Credo che tutti gli appassionati del Marchio Jaguar che guardano – a volte con preoccupazione, a volte con diffidenza, a volte con chiaro e manifesto dissenso, persino con tendenza alla scomunica per la sacralità legata al Marchio di Sir Lyon – con apprensione ed attoniti il percorso della attuale dirigenza di Jaguar (alle prese con un percorso sedicente nuovo, rivoluzionario negli assetti del Marchio e tuttora da definire e comprendere appieno) potrebbero persino tirare un deciso sospiro di sollievo pensando a quel che si viveva a Coventry mezzo secolo fa: alla vigilia della presentazione della Coupè XJS.
Il Brand Jaguar oggi è in una situazione di grande trasformazione e l’importanza del suo prodotto storico, del suo patrimonio di Imprese e di Punti vendita e di Aftersales sul territorio sono oggi un valore ancora più importante perché rappresentano la stella polare che la nuova e futura Jaguar dovrebbe avere sempre come riferimento, pensano gli amanti storici della Casa inglese.
Ed infatti mezzo mondo si è sollevato a difesa e nell’attenzione estrema verso Jaguar in questo percorso “sperimentale” che – come ricordano dall’HeadQuarter inglese – vedrà il suo compimento e la sua nuova “Release” a partire dal 2026 con una nuova Gamma preferibilmente elettrificata.
Ma mezzo secolo fa c’era tale e tanta congiunzione astrale a colpire contemporaneamente:
il settore Industriale Auto in Europa (con la crisi energetica, le prime contestazioni operaie e studentesche);
il comparto auto inglese con le nazionalizzazioni assurde dei Governi Labour ma anche un po’ di quelli Tories;
ed infine il Marchio Jaguar inserito ormai dentro la BritishLeyland a futura guida Michael Edwardes e sotto l’occhio del ciclone per un pregiudizio di Clienti ed opinionisti sulla precaria qualità di produzioni ed assemblaggi;
che tutto questo fece da anticamera ed incubatore non proprio benvoluto alla nascita di quella che, più in specifico, doveva essere l’erede e sostituta di un mito vivente a quattro ruote che divenne all’epoca la “E Type” capace, per quasi i quindici anni precedenti, di ridare nuova spinta all’immagine di Jaguar, di riportare la classe sportiva inglese ai fasti antichi al top del mondo e capace di influenzare non solo lo stile e il rinnovamento della concorrenza ma di costringere nomi come quello di Enzo Ferrari a correre ai ripari nel realizzare una Gran Turismo in grado di confrontarsi con “Her Majesty” E Type. Da questo, primariamente, era nata la scommessa “250 Papera” di Giotto Bizzarrini da cui a Maranello fecero derivare la “250 GTO”.
Dunque, nel 1975 potete Voi lettori immaginare tre scenari di dibattito e speculazione amichevole:
-O siete contemporanei già maturi (io non posso ritenermi tale, avevo a malapena cinque anni quando XJS fu presentata) all’epoca dei fatti: e dunque al di là delle pompose e un poco artefatte ricostruzioni più recenti sui Social e sui Media di settore ricordate bene il canaio di critiche e di superstizione che avvolse la nuova Coupè alla sua presentazione;
-O siete più filologici, e contemporanei o meno, sapete bene che contesto (come io ho elencato sopra) ha affrontato sin da subito la mia cara XJS alla sua nascita;
-Oppure, terza ipotesi, siete un pubblico perfetto solo e tristemente per i siti Web e le piattaforme da cui passano Ford Escort fatte uscire da immaginifici pollai e rimesse di tutto punto e Restomod pesante a ruggire non si sa dove e perché; ma siete contemporaneamente poco adatti ad una piattaforma come la nostra. Pazienza, potrete fare a meno di noi.
50 Years of the Royal Coupè, the birthdate of a Highlander
Dunque, il 10 Settembre 2025 la icona del lusso sportivo inglese, ovvero della sportività elegante e lussuosa secondo il più puro stile British compirà mezzo secolo dalla sua presentazione al Salone di Francoforte.
