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Nuovo Porsche Macan GTS 2026: Anteprima

La famiglia Porsche Macan accoglie una nuova e attesa variante. Fa il suo ingresso in scena la nuova Porsche Macan GTS: il primo Macan GTS elettrico della storia. Una vera e propria belva su quattro ruote che porta delle sigle con una reputazione speciale tra gli appassionati e i fan di Porsche sin dalla 904 Carrera GTS del 1963. Dopo oltre mezzo secolo, le sigle GTS fanno ora la loro comparsa su un SUV elettrico.

Si tratta della quinta variante della Porsche Macan Electric, che si distingue per il design, la tecnologia e, soprattutto, per il sistema di propulsione elettrico che raggiunge i 420 kW (571 CV). Inoltre, come ci si aspetterebbe, offre un’ampia autonomia che consente di affrontare lunghi viaggi senza preoccuparsi del livello di carica della batteria.

Basta dare un’occhiata alle immagini che accompagnano l’articolo per cogliere i tratti distintivi del nuovo Macan GTS elettrico. Sfoggia un look chiaramente differenziato dal resto della gamma. Il design presenta numerosi elementi verniciati in nero nella parte anteriore, sui lati e sul retro. Colpiscono in particolare i fari Matrix LED oscurati e i contorni esterni delle griglie delle prese d’aria, questi ultimi con un profilo marcato.

STILE AFFILATO

Il Porsche Macan GTS è il primo modello della famiglia Macan a integrare il nuovo pacchetto Sport Design che, a partire dall’inizio del 2026, sarà esteso alle altre versioni. Include nuovi paraurti anteriori e posteriori, che nella variante GTS presentano un design specifico. Anche le minigonne laterali sono state ridisegnate. A proposito, monta cerchi in lega da 21 pollici in grigio antracite, con la possibilità di optare per cerchi RS Spyder Design da 22 pollici.

Concludendo il tour esterno nella parte posteriore, spiccano le modanature nere e un pronunciato pannello diffusore. Anche i gruppi ottici posteriori sono oscurati. Inoltre, con il nuovo Macan GTS si aggiungono tre nuovi colori carrozzeria al catalogo: rosso Crayón, rosso Carmín e blu Lugano.

INNOVAZIONI FUORI E DENTRO

Passando all’interno, il nuovo Macan GTS elettrico avvolge immediatamente in un ambiente tecnologico, lussuoso, moderno e sportivo. Per mantenere la continuità con l’aspetto sportivo dell’esterno, l’abitacolo presenta rivestimenti in Race-Tex abbinati a elementi in pelle liscia nera. Questo tessuto è presente sul volante sportivo GT, sui braccioli della console centrale, sulla plancia e sui pannelli porta. I sedili sportivi con regolazioni elettriche presentano una sezione centrale anch’essa rivestita in Race-Tex.

Per la prima volta nel Macan Electric, il pacchetto GTS opzionale consente di coordinare i colori esterni con quelli dell’abitacolo. È disponibile in rosso Carmín, grigio Pizarra o blu Lugano. Da notare anche le sigle GTS, presenti sui sedili e sul volante. Anche il display centrale del quadro strumenti digitale mostra le sigle GTS come elemento distintivo.

Essendo un veicolo elettrico, tutta l’attenzione è rivolta al sistema di propulsione. Il “cuore” di questa belva su ruote è una batteria agli ioni di litio da 100 kWh. L’unità di potenza eroga ben 380 kW (516 CV), che salgono a 420 kW (571 CV) grazie alla funzione overboost e al sistema Launch Control. La coppia massima è di 955 Nm.

Beneficia del sistema elettronico di trazione integrale Porsche Total Management e dispone di un blocco differenziale posteriore. Può accelerare da 0 a 100 km/h in 3,8 secondi e raggiunge una velocità massima (limitata elettronicamente) di 250 km/h. Per passare da 0 a 200 km/h bastano 13,3 secondi. L’autonomia del Macan GTS è di 586 chilometri secondo il ciclo WLTP.

I tempi di ricarica variano in base alla presa elettrica utilizzata. Tuttavia, con una potenza di ricarica massima di 270 kW, bastano solo 21 minuti per passare dal 10 all’80% di carica.

Tra gli equipaggiamenti di serie figura il pacchetto Sport Chrono, ampliato per includere la modalità Track, già nota sulla Porsche Taycan. Una modalità di guida che prepara il veicolo per una guida altamente sportiva.

Quando arriverà sul mercato? Il nuovo Macan GTS elettrico è già disponibile presso i concessionari spagnoli. Porsche ha aperto il libro degli ordini per questa variante sportiva, il cui prezzo di partenza supera la soglia dei 100.000 €. Le prime unità arriveranno nei concessionari nel primo semestre del 2026.

