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Nuova Mazda CX-5 2026: cambia tutto

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La Mazda CX-5 è, insieme alla MX-5, probabilmente il modello più importante di Hiroshima, quindi qualsiasi nuova versione del suo best-seller è un evento importante per l’azienda. Questo nuovo SUV di terza generazione del segmento C fa finalmente il suo debutto otto anni dopo il suo predecessore e, sebbene sembri vagamente simile all’ultimo modello, il design simile nasconde un cambiamento radicale nell’approccio di Mazda allo sviluppo dei suoi veicoli.

Per troppo tempo, la CX-5 è stata etichettata come l’opzione più sportiva ma meno pratica, quindi il nuovo modello ha un passo più lungo per aumentare lo spazio interno e la stabilità di guida. Ci sono anche porte posteriori con apertura più ampia, sedili posteriori ribaltabili 40:20:40 e un bagagliaio che ora è più grande di 61 litri rispetto a prima, il tutto per rendere questa vettura più versatile rispetto alla precedente.

L’allungamento del passo di cui sopra è stato accompagnato da un aumento delle dimensioni complessive per mantenere la forma e le proporzioni generali della CX-5. Con una lunghezza di 4.690 mm, una larghezza di 1.860 mm e un’altezza di 1.695 mm, la nuova auto è più lunga di 115 mm, più larga di 15 mm e più alta di 15 mm rispetto alla precedente.

Il caratteristico design Kodo è stato leggermente rinnovato seguendo un nuovo concetto di “Wearable Gear”. La grande griglia a sette punti rimane, ma ora c’è una cornice nera collegata ai fari sottili, che forma un’ala simile a quella della berlina elettrica 6e.

Passando al lato, i passaruota sono stati leggermente squadrati, mentre la linea del tetto sembra meno inclinata verso la parte posteriore, il che dovrebbe aumentare ulteriormente lo spazio per i passeggeri. La parte posteriore presenta ampi fanali a forma di L simili a quelli della CX-60 e della CX-80, insieme a due terminali di scarico visibili e alla scritta Mazda al posto del solito logo, un altro elemento ripreso dalla 6e.

Ma è all’interno che i cambiamenti sono davvero evidenti. Mazda ha tradizionalmente perseguito un concetto che metteva al primo posto il conducente, dando priorità ai comandi fisici, arrivando persino a spostare il display dell’infotainment e rendendolo inutilizzabile al tocco. Ora tutto questo è cambiato: la CX-5 è dotata di un enorme touchscreen che si trova nella parte anteriore e centrale del cruscotto, con una diagonale di 12,9 o 15,6 pollici.

Ispirato chiaramente alla 6e, questo cambiamento ha coinciso con lo spostamento di molti pulsanti e interruttori fisici, compresi i comandi dell’aria condizionata, sul display, il che significa che nemmeno Mazda è immune da questa sfortunata tendenza. Il lato positivo è che la CX-5 è la prima auto dell’azienda a integrare i servizi Google, come Google Maps, il controllo vocale generativo Gemini AI e l’app store Google Play.

LE TECNOLOGIE

Nel frattempo, il conducente siede davanti a un display digitale da 10,25 pollici e a un volante a tre razze che riporta nuovamente il marchio Mazda, una novità assoluta per l’azienda. Inoltre, l’eliminazione della manopola di comando in stile BMW iDrive ha liberato spazio per un caricatore wireless Qi posizionato dietro la leva del cambio.

Gli interni ripuliti hanno almeno portato a una presentazione più semplice, con il design avvolgente del cruscotto, che incorpora l’illuminazione ambientale nelle portiere delle versioni top di gamma, che risulta più prominente. Gli acquirenti possono scegliere tra diverse opzioni di rivestimento, tra cui pelle nera o marrone chiaro e finta pelle e pelle scamosciata bianca e nera. È inoltre possibile equipaggiare l’auto con un tetto panoramico in vetro e un sistema audio Bose a 12 altoparlanti.

DATI TECNICI E MOTORI

Mentre l’abitacolo è stato completamente rinnovato, sotto il cofano le cose sono più familiari. Finora è stata confermata una sola opzione di motore: un quattro cilindri e-Skyactiv-G da 2,5 litri aspirato abbinato a un sistema ibrido leggero da 24 volt, che sostituisce il motore base da 2,0 litri; è abbinato al consueto cambio automatico Skyactiv-Drive a sei rapporti.

Le prestazioni sono state notevolmente ridotte a 141 CV e 238 Nm di coppia (per non parlare dei precedenti 195 CV del 2,5 litri), il che significa che la CX-5 passa da 0 a 100 km/h in 10,5 secondi. Questo motore dovrà soddisfare gli acquirenti fino a quando Mazda non avrà pronto il suo nuovo range di propulsori Skyactiv-Z più efficienti, che dovrebbero entrare in produzione solo alla fine del 2027.
Sotto il cofano, la Mazda CX-5 beneficia di un nuovo sistema frenante brake-by-wire e di alcune modifiche al telaio e alle sospensioni per migliorare la maneggevolezza e il comfort di guida. Disponibile nelle stesse versioni a trazione anteriore e integrale di prima, l’auto è ora in grado di trainare fino a 2.000 kg. Sarà inoltre dotata di funzioni di assistenza alla guida (anche se Mazda non ha fornito ulteriori dettagli) e punta a ottenere una valutazione di sicurezza Euro NCAP a cinque stelle.

La nuova Mazda CX-5 sarà in vendita in Europa a partire da dicembre, con prezzi a partire da 34.500 euro in Germania.

Jaguar XJS: la Principessa che vestiva Pret a Porter

Credo che tutti gli appassionati del Marchio Jaguar che guardano – a volte con preoccupazione, a volte con diffidenza, a volte con chiaro e manifesto dissenso, persino con tendenza alla scomunica per la sacralità legata al Marchio di Sir Lyon – con apprensione ed attoniti il percorso della attuale dirigenza di Jaguar (alle prese con un percorso sedicente nuovo, rivoluzionario negli assetti del Marchio e tuttora da definire e comprendere appieno) potrebbero persino tirare un deciso sospiro di sollievo pensando a quel che si viveva a Coventry mezzo secolo fa: alla vigilia della presentazione della Coupè XJS.

Il Brand Jaguar oggi è in una situazione di grande trasformazione e l’importanza del suo prodotto storico, del suo patrimonio di Imprese e di Punti vendita e di Aftersales sul territorio sono oggi un valore ancora più importante perché rappresentano la stella polare che la nuova e futura Jaguar dovrebbe avere sempre come riferimento, pensano gli amanti storici della Casa inglese.