Faccio riferimento ad alcuni titoli o commenti che ho letto sul Web e che rappresentano la più pura trasformazione in buona fede e per passione di fatti ed eventi realmente accaduti:
Titoli e commenti come “Quel giorno in cui Maserati, Ferrari e BMW cominciarono a tremare” (con riferimento proprio alla data di presentazione della XJS) oppure “Sua Maestà il Coupè”, oppure “Regina a Due porte”….Ma passerei una giornata a fare elenchi inutili. Perché purtroppo la realtà che si affaccio’ di fronte alla mia amata XJS fin dall’inizio fu molto più cruda e pregiudizievole.
Il primo evento “Karmico” quasi, che avvolge al suo primo destino la nuova Coupè, è ad esempio la scomparsa del suo padre stilistico Malcom Sayer ad un passo dalla presentazione della “XJS”.
Stranissimo Paese, la Gran Bretagna: capace di divinizzare il metodo classico di taglio del prato o di ipnotizzare intere contee con il gioco del Polo o Cricket, ma spesso dimentico di tantissime glorie nazionali che in ogni settore hanno imposto un taglio epocale ed una impronta rivoluzionaria di sapore tipicamente britannico. Sayer è uno dei protagonisti della “BRevolution” in Automotive che tra la fine degli anni Quaranta e fino alla metà degli anni Sessanta ha espresso una industria inglese classica, rigorosamente fedele alle sue radici ma anche fortemente creativa. Scusate se è poco. Sir Issigonis, Colin Chapman, John Cooper, sono i nomi più ripetuti e gettonati dentro una “nuvola” di decine di altri talenti e profeti del futuro.
1950-1970: dentro Jaguar un vero e proprio Dream Team
Per cui se in uno qualunque dei Paesi che hanno scritto la storia dell’Auto fosse nato il padre della Jaguar C-Type, D-Type, ed E-Type come minimo in questi stessi Paesi vi sarebbe oggi un monumento equestre alla memoria. Ma se Vi dico il nome di Malcom Sayer – per moltissimi di Voi che avete imparato ad apprendere (perché così Vi hanno detto) che Chris Bangle è un genio assoluto – al contrario non Vi dice nulla.
Morto a 54 anni nel 1970, plausibilmente per il degrado polmonare dovuto al vizio continuato delle sigarette (anche se la figlia maggiore Kate, in una recensione apparsa su “BBC.com” rivelò che a stroncare Sayer fosse stato il dolore di sentirsi “snobbato” dalla Jaguar dalla quale lui stesso si sarebbe atteso attestati e riconoscimento ben maggiore da quello esternato da Coventry), Malcom era un Matematico raffinato e fantasioso, nonché esperto di aerodinamica, Sayer lavorò durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale nell’industria aeronautica per de Havilland e la Bristol Aeroplane Company.
Entrato nel 1950/1951 alla Jaguar, dentro questa portò le suecompetenze e i metodi di costruzione di aeromobili leggeri. Introdusse inoltre alla Jaguar un senso estetico connaturato alla sua “mano” da artista e fumettista a tempo perso. Un genio totale che addirittura impone alle tecniche di calcolo innovazione e nuove prassi. Per Sayer era l’aerodinamica a dover imporre i capisaldi delle linee estetiche, anche se ovviamente questo comportava in tema di produzione di serie l’esigenza di innovare, perfezionare e trasformare tecniche costruttive; significava mettere in crisi la catena della subfornitura; significava persino assoggettare radici e tradizioni storiche del Marchio alla nuova filosofia ispiratrice. Basta guardare l’era geologica che separa la XK150 dalla E-Type.