Nuova Hyundai i20 2025: Anteprima Rendering

Si prevede che la novità del marchio coreano sarà presentata nella seconda metà del 2026 e che le vendite inizieranno nel 2027.

Hyundai produce il suo modello compatto denominato i20 dal 2008. Nel corso degli anni, questa vettura ha cambiato generazione un paio di volte. La hatchback dell’attuale terza generazione, destinata al mercato europeo, è stata presentata nel 2020 e ha subito un restyling programmato nel maggio 2023. Secondo i dati di Jato Dynamics, ad oggi il modello occupa il terzo posto nella lista delle auto più vendute del marchio in Europa (dopo Tucson e Kona): nei primi otto mesi del 2025 i concessionari hanno venduto 47.285 unità (il 10% in meno rispetto al periodo gennaio-agosto dello scorso anno).
Attualmente l’azienda sta sviluppando la nuova generazione della hatchback Hyundai i20. Secondo i dati preliminari, questa cinque porte sarà presentata nella seconda metà del 2026 e le vendite sul mercato europeo inizieranno nel 2027. In precedenza si ipotizzava che l’attuale modello sarebbe stato sostituito da un’analoga versione completamente elettrica, in grado di competere con la futura Volkswagen ID. Polo. Tuttavia, Hyundai non sembra essere impressionata dalle attuali vendite delle auto elettriche, quindi la nuova i20 avrà probabilmente un motore a combustione interna sotto il cofano.

L’azienda coreana mantiene ancora segreto l’esterno della prossima Hyundai i20 hatchback, ma il designer dell’edizione spagnola di Motor.es ha preparato la sua versione del potenziale aspetto della novità. A giudicare dall’immagine, la parte anteriore dell’auto potrebbe essere seriamente “ridisegnata”: presenta delle scanalature appena percettibili sul cofano, sul bordo del quale è posizionato il logo, e una griglia del radiatore trapezoidale con grandi celle di forma complessa.

IL DESIGN AFFILATO

Nell’auto del rendering, i fari anteriori dalla forma insolita hanno tre luci di marcia a LED, mentre i fari sono collegati tra loro da una sottile striscia luminosa che attraversa tutta la larghezza della parte anteriore. Nella parte inferiore del paraurti anteriore è posizionata una presa d’aria allungata orizzontalmente con un disegno simile a quello della griglia del radiatore (separate da una barra con spazio per il fissaggio della targa).
L’artista ha anche disegnato per la futura novità un kit car kit in plastica non verniciata lungo il perimetro della carrozzeria (compresi i rivestimenti dei passaruota), montanti del tetto neri, un’antenna “pinna di squalo” dello stesso colore, maniglie tradizionali delle portiere, specchietti esterni normali con ripetitori degli indicatori di direzione e cerchi bicolore. Probabilmente, i fanali sono collegati tra loro da una sottile linea luminosa che attraversa tutta la larghezza della parte posteriore.

Nuovo Toyota Land Cruiser FJ 2025: Anteprima

Con perfetto tempismo, Toyota ha svelato il Land Cruiser FJ in vista del Japan Mobility Show (JMS) che si terrà alla fine del mese. Costruito sulla stessa piattaforma IMV (Innovative International Multi-purpose Vehicle) del pick-up Hilux, questo fuoristrada entry-level mira a offrire l’esperienza Land Cruiser a un nuovo pubblico, con il suffisso “FJ” – che fa riferimento al classico FJ40 e al retrò FJ Cruiser – che sta per “Freedom & Joy” (libertà e gioia).

L’accessibilità economica è garantita dalle dimensioni contenute. Il passo ridotto di 2.580 mm dell’FJ significa che utilizza il telaio a longheroni super corto dell’economico Hilux Champ, anche se è leggermente più lungo (4.575 mm) e molto più largo (1.855 mm) e alto (1.960 mm, il che lo rende il più alto dei veicoli basati su IMV).

Il design massiccio sia all’interno che all’esterno riprende in modo sorprendente il DNA del Champ, sebbene con un livello di raffinatezza naturalmente più elevato. Ciò è particolarmente evidente nella mascherina frontale ottagonale, che ospita il logo Toyota e le luci diurne a forma di C, con luci rotonde retrò opzionali. La fascia è inserita in una sezione smussata che ricorda un dado.

IL MODELLO ESTREMO

Questo motivo continua nella caratteristica carrozzeria rettangolare che presenta una linea dei finestrini a gradini e spessi montanti posteriori a forma di C, che incorniciano il portellone posteriore anch’esso ottagonale con apertura laterale che ospita la ruota di scorta esterna. Completano il look i robusti parafanghi e paraurti in plastica nera, questi ultimi suddivisi in sezioni che consentono di sostituire solo le parti danneggiate, in modo simile all’approccio adottato dalla GR Yaris e dalla Corolla rinnovate.