Ed infatti mezzo mondo si è sollevato a difesa e nell’attenzione estrema verso Jaguar in questo percorso “sperimentale” che – come ricordano dall’HeadQuarter inglese – vedrà il suo compimento e la sua nuova “Release” a partire dal 2026 con una nuova Gamma preferibilmente elettrificata. 

Ma mezzo secolo fa c’era tale e tanta congiunzione astrale a colpire contemporaneamente: 

il settore Industriale Auto in Europa (con la crisi energetica, le prime contestazioni operaie e studentesche); 

il comparto auto inglese con le nazionalizzazioni assurde dei Governi Labour ma anche un po’ di quelli Tories;

ed infine il Marchio Jaguar inserito ormai dentro la BritishLeyland a futura guida Michael Edwardes e sotto l’occhio del ciclone per un pregiudizio di Clienti ed opinionisti sulla precaria qualità di produzioni ed assemblaggi;

che tutto questo fece da anticamera ed incubatore non proprio benvoluto alla nascita di quella che, più in specifico, doveva essere l’erede e sostituta di un mito vivente a quattro ruote che divenne all’epoca la “E Type” capace, per quasi i quindici anni precedenti, di ridare nuova spinta all’immagine di Jaguar, di riportare la classe sportiva inglese ai fasti antichi al top del mondo e capace di influenzare non solo lo stile e il rinnovamento della concorrenza ma di costringere nomi come quello di Enzo Ferrari a correre ai ripari nel realizzare una Gran Turismo in grado di confrontarsi con “Her Majesty” E Type. Da questo, primariamente, era nata la scommessa “250 Papera” di Giotto Bizzarrini da cui a Maranello fecero derivare la “250 GTO”.

Dunque, nel 1975 potete Voi lettori immaginare tre scenari di dibattito e speculazione amichevole:

​-O siete contemporanei già maturi (io non posso ritenermi tale, avevo a malapena cinque anni quando XJS fu presentata) all’epoca dei fatti: e dunque al di là delle pompose e un poco artefatte ricostruzioni più recenti sui Social e sui Media di settore ricordate bene il canaio di critiche e di superstizione che avvolse la nuova Coupè alla sua presentazione;

 

-O siete più filologici, e contemporanei o meno, sapete bene che contesto (come io ho elencato sopra) ha affrontato sin da subito la mia cara XJS alla sua nascita; 

-Oppure, terza ipotesi, siete un pubblico perfetto solo e tristemente per i siti Web e le piattaforme da cui passano Ford Escort fatte uscire da immaginifici pollai e rimesse di tutto punto e Restomod pesante a ruggire non si sa dove e perché; ma siete contemporaneamente poco adatti ad una piattaforma come la nostra. Pazienza, potrete fare a meno di noi.

50 Years of the Royal Coupè, the birthdate of a Highlander

Dunque, il 10 Settembre 2025 la icona del lusso sportivo inglese, ovvero della sportività elegante e lussuosa secondo il più puro stile British compirà mezzo secolo dalla sua presentazione al Salone di Francoforte. 

Faccio riferimento ad alcuni titoli o commenti che ho letto sul Web e che rappresentano la più pura trasformazione in buona fede e per passione di fatti ed eventi realmente accaduti: 

Titoli e commenti come “Quel giorno in cui Maserati, Ferrari e BMW cominciarono a tremare” (con riferimento proprio alla data di presentazione della XJS) oppure “Sua Maestà il Coupè”, oppure “Regina a Due porte”….Ma passerei una giornata a fare elenchi inutili. Perché purtroppo la realtà che si affaccio’ di fronte alla mia amata XJS fin dall’inizio fu molto più cruda e pregiudizievole. 

Il primo evento “Karmico” quasi, che avvolge al suo primo destino la nuova Coupè, è ad esempio la scomparsa del suo padre stilistico Malcom Sayer ad un passo dalla presentazione della “XJS”.

Stranissimo Paese, la Gran Bretagna: capace di divinizzare il metodo classico di taglio del prato o di ipnotizzare intere contee con il gioco del Polo o Cricket, ma spesso dimentico di tantissime glorie nazionali che in ogni settore hanno imposto un taglio epocale ed una impronta rivoluzionaria di sapore tipicamente britannico. Sayer è uno dei protagonisti della “BRevolution” in Automotive che tra la fine degli anni Quaranta e fino alla metà degli anni Sessanta ha espresso una industria inglese classica, rigorosamente fedele alle sue radici ma anche fortemente creativa. Scusate se è poco. Sir Issigonis, Colin Chapman, John Cooper, sono i nomi più ripetuti e gettonati dentro una “nuvola” di decine di altri talenti e profeti del futuro. 

1950-1970: dentro Jaguar un vero e proprio Dream Team

Per cui se in uno qualunque dei Paesi che hanno scritto la storia dell’Auto fosse nato il padre della Jaguar C-Type, D-Type, ed E-Type come minimo in questi stessi Paesi vi sarebbe oggi un monumento equestre alla memoria. Ma se Vi dico il nome di Malcom Sayer – per moltissimi di Voi che avete imparato ad apprendere (perché così Vi hanno detto) che Chris Bangle è un genio assoluto – al contrario non Vi dice nulla. 

Morto a 54 anni nel 1970, plausibilmente per il degrado polmonare dovuto al vizio continuato delle sigarette (anche se la figlia maggiore Kate, in una recensione apparsa su “BBC.com” rivelò che a stroncare Sayer fosse stato il dolore di sentirsi “snobbato” dalla Jaguar dalla quale lui stesso si sarebbe atteso attestati e riconoscimento ben maggiore da quello esternato da Coventry), Malcom era un  Matematico raffinato e fantasioso, nonché esperto di aerodinamica, Sayer lavorò durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale nell’industria aeronautica per de Havilland e la Bristol Aeroplane Company.

Entrato nel 1950/1951 alla Jaguar, dentro questa portò le suecompetenze e i metodi di costruzione di aeromobili leggeri. Introdusse inoltre alla Jaguar un senso estetico connaturato alla sua “mano” da artista e fumettista a tempo perso. Un genio totale che addirittura impone alle tecniche di calcolo innovazione e nuove prassi. Per Sayer era l’aerodinamica a dover imporre i capisaldi delle linee estetiche, anche se ovviamente questo comportava in tema di produzione di serie l’esigenza di innovare, perfezionare e trasformare tecniche costruttive; significava mettere in crisi la catena della subfornitura; significava persino assoggettare radici e tradizioni storiche del Marchio alla nuova filosofia ispiratrice. Basta guardare l’era geologica che separa la XK150 dalla E-Type. 