Ma prima della E-Type c’è un “Dream Team” alla Jaguar che vede Sir Lyons promuovere (come fosse un vero “Hooligan” del suo proprio Marchio e non già il compassato Titolare) la vena rivoluzionaria accompagnata da un tale Ingegner Williams Haynesche forma le strutture telaistiche e strutturali su cui i geni motoristici incastonano i mitici sei cilindri in linea o i nuovi dodici; ed alla fine della catena di interazione di quello Staff da sogno c’è lui, Malcom, a cucire le carrozzerie più belle e sinuose del tempo in tutta la Gran Bretagna.
Quel Dream Team che rivoluziona con pochi passaggi svolti in un lustro circa la storia dell’Automotive moderno (al pari di quel che seppero fare forse solo Dusio con la sua Cisitalia 202, tutta la famiglia Porsche in un periodo molto più lungo ed in fondo Flaminio Bertoni – Citroen DS – e Sir Alec Issigonis -Morris Mini – nella contemporaneità con lo staff lunare della Jaguar) vive tuttavia forse un destino “Karmico” e segnato da quell’elemento esoterico e ultraterreno che guida le storie e le sorti degli essere sovrumani per loro istinto e personalità.
Il difficile passaggio dalla “E-Type” alla XJS
Quel Dream Team che arriva nel 1961 alla E-Type passando per C-Type e D-Type (Lyons, Heynes, Sayer) fa in tempo a vivere la cristallizzazione del suo mito e la pietra miliare epocale che E-Type incastona nella storia dell’auto, proseguendo nel solco della più perfetta aristocrazia progettuale ed industriale in una Gran Bretagna che tuttavia, ahimè, inizia a cambiare inesorabilmente verso il peggio.
Il primo ad uscire di scena è Sir Lyons con cui Haynes progetta l’ultimo atto: la “XJ6” del 1968 la cui piattaforma fa da base per la futura XJS per la quale – anche – Heynes progetta poco prima della sua uscita da Jaguar il blocco del 12 cilindri leggendario.
Williams Lyons, presumibilmente, è quello che subisce più duramente sulle sue spalle la rivoluzione negativa che la Gran Bretagna sociale, politica e industriale sta per vivere: nel 1966 decide di “fondere” Jaguar con BMC (British Motor Corporation) ufficialmente per avere un vantaggio sull’utilizzo delle piattaforme di “Pressed Steels” la Società controllata da BMC dedicata alla produzione di Chassis, scocche e lamierati per l’Automotive.
In realtà Sir Lyons nasconde fin che può il problema di una stretta creditizia nata l’anno prima a causa dei pessimi indicatori produttivi e di conto economico del Marchio; dunque la fusione con BMC segue l’obbiettivo di “rinforzare” l’assetto patrimoniale in prima battuta, ma nel medio termine la scelta si rivela davvero controproducente.
Dalla fusione con BMC nasce “British Motor Holdings” (BMH), ma insieme al rinforzamento patrimoniale si appalesa il contrasto inconciliabile tra diverse anime e filosofie gestionali, con un corollario di inceppi e di controversie decisionali ma, in massima parte, con lo “svilimento” dentro un Gruppo industriale fondamentalmente “Popolare” delle prerogative commerciali e qualitative tradizionalmente prioritarie dentro Jaguar. Il dislivello e la differenza strategica tra Sir Lyons, più pragmatico e smart, ed il Presidente della elefantiaca British Motors Corp. (Donald Stokes) si fece via via sempre più marcata nel contrasto tra la pretesa di Lyons di mantenere alla Jaguar autonomia decisionale e commerciale mentre al contrario Stokes tendeva ad una integrazione e persino “sottofusione” tra Marchi sportivi sparsi in BMC e la stessa Casa del Giaguaro.
L’accesso della produzione di Coventry alla platea dei fornitori di BMC, la confusione di forza lavoro, la condivisione di processi produttivi e di componenti abbatte qualità, raffinatezza e glamour.
Per non parlare della di poco successiva “nazionalizzazione” e fusione generale di British Leyland dal 1975. L’anno proprio di nascita della “XJS”. In questa dimensione industriale e strategica il ritiro di Williams Lyons dal ruolo di A.D. nel 1967 non è solo un passaggio di consegne tacito verso la linea politica di BMC ma soprattutto la fine della speranza di poter in qualche modo vedere rappresentata Jaguar in modo paritario dentro la nuova Holding.
