Volkswagen storia del Lupo da dieci anni sulle montagne Russe

Se dieci o quindici anni fa il Vostro Marchio di fiducia, o quello per cui Vi batte il cuore, Vi avesse confidato:  “Amico mio, purtroppo abbiamo sbagliato tutto: abbiamo finanziato cani e porci; per farTi comprare auto più continuativamente e a cadenza aumentata Ti abbiamo

supervalutato persino l’armadietto delle scope; e per farci la guerra tra noi Costruttori abbiamo attuato un ping pong sul ribasso dei listini, al punto che durante una cronologia prolungata di acquisti nel tempo presso i nostri Rivenditori Tu stesso, amico mio, avrai notato che il prezzo promozionale di vendita della versione nuova della stessa famiglia di auto era sempre progressivamente inferiore a quello della versione vecchia

E la cosa bella è che Tu invece che incaxxxxxxxxarti come un gallo da combattimento ci ringraziaVi perché, tra piano rateale e valore di Remarketing che Ti proponevamo ogni volta, di solito finivi per andare sempre meglio. E’ stato un Doping necessario: dai primi anni Novanta avevamo un disperato bisogno di moltiplicare volumi di immatricolato e di finanziato dalle nostre Captive per un obbiettivo segreto: colonizzare l’Est Europa e l’Asia.

Ma un giorno, la festa è finita e non abbiamo avuto il coraggio di dirTelo: è stato quando in quel porcaio socioeconomicofinanziario che è l’America si sono fidati di Banche d’affari che sono saltate in aria per prestiti Subprimesulle case; ed è strano che il default non si sia verificato nel mondo dei crediti auto “NPL” che stavano per esplodere. Eppure dagli Stati Uniti quel virus del Credito a pioggia lo abbiamo contratto anche noi, e in solo venti anni di “Elycopter Money” abbiamo creato un volume di prestiti spazzatura che ancora oggi non si è assorbito del tutto.

Purtroppo, senza più credito facile, amico mio, continuare ad illuderTi con listini continuamente in discesa e permute continuamente rivalutate stava comportando un vero colpo di accetta sui nostri stessi zebedei. Soprattutto sul Diesel. 

E poi, il problema era diventato quello di entrare nei mercati in via di esplosione, e là per entrarci devi produrre milioni di auto, non centinaia di migliaia come in Europa; ma soprattutto dal 2001 era chiaro che in Asia si poteva vincerecon le auto elettriche: ci sarebbero serviti finanziamenti pubblici, tuttavia, per sviluppare piattaforme BEV in grado di qualificarci agli occhi del nuovo mercato. Ma da Bruxelles….Nisba. Quelli là sono talmente stupidi che si sono accorti per ultimi del problema, mentre avrebbero dovuto fare da promotori istituzionali. 

Ma la UE aveva commissionato la immagine istituzionale dell’Auto continentale alla Germania: per cui la regola per trenta anni in Europa è stata fatta con Gasolio più Premium più Qualità Totale = Tedesche. Se si fossero accorti che non doveva essere la Germania, ma tutta l’Europa ad entrare con il vessillo elettrico in Cina, le cose sarebbero andate diversamente. E quando la Angelona di Berlino ha deciso di imprimere la svolta elettrica per la Germania, lo ha fatto da monarca non illuminata: sarebbe stato meglio dare una unica voce per l’elettrico a Bruxelles sin dal 2010, non un decennio dopo……

 

E così noi Costruttori europei abbiamo perso tempo prezioso nell’accesso al mercato asiatico. Poteva finire davvero male, ma poi inaspettatamente è arrivato il DieselGate. 

 

E insomma, amico mio, una frana era comunque meglio dello Tsunami, e dunque……Benvenuto DieselGate!!! E dopo quello benvenuti pure al Lockdown ed alla crisi dei Microchips. Con entrambi abbiamo ottenuto ben tre obbiettivi: 1) Trovare un alibi alla rivoluzione del tutto-elettrico; 2)farTi pagare uno sproposito per lo stesso modello vecchio, con lo stesso motore precedente che con un impianto Mild Hybrid diventa ecologico; 3)aver iniziato a costruire un argine contro l’incombenza del mondo Indipendente nel Postvendita. Grazie !!! ”

E a questo punto invece pensate se, invece che dirVi quello che c’è scritto sopra (e che è tutto tremendamente vero) i Costruttori del Vostro cuore Vi hanno recitato a macchinetta questa storiella: 

“Caro amico, dopo il g, il DieselGate e il Covidè cambiato il mondo: l’Europa ci odia; la Cina ci combatte; abbiamo Nettuno in trigono sul Capricorno, le cavallette e una grande carestia. Siamo sul lastrico, e dunque Ti preghiamo di continuare a comprarci a prezzi maggiorati, con meno assortimento e disponibilità, e se puoi cerca dipagare cash. Ti spiace?