Ma prima della E-Type c’è un “Dream Team” alla Jaguar che vede Sir Lyons promuovere (come fosse un vero “Hooligan” del suo proprio Marchio e non già il compassato Titolare) la vena rivoluzionaria accompagnata da un tale Ingegner Williams Haynesche forma le strutture telaistiche e strutturali su cui i geni motoristici incastonano i mitici sei cilindri in linea o i nuovi dodici; ed alla fine della catena di interazione di quello Staff da sogno c’è lui, Malcom, a cucire le carrozzerie più belle e sinuose del tempo in tutta la Gran Bretagna. 

Quel Dream Team che rivoluziona con pochi passaggi svolti in un lustro circa la storia dell’Automotive moderno (al pari di quel che seppero fare forse solo Dusio con la sua Cisitalia 202, tutta la famiglia Porsche in un periodo molto più lungo ed in fondo Flaminio Bertoni – Citroen DS – e Sir Alec Issigonis -Morris Mini – nella contemporaneità con lo staff lunare della Jaguar) vive tuttavia forse un destino “Karmico” e segnato da quell’elemento esoterico e ultraterreno che guida le storie e le sorti degli essere sovrumani per loro istinto e personalità.

Il difficile passaggio dalla “E-Type” alla XJS

Quel Dream Team che arriva nel 1961 alla E-Type passando per C-Type e D-Type (Lyons, Heynes, Sayer) fa in tempo a vivere la cristallizzazione del suo mito e la pietra miliare epocale che E-Type incastona nella storia dell’auto, proseguendo nel solco della più perfetta aristocrazia progettuale ed industriale in una Gran Bretagna che tuttavia, ahimè, inizia a cambiare inesorabilmente verso il peggio.

Il primo ad uscire di scena è Sir Lyons con cui Haynes progetta l’ultimo atto: la “XJ6” del 1968 la cui piattaforma fa da base per la futura XJS per la quale – anche – Heynes progetta poco prima della sua uscita da Jaguar il blocco del 12 cilindri leggendario.

Williams Lyons, presumibilmente, è quello che subisce più duramente sulle sue spalle la rivoluzione negativa che la Gran Bretagna sociale, politica e industriale sta per vivere: nel 1966 decide di “fondere” Jaguar con BMC (British Motor Corporation) ufficialmente per avere un vantaggio sull’utilizzo delle piattaforme di “Pressed Steels” la Società controllata da BMC dedicata alla produzione di Chassis, scocche e lamierati per l’Automotive. 

 

In realtà Sir Lyons nasconde fin che può il problema di una stretta creditizia nata l’anno prima a causa dei pessimi indicatori produttivi e di conto economico del Marchio; dunque la fusione con BMC segue l’obbiettivo di “rinforzare” l’assetto patrimoniale in prima battuta, ma nel medio termine la scelta si rivela davvero controproducente. 

Dalla fusione con BMC nasce “British Motor Holdings” (BMH), ma insieme al rinforzamento patrimoniale si appalesa il contrasto inconciliabile tra diverse anime e filosofie gestionali, con un corollario di inceppi e di controversie decisionali ma, in massima parte, con lo “svilimento” dentro un Gruppo industriale fondamentalmente “Popolare” delle prerogative commerciali e qualitative tradizionalmente prioritarie dentro Jaguar. Il dislivello e la differenza strategica tra Sir Lyons, più pragmatico e smart, ed il Presidente della elefantiaca British Motors Corp. (Donald Stokes) si fece via via sempre più marcata nel contrasto tra la pretesa di Lyons di mantenere alla Jaguar autonomia decisionale e commerciale mentre al contrario Stokes tendeva ad una integrazione e persino “sottofusione” tra Marchi sportivi sparsi in BMC e la stessa Casa del Giaguaro.

L’accesso della produzione di Coventry alla platea dei fornitori di BMC, la confusione di forza lavoro, la condivisione di processi produttivi e di componenti abbatte qualità, raffinatezza e glamour. 

Per non parlare della di poco successiva “nazionalizzazione” e fusione generale di British Leyland dal 1975. L’anno proprio di nascita della “XJS”. In questa dimensione industriale e strategica il ritiro di Williams Lyons dal ruolo di A.D. nel 1967 non è solo un passaggio di consegne tacito verso la linea politica di BMC ma soprattutto la fine della speranza di poter in qualche modo vedere rappresentata Jaguar in modo paritario dentro la nuova Holding.

Dal suo lato ingegneristico, invece, William Heynes continua ad operare fino al 1969 ma velatamente fa capire successivamente che la trasformazione interna e la disgregazione progressiva di quel “Dream Team” implica la fine di un’epopea; fine alla quale lui stesso, dopo aver partecipato alla definizione preliminare della piattaforma “XJ6” per la futura Coupè, si rassegna con le dimissioni del 1969. Entrambi, sia Lyons che Heynes, mantengono formalmente una carica di “Consulenti Esterni” per Jaguar dopo la loro uscita, ma il titolo in questione è più questione di forma che di sostanza. In  verità così come il timone della Jaguar fu preso – dopo l’uscita di Lyons” da Sir Lofty England(che aveva realmente guidato le trattative per la fusione con BMC), la gestione tecnica del Giaguaro arrivò nelle mani di Bob Knight. E se nel 1970 Dirigenza e Direzione Tecnica della Jaguar sono passate di mano, di quel “Dream Team” rimane a questo punto solo Malcom Sayer, saldo alla guida del Reparto Stile. 

Ma anche in questo caso il destino sembra aver scritto la sua pagina esoterica: dopo l’abbandono di Sir William Lyons nel 1967, l’uscita di Heynes nel 1969, quel “Dream Team” perde drammaticamente e prematuramente anche Malcom a soli 54 anni, lasciando il ruolo a Bob Blake che subentra ai progetti di Stile di Sayer.

XJS: una mamma “pesante” da superare senza più i suoi padri nobili

Nel 1975, con l’Industria britannica quasi totalmente nazionalizzata nel minestrone “British Leyland”, con il razionamento della benzina, i nuovi limiti di velocità, le lotte sindacali e la assurda settimana lavorativa di tre giorni per risparmiare energia nelle lavorazioni industriali, la tensione sociale che sta per esplodere, i problemi intorno alla XJS si sommano a quelli interni e commerciali: contemporaneamente la nascitura dovrà “ricrearsi” un nuovo segmento di mercato dopo quello ottimamente presidiato dalla E-Type dovendo anche garantire numeri di vendita più sostanziosi soprattutto in America; prima di questo però XJS affronta lo strano destino di dover superare sua madre (E-Type, ancora) avendo a sua volta perso i padri storici di questa.

E nonostante XJS abbia almeno commercialmente superato E-Type nelle cifre (115.000 unità vendute in 21 anni contro le 72.000 E-Type vendute in 13 anni), l’ombra mediatica e storiografica si è distesa sulla nuova Coupè fin da subito: con la prima presentazione alla Stampa di Settembre 1975, pochi giorni prima del bagno di folla al Salone di Francoforte del 10 di quel mese, la sede scelta da BMC/BL è Longbridge; e questo appare quasi come un avviso ai naviganti rivolto verso il management Jaguar su chi realmente governi all’epoca il carrozzone. Ma come e da cosa nasce-progressivamente – la XJS?

