Le auto elettriche dalla Germania all’Africa delocalizzano la crisi?

Questo approfondimento arrivato alla sua Quarta puntata (e altre ne seguiranno) sembrava nato per gioco, in un periodo in cui l’economia e l’industria Automotive tedesca “scricchiolava” ma teneva sostanzialmente i suoi “plus” derivanti dall’essere la prima realtà produttiva europa, il primo supplier a livello mondiale e soprattutto un partner di ferro per l’espansione cinese del settore.

C’era però un curioso trend che soprattutto noi di Autoprove avevamo rintracciato nelle pieghe delle statistiche navigabili sul Web: l’irresistibile e progressiva ascesa dell’industria tedesca in Africa, di cui quasi nessuno conosce la previsione a breve di un vero e proprio spazio economico e commerciali unito a disposizione di un miliardo e trecento milioni di persone del continente.

Man mano che le nostre puntate sono state pubblicate sono cominciate a fioccare le mail e i commenti poco accondiscendenti di alcuni che vedevano in questa nostra ricerca una sorta di teatrino del pettegolezzo inutile; fino a questi giorni, quando alle immagini dei cortei di lavoratori mascherati che in Germania simula il funerale alla Volkswagen si uniscono le voci allarmate dei tagli di personale e delle chiusure di interi comparti e Stabilimenti.

Germania colabrodo: 190.000 licenziamenti per il gigante dell’Auto europea, di colpo?

Erano gli anni Cinquanta, e la BMW rischiò più volte la bancarotta; erano gli anni Ottanta e gli operai Porsche pressavano davanti ai cancelli chiusi degli Stabilimenti per entrare a lavorare, non per scioperare. Era il 1993/1994, infine, quando Volkswagen sull’orlo del collasso riceveva i fondi pubblici di Schroeder e della Bassa Sassonia. 

Da allora e fino al 2007 (Crack Lehman) l’auto tedesca cavalca il boom finanziario del Marco dopo l’unificazione delle due Germanie, fa shopping in Europa e nel mondo di Marchi e Impianti e diventa leader della produzione industriale, dell’Aftermarket, del mercato globale.

Dopo il 2007 arriva il colpo alle ginocchia del Dieselgate, e ancora dopo il Lockdown, dentro una cornice internazionale che comprende Brexit, rivalutazione dei mercati oltreoceano, ed ovviamente la crisi generata dai conflitti in Est Europa dove – guarda caso – sono presenti ancora per poco importanti interessi industriali tedeschi; eppure in tutto questo lo scenario di crisi di questi mesi appare più satirico che reale, in una dimensione industriale e politica (la Germania) che – soleva dire mio nonno – è sempre stata perniciosa come la proprietaria zitella e odiosa del superattico in un Condominio: capace di indirizzare la gestione dello stabile a suo esclusivo favore e in grado di far pesare la sua posizione dominante, finisce solo per fare degenerare tutto il palazzo. 

Proprio quello che ha fatto la Germania con Debito sovrano, austerithy, rivoluzione elettrica, riforme europee, fino alla vicenda grottesca di una Germania contro praticamente gli Stati membri del Mediterraneo.

E se il sistema auto è in crisi, non giriamoci intorno: è il sistema che in modo idiota la Germania ha imposto a tutta l’Europa; non è stata la UE ad imporre l’evangelizzazione elettrica, ma una Germania in cerca di nuova immagine mondiale contro l’avanzata prevedibile del colosso cinese.

Ma io – che pur non essendo nessuno, mi onoro di dire che non ho mai amato la Germania, forse perché mio nonno ne ha vissuto la bestialità sotto la Guerra – non posso credere che la Germania sia diventata di colpo idiota. Io credo che sia semplicemente una Nazione diventata un po’ troppo paracula.

