le sospensioni con ammortizzatori adattivi regolabili sono state riprogrammate in chiave sportiva. La rigidità della carrozzeria è stata aumentata grazie a rinforzi aggiuntivi nel bagagliaio. I potenti freni a disco dovrebbero garantire una decelerazione sicura: nella parte anteriore sono montati dischi da 400 mm con pinze a quattro pistoncini, nella parte posteriore dischi da 360 mm con pinze a pistoncino singolo.

INTERNI E TECNOLOGIE

L’abitacolo è dotato di sedili sportivi anteriori con poggiatesta integrati e dello stesso volante a tre razze del Hyundai Ioniq 5 N, su cui sono montati i comandi delle principali funzioni elettroniche, tra cui i paddle al volante per il cambio delle marce virtuali del sistema N e-Shift, che, limitando la potenza e gli scatti, imita il funzionamento di un cambio a 8 marce con doppia frizione. Questo sistema non ha alcun senso pratico: è solo un divertente espediente, così come il sistema N Active Sound +, che genera suoni falsi del funzionamento del motore.

Sono inoltre inclusi i sistemi N Launch Control (che garantisce una partenza il più rapida possibile), N Battery (che porta la temperatura della batteria al livello ottimale), N Drift Optimizer (modalità drift personalizzabile), N Torque Distribution (regolazione del bilanciamento della trazione tra le ruote anteriori e posteriori), N Pedal (che aiuta a superare le curve), N Brake Regen. (che attiva la massima frenata rigenerativa) e TPMS Custom Mode (regolazione della pressione dei pneumatici). È possibile giocare a lungo con tutti questi sistemi, cercando di ottenere il tempo più veloce possibile in pista o semplicemente intrattenendo i passeggeri.

Il prezzo della Hyundai Ioniq 6 N non è stato ancora annunciato. A titolo indicativo, la crossover Hyundai Ioniq 5 N costa in Germania a partire da 74.900 euro, quindi la berlina sarà sicuramente più costosa. Nel frattempo, la Xiaomi SU7 Ultra costa in Cina a partire da 529.900 yuan, ovvero circa 63.000 euro al tasso di cambio attuale.

A Goodwood, la Hyundai Ioniq 6 N promette di mostrare tutto ciò di cui è capace, ma difficilmente vedremo questa berlina sportiva al Nürburgring. Tuttavia, in questo caso saremo felici di sbagliarci.

Nuovo Renault Boreal reinventa Dacia Bigster

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Il nuovo Renault Boreal arriva sul mercato come una versione rivista del Dacia Bigster.

Tra 4,41 m e 4,75 m, non meno di cinque SUV rispondono all’appello in casa Renault, dal Symbioz all’Espace, passando per l’Austral (4,53 m) e il Rafale (4,71 m), senza dimenticare l’offerta 100% elettrica incarnata dallo Scenic (4,47 m). Di conseguenza, quale interesse ha il marchio nell’aggiungere il Boreal, un sesto modello che si estende per 4,56 m? Semplicemente perché punta a essere venduto nei mercati dove la maggior parte dei suoi “fratelli” sarà assente. Il nuovo arrivato mira infatti principalmente a mercati emergenti come Brasile e Turchia, dove sarà assemblato. In totale, verrà distribuito in oltre 70 paesi in America Latina, nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente, inizialmente, mentre il suo arrivo in India è attualmente in fase di studio. Più vicino a noi, l’Ucraina sarà un’eccezione, mentre la sua commercializzazione non è prevista nell’Europa occidentale.

Un canovaccio ben noto… Se, a prima vista, il suo design sembra completamente inedito, guardando più da vicino la silhouette del nuovo Renault Boreal appare più familiare. È normale, dal momento che si basa sull’ossatura del Dacia Bigster (4,57 m), al quale cede solo un centimetro in lunghezza. Proprio per evitare sovrapposizioni fra questi due protagonisti, il rappresentante della Losanga non verrà quindi commercializzato alle nostre latitudini. Inoltre, le occasioni di coesistenza tra il francese e il rumeno nello stesso mercato saranno rare.

È noto che Dacia si concentra essenzialmente sull’Europa e il Maghreb, grazie a un posizionamento più economico rispetto a Renault. Una dualità che non ha motivo di esistere nel resto del mondo.