XJ21 ed XJ27, i progetti “TOP SECRET” per arrivare a XJS

La storia industriale più diffusa sulla XJS tende sempre ad implicare che questa fosse stata dal principio ed a priori immaginata come sostituta della “E-Type”. Ma non è così: l’inizio in termini di calendario delle prime proiezioni industriali della futura “XJS” parte dal 1969, anno in cui la E-Type è ancora sulla cresta dell’onda; dunque nonostante tutta la plausibile attività predittiva delle strategie industriali in seno a Jaguar, una parte pesante della gestione e dell’aggiornamento dentro Coventry rimaneva ancorato all’upgrade di una Coupè fiore all’occhiello della Jaguar e della Gran Bretagna, una di quelle icone di cui non solo non si sarebbe potuta immaginare la fine, ma neppure accettarla. Diverso era il programma evolutivo delle berline e delle ammiraglie che alla data di fine anni Sessanta sommava un bel po’ di “dinosauri” che dovevano essere sostituiti, a partire dalle “MkII” divenute “240”, la “Mark X” diventata “420”,ed una quota residuale di“S-Type” e di “Mk IX” Limousine Landauletteche ancora si producevano su richiesta per pochi clienti prima del trasferimento alla controllata Daimler della Berlina “420” e della Limousine “DS 420” voluta appositamente (ed inutilmente) per la famiglia Reale e per i nostalgici.

Dunque con la nascita della “XJ” del 1968 Jaguar si trova di fronte all’ingresso del Marchio in un segmento di mercato più “Executive” ma soprattutto “mid Sized” a differenza delle voluminore berline precedenti che però lasciano la Gamma scoperta nel taglio “minimal”. Nasce così un progetto “a latere” come quello di una Coupè “Light Size” con la quale fondamentalmente “bucare” in America tra le “Coupè” statunitensi “Pony Cars” (Mustang e Camaro, ed altre) potendosi tuttavia inserire ad hoc nella “insenatura” di gamma europea tra la serie di coupè più opulente (tra le quali abitava già benissimo proprio la E-Type) ed una nascente linea di GT e coupè “Light” soprattutto tedesche ed italiane surrogando in questo i target commerciali di Triumph ed MG verso i quali Jaguar era concorrente fino a prima dell’ingresso in BMC/BL.

Da qui partono i capisaldi del progetto “XJ21” diretto ancora personalmente da Malcom Sayer: siamo nel 1967/1968 ed il Reparto Stile Jaguar traccia una lista ufficiale poi ripresa dal sito “AROnline” di modelli di futura produzione: Berlina “XJ4”; “XK 12 cilindri”; ed infine fa capolino una serie “XJ21” Roadster e Coupè 2+2 dalle linee guarda caso meno “British” e più “Lotus inspired” proprio per adeguarsi al look molto preferito di Ferrari, Alfa Romeo, Lamborghini ed altre. 

Dunque, per capirci meglio, dal carteggio interno e dalla lista di progetti in corso si poteva desumere che dentro Jaguar avrebbe preso piede prima una “light line” di Coupè da affiancare verso il “basso” alla E-Type e solo successivamente una potenziale sostituta, il cui embrione stilistico tuttavia ne ricalcava molto fedelmente i canoni stilistici.

La gestazione più lunga e controversa della storia

Insomma, se ancora nel 1967/1968 la linea evolutiva in casa Jaguar era capeggiata dalle strategie del “Dream Team” (e forse inconsapevolmente la linea strategica alla data si sarebbe sposata perfettamente con una Gamma “light” o “minimal” per affrontare la ormai prossima crisi energetica) dal 1969 l’ingerenza BMC si fa sentire: inconcepibile per Jaguar dentro BMC avere due linee di Coupè sportive, impensabile avere una concorrente di Triumph e di MG dentro casa, necessario ed inevitabile pensare ad una nuova Coupè per sostituire la E-Type quando sarà il momento soprattutto per lanciare una sportiva più familiare e pratica.

Ancora Sayer dirotta la sua vena creativa verso lo studio di una Coupè 2+2 più voluminosa ed abitabile della “XJ21” ma soprattutto più “canonica” mentre la XJ21 prefigurava linee (per intenderci) molto ispirate alla Lamborghini 350 ed Islero. E dopo il lancio della XJ6 la dirigenza BMC decide di assegnarne lo chassis come base telaistica della futura Coupè. Nasceva nel “Folder” di programma ufficiale di Jaguar (come ricorda il Sito “AROnline”) così la “XJ27” nel 1969, la futura “XJS” mentre Heynes ad un passo dall’uscita da Jaguar continuava lo sviluppo del nuovo motore a 12 cilindri provando a derivarne addirittura un V8 preventivamente ipotizzato al solo fine di non essere assoggettati da BMC all’adozione del troppo” tamarro” (secondo Jaguar) motore V8 3500 di origine Buick che equipaggiava le Rover. Purtroppo la “V” di partenza del blocco a 12 cilindri portò Jaguar a dichiararsi impotente di fronte al livello di vibrazioni ed irregolarità di funzionamento riscontrati in fase di collaudo. E come “incontro” a metà del guado la Jaguar garantì alla BMC la fine del programma di industrializzazione del nuovo V8 previa promessa di non essere obbligata ad adottare il V8 Rover.

Nel frattempo la grande influenza mediatica e politica della BMC fa la sua parte nel costruire il percorso di “Runout” da un lato della “E-Type” e dall’altro per fare da apripista ad una futura Coupè derivata dalla piattaforma “XJ”: preannunciata la ipotesi della nuova sportiva, l’Ufficio Stampa” di BMC “favorisce” un reportage del giornalista motoristico più influente del tempo in Gran Bretagna; è Denis Jenkinson, al quale viene affidata una nuova “XJ12” quattro porte per un giro dell’Isola. E’ Ottobre 1972 e Denis non usa mezzi termini dicendo che seppure proprietario di una E-Type le prestazioni offerte dalla combinazione “telaio+motore V12” della XJ rendono persino per la “E” superare i nuovi limiti garantiti dalla nuova futura auto con il comfort però di una comodità, silenziosità e comfort sconosciuti alla E-Type. Di poche cose siamo sicuri circa lo stile della XJS: intanto che Sir Lyon ha sicuramente interagito con Sayer sempre, come da protocollo di base tra i due, imporre le sue considerazioni; inoltre Sayer di fronte alle estreme contestazioni di BMC e dei vincoli progettuali si è fortemente ispirato al concept di Jensen ma non tanto per mancanza di ispirazione ma per rispondenza alle norme americane che hanno vincolato parecchio lo stile iniziale (fanaleria anteriore, altezze, paraurti, etc.); ma di tutte le modifiche operabili né Sayer né i suoi successori hanno tentato di rimuovere o abortire le caratteristiche pinne posteriori aerodinamiche. Thorpe si è persino inventato una modanatura brunita a cornice vetri per ridurne l’impatto visivo.