E per dimostrarlo sto coinvolgendo Autoprove.it in una inchiesta doppia tra Germania ed Africa. E il fulcro della analisi è proprio la frontiera della mobilità elettrica, senza approfondire al momento aspetti socioeconomici globali che, in seguito, coinvolgeranno ABS, Green Bonds e mercato delle valutazioni di materie prime, per finire con il solito terzo incomodo della Blockchain e delle Criptovalute. Sembra il decalogo di un complottista, invece è lo scenario della nuova e prossima area di libero scambio pan-africana: un campo di gioco nel quale chi prima arriva meglio alloggia. Abbiamo impiegato tre puntate di questo Speciale per dimostrare che la Germania ha agito per tempo.

Il Risiko Afro/franco/tedesco, e Bruxelles rimane a guardare (e a pagare?)

C’entra tutto, in questo Risiko afro-germanico dove a quanto pare l’Europa si presta a semplice portatrice d’acqua a favore di uno o due Stati membri (come sempre): oltre alla Germania il Risiko africano comprende la storica Francia, come in una sorta di coabitazione cordiale ma non troppo dove la Francia rimane incombente nella parte Settentrionale del Continente; la Germania invece ha praticamente surrogato la Gran Bretagna nell’influenza della zona Sud, mentre rimane da sviluppare tutta l’area centrale. 

Ma fermiamoci un attimo e leggiamo le notizie che arrivano dalla Germania, in particolare da uno studio di Progonos pubblicato da VDA: Volkswagen pianifica la chiusura di tre stabilimenti, Audi sospende la produzione in Belgio, BMW lamenta a sua volta delle criticità; sono in gioco, secondo le ricerche, quasi 190.000 posti di lavoro in Germania entro 10 anni, e 46.000 già persi negli ultimi quattro anni. 

Ultimi quattro anni in cui però, abbiamo visto, la Germania ha intensificato il trend degli investimenti in Africa.

Ma soprattutto colpisce, in questo bollettino di Guerra, la situazione dell’Aftermarket e della componentistica, settore dove la Germania è leader mondiale 2023 nel campo dell’export: secondo una ricerca di “Tendata” con un valore di merci esportate per oltre 60 miliardi di USD e due mercati di prevalenza (Cina e USA) i tedeschi sono dei veri “panzer” mondiali. 

E nella Top five dei Player mondiali di componentistica, ci sono ben tre Supplier tedeschi (Bosch, ZF, Magna) in un mercato che vale a livello globale quasi 500 miliardi solo di componenti intermediate in ogni parte del Globo, e con una crescita post lockdown che si stabilizza al 15% di incremento di scambi ed un aumento del valore esportato pari a +8%. Importante è considerare che i principali esportatori di componenti per autoveicoli sono Germania, Cina continentale, Stati Uniti, Messico e Giappone. A seguire Corea del Sud, Polonia e Repubblica Ceca. E colpisce che Italia e Francia messe insieme (comprendendo Stellantis dunque) non superano i 31 miliari di dollari di export di componentistica, segno indiscutibile che in questi due distretti nazionali anche la dimensione indipendente soffre di una crisi progressiva. 

E colpisce la posizione molto indietro della Spagna, che tuttavia rappresenta in Europa il secondo Paese membro della Unione come produzione industriale di auto, sebbene il paese iberico sia cresciuto del 18% nel post lockdown (sempre secondo “Tendata”).

Insomma, il quadro della Germania come “player” internazionale è decisamente chiaro, quindi la domanda che ci poniamo è: come mai questa slavina in casa? Bipolarità economico finanziaria o medaglia a due facce? Come mai la “VDA” (Associazione dei Costruttori tedeschi) che in Africa ha stretto da tempo un protocollo di intesa con la AAAM (corrispondente Associazione di categoria africana) nel suo paese natale fa dichiarazioni abbastanza sibilline come quella riportata da una Agenzia: “ latransizione elettrica porta a perdite occupazionali ma è inevitabile. Tuttavia non parliamo di crisi ma di transizione nel cui futuro l’occupazione dipenderà dalle scelte politiche che possono favorire o meno gli investimenti in Germania”. 

E su quel “favorire investimenti in Germania” si muove un giallo: parliamo di investimenti “in Germania” (VDA – sempre – parla di circa 400 miliardi di Euro necessari per R&D e per riconversione degli Impianti entro quattro anni) o di investimenti “dalla Germania” magari in sinergia con Bruxelles? Perché dalla Germania e dalla UE sono in partenza programmata fior di miliardi di Euro, verso quell’area di libero scambio panafricana su cui i tedeschi hanno messo gli occhi da quasi dieci anni. 