All’interno, il cruscotto a strati e i pannelli delle portiere piatti della FJ ricordano ancora una volta quelli della Champ, probabilmente realizzati con materiali più pregiati. Ci sono anche alcuni elementi della Land Cruiser Prado, tra cui il volante a tre razze dal design angolare, il pannello di visualizzazione simile a una tomba che ospita il touchscreen e il display digitale degli strumenti (probabilmente le stesse unità da 12,3 pollici), i comandi digitali dell’aria condizionata e la leva del cambio più nuova e piatta.

A differenza della sorella Fortuner, la FJ è una cinque posti pura; si differenzia anche dalla Champ per la dotazione del pacchetto Toyota Safety Sense di assistenza alla guida. Il bagagliaio è dotato di pannelli MOLLE (Modular Lightweight Load-carrying Equipment) in stile US Army per il fissaggio di attrezzature da esterno, utili per il campeggio.

Alla natura più economica della FJ si aggiungono le caratteristiche meccaniche, con la FJ che riprende il suo sistema di trazione integrale part-time più semplice (completo di marcia ridotta e manopola selezionabile dall’utente) dalla Hilux. L’auto beneficia anche di una maggiore rigidità della carrozzeria e di rinforzi aggiuntivi sotto il pianale per migliorare la maneggevolezza, e Toyota afferma che è stata sottoposta a numerosi test fuoristrada per garantirne l’affidabilità, la durata e le prestazioni. L’articolazione delle ruote è dichiarata pari a quella dell’hardcore Land Cruiser 70.

Un’area in cui la Toyta FJ delude è sotto il cofano, dove si trovano il motore a benzina a quattro cilindri aspirato 2TR-FE da 2,7 litri e il cambio automatico a sei marce della Fortuner, che producono solo 163 CV e 246 Nm di coppia. Tuttavia, questo è specifico per il mercato giapponese ed è possibile che altri mercati offriranno i turbodiesel più potenti della Hilux.

Sebbene Toyota affermi che la FJ sia unica sul mercato, la sua rivale più ovvia è la Suzuki Jimny a cinque porte; si spera che l’utilizzo dell’Hilux come base significhi che la FJ sarà notevolmente più economica. L’auto è stata probabilmente creata anche in risposta all’ondata di SUV cinesi che stanno entrando nei mercati dell’ASEAN, molti dei quali utilizzano la Land Cruiser FJ40 (e, per estensione, la FJ Cruiser) come “ispirazione creativa”.

Sebbene la casa automobilistica non abbia confermato dove verrà costruita la FJ, la sua base IMV significa che, come riportato in precedenza, sarà quasi certamente costruita in Thailandia. Ciò aumenta la possibilità che venga offerta in Italia, il che la renderebbe la prima LC disponibile attraverso canali ufficiali da decenni, forse anche assemblata localmente in CKD sulla stessa linea della Hilux. Tuttavia, ci vorrà probabilmente un po’ di tempo, dato che anche il Giappone avrà l’auto solo a metà del 2026.

Prova su strada Tesla Model 3 Long Range RWD 2025

Se dovessi scegliere di acquistare una Tesla la mia Tesla sarebbe esattamente così (rosso a parte).
In questo video vi racconto la prova su strada della Tesla Model 3 Long Range RWD 2025.

Nuova Ferrari SC40 2026: rinasce la F40

Ferrari ha presentato l’ultimo progetto della sua esclusiva serie One-Off: la supercar SC40 con motore centrale, realizzata in un unico esemplare per un cliente molto facoltoso e ispirata al leggendario design della Ferrari F40.

La Ferrari F40, che ha debuttato nel 1987, è considerata una delle supercar più famose della Scuderia. Abbiamo raccontato la storia della sua creazione in un ampio articolo dedicato. Oggi la Ferrari non può letteralmente riportare in vita la F40, in cima alla sua gamma di modelli regolari c’è la nuova supercar ammiraglia Ferrari F80, ma la F40, così come altri modelli del glorioso passato dell’azienda, sta diventando sempre più spesso fonte di ispirazione per lo sviluppo di serie speciali esclusive e modelli unici, come la Ferrari SC40.

I modelli unici Ferrari vengono realizzati nell’ambito del programma One-Off, rivolto ai clienti più fedeli e facoltosi della Ferrari. Nell’ambito di questo programma sono già stati realizzati decine di modelli unici, tra cui SP-8, KC23, SP51, SP48 Unica, BR20 e P80/C. Lo sviluppo di ogni modello richiede circa due anni, dai primi schizzi alla vettura finita. Non tutti gli ordini del programma One-Off vengono resi pubblici, ma il proprietario della Ferrari SC40 ha accettato di mostrare il suo costoso acquisto: a breve la SC40 sarà uno dei pezzi esposti nel museo della Ferrari a Maranello.