Quello che in pochi dicono, nonostante le apparenze, è che la scommessa del genio aerodinamico di Malcom Sayer vince anche stavolta: il “Cx” di XJS è di solo 0,38; nel settore delle Coupè“XXL” del suo tempo, è il valore migliore registrato in questo periodo.

E siamo al congelamento del progetto di stile nel 1972, agli ultimi test ed alla prima linea produttiva nel 1974, a Dicembre: una preserie per Stampa, presentazioni e ultimi test su strada.

Malcom Sayer nel frattempo è scomparso, e forse alla luce del “marasma” dirigenziale e delle ultime indicazioni operative di BMC (con la bocciatura delle linee forse più congeniali a Sayerdella XJ21 e l’affermazione di una sostituta della E-Type molto più “Executive” e (forse) americaneggiante; ma non sfugge la evidenza che la ormai prossima “XJS” deve pagare pegno anche al nuovo “Family feeling” in casa BMC portato da “Allegro” e “Princess” ad esempio.

C’è da tenere conto persino che BMC, alla scomparsa di Sayer, assegna il completamento del progetto formale a Doug Thorpe, il quale si dimostra persino contrario all’indirizzo generale dato da Malcom al layout di base: su diversi particolari, come le caratteristiche “pinne” posteriori, più di una volta è tentato di “sfasciare” tutto e ricominciare da capo; forse non si rende conto che il suo predecessore e superiore era stato un genio aerodinamico oltre che stilistico, e che quelle pinne avevano il compito di stabilizzare la XJS ad alta velocità . La prova la darà quasi dieci anni dopo la vittoria dell’Euroturismo da parte di Tom Walkinshaw

E a proposito di vita sportiva, tutti ricordano la vittoria imperativa della XJS “TWR” del 1984, ma nessuno sa che già nel 1977 un certo Bob Tullius vince in America l’importante Campionato Trans Am e nel 1978 arriva anche il Titolo Costruttori aprendo in modo perfetto la via commerciale della Coupè inglese negli States, nonostante alcune “gaffes” commerciali: la prima “siepe” che la nuova Coupè supera a fatica è il pregiudizio dei Clienti sul V12 da 5,3 litri in una fase di Austerithy e di crisi energetica. 

Il secondo “inceppo” è la rispondenza alle norme antiemissioneamericane che Jaguar paga riducendo la potenza di quasi il 20% rispetto all’Europa. Per il motore sei cilindri tutto in alluminio da 3,6 lt. Si dovrà attendere il 1983 mentre irrompe nella stampa e nella critica l’incubo “qualità”: scioperi, boicottaggi, e pessime forniture portano la XJS sotto i riflettori per problemi e malfunzionamenti davvero poco opportuni. 

Si arriva all’anno peggiore per British Leyland ed uno dei peggiori per Jaguar, il 1977, dove la vittoria del Campionato Trans Am non sana il caos in casa generato dagli scioperi, dai boicottaggi e dall’ostracismo dei fornitori: l’immagine e la qualità costruttiva di Jaguar crollano in modo inesorabile. 

Il nuovo Presidente John Egan si ispira decisamente a Michael Edwardes e riesce a creare un muro tra operai e Sindacati, ed attraverso la BBC e la Stampa ricostruisce l’immagine e la fiducia dei consumatori verso Jaguar. Arriva finalmente il motore sei cilindri 3,6 litri. Ma arriva anche la privatizzazione della Signora Thatcher e alla fine del 1989 si apre la trattativa con Ford per l’ingresso di Jaguar nell’Ovale. Il 4 Aprile del 1996 l’ultima di oltre 115.000 XJS (una bellissima Coupè Blu V12 da sei litri) esce dagli Stabilimenti. 

 

Il suo anno migliore il 1989 con 10.665 pezzi prodotti a BrownsLane, il peggiore in assoluto il 1980 con solo 1057 pezzi prodotti, e la particolarità che conferma quanto futuristica ed innovativa concettualmente sia stata la XJS: per superare stabilmente i 5000 pezzi all’anno bisogna attendere quasi dieci anni dalla sua prima apparizione; dal 1984, complice la grande vetrina dell’Euroturismo, fino al 1990 la serie stagionale migliore con sette anni su ventuno che portano il 55% delle immatricolazioni totali della vita di XJS; stranamente il periodo di “run out” degli sei anni è persino superiore (24%) ai primi nove anni di produzione (il 21% delle immatricolazioni totali).

Ciao, Regina Pret a Porter. Come te, nessuna più

Si chiude la leggenda della Regina in Pret a porter forse (con il senno di poi) con l’ennesima minchiata strategica e commerciale stavolta ai piani alti di Detroit: tra le opzioni in ballo, un po’ come era accaduto nel 1966/1967 alla ipotesi discriminante se far uscire la XJS di scena o sottoporla ad un ennesimo “Upgrade” (Quarto Restyling ed adozione di un nuovo motore “V8” magari per la commercializzazione continentata in Europa ma con ottime prospettive negli USA, in Oceania e persino nei nuovi mercati ad Est) la dirigenza Ford opta per la sostituzione totale della “XJS” con la “XK8” che – detto con sincerità – non mi è mai piaciuta, e se i numeri non mentono non è piaciuta a tanti. Francamente dopo la “proletarizzazione” idiota di British Motor a partire dalla fine degli anni Sessanta, la indole “popolare” di Ford ha ugualmente saputo fare i suoi danni, e con la cessione a Tata del 2008 si apre un nuovo corso di cui, ancora adesso, attendiamo l’esito finale. Ma questo non conta: conta che, rispetto ad un vero amore che ho sempre avuto per “XJS” io sono stato in grado di raccontarVelaper quel che è stata. Una vera Regina in Pret a porter.

Riccardo Bellumori

Hertz usa l’IA per controllare i danni alle auto

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A quanto pare l’intelligenza artificiale non si lascia sfuggire davvero nulla. Quando abbiamo parlato per la prima volta del nuovo rilevatore di danni basato sull’intelligenza artificiale di Hertz, non ci aspettavamo che il nostro titolo sarebbe rimasto così attuale. La frase “Nessun graffio o ammaccatura sfugge” sembrava uno slogan accattivante, ma si sta rivelando sorprendentemente accurata.