Ma soprattutto, cosa è davvero temibile nell’Agenda di Bruxelles per i tedeschi? Un po’ tutto, visto che pur nella ambizione elettrica della Germania è stata inserita per precauzione una clasola per la quale Bruxelles dovrebbe, entro il 2026, svolgere una parentesi di verifica e revisione del ruolo degli e-fuel per proseguire nella produzione di endotermici dopo il 2035. 

 

Guarda caso gli interessi tedeschi in tema di idrogeno in Africa si confondono bene con l’ingrediente base dell’e-fuel che appunto è l’Idrogeno: anche se un recente accordo commerciale tra Giappone e Sudafrica si incentra sull’idrogeno come fonte di energia pulita. 

L’industria automobilistica giapponese punta sempre di più sull’idrogeno e questa partnership rappresenta una mossa strategica per incorporare la tecnologia dell’idrogeno nel settore automobilistico. 

È probabile che l’industria automobilistica giapponese svolga un ruolo fondamentale nell’introduzione di veicoli alimentati a idrogeno in Africa, allineandosi alle tendenze globali verso l’energia sostenibile. 

Questo sviluppo potrebbe rimodellare il panorama automobilistico in Africa, aggiungendo una nuova dimensione al mercato insieme ai veicoli elettrici.

E se la messa a norma ormai prossima dell’Euro VII in Europa trova la Germania critica come tutti gli altri Stati Costruttori di auto, la meno ricordata “New BER 2028” è qualcosa che incide proprio nella economia tedesca della componentistica e dell’Aftermarket sempre più esposta alla concorrenza dei Paesi e dei Produttori di riferimento nel comparto Indipendente. 

Chissà se le previsioni e le premesse molto più “garantiste” del continente africano verso un mercato della Supply Chain e della componentistica molto più favorevole verso il mondo OEM rispetto agli IAM non saranno una notizia di forte interesse. Ma di sicuro gli argomenti che seguono sono di richiamo fortissimo:

L’Africa, la nuova terra promessa dell’Automotive

Quanto può valere il mercato dell’auto in Africa? Valeva 12 miliardi di Dollari alla data del Crack Lehman; era salito a 30 miliardi di Dollari dopo il Lockdown del 2020, e potrebbe valere nel 2027 fino a 42 miliardi di Dollari secondo le organizzazioni che stanno per inaugurare l’area di libero scambio panafricana (AfCFTA), dove tra 10 anni ci saranno 450 milioni di persone in età lavorativa ed in grado di utilizzare auto e mezzi di mobilità; e dove la subofornitura di componenti e semilavorati potrà essere distribuita a largo raggio tra le Nazioni del Centroafrica in cui per ancora molti anni il reddito mensile preteso dai lavoratori potrà mantenersi su livelli pari alla metà della media delle Società più evolute, con il vantaggio di una filiera logistica già oggi strutturata su vettori a guida autonoma e droni aerei con telecontrollo a distanza e dove gli investimenti miliardari della Cina hanno sviluppato porti, ferrovie, autostrade. 

Dove chiaramente la situazione ambientale e sociopolitica non è del tutto rasserenante: ma dove le aree socialmente più sicure e sviluppate (Nord e Sud Africa) sono abitate dal 25% della popolazione africana totale e garantiscono una continuità lavorativa ostacolata solo dagli eventi climatici.

Un altro aspetto seriamente antagonista riguardo la convergenza tra Africa ed Automotive è l’elemento culturale e formativo: questo però storicamente, anche con riferimento ad altri Continenti, non ha mai impedito lo sviluppo iniziale di una industria della componentistica e della subfornitura basilare costruita di volta in volta in Asia, Sudamerica, Est Europa, etc…e che dunque si può ripetere in Africa soprattutto a partire dalle nuove piattaforme elettriche e dai nuovi protocolli industriali di settore.