LA SUPERCAR ARTIGIANALE

La Ferrari SC40 rende omaggio alla Ferrari F40, ma non ne è la reincarnazione. Il team di designer Ferrari guidato da Flavio Manzoni ha semplicemente preso in prestito alcuni elementi del design della Ferrari F40 e li ha adattati alla carrozzeria della Ferrari 296 GTB, sulla base della quale è stata realizzata questa supercar unica nel suo genere.

È così che sono nati il caratteristico alettone posteriore fisso con l’indice SC40 stampato sul montante destro, la linea orizzontale netta della giuntura del massiccio cofano motore, la griglia tra i fanali posteriori attraverso la quale è visibile il motore e due file di prese d’aria laterali, posizionate all’incirca negli stessi punti della Ferrari F40.

Anche nei nuovi fari anteriori si intravedono le caratteristiche della Ferrari F40, ma nel complesso rappresentano una soluzione di design originale, inserita in una grande staffa nera che sembra circondare la parte anteriore dal basso. Questa staffa si abbina alle linee verticali nette sui fianchi e sul cofano motore, creando insieme un’immagine ritmica originale, diversa dalla F40. I cerchi bicolore da 20 pollici e il colore principale bianco-azzurro ghiaccio della carrozzeria sono stati sviluppati appositamente per la Ferrari SC40.

L’abitacolo della Ferrari SC40 è sostanzialmente lo stesso della Ferrari 296 GTB originale, ma nelle finiture è ampiamente utilizzato un composito in carbonio-kevlar con una sfumatura color oliva. Lo stesso materiale è stato utilizzato per rifinire il perimetro del vano motore e la cornice della presa d’aria centrale. Il propulsore ibrido è standard, ma per il motore V6 biturbo da 3,0 litri è stato realizzato con una stampante 3D un collettore di scarico unico nel suo genere con due tubi in carbonio e titanio.

La potenza del motore V6 è di 663 CV, tra esso e il cambio automatico a 8 rapporti con doppia frizione è installato un unico motore elettrico di trazione con una potenza di 167 CV, le ruote motrici sono posteriori. La capacità della batteria di trazione è di 7,45 kWh. La potenza massima complessiva del propulsore è di 830 CV. La Ferrari SC40 accelera da 0 a 100 km/h in 2,9 secondi, con una velocità massima di oltre 330 km/h.

Non è stato reso noto quanto sia costata la Ferrari SC40 al misterioso acquirente, ma è chiaro che si tratta di una cifra a sette zeri in euro.

Maserati Kyalami quella Regina sconosciuta della svolta di De Tomaso

Poteva essere la fine di tutto. Mezzo secolo fa Peugeot acquisisce Citroen dalla Michelin, siamo al Primo Giugno del 1974. Due anni dopo, con l’acquisizione del 90% del capitale del double Chevron nasce PSA.

Ma tre anni prima di quel 1974 la Citroen completa l’acquisizione di una primadonna vera del mondo Auto, la Maserati; si completa così un percorso quasi fortuito attraverso il quale Adolfo Orsi aveva iniziato il rapporto con il Marchio francese proponendogli nel 1967 il progetto di un motore per la nascitura Ammiraglia sotto la Tour Eiffel.

Se tuttavia Citroen ha apportato capitali e supporto industriale ad una conduzione familiare degli Orsi che con Omar e il padre Adolfo (dinastia di imprenditori dell’acciaio) cominciava ad essere davvero “bucata” da scarsa visione prospettica di mercato e dall’aumento indiscriminato dei costi, dal lato della strategia industriale e commerciale la gestione Citroen in solo sette anni – da quel primo 60% di controllo azionario del 1967 – si trasforma in una palude in cui Maserati rischia davvero il default; 

Il Tridente perde nel 1974 cinque milioni di Dollari dell’epoca(una cifra superiore al Capitale Sociale effettivamente versato) e nel 1975 (esattamente il 22 Maggio) con un Consiglio di Amministrazione straordinario la nuova proprietà Peugeot mette Maserati in amministrazione controllata

Notizia bomba che rimbalza in ogni media di settore, e persino il New York Times apre l’edizione del giorno dopo con un servizio in prima pagina, dato il rango ed il successo che in America aveva Maserati. 

Purtroppo la crisi che morde di più è quella socioeconomica seguita a quella energetica in Europa, e quello Stabilimento di Modena che dal cosiddetto “Ponte degli innamorati” i più fortunati ancora possono scorgere in uno spazio all’aperto interno – finisce per produrre quindici auto a settimana, raschiando il barile del “Break Even Point” e portando al salvataggio del Tridente che nelle sue mosse ha il sapore del racconto d’autore: è infatti Peugeot che, messa in liquidazione la Maserati per il valore di quattro miliardi di Lire, ne finanzia quasi la metà ad Alejandro De Tomaso purchè rilevi il Tridente e tolga l’imbarazzo di un possibile fallimento e chiusura di una storia automobilistica unica

In questo contesto i veri eroi metropolitani della vicenda sono gli operai che si oppongono alla chiusura dell’impianto. Ma quando De Tomaso e GEPI compiono l’Impresa, la Maserati torna italiana e modenese. 