Dall’introduzione del nuovo sistema, diversi noleggiatori hanno raccontato di essere stati addebitati per danni discutibili. A giugno sono emerse alcune segnalazioni. Questo mese ne sono seguite altre. Ora, un altro cliente ha condiviso la sua storia e, ancora una volta, mette in evidenza come alcune piccole ammaccature stiano creando un grande divario tra Hertz e i suoi clienti.

Hertz ha presentato la sua tecnologia basata sull’intelligenza artificiale nella zona di Atlanta all’inizio di quest’anno. Essa scatta una foto molto sofisticata di ogni auto quando lascia il parcheggio. Poi, quando l’auto viene restituita, scatta una seconda foto per confermare se ci sono danni. In teoria, si tratta di un osservatore oggettivo del veicolo, ma sta svuotando i portafogli dei clienti per ammaccature che la maggior parte delle persone non noterebbe.

LA SCELTA STRATEGICA

Questo è ciò che Adam Foley, stratega di IA e automazione, dice che gli è successo. Due ore dopo aver restituito la sua auto a noleggio, ha ricevuto una fattura da Hertz per 190 dollari per due “aree danneggiate”. L’azienda gli ha generosamente offerto di lasciarlo andare per 125 dollari se avesse pagato subito. “Questa tariffa è letteralmente il prezzo dell’intero noleggio di 4 giorni meno 5 dollari”, ha detto nel suo post su LinkedIn riguardo alla situazione.

I danni di cui stiamo parlando non sono certo gravi. Foley ha condiviso una delle due immagini che Hertz gli ha inviato e, francamente, anche se potrebbe esserci davvero una piccola ammaccatura, l’area è così piccola che è difficile esserne certi. A quanto pare, la sofisticata fotocamera basata sull’intelligenza artificiale non è poi così eccezionale. I dettagli nella foto sono davvero insignificanti.

L’intelligenza artificiale di Hertz sta addebitando ai noleggiatori danni che nessuno può nemmeno vedere
Non sorprende che Foley abbia contattato Hertz tramite la sua funzione di chat. Nonostante fosse un esperto di intelligenza artificiale, non è riuscito a farsi trasferire da un programma di chat basato sull’intelligenza artificiale a un vero essere umano. “Ti vengono fornite solo spiegazioni sul perché devi ancora pagare 190 dollari. Quindi immagino che la nuova politica di Hertz sia che, finché un’auto non appare nuova di zecca e immacolata alle telecamere dotate di intelligenza artificiale, il cliente dovrà pagare”, scrive.

LA SOLUZIONE HERTZ

A questo punto, ha perso la possibilità di pagare la tariffa più bassa di 125 dollari, che anzi è aumentata perché non ha accettato i termini di Hertz. Ora l’azienda vuole che paghi 190 dollari per il danno e altri 190 dollari per le spese di elaborazione e amministrazione. Come dice lui stesso, è disposto a lasciare che sia il mercato a vendicarlo.

In teoria, questa idea potrebbe essere valida. Il sistema, quando funziona correttamente, può essere obiettivo e meticoloso. “Voglio essere chiaro sul fatto che penso che questo uso dell’intelligenza artificiale sia piuttosto interessante: utilizzare telecamere e intelligenza artificiale per valutare i danni e comunicare l’aspettativa di pagamento”, afferma Foley. “Ha senso”. Elimina il fattore umano dall’equazione, ma questo ha un lato positivo e uno negativo e, chiaramente, i risultati sono sbilanciati verso l’aspetto meno positivo dell’accordo.

Volkswagen batte Tesla nelle vendite di auto elettriche

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Che differenza possono fare un paio d’anni. Nel 2023, Tesla stava spopolando in Europa, il Model Y era sulla buona strada per diventare il primo veicolo elettrico in assoluto a conquistare il primo posto nella classifica dei veicoli più venduti del continente a fine anno, e Volkswagen annunciò che avrebbe sospeso la produzione dell’ID.3 e della sua gemella elettrica Cupra Born a causa delle vendite lente. Ma solo due anni dopo, Volkswagen sta godendo di un’impennata della domanda di veicoli elettrici che le ha permesso di superare il suo rivale americano.

Secondo gli ultimi dati, il Gruppo VW ha consegnato 4,41 milioni di veicoli di tutti i tipi di energia in tutto il mondo nel periodo gennaio-giugno, con un aumento dell’1,3% rispetto al totale del 2024. Ma le vendite globali di veicoli elettrici a batteria (BEV) sono aumentate di un incredibile 47%, raggiungendo le 465.000 unità (464.200 se si escludono i camion commerciali), e in Europa sono aumentate dell’89% raggiungendo le 347.900 consegne.

TESLA INSEGUE IN EUROPA

Sebbene Tesla non abbia reso noti i dati relativi alle vendite in Europa, ha confermato che le vendite globali sono diminuite del 14% a 384.000 nella prima metà dell’anno. I dati di Dataforce hanno rivelato che Tesla ha venduto solo 76.400 unità in Europa tra gennaio e la fine di maggio, un periodo in cui il solo marchio VW ha venduto 122.600 veicoli elettrici. Il rapporto afferma che VW ha pareggiato con Tesla nella corsa alle vendite di marzo, ma l’ha battuta in tutti gli altri mesi, vendendo ad esempio tre volte più auto ad aprile.

Consegnare più auto elettriche è importante per l’immagine di VW, che continua a prendere le distanze dallo scandalo Dieselgate, che continua a tornare alla ribalta attraverso vari procedimenti giudiziari in corso. Ed è anche fondamentale se Volkswagen vuole rispettare i severi limiti di CO2 imposti dall’UE per il parco auto.
Ma il successo delle vendite di VW è il risultato di campagne di sconti su auto come la ID.3 hatch, avverte Handelsblatt, e questo sta mettendo sotto pressione i profitti di Wolfsburg. Un alto dirigente di VW ha dichiarato a Handelsblatt che l’azienda sta ancora guadagnando con i suoi veicoli elettrici, ma che il margine operativo è inferiore all’obiettivo di rendimento del 6,5% fissato per il 2029.

Volkswagen spera che la sua nuova gamma di veicoli elettrici a prezzi accessibili in vendita dal prossimo anno, tra cui l’ID.2 e la Cupra Raval, contribuirà a migliorare la salute di tali margini.

Nuova Bentley EXP 15: il futuro del marchio

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Bentley ha presentato il concept car EXP 15, che anticipa l’arrivo del primo veicolo elettrico di serie del marchio britannico nel 2026.

Il precedente concept car denominato EXP 100 GT è stato presentato da Bentley nel 2019, ma alla fine non è stato trasformato in un modello di serie, anche se alcuni suoi elementi sono visibili nel modello limitato Batur. Con il concept Bentley EXP 15 succederà più o meno la stessa cosa: si tratta di una serie di soluzioni, in alcuni casi piuttosto audaci, alcune delle quali vedremo nei futuri modelli di serie Bentley, compreso il primo veicolo elettrico che sarà lanciato sul mercato il prossimo anno.