Dal suo lato ingegneristico, invece, William Heynes continua ad operare fino al 1969 ma velatamente fa capire successivamente che la trasformazione interna e la disgregazione progressiva di quel “Dream Team” implica la fine di un’epopea; fine alla quale lui stesso, dopo aver partecipato alla definizione preliminare della piattaforma “XJ6” per la futura Coupè, si rassegna con le dimissioni del 1969. Entrambi, sia Lyons che Heynes, mantengono formalmente una carica di “Consulenti Esterni” per Jaguar dopo la loro uscita, ma il titolo in questione è più questione di forma che di sostanza. In verità così come il timone della Jaguar fu preso – dopo l’uscita di Lyons” da Sir Lofty England(che aveva realmente guidato le trattative per la fusione con BMC), la gestione tecnica del Giaguaro arrivò nelle mani di Bob Knight. E se nel 1970 Dirigenza e Direzione Tecnica della Jaguar sono passate di mano, di quel “Dream Team” rimane a questo punto solo Malcom Sayer, saldo alla guida del Reparto Stile.
Ma anche in questo caso il destino sembra aver scritto la sua pagina esoterica: dopo l’abbandono di Sir William Lyons nel 1967, l’uscita di Heynes nel 1969, quel “Dream Team” perde drammaticamente e prematuramente anche Malcom a soli 54 anni, lasciando il ruolo a Bob Blake che subentra ai progetti di Stile di Sayer.
XJS: una mamma “pesante” da superare senza più i suoi padri nobili
Nel 1975, con l’Industria britannica quasi totalmente nazionalizzata nel minestrone “British Leyland”, con il razionamento della benzina, i nuovi limiti di velocità, le lotte sindacali e la assurda settimana lavorativa di tre giorni per risparmiare energia nelle lavorazioni industriali, la tensione sociale che sta per esplodere, i problemi intorno alla XJS si sommano a quelli interni e commerciali: contemporaneamente la nascitura dovrà “ricrearsi” un nuovo segmento di mercato dopo quello ottimamente presidiato dalla E-Type dovendo anche garantire numeri di vendita più sostanziosi soprattutto in America; prima di questo però XJS affronta lo strano destino di dover superare sua madre (E-Type, ancora) avendo a sua volta perso i padri storici di questa.
E nonostante XJS abbia almeno commercialmente superato E-Type nelle cifre (115.000 unità vendute in 21 anni contro le 72.000 E-Type vendute in 13 anni), l’ombra mediatica e storiografica si è distesa sulla nuova Coupè fin da subito: con la prima presentazione alla Stampa di Settembre 1975, pochi giorni prima del bagno di folla al Salone di Francoforte del 10 di quel mese, la sede scelta da BMC/BL è Longbridge; e questo appare quasi come un avviso ai naviganti rivolto verso il management Jaguar su chi realmente governi all’epoca il carrozzone. Ma come e da cosa nasce-progressivamente – la XJS?
XJ21 ed XJ27, i progetti “TOP SECRET” per arrivare a XJS
La storia industriale più diffusa sulla XJS tende sempre ad implicare che questa fosse stata dal principio ed a priori immaginata come sostituta della “E-Type”. Ma non è così: l’inizio in termini di calendario delle prime proiezioni industriali della futura “XJS” parte dal 1969, anno in cui la E-Type è ancora sulla cresta dell’onda; dunque nonostante tutta la plausibile attività predittiva delle strategie industriali in seno a Jaguar, una parte pesante della gestione e dell’aggiornamento dentro Coventry rimaneva ancorato all’upgrade di una Coupè fiore all’occhiello della Jaguar e della Gran Bretagna, una di quelle icone di cui non solo non si sarebbe potuta immaginare la fine, ma neppure accettarla. Diverso era il programma evolutivo delle berline e delle ammiraglie che alla data di fine anni Sessanta sommava un bel po’ di “dinosauri” che dovevano essere sostituiti, a partire dalle “MkII” divenute “240”, la “Mark X” diventata “420”,ed una quota residuale di“S-Type” e di “Mk IX” Limousine Landauletteche ancora si producevano su richiesta per pochi clienti prima del trasferimento alla controllata Daimler della Berlina “420” e della Limousine “DS 420” voluta appositamente (ed inutilmente) per la famiglia Reale e per i nostalgici.