Se l’Africa non rappresenta ancora la terra promessa dell’Automotive, il Continente europeo dirimpettaio sta decisamente naufragando verso la desertificazione di settore

La controrivoluzione elettrica con la confusione politica di Bruxelles ed il disorientamento generale diffuso tra Costruttori OEM e subfornitori sta ancora una volta, e forse per l’ultima volta, aiutando il mondo Indipendente per il quale tutti o quasi stavamo già preparando le messe funebri per un futuro dominato dall’aftersales ufficiale Casamadre; il settore della componentistica del Vecchio Continente è stato travagliato dalla altalena contrastante dei trends commerciali ed industriali; a fronte di un rimbalzo positivo di tutto il settore dell’Aftermarket Indipendente gli ultimi tre anni sono stati il teatro di una debacle dei cosidetti “Tier” e dei fornitori di Primo Equipaggiamento a causa della riduzione dei volumi del nuovo. 

Africa tra crescita e promesse, tra elettrico e idrogeno, tra nuovo ed usato

Sono dunque tornati in auge i programmi di avvento degli OEM nel mondo dell’autoriparazione generalista che avevano cominciato ad essere promossi prima del Lockdown e che ora, a fronte di una sostanziale trasformazione del modello logistico e del circuito della Supply Chain globale a partire dalla rimodulazione della Nazione supplier per eccellenza, la Cina:

quest’ultima sta crescendo nella sua industria auto per coprire le prevedibili esigenze di una popolazione automobilistica che tra dieci o quindici anni potrebbe “gonfiarsi” di decine di milioni di nuovi acquirenti all’anno. E se contemporaneamente, per ragioni di opportunità simmetrica, le linee di produzione delle “BEV” più commerciali dovessero prendere la via al contrario – dalla Cina in Europa dove gli Stabilimenti lasciati liberi dalla delocalizzazione e dalla contrazione dei Marchi europei ed occidentali – il fabbrisogno conseguente alla domanda potenziale in crescita in Cina non potrà far altro che aumentare la destinazione in casa della produzione di componentistica e subfornitura. 

Stando così le cose è decisamente più plausibile, secondo molti, che sia proprio la Cina a “battezzare” la nuova forma automobilistica dell’Africa dove – tra l’altro – sono diversi i mercati con l’obbligo di guida a destra.

La Cina ha esportato nel continente quasi 5 milioni di veicoli nel 2023, con le “NEV” (elettriche) a fare da traino, e dal primo ingresso dei Costruttori cinesi nel post-Crack Lehman oggi ben 10 Marchi del Dragone hanno consolidato un buon mercato con punte di eccellenza ovviamente in Sudafrica: 

cosa che rende ancora più difficile la crescita dei volumi della concorrenza europea, soprattutto perché il Sudafrica sembra essere la terra promessa della mobilità elettrica con una prospettiva governativa di passare da una quota di mercato di BEV (o meglio “NEV” come da lessico tipicamente cinese) del 2% lo scorso anno ad una soglia del 20% entro i prossimi due.

Anche l’Egitto sta polarizzando l’attenzione con l’intento politico di creare distretti industriali Automotive puntando sulla eccellente condizione di costi manodopera bassi e posizione logistica favorevole, attirando le programmazioni di intenti da parte di diversi Costruttori cinesi interessati a stabilire là i loro impianti.Più a lungo termine appare la industrializzazione su larga scala del Kenya dove già alcuni Brand hanno piccole produzioni su licenza; e lo stesso vale per Ruanda, Ghana ed altri Stati. 

 

Cosa significa per i Costruttori globali promuovere la mobilità elettrica in Cina? Significa operare in una dimensione under construction dove partire da zero è una opportunità e dove il mercato non subisce le segmentazioni standardizzate dell’Occidente anche perché la dimensione “SUV Multipurpose” sembra essere perfetto per il profilo orografico del territorio e per la funzionalità del parco di potenziali clienti ed utilizzatori.

 

Cogliere l’opportunità di entrare nel mercato africano ora significa disegnare una dimensione industriale “tailor made” che integra le aree di eccellenza specifiche della