La Bentley EXP 15 è una grande crossover coupé lunga circa 5,4 m, nelle cui forme si possono vedere, secondo quanto affermato, i tratti della coupé Bentley Speed Six Gurney Nutting Sportsman del 1930, nota anche come “Blue Express”, , l’auto dell’allora rappresentante Bentley Wulf Barnato, che al volante di un’altra Bentley Speed Six vinse la gara contro il treno espresso Le Train Bleu, che percorreva la tratta Cannes-Londra. La coupé del 1930 ha un abitacolo a tre posti con sedili laterali nella parte posteriore della carrozzeria e un bar, poiché dopo le gare frenetiche Barnato amava rilassarsi e bere un bicchierino. Anche il concept Bentley EXP 15 ha un abitacolo a tre posti, ma in un’interpretazione leggermente diversa.

Ma ancora qualche parola sull’aspetto esteriore. La soluzione più sorprendente qui è il massiccio frontale cieco con fari verticali stretti al posto dei tradizionali fari rotondi Bentley, che l’attuale direttore del design Bentley Robin Page considera troppo antiquati, sostenendo che i clienti vogliono qualcosa di più progressista. Poiché la Bentley EXP 15 è un’auto elettrica, la griglia cosparsa di LED tra i fari non ha alcuna funzione pratica, ma è semplicemente un’opera d’arte. Sopra questa griglia risplende il nuovo emblema Bentley, presentato la scorsa settimana.

IL FUTURO DEL LUSSO

Sul lato sinistro della Bentley EXP 15 ci sono due porte che si aprono in direzioni opposte, sul lato destro ce n’è una sola. Quando si aprono le porte laterali, le sezioni laterali del tetto si spostano e si sollevano verso l’alto, in modo che il conducente e i passeggeri non debbano chinarsi per salire. Ci sono due posti passeggeri: uno fisso dietro al sedile del conducente e uno mobile VIP alla sua sinistra. Questo sedile può essere spostato avanti e indietro e, quando le porte sono aperte, ruota anche verso la strada, rendendo il più comodo possibile l’ingresso e l’uscita del passeggero VIP. Lo spazio libero davanti o dietro il sedile VIP può essere utilizzato a piacere, anche per posizionare una gabbietta per cani.

Il portellone posteriore è diviso in due parti, la parte superiore si solleva insieme al lunotto posteriore, quindi la Bentley EXP 15 è, in sostanza, una liftback a quattro porte. Sulla parte inferiore ribaltabile del portellone posteriore sono previsti sedie pieghevoli per il picnic. Lo champagne per il pasto arriverà insieme ai bicchieri dal tunnel centrale. Tra le caratteristiche interessanti della parte posteriore vi sono anche due spoiler attivi sopra il portellone, un diffusore attivo integrato nel paraurti e sottili luci stilizzate a forma di lettera “B”. Nella parte anteriore della carrozzeria della Bentley EXP 15 è presente un bagagliaio aggiuntivo accessibile tramite due portelli, una sorta di rivisitazione dei cofani del vano motore delle coupé del 1930.

Il posto di guida della Bentley EXP 15 sembra molto meno futuristico rispetto al concept Bentley EXP 100 GT di sei anni fa, e questo è probabilmente un bene. Robin Page e il suo team hanno cercato di trovare il perfetto equilibrio tra l’inevitabile digitalizzazione dei nostri tempi e i dispositivi fisici e gli interruttori tanto apprezzati nel segmento del lusso, che ricordano raffinati gioielli. Per le finiture sono stati utilizzati lana naturale, legno e metallo lucido. La grafica degli schermi si armonizza con la luce soffusa dell’illuminazione d’atmosfera che filtra attraverso i pannelli perforati delle portiere.

Non ci sono informazioni sulle caratteristiche tecniche della Bentley EXP 15, perché in realtà non ci sono caratteristiche tecniche: al momento il concept è un modello statico a grandezza naturale senza interni e “smalto”, e quello che vedete nelle immagini sono rendering al computer. Nel frattempo, se parliamo della prima auto elettrica di serie Bentley, il cui debutto avverrà presto, secondo Robin Page, citato dalla rivista britannica Autocar, ci si può aspettare un propulsore abbastanza potente e un’autonomia di 480-560 km, che è più che sufficiente, dato che per i viaggi più lunghi i clienti Bentley utilizzano aerei privati.

Nuova Hyundai Elexio sfida BYD Atto 2

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Hyundai è da tempo all’avanguardia nel settore dei veicoli elettrici, ma sorprendentemente non ha ancora un’offerta competitiva in Cina, dove la domanda di veicoli elettrici è aumentata vertiginosamente. Fino ad ora, almeno: ecco Hyundai Elexio, un nuovo SUV del segmento C che sarà prodotto a Pechino dal partner BAIC, con lancio previsto per settembre.

La Hyundai Elexio sarà costruito sulla stessa piattaforma modulare globale elettrica (E-GMP) delle Ioniq 5, 6 e 9, ma dato che è stato progettato specificamente per il Regno di Mezzo, Hyundai ha abbandonato alcune delle caratteristiche distintive di quelle auto, in particolare il loro linguaggio stilistico pixelato.

Ciò non significa che l’Elexio abbia un aspetto noioso. Infatti, con il suo assetto verticale, il parabrezza avvolgente e il montante C e lo spoiler posteriore grigi a contrasto, che combinati sembrano una sorta di gigantesca maniglia di sostegno, l’auto ha un aspetto distintivo.

Tra le caratteristiche principali figurano le otto luci diurne quadrate (un numero fortunato per i cinesi) intorno ai fari proiettori, i muscolosi parafanghi anteriori e posteriori, i passaruota squadrati e i rivestimenti delle portiere neri che conducono alle ruote posteriori e al paraurti. Hyundai non ha eliminato del tutto il motivo a pixel dei suoi modelli Ioniq, che appare sulla barra luminosa anteriore a tutta larghezza e sui fanali posteriori a forma di U.

INTERNI E TECNOLOGIE

Ma è all’interno che Hyundai si è davvero discostata dai suoi modelli globali. In netto contrasto con la sua precedente promessa, l’azienda ha eliminato praticamente tutti i pulsanti fisici dall’abitacolo, spostando i comandi dell’aria condizionata e di altre funzioni sull’enorme display widescreen da 27 pollici.