IL NUOVO MODELLO

In passato, Renault si è accontentata di ribattezzare rapidamente modelli Dacia per vendere veicoli a basso costo in questi paesi lontani, senza nemmeno preoccuparsi di cambiarne il nome. Così sono stati ampiamente distribuiti Renault Logan, Renault Sandero e Renault Duster, negli ultimi vent’anni. Per quanto riguarda quest’ultimo, la generazione 2024 ha ancora una volta adottato questo stratagemma, ridisegnando per lo più la calandra del modello Dacia. Ma i tempi cambiano, e in quest’anno 2025 il suo fratello maggiore Bigster sfugge a questa pratica, per la gioia dei designer della Losanga che hanno avuto carta bianca per modificare la maggior parte degli elementi della carrozzeria, così come una buona parte dell’abitacolo per dare vita al Boreal.

Un cambio di rotta che sottolinea la volontà di Renault di puntare su fasce di mercato più alte nei paesi emergenti, facendo leva sul linguaggio stilistico delle più recenti produzioni europee.

Una parte anteriore di rottura Detto ciò, il nuovo Renault Boreal si distingue dai volti “a matrioska” esibiti dal trio Austral, Espace e Rafale, adottando i principi stilistici del concept-car Niagara, apparso nel 2023. Si trattava di un gigantesco pick-up destinato a nascere a medio termine, sulla base di questo Boreal, che punta su effetti stilistici che suggeriscono robustezza, abbandonando le delicate griglie punteggiate di losanghe dei Renault più recenti del Vecchio Continente. Le firme luminose si distribuiscono su più livelli intrecciati da una calandra “taglia-patate”.

Tuttavia, nei dettagli, il nuovo arrivato elimina alcuni tratti distintivi del Bigster per allontanarsi dall’universo di riferimento dei fuoristrada. Ciò include l’eliminazione del bordo che evidenziava la base del cofano del modello rumeno, a favore di un’apertura che si prolunga delicatamente verso il logo, mentre i passaruota esagonali si avvicinano a un arco convenzionale. Ogni fiancata evidenzia rilievi origamici, lontani dalle spalle marcate del Bigster. Anche se non si nota subito, il posteriore del tetto cala maggiormente per dinamizzare la silhouette, e l’inclinazione del lunotto si accentua.

Sono andati persi 6 centimetri in altezza, anche a causa dell’introduzione di barre portatutto più sottili. In basso, il Renault Boreal si ispira ai fari del Rafale, con elementi raffinati che sovrastano un portellone piacevolmente bombato, in netto contrasto con il design rigido del Dacia.

Interni eleganti L’abitacolo mostra anche un’evoluzione verso l’alto. Oltre al restyling del cruscotto e dei pannelli porta, si notano materiali più curati come plastiche morbide, rivestimenti laminati e cromature, mentre l’insieme è valorizzato da giochi di luce che emergono da supporti incisi al laser. Il Renault Boreal non si fa mancare nulla, optando per una coppia di schermi digitali da 10”, con la nuova generazione del software openR Link basata su Google, e un sistema audio di alta gamma Harman/Kardon. Raffinatezze che il Bigster non propone, senza contare il comfort dei sedili massaggianti e regolabili elettricamente in tutte le direzioni. Alla fine, solo la console centrale mostra visivamente le sinergie tra i due cugini. Renault ha comunque sostituito la plastica grezza della plancia del cambio con una superficie nera lucida. Anche i posti posteriori hanno ricevuto maggiore attenzione, con l’integrazione di un bracciolo centrale e con un design e materiali più ricercati per i pannelli porta. Tuttavia, il blocco di aerazione resta invariato rispetto al Bigster.

Gamma motori ridotta Per quanto riguarda il bagagliaio, Renault ha indicato per ora una sola cifra: 586 l, contro i 546–667 l del Bigster, a seconda del livello di ibridazione dei suoi motori e del conseguente ingombro delle batterie. Sul fronte motorizzazioni, Boreal si distingue anche dal cugino dell’Europa dell’Est, desideroso di adattarsi alle diverse normative locali dei paesi destinatari.

In attesa dell’arrivo del nuovo 1.8 l full-hybrid da 155 CV del Bigster, sotto il cofano troviamo un 1.3 TCe turbo a iniezione diretta, disponibile in versione benzina o Flex Fuel secondo i paesi, come il Brasile. Questo sviluppa fino a 163 CV nella versione Flex Fuel, 156 CV a benzina in America Latina e 138 CV in Turchia. È soprattutto su questo punto che il Renault Boreal regredisce rispetto alla modernità dell’offerta Dacia in Europa, ampiamente ibridata.

La buona notizia riguarda la trasmissione: il marchio francese abbina questo motore a un cambio automatico a doppia frizione EDC a 6 rapporti, noto per la sua morbidezza e reattività.