Mezzo secolo fa, esattamente, inizia una nuova storia con GEPI azionista al 70% e De Tomaso al 30% ma titolare delle strategie di rinascita e gestione. E da questo punto di vista, dobbiamo ammettere che persona migliore per le missioni impossibili come Alejandro De Tomaso non se ne sarebbero potute trovare in quel momento.

Rilanciare la Maserati superando la penombra cresciuta nel periodo di gestione francese e tuttavia cercando di lavorare con Budget risicati (perché è vero che GEPI era un finanziaria pubblica, ma è anche vero che De Tomaso la impegnava già con Benelli, Moto Guzzi ed Innocenti) ma  mostrando da subito al mercato che il Tridente non avrebbe snaturato le sue radici: eraquesta la mission di De Tomaso. Riuscire a ripartire con – davvero – quattro spicci fu invece la vera opera d’arte di Don Alejandro.

All’affaccio della seconda metà degli anni Settanta la Maserati che l’argentino rileva ha praticamente gettato nel cestino la seconda serie della sua Ammiraglia iconica, la già leggendaria “Quattroporte”; e deve superare anche, il prima possibile, la serie “Merak” e “Bora” abbastanza pleonastiche ed ingestibili nella fase ancora calda della crisi energetica e della montante protesta sociale ed operaia. 

Quello che rimane da giocare alla nuova gestione è la simbologia ancora forte del Marchio e della sua storia sportiva e commerciale, ed è la collezione degli straordinari “V8” Alfieri

Che nel frattempo ha presentato le sue dimissioni dalla Maserati, probabilmente non incline e poco convinto della linea gestionale o della personalità di De Tomaso; l’uscita di un perfezionista e geniale tecnico come Giulio Alfieri, tuttavia, peserà nel proseguiodella nuova vita del Tridente di Modena.

Ma nel frattempo c’è l’oggi, o meglio c’è da ricreare l’artiglieria giusta per rilanciare il marchio sul mercato e proporre qualcosa che riporti alla luce il pedigree sportivo ma signorile con cui si era aperto il decennio precedente con la 5000 GT, la “Mistral”, e la Quattroporte.  

Come questo sia riuscito – in modalità “Start Up” – con l’ausilio di qualcosa che era addirittura antitetico al profilo appena detto, rimane relegato nella magia sporadica e spesso discontinua di De Tomaso che tuttavia, quando era davvero ispirato, non temeva confronti con i migliori “Guru” dell’Automotive.

La “ripartenza” di Maserati “nuova gestione” avviene infatti attraverso la rielaborazione in chiave Tridente di una straordinaria Gran Turismo berlina tre volumi lanciata da De Tomaso tre anni prima: la “Longchamp”. E nessun altro meglio del genio argentino avrebbe avuto una intuizione del genere.

Dopo la straripante “Pantera” il Marchio omonimo dell’Alejandro di Canalgrande aveva lanciato una generosa e potente “Ammiraglia” sulla falsariga (o meglio sul Market target) della “Iso S4-Fidia” che era nata effettivamente nel periodo di esperienza di Giorgetto Giugiaro alla Ghia così come la “Deauville” era nata nel periodo della Ghia gestita temporaneamente da De Tomaso su mandato fiduciario della Ford che ne era diventata proprietaria.

Maserati riparte da Zero. Proprio il terreno ideale per il genio di De Tomaso

Ovviamente motorizzata Ford Cleveland V8, la nuova berlina di rappresentanza modenese costituiva all’opposto della Pantera il cosiddetto “Omega” contrapposto appunto alla “Alfa” della berlinetta GT a motore posteriore centrale presentata nel 1970. E mentre “Pantera” stuzzicava i sensi del canonico Cliente Ferrari, Lamborghini, Porsche; la “Deauville” suppliva temporaneamente alla assenza proprio della “Quattroporte” della quale ricalcava il ponte tra lusso e sportività, intercettando i desiderata però più dei “cumenda” che degli sportivi.

Mancava un “punto di mezzo” che raccogliesse quel pubblico che pur disponibile a sacrificare un po’ di lusso, comfort e spazio abitabile ambiva però ad una tre volumi classica senza esporsi dunque al segmento delle berlinette a motore posteriore. E così nel 1973 arriva “Longchamp”, fortemente ispirata dal prototipo “Lancia Marica” della Ghia dentro cui si esaltava il tratto inconfondibile di Tom Ttjaarda, il genio americano trapiantato a Torino. 