Questo touchscreen continuo si estende dal centro al lato passeggero e funziona con l’ultimo chip Qualcomm Snapdragon 8295, consentendo agli utenti di accedere alle mappe AutoNavi, utilizzare l’intelligenza artificiale generativa, cantare al karaoke e persino guardare i video di Douyin (la versione cinese di TikTok). Nel frattempo, il conducente ha davanti a sé un volante a tre razze ripreso dalla Santa Fe, sebbene con i quattro punti illuminati dei modelli Ioniq e un bordo superiore e inferiore appiattito.

Quest’ultimo consente agli utenti di vedere meglio il display head-up al posto del tradizionale quadro strumenti, proiettato su una parte oscurata del parabrezza in modo simile allo Xiaomi YU7 e ai prossimi veicoli elettrici Neue Klasse di BMW. Hyundai promette anche non meno di 29 vani portaoggetti e due caricatori wireless Qi (anche questi derivati dalla Santa Fe), oltre alla tecnologia di guida semi-autonoma di livello 2 di Haomo.AI.

Passiamo ora alle specifiche tecniche: l’Elexio dovrebbe avere un’autonomia prevista di oltre 700 km, anche se questa cifra è quasi certamente basata sul ciclo CLTC cinese, piuttosto permissivo. Hyundai afferma che l’auto sarà in grado di ricaricarsi dal 30 all’80% con un caricatore rapido CC in 27 minuti, il che sembra un po’ lento rispetto agli standard abituali dell’azienda (la Ioniq 6, ad esempio, può ricaricarsi dal 10 all’80% in soli 18 minuti), suggerendo che il crossover non utilizzerà l’architettura elettrica a 800 volt delle sue sorelle.

Finora Hyundai non ha rilasciato alcun dato sulla potenza dell’Elexio, ma Autohome riferisce che un documento depositato presso il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT) indica una potenza massima di 218 CV (160 kW), leggermente superiore a quella della BYD Atto 3. Infatti, la ricarica più lenta e le dimensioni di 4.615 mm di lunghezza, 1.875 mm di larghezza e 1.675 mm di altezza (con un passo di 2.750 mm) suggeriscono che l’Elexio competerà direttamente con il popolare SUV elettrico di medie dimensioni di BYD.

Nuova Audi Q3 Sportback 2026: Rendering

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La nuova Audi Q3 Sportback è ad un lancio commerciale.

Qualche giorno fa sono state pubblicate online alcune foto recenti del nuovo crossover coupé Audi, che ci consentono di avere una prima idea del suo aspetto esteriore.

L’Audi Q3 di prima generazione ha debuttato nel 2011, diventando la versione di serie del concept Audi Cross Coupé quattro concept, presentato nel 2008 al Salone dell’Auto di Shanghai.

La versione coupé con il marchio Sportback è apparsa solo nella seconda generazione. Attualmente il crossover sta attraversando un cambio generazionale e recentemente è stata presentata la terza generazione della Q3. Finora è stata mostrata solo la versione con carrozzeria tradizionale, ma presto sarà affiancata da una versione più elegante.

Questi rendering di Kolesa.ru ci permettono di darle uno sguardo in anteprima.

DATI TECNICI E MOTORI

A giudicare dalle foto spia, l’altezza del crossover potrebbe rimanere invariata (nella generazione precedente il tetto era ribassato di 30 mm). Come si addice a questo tipo di carrozzeria, nella parte posteriore il tetto sarà inclinato, il che comporterà l’installazione di porte posteriori e parafanghi originali. Analogamente alla generazione precedente, il crossover coupé perderà le barre portatutto. Nella parte superiore del lunotto posteriore sarà installato uno spoiler, mentre il lunotto stesso manterrà il tergicristallo; per il resto, il design della parte posteriore è identico a quello della Q3 standard.

L’Audi Q3 di terza generazione è realizzata sulla piattaforma MQB modernizzata, utilizzata dalla seconda generazione. La gamma di motori del crossover tradizionale comprende motori a benzina TFSI da 1,5 litri (150 CV, 250 Nm) e 2,0 litri (265 CV, 400 Nm). È disponibile anche una versione diesel 2.0 TDI (150 CV, 360 Nm) e una versione ibrida plug-in e-hybrid con motore a benzina 1.5 TFSI (177 CV, 250 Nm) e un motore elettrico (116 CV, 330 Nm), integrato in un cambio automatico a 6 rapporti S tronic, con una potenza massima complessiva di 272 CV e 400 Nm.

Nuova Kia EV5: debutto in Europa

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La nuova Kia EV5 sfida la Tesla Model Y in Europa. In vista del lancio previsto per il quarto trimestre, Kia ha svelato i dettagli tecnici per il mercato europeo, e subito è evidente che gli acquirenti in cerca di una specifica opzione non la troveranno.

Mentre gli acquirenti australiani possono scegliere tra configurazioni a motore singolo o doppio, in Europa non sarà possibile ordinare i modelli a doppio motore e trazione integrale al lancio. La versione AWD da 308 CV (312 PS / 230 kW) arriverà, insieme a un modello GT ancora più potente, anch’esso AWD, ma nessuno dei due sarà disponibile prima del 2026.

DATI TECNICI E MOTORI

Chiunque nel Regno Unito o nell’UE voglia ordinare subito un &8 EV5 dovrà accontentarsi di un motore singolo da 215 CV (218 PS / 160 kW) che muove le ruote anteriori. Lo 0-100 km/h richiede 8,4 secondi, e secondo la nostra prova australiana c’è comunque un sorprendente effetto torque steer da gestire.

L’uso di un solo motore aiuta a contenere il peso, il che è positivo per l’autonomia. Sia il modello base che la versione GT-Line più accessoriata montano la stessa batteria da 81,4 kWh con chimica NMC (non LFP come in altre regioni), che offre fino a 530 km di autonomia elettrica.

Diciamo “fino a” perché quel numero si riferisce alla versione Base. Le ruote più grandi (19 pollici contro 18) e gli optional della GT-Line riducono l’autonomia di 25 km, e le ruote da 20 pollici del futuro modello GT la ridurranno ulteriormente.

Come l’EV3, anche l’EV5 non ha l’architettura elettrica a 800 volt presente su EV6 ed EV9, quindi una ricarica dal 10 all’80% richiede circa 30 minuti invece di meno di 20. Tuttavia, è presente la funzione Vehicle-to-Load (V2L), utile per alimentare bici, laptop e frigoriferi durante il campeggio o il lavoro fuori casa.

Il cruscotto è composto da uno schermo per il clima da 5,3 pollici incastonato tra due display da 12,3 pollici: uno per la strumentazione e l’altro touchscreen, che potresti non dover toccare spesso grazie all’assistente AI Kia alimentato da ChatGPT. Un altro touchscreen è posizionato nella parte posteriore della console per permettere ai passeggeri di regolare il clima tri-zona.

Kia presenta l’EV5 come alternativa elettrica al popolare Sportage.