Un grande abbraccio. Firmato: il Tuo Brand preferito”.

 

Quello strano “binario” tra Wolfsburg, Berlino e Bruxelles

Bene, io riflettevo su un semplice excursus storico: la Volkswagen è nel bene e nel male la grande protagonista del palcoscenico motoristico europeo da trenta anni. Una simbiosi con l’evoluzione della UE imbarazzante, e non può essere casuale. E’ Volkswagen che dalla crisi dello SME all’avvio di Maastricht si prende il bollino di Gruppo più importante ai danni della Fiat; è sempre Volkswagen che dalla fine degli anni Ottanta inizia uno shopping di Marchi e di Supplier straordinario ed ineguagliato in Europa. La stessa Volkswagen che però, nel 1993 rischia il crack industriale e taglia il 30% dei suoi operai in Germania costringendo il Laend della Bassa Sassonia (azionista per il 20% di Volkswagen) a fare pressing su Governo e Sindacati per salvare il Marchio di Wolfsburg. Dal milione e poco più di pezzi prodotti nel 1993 (anno in cui si è scongiurata la crisi) fino alla cifra di oltre cinque milioni di pezzi prodotti nel 2003 passano dieci anni in cui il Marco forte nella UE viene surrogato dall’Euro franco-germanico. Per arrivare nella prima volta nella storia di Wolfsburg a registrare DIECI milioni di pezzi prodotti in tutto il Gruppo ed in tutto il mondo. E’ il 2014, un attimo prima del DieselGate, e nell’anno dello scandalo e per diversi anni a venire i 10 milioni come livello simbolico sono una costante del Gruppo VW. Ma qualcosa sta cambiando intorno alla Germania. E gli ultimi ad accorgersene sono nell’ordine Bruxelles, Berlino e proprio Volkswagen.

Con il 2015 e la crisi del DieselGate Volkswagen ha semplicemente cambiato focus: dall’Europa ad Asia e Cina per concludere Joint Ventures e aprire Stabilimenti, dentro una lotta e un tandem per il primato mondiale con Toyota. Ma dal 1993 un Gruppo VW in crisi 

è forse lo stesso Gruppo che 30 anni dopo chiude Stabilimenti, licenzia operai e dichiara una crisi nonostante nove milioni e passa di pezzi prodotti t anno? No, dunque qualcosa va analizzato alla luce delle profonde trasformazioni nel corso di trent’anni lungo i quali Volkswagen rimane un Marchio politicamente influente in Germania e che pesa ancora tanto nelle strategie politiche in tutta la UE anche se industrialmente oggi produce propriamente in tutto il perimetro europeo unito degli Stabilimenti Volkswagen una quota minoritaria di tutta la sua produzione mondiale.c

Come le Campagne di Russia? Automotive europeo che caccia, ma che viene cacciato

Le prime auto “moderne” che percorrono le strade cinesi sono le famose “Santana” e “Passat” prodotte su licenza in Cina dalla prima metà degli anni Ottanta; la conoscenza da parte del Gruppo del mercato cinese dovrebbe essere per questo vincente, eppure arriva la prima nobile fesseria di VW come compartecipe del Capitale azionario, ancora, della Porsche. 

Quella “C88” a firma Porsche Engineering – tanto per capire – è un cazzotto in pancia alla fantasia ed alla razionalità necessaria per capire che l’Europa che interessa al mercato cinese non è quella delle “Commodities” ma quella del pre stigio anche se indovinare cosa sia prestigio per i Cinesi non è un lavoro facile per gli europei: ad c falliscono le “Maybach” pensate dal Centro Stile giapponese di Mercedes per i ricchissimi latifondisti cinesi che percorrono le loro proprietà dormendo comodamente sulle poltrone posteriori reclinabili e con piano di appoggio per piedi e gambe.

Ma a metà degli anni Novanta si ragionava così: le auto di lusso europee ecrano per America, Medio Oriente, e soprattutto per la nuova nomenklatura imprenditoriale dell’ex Unione Sovietica che però per le auto popolari trovava più vantaggioso comprare dal Giappone; le auto Diesel erano il muro di gomma che l’industria europea aveva dovuto in fretta creare contro la plausibile invasione nipponica entro le frontiere abbattute della nuova Unione, ed infine le aree più povere dell’ex europa socialista e il nuovo mercato cinese dovevano essere il nuovo Eden delle utilitarie economiche e dell’Usato proveniente da Ovest.

Paradigmi studiati per mesi dalle grandi” di consulenza aziendale e commerciale che non capiscono che in Cina il primo elemento di promozione ed incentivo all’acquisto non è il “Branding” tanto ricercato dagli europei ma il “Geomarketing V” che stimola l’appartenenza di una comunità all’Industria locale di auto e moto.