A vederla ancora oggi, Longchamp è una bellissima forma di Coupè “muscle car” probabilmente molto più didascalica ed influente per il suo periodo rispetto ai volumi di produzione che ha effettivamente raggiunto; questo perché ha rappresentato l’unica vera alternativa “latina” dell’epoca, direttamente concorrente con mostri sacri come Mercedes “SL” oppure AstonMartin “V8”.

E’ dunque la “Longchamp” a fungere da incubatore per la nuova Maserati del corso De Tomaso, ma sarebbe riduttivo raccontare questo antefatto solo come effetto del budget quasi inesistente senza chiamare in causa il concetto discriminante cui Don Alejandro puntava: creare un “family feeling” tra Gamma De Tomaso e Maserati per riuscire un giorno, auspicabilmente, a definire piattaforme tecnologiche comuni. Sogno effettivamente interrotto, come sappiamo, alla fine degli anni Ottanta.

Per questo, nella creazione del nuovo corso Maserati, pur disponendo di uno staff interno alla De Tomaso eccezionale dal lato del Design (ricordiamo che a metà anni Settanta era arrivata a Modena anche Giulia Moselli), l’indole iperbolica del Boss Alejandro si sublima cercando la perfetta “fusion” tra il domani di De Tomaso e il più prestigioso “ieri” di Maserati: Tom Ttjaardasimbolicamente fornisce la “materia prima” per la nuova Maserati (la Longchamp) ma i colpi di cesello personalizzatore deriveranno da un altro grande Designer che aveva marchiato opere didascaliche per il Tridente: Pietro Frua.  

Già decisamente maturo, a 63 anni il carrozziere e stilista prende in carico una delle sue ultime sfide, perché solo sei anni dopo culminerà il suo calvario di un male incurabile: ma era comunque il Pietro Frua che nel 1962 aveva preso con coraggio il gravame della Maserati 5000 GT che nel 1962 ipnotizzò i Saloni di Parigi e Ginevra. Per poi proseguire con il battezzare la eterna “Quattroporte” prima Serie, la versione speciale per l’Aga Khan e la Mistral. Kyalami fu l’ultima firma di Frua per Maserati, ma forse fu una delle più impegnative: creare da zero era difficile per molti, rivedere e ricreare partendo dai vincoli di una forma preesistente era missione impossibile per pochissimi.

Pietro Frua. Il suo primo atto per De Tomaso, il suo ultimo per Maserati

Ma nella chiamata di Pietro Frua da parte di Alejandro De Tomaso forse c’era, magari inconsapevolente, un appuntamento mancato con la storia. Anzi, due: era il 1968 quando al Salone di Ginevra appare la Maserati “Mexico”. Si, già immagino le tirate di orecchio: la “Mexico” arriva come prototipo nel 1965 carrozzato da Vignale su base Maserati 5000 GT, e l’anno dopo debutta ufficialmente. Ma sessanta anni dopo sono tutti propensi a conferire alla versione di Pietro Frua il riconoscimento “più bella Mexico di sempre”, perché la versione di Frua è davvero più elegante e ricercata. Nulla si è mai saputo sulla genesi di quella mini serie di Mexico: fu una commessa speciale di clienti facoltosi al piccolo artigiano? 

Fu una risposta “ostile” di Frua alla serie approvata da Maserati a firma Vignale? O fu semplicemente la opzione che in origine Maserati potrebbe aver commissionato anche a Frua in un confronto “pre-produzione” per poi preferire la versione di Vignale? Davvero la Mexico Frua è un progetto su cui esiste da sempre un silenzio ed un mistero incredibile.

Se forse De Tomaso poteva non aver contemplato nella chiamata di Frua la sua Mexico 1968, è abbastanza probabile però che il sanguigno argentino abbia sottilmente “premiato” Frua alla luce della “eretica” Quattroporte 1971. Una realizzazione ai più sconosciuta, ma davvero antagonista totale rispetto alla politica scarrocciata della Citroen nella gestione Maserati. 

Perché se la “Quattroporte II” imposta da Parigi alla paziente opera di Giulio Alfieri per il V6 da 2700 cc ed al genio di Marcello Gandini per rendere almeno ammirevole una berlinona da quasi cinque metri e trazione anteriore. Così fu decisa dai francesi l’erede della prima serie “Quattroporte” disegnata proprio da Frua. 

Che dunque, in modo del tutto autonomo, propone o forse addirittura “offre” ai francesi un possibile “Jolly” per riflettere toccando con mano cosa significhi lavorare su una Maserati rispettandone i canoni. 