Dunque con la nascita della “XJ” del 1968 Jaguar si trova di fronte all’ingresso del Marchio in un segmento di mercato più “Executive” ma soprattutto “mid Sized” a differenza delle voluminore berline precedenti che però lasciano la Gamma scoperta nel taglio “minimal”. Nasce così un progetto “a latere” come quello di una Coupè “Light Size” con la quale fondamentalmente “bucare” in America tra le “Coupè” statunitensi “Pony Cars” (Mustang e Camaro, ed altre) potendosi tuttavia inserire ad hoc nella “insenatura” di gamma europea tra la serie di coupè più opulente (tra le quali abitava già benissimo proprio la E-Type) ed una nascente linea di GT e coupè “Light” soprattutto tedesche ed italiane surrogando in questo i target commerciali di Triumph ed MG verso i quali Jaguar era concorrente fino a prima dell’ingresso in BMC/BL.
Da qui partono i capisaldi del progetto “XJ21” diretto ancora personalmente da Malcom Sayer: siamo nel 1967/1968 ed il Reparto Stile Jaguar traccia una lista ufficiale poi ripresa dal sito “AROnline” di modelli di futura produzione: Berlina “XJ4”; “XK 12 cilindri”; ed infine fa capolino una serie “XJ21” Roadster e Coupè 2+2 dalle linee guarda caso meno “British” e più “Lotus inspired” proprio per adeguarsi al look molto preferito di Ferrari, Alfa Romeo, Lamborghini ed altre.
Dunque, per capirci meglio, dal carteggio interno e dalla lista di progetti in corso si poteva desumere che dentro Jaguar avrebbe preso piede prima una “light line” di Coupè da affiancare verso il “basso” alla E-Type e solo successivamente una potenziale sostituta, il cui embrione stilistico tuttavia ne ricalcava molto fedelmente i canoni stilistici.
La gestazione più lunga e controversa della storia
Insomma, se ancora nel 1967/1968 la linea evolutiva in casa Jaguar era capeggiata dalle strategie del “Dream Team” (e forse inconsapevolmente la linea strategica alla data si sarebbe sposata perfettamente con una Gamma “light” o “minimal” per affrontare la ormai prossima crisi energetica) dal 1969 l’ingerenza BMC si fa sentire: inconcepibile per Jaguar dentro BMC avere due linee di Coupè sportive, impensabile avere una concorrente di Triumph e di MG dentro casa, necessario ed inevitabile pensare ad una nuova Coupè per sostituire la E-Type quando sarà il momento soprattutto per lanciare una sportiva più familiare e pratica.
Ancora Sayer dirotta la sua vena creativa verso lo studio di una Coupè 2+2 più voluminosa ed abitabile della “XJ21” ma soprattutto più “canonica” mentre la XJ21 prefigurava linee (per intenderci) molto ispirate alla Lamborghini 350 ed Islero. E dopo il lancio della XJ6 la dirigenza BMC decide di assegnarne lo chassis come base telaistica della futura Coupè. Nasceva nel “Folder” di programma ufficiale di Jaguar (come ricorda il Sito “AROnline”) così la “XJ27” nel 1969, la futura “XJS” mentre Heynes ad un passo dall’uscita da Jaguar continuava lo sviluppo del nuovo motore a 12 cilindri provando a derivarne addirittura un V8 preventivamente ipotizzato al solo fine di non essere assoggettati da BMC all’adozione del troppo” tamarro” (secondo Jaguar) motore V8 3500 di origine Buick che equipaggiava le Rover. Purtroppo la “V” di partenza del blocco a 12 cilindri portò Jaguar a dichiararsi impotente di fronte al livello di vibrazioni ed irregolarità di funzionamento riscontrati in fase di collaudo. E come “incontro” a metà del guado la Jaguar garantì alla BMC la fine del programma di industrializzazione del nuovo V8 previa promessa di non essere obbligata ad adottare il V8 Rover.