Certo non si può trascurare la pesante ipoteca imposta dalla Cina nei confronti dei Marchi occidentali interessati ad entrare nel mercato con le J.V. “obbligatorie con costruttori cinesi; tuttavia è proprio in virtù di quelle Joint Ventures che i Costruttori europei, inclusa Volkswagen, sviluppano Know How sui “NEV- New Energy Vehicles” con esperienze e risorse territoriali, energetiche, finanziarie ed industriali consentite sul suolo cinese.

Eppure quelle stesse Joint vengono gradualmente “faide te” da una nuova politica cinese che, alla luce della espansione del mercato interno, ritiene (forse anche legittimamente e prevedibilmente) dal 2021 di non imporre più vincolanti ed obbligatorie per i Costruttori esteri le Joint Ventures come strumento di accesso al mercato interno. 

Ed è infatti da questo momento che i Marchi europei in Cina vedono ridotti sia gli investimenti effettuati, sia la quota proporzionale di aiuti governativi per le BEV, sia le quote di mercato dei loro Brand nel mercato interno.

 

Il futuro? Per me, se leggerete gli articoli già fatti su Autoprove, a questo punto è soprattutto in Africa.

 

DieselGate e Volkswagen. Scandalo o spinta a tornare ragionevoli?

Nessuno si spinge a ricordare il monito e la previsione dell’emerito Professore Carlo Rubbia, Premio Nobel solo quando ci pare, evidentemente: secondo il suo parere eminente e tecnico – espresso nel 2009 se non ricordo male -lo Step Euro IV era e sarebbe stato di per sé già la soglia di eccellenza e di ragiungibilità pratica per il taglio di emissioni di un motore endotermico Diesel. Forse, aveva ragione Lui.Perché era nell’aria, quella sorta di scandalo mediatico che – non so perché – a me ricordò subito una versione “transatlantica” del famoso scandalo “Test dell’Alce” in chiave “romanzo Noir”. Detto senza imbarazzo ancora oggi sono persuaso, senza però il supporto probatorio, che il Dieselgate sia stato una bellissima sceneggiatura con tanti registi, due Sceneggiatori ed un solo attore protagonista: il Gasolio.

Ma non conta quello che penso, e dunque ricapitoliamo i passaggi chiave secondo le risultanze storiche e di cronaca: è il 2012 e la celebre “West Virginia University” decide di svolgere dei test per misurare le emissioni “EFFETTIVE” di alcune auto Diesel vendute negli Stati Uniti, dotandosi di un sistema di rilevazione “onboard” realizzato in Giappone. Dalla serie di rilevazioni risultò che il motore 2000 cc. Turbodiesel serie “TDI” (il corrispondente “Euro V” montato in Europa anche sulle Golf della VI° Serie) produceva emissioni peggiori e sostanzialmente non conformi nell’uso convenzionale a quanto dichiarato da Wolfsburg in omologazione. 

E il problema non era solo per “Golf” ma anche per modelli comunque importati e venduti negli USA come “New Beetle”, “Jetta”, “Passat” “A3”, ed altri modelli. Ma come era arrivata la “West Virginia University” a poter avere in dotazione, testare e monitorare una decina circa di modelli da sottoporre a Test, e su cosa aveva fondato la selezione dei modelli da testare? 

Facile la prima risposta : a commissionare all’Università i controlli affidando le diverse auto era stato l’International Council on Clean Transportation – ICCT che tuttavia, badate bene, non era un organismo istituzionale, né amministrativo ne’ legislativo americano, ma un Ente “No Profit” per quanto autorevole; alla seconda domanda solo la Provvidenza può dare risposta, ed è per questo che manca un tassello tra l’ammissione spontanea della Volkswagen che fondamentalmente riscontra un test autorevole ma comunque non di “diritto” federale. Governativo o ministeriale. 

 

Eppure Volkswagen ammette esplicitamente le risultanze che l’International Council on Clean Transportation – ICCT” pubblica nel 2014 inviandole al “CARB – California Air Resources Board” e proprio all’Ente Federale EPA. Da qui, dall’ammissione esplicita da parte di Volkswagen di aver “corrotto” funzionamento e livelli di emissione di ben 11 milioni di vetture vendute negli USA attraverso l’interposizione di un Software additivo dentro il Sistema elettronico di controllo originale. Ma come, 11 milioni? Eh, già: il motore “incriminato” della Volkswagen – il “2.0 TDI” – era entrato in commercio negli USA nel 2007, abbastanza vicino al trionfo storico di Audi con la sua “TDI” a Le Mans nell’estate precedente, dunque sfruttando la corrente favorevole di media e reputazione sportiva anche nel mercato americano. 

 

Eppure c’è un antefatto che si lega a questa avventura: il sistema di controllo e limitazione delle emissioni in vigore in America all’epoca è un po’ diverso da quello in vigore in Europa nel passaggio tra Euro “IV” ed Euro “V”. In particolare gli USA sono molto più vincolanti sulla emissione di “NOx”, inquinante sul quale invece la Volkswagen non riesce a trovare la quadra scendendo ai valori minimi di norma. Proprio per questo si accorda nel 2005 con Mercedesper la licenza del sistema di monitoraggio e regolazione  SCR (Selective Catalytic Reduction) denominato “BlueTec”; salvo recedere dall’accordo di licenza due anni dopo, riscontrandone un costo eccessivo; ed a quel punto Volkswagen decide di sviluppare un proprio Software dedicato. Evidentemente i risultati di questa scelta sono stati resi noti a tutti a Ottobre 2015.

E però dopo l’”Outing” di Volkswagen che ha ammesso la responsabilità diretta nel “DieselGate” americano, l’EPA (Environmental Protection Agency) ha dichiarato di voler estendere i controlli anche su altri Marchi importatori negli USA di motorizzazioni Turbodiesel.Ovviamente, tra flagranze scoperte dalle Istituzioni USA, autodenunce e ammissioni parziali, si costruì in pochi anni una lista interminabile di Gruppi e Marchi implicati nello scandalo emissioni.

 

Quello che però entrò inizialmente, improvvisamente e progressivamente in crisi nell’immagine mediatica globale fu proprio la Germania, e proprio per questo legame a doppio filo tra il sistema socio politico tedesco così incombente nella gestione di Bruxelles e il colosso di Wolfsburg, improvvisamente sprofondato in uno scandalo internazionale abbastanza deleterio per l’immagine del Gruppo. Non fu un 2015 esaltante per diversi fronti della presunta “superiorità” tedesca peraltro corroborata dalla vittoria ai mondiali del 2014.

Nello stesso anno negli USA circa 30.000 Mini erano state messe sotto osservazione per problemi durante i “Crash test”; Vw doveva rassegnarsi all’idea che la Bugatti “Veyron” dei sogni gli aveva fatto perdere un Miliardo di Euro, praticamente la ripetizione delle perdite che Mercedes lamentava dall’avventura “MCC Smart” che aveva vinto la classifica non esaltante di Auto che era costata piu’ perdite ad una Casa Costruttrice.


Tuttavia il mercato auto e l’orizzonte politico erano ancora davvero positivi, e proprio Vw era passataall’inizio del 2014 alle cronache per i “Bonus” elargiti ai suoi dipendenti.

Ma era in arrivo la prima gelata: la questione “Ucraina/Russia” e il temporaneo blocco di un mercato che in Germania è sempre stato strategico. Poi è arrivato il “Quantitative Easing” della BCE che ha tolto alla Germania il particolare privilegio di poter finanziare le sue Imprese a tassi bassissimi espandendo una facilitazione monetaria a tutti gli altri Paesi Europei. Poi nel 2015 il terremoto estivo della Borsa di Shanghai e la frenata sulla prospettiva di crescita cinese, Paese dove i giganti tedeschi avevanoinvestito decine di miliardi di Euro.

Infine, ad estate non ancora finita, ecco lo scandalo delle emissioni del Gruppo Volkswagen.

 

Ormai la “bomba” era scoppiata: l’Automotive  tedesco non era più la invincibile macchina da guerra che sinora era sembrata.

Sembravano passati secoli dal primo scandalo ancora raccontato e ricordato in casa Volkswagen, quando cioè l’ammiraglia rappresentativa di tutto il Gruppo in America, la “5000” di Audi fu indagata per il sospetto di malfunzionamento dell’acceleratore elettronico colpevole, secondo le inchieste, di gravi incidenti. Dal 2015 al 2025 realmente l’immagine di Germania e Volkswagen si è di nuovo appaiata in una prospettiva nuvolosa, con la nazione tedesca in una spirale di frenata economica contemporanea a segnali di forte criticità per il Marchio di Wolfsburg. 

Nel frattempo, mentre l’immagine “Full Electric” di Volkswagen è ancora incerta e da costruire per posizionamento ed assortimento, quel Diesel che per Wolfsburg è stato letale sta tornando imperiosamente nel futuro e nelle scelte commerciali di diversi Brand concorrenti di Volkswagen. 

Come andrà nel prossimo futuro? Forse è proprio qui la questione: Volkswagen, per affrontare il proprio futuro, dovrebbe ritornare ad essere fedele al suo passato. A me, personalmente, pare proprio che l’”Auto del Popolo” debbatornare vicina al popolo. Quello che negli anni l’ha resa grande. 

 

Riccardo Bellumori

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