Presentata proprio in casa Citroen, al Salone di Parigi del 1971 da una mascotte di eccezione allo Stand Frua come Juan Manuel Fangio, la “Quattroporte Frua” presenta ed eleva alla ennesima potenza i migliori canoni del Tridente anche se, in verità, porge un pegno di onore ad un grande collega quale è proprio Marcello Gandini all’epoca in Bertone: il frontale richiama pienamente la palpebra rialzabile sopra i doppi fari ed il taglio affilato della calandra tipicamente gandiniano si lega ad una cintura e ad un posteriore che a sua volta celebra e sublima lo sviluppo lineare della “Fidia”. 

Non sono ovviamente ricopiature, lo dimostra l’armonia unica con cui Frua accentua la leggera imponenza di una vetratura che per l’epoca è davvero panoramica ad incorniciare un salotto in stile Yacht. 

Motore 4,7 litri V8 di prammatica e trazione assolutamente posteriore chiudono un bel guanto di sfida alla supercazzolafrancese della “Quattroporte II” di stampo Citroen

Dunque quando riceve da De Tomaso l’incarico della nuova Maserati e due chassis grezzi della “Longchamp” (uno per gli esterni ed uno per gli interni, si narra) Pietro Frua accende dentro di sé la scintilla creativa che lo porta alla fine a dare vita a qualcosa che pur mantenendo per mandato tutto quel che è possibile della coupè modenese di Alejandro riesce comunque a ritagliarsi una sua specificità. 

Per essere sardonici, forse nella scelta dei gruppi ottici posteriori della nuova Maserati presi pari pari dalla Citroen SM c’è una sorta di schiaffo morale ai francesi del tipo:” l’unica volta che i proprietari di Supercar avrebbero visto da dietro e per lungo tempo i fanali posteriori di una Citroen Maserati poteva capitare solo su una “vera” Maserati”…

Perché la prima cosa che deve incastonarsi a mo’ di cameo nel cofano anteriore dello chassis Longchamp – una volta espiantato il V8 Ford Cleveland – è il prestigioso otto cilindri a V del genio di Alfieri, come detto (purtroppo) andato via da Modena. 

E’ la coppia di V8 da 4200 cc e 4900 cc., l’ultima applicazione nella storia della Maserati del V8 Alfieri su una Coupè del Tridente ed in particolare per la 4200 parliamo della versione più evoluta della 450S.

Contemporaneamente la Longchamp è nativamente attrezzata per ospitare la sportività elegante del V8 Alfieri: grazie alla vocazione industriale degli impianti Ghia e Vignale che De Tomaso ha acquisito grazie all’appoggio di Ford a Detroit e della Rowan della moglie di Alejandro, la struttura della Longchamp è tutto fuorchèun esempio di artigianato amanuense vecchio stile.

Nessun telaio tubolare classico ma un semi-monoscocca con telaietti ausiliari davanti e dietro per gli elementi sospensivi e la trasmissione, tutto disegnato da Giampaolo Dallara. Rigidità, lavorabilità scalare, produzione in serie, comfort ed assetto. Allinclusive, un telaio che nasce per la Deauville e che accorciato arriva sulla Longchamp e sulla nuova Maserati di De Tomaso. Su quei due chassis grezzi della Longchamp Pietro Frua cuce in modo impeccabile un frontale iconico e pochi sapienti tocchi di personalizzazione estetica, oltre ad un interno degno dell’AgaKhan. E nasce così la prima nuova arma di De Tomaso per la rinascita della Maserati (cui poi seguirà la Quattroporte del 1979 su telaio Deauville), arriva sulle strade la prima nuova Coupè V8 del Tridente.

Per la quale viene scovato un nome evocativo: Kyalami, come il circuito sudafricano. Là, nel 1967, Pedro Rodiguez aveva portato al trionfo l’ultima impresa di Maserati in Formula Uno, il motore dodici cilindri montato dietro ad una Cooper. Impresa che poi fu sotterrata insieme ai programmi sportivi del Tridente sotto il controllo Citroen. E tra il 1976 ed il 1983, proprio in concomitanza con la scomparsa del suo papà elettivo Pietro Frua, la “Kyalami” diventa per sette anni una Reginetta in incognito di casa Maserati.

Riccardo Bellumori

Opel avrà la sua Leapmotor B10 prodotta in Europa

Opel starebbe valutando la possibilità di commercializzare con il proprio marchio la Leapmotmor B10, secondo quanto riportato dai nostri colleghi di Les Echos e da fonti concordanti. Il SUV elettrico compatto cinese sarà prodotto in Spagna a partire dal 2026 in uno stabilimento di Stellantis, casa madre di Opel e azionista del costruttore asiatico.
Disponibile da poco su ordinazione, la Leapmotor B10 è attualmente prodotta esclusivamente in Cina.