Nel frattempo la grande influenza mediatica e politica della BMC fa la sua parte nel costruire il percorso di “Runout” da un lato della “E-Type” e dall’altro per fare da apripista ad una futura Coupè derivata dalla piattaforma “XJ”: preannunciata la ipotesi della nuova sportiva, l’Ufficio Stampa” di BMC “favorisce” un reportage del giornalista motoristico più influente del tempo in Gran Bretagna; è Denis Jenkinson, al quale viene affidata una nuova “XJ12” quattro porte per un giro dell’Isola. E’ Ottobre 1972 e Denis non usa mezzi termini dicendo che seppure proprietario di una E-Type le prestazioni offerte dalla combinazione “telaio+motore V12” della XJ rendono persino per la “E” superare i nuovi limiti garantiti dalla nuova futura auto con il comfort però di una comodità, silenziosità e comfort sconosciuti alla E-Type. Di poche cose siamo sicuri circa lo stile della XJS: intanto che Sir Lyon ha sicuramente interagito con Sayer sempre, come da protocollo di base tra i due, imporre le sue considerazioni; inoltre Sayer di fronte alle estreme contestazioni di BMC e dei vincoli progettuali si è fortemente ispirato al concept di Jensen ma non tanto per mancanza di ispirazione ma per rispondenza alle norme americane che hanno vincolato parecchio lo stile iniziale (fanaleria anteriore, altezze, paraurti, etc.); ma di tutte le modifiche operabili né Sayer né i suoi successori hanno tentato di rimuovere o abortire le caratteristiche pinne posteriori aerodinamiche. Thorpe si è persino inventato una modanatura brunita a cornice vetri per ridurne l’impatto visivo.
Quello che in pochi dicono, nonostante le apparenze, è che la scommessa del genio aerodinamico di Malcom Sayer vince anche stavolta: il “Cx” di XJS è di solo 0,38; nel settore delle Coupè“XXL” del suo tempo, è il valore migliore registrato in questo periodo.
E siamo al congelamento del progetto di stile nel 1972, agli ultimi test ed alla prima linea produttiva nel 1974, a Dicembre: una preserie per Stampa, presentazioni e ultimi test su strada.
Malcom Sayer nel frattempo è scomparso, e forse alla luce del “marasma” dirigenziale e delle ultime indicazioni operative di BMC (con la bocciatura delle linee forse più congeniali a Sayerdella XJ21 e l’affermazione di una sostituta della E-Type molto più “Executive” e (forse) americaneggiante; ma non sfugge la evidenza che la ormai prossima “XJS” deve pagare pegno anche al nuovo “Family feeling” in casa BMC portato da “Allegro” e “Princess” ad esempio.
C’è da tenere conto persino che BMC, alla scomparsa di Sayer, assegna il completamento del progetto formale a Doug Thorpe, il quale si dimostra persino contrario all’indirizzo generale dato da Malcom al layout di base: su diversi particolari, come le caratteristiche “pinne” posteriori, più di una volta è tentato di “sfasciare” tutto e ricominciare da capo; forse non si rende conto che il suo predecessore e superiore era stato un genio aerodinamico oltre che stilistico, e che quelle pinne avevano il compito di stabilizzare la XJS ad alta velocità . La prova la darà quasi dieci anni dopo la vittoria dell’Euroturismo da parte di Tom Walkinshaw…
E a proposito di vita sportiva, tutti ricordano la vittoria imperativa della XJS “TWR” del 1984, ma nessuno sa che già nel 1977 un certo Bob Tullius vince in America l’importante Campionato Trans Am e nel 1978 arriva anche il Titolo Costruttori aprendo in modo perfetto la via commerciale della Coupè inglese negli States, nonostante alcune “gaffes” commerciali: la prima “siepe” che la nuova Coupè supera a fatica è il pregiudizio dei Clienti sul V12 da 5,3 litri in una fase di Austerithy e di crisi energetica.
Il secondo “inceppo” è la rispondenza alle norme antiemissioneamericane che Jaguar paga riducendo la potenza di quasi il 20% rispetto all’Europa. Per il motore sei cilindri tutto in alluminio da 3,6 lt. Si dovrà attendere il 1983 mentre irrompe nella stampa e nella critica l’incubo “qualità”: scioperi, boicottaggi, e pessime forniture portano la XJS sotto i riflettori per problemi e malfunzionamenti davvero poco opportuni.
Si arriva all’anno peggiore per British Leyland ed uno dei peggiori per Jaguar, il 1977, dove la vittoria del Campionato Trans Am non sana il caos in casa generato dagli scioperi, dai boicottaggi e dall’ostracismo dei fornitori: l’immagine e la qualità costruttiva di Jaguar crollano in modo inesorabile.
Il nuovo Presidente John Egan si ispira decisamente a Michael Edwardes e riesce a creare un muro tra operai e Sindacati, ed attraverso la BBC e la Stampa ricostruisce l’immagine e la fiducia dei consumatori verso Jaguar. Arriva finalmente il motore sei cilindri 3,6 litri. Ma arriva anche la privatizzazione della Signora Thatcher e alla fine del 1989 si apre la trattativa con Ford per l’ingresso di Jaguar nell’Ovale. Il 4 Aprile del 1996 l’ultima di oltre 115.000 XJS (una bellissima Coupè Blu V12 da sei litri) esce dagli Stabilimenti.
Il suo anno migliore il 1989 con 10.665 pezzi prodotti a BrownsLane, il peggiore in assoluto il 1980 con solo 1057 pezzi prodotti, e la particolarità che conferma quanto futuristica ed innovativa concettualmente sia stata la XJS: per superare stabilmente i 5000 pezzi all’anno bisogna attendere quasi dieci anni dalla sua prima apparizione; dal 1984, complice la grande vetrina dell’Euroturismo, fino al 1990 la serie stagionale migliore con sette anni su ventuno che portano il 55% delle immatricolazioni totali della vita di XJS; stranamente il periodo di “run out” degli sei anni è persino superiore (24%) ai primi nove anni di produzione (il 21% delle immatricolazioni totali).
Ciao, Regina Pret a Porter. Come te, nessuna più
Si chiude la leggenda della Regina in Pret a porter forse (con il senno di poi) con l’ennesima minchiata strategica e commerciale stavolta ai piani alti di Detroit: tra le opzioni in ballo, un po’ come era accaduto nel 1966/1967 alla ipotesi discriminante se far uscire la XJS di scena o sottoporla ad un ennesimo “Upgrade” (Quarto Restyling ed adozione di un nuovo motore “V8” magari per la commercializzazione continentata in Europa ma con ottime prospettive negli USA, in Oceania e persino nei nuovi mercati ad Est) la dirigenza Ford opta per la sostituzione totale della “XJS” con la “XK8” che – detto con sincerità – non mi è mai piaciuta, e se i numeri non mentono non è piaciuta a tanti. Francamente dopo la “proletarizzazione” idiota di British Motor a partire dalla fine degli anni Sessanta, la indole “popolare” di Ford ha ugualmente saputo fare i suoi danni, e con la cessione a Tata del 2008 si apre un nuovo corso di cui, ancora adesso, attendiamo l’esito finale. Ma questo non conta: conta che, rispetto ad un vero amore che ho sempre avuto per “XJS” io sono stato in grado di raccontarVelaper quel che è stata. Una vera Regina in Pret a porter.
Riccardo Bellumori