A partire da agosto 2026 sarà assemblata anche in Spagna in uno stabilimento Stellantis, il gruppo euro-americano azionista del costruttore cinese che ha fondato con lui una joint venture per commercializzare e/o produrre veicoli Leapmotor al di fuori della Cina. Il sito di Saragozza, dove oggi vengono prodotti la Peugeot e-208 e l’Opel Corsa, sarebbe stato scelto al posto di quelli di Madrid e Vigo, ma il gruppo deve ancora ufficializzare questa decisione. L’annuncio è atteso entro la fine dell’anno. Potrebbe essere accompagnato da una sorpresa: l’arrivo di una Leapmotor B10 rimarchiata Opel.

LA GAMMA ELETTRICA

Il gruppo Stellantis sta attualmente cercando di riconquistare quote di mercato e riempire i propri stabilimenti in un contesto difficile, da cui la necessità di sfruttare appieno le sinergie all’interno del gruppo e anche un po’ oltre. In Spagna sarebbe prevista una linea di produzione dedicata alla Leapmotor B10, con una capacità annua compresa tra 150.000 e 200.000 unità per un marchio che è ancora agli albori nel Vecchio Continente.
Opel potrebbe così diventare il primo costruttore tedesco a vendere con il proprio marchio un’auto cinese in Europa. Con una lunghezza di 4,52 m, la B10 si posizionerebbe tra la Frontera Electric (4,39 m) e la Grandland Electric (4,65 m) nella gamma di SUV “zero emissioni” del marchio al Blitz. La storia potrebbe ricordare quella della prima Frontera, nata nel 1991 su base Isuzu e prodotta nel Regno Unito nell’ambito di un accordo commerciale stipulato tra il costruttore giapponese e il gruppo General Motors, allora proprietario di Opel.
Ciò che le fonti non dicono ancora è se Opel commercializzerà la Leapmotor B10 senza modificarne il design o se alcune modifiche estetiche accompagneranno il cambio di logo per integrare il modello asiatico nell’identità visiva dell’azienda tedesca. Queste domande dovrebbero trovare risposta durante la presentazione del prossimo piano strategico di Stellantis previsto per il secondo trimestre del 2026. I progetti del gruppo potrebbero evolversi da qui ad allora.

Nissan si allea a BYD per evitare le multe UE

Per conformarsi alle nuove norme europee in materia di CO2 tra il 2025 e il 2027 ed evitare pesanti sanzioni finanziarie, Nissan Europe ha deciso di associare i propri risultati in materia di emissioni a quelli del costruttore cinese BYD, secondo i documenti ufficiali pubblicati il 17 ottobre.

Fino ad ora, Nissan aveva mutualizzato le proprie emissioni con quelle dei suoi alleati di lunga data, Renault e Mitsubishi. Ma in questo nuovo contesto, l’azienda ha scelto di allearsi con BYD, la cui gamma in Europa è composta esclusivamente da veicoli elettrici e ibridi ricaricabili.
Un profilo particolarmente vantaggioso per rispettare i limiti imposti. L’accordo tra Nissan e BYD riguarda specificamente l’anno 2025. Il raggruppamento delle emissioni per questo periodo deve essere registrato entro la fine dell’anno in corso.
Di fronte alla minaccia di pesanti multe in caso di mancato rispetto delle soglie di CO2, che possono raggiungere diversi miliardi di euro, negli ultimi anni molti costruttori hanno cercato di concludere questo tipo di accordo con marchi specializzati nell’elettrico o molto impegnati nell’elettrificazione della loro offerta.

LA SCELTA STRATEGICA

Contattata da Automotive News Europe, la filiale europea di Nissan non ha dato seguito alle richieste di commento. Da parte sua, il Gruppo Renault, attraverso un portavoce interrogato il 20 ottobre, ha dichiarato di non avere intenzione, in questa fase, di aderire a un pool di questo tipo.

Compensare le vendite medie
Sebbene Nissan sia stata una delle prime aziende a lanciarsi nel settore dei veicoli elettrici con la Leaf, le sue vendite in questo segmento rimangono limitate. Ad agosto, solo il SUV Ariya ha registrato risultati commerciali degni di nota, con 11.747 unità vendute nel continente dall’inizio dell’anno, secondo i dati di Dataforce.
Il marchio ha recentemente lanciato due nuovi modelli elettrici: una versione rinnovata della Leaf e la Micra, quest’ultima basata su una piattaforma sviluppata con Renault. Nei primi otto mesi dell’anno, Nissan ha venduto 13.103 veicoli elettrici in Europa.
Ciò rappresenta circa il 6,5% delle sue 199.000 vendite totali. Da parte sua, BYD ha registrato 95.473 vendite, di cui circa il 60% erano veicoli 100% elettrici, mentre il resto era costituito da ibridi ricaricabili. Ciò che offre crediti cruciali per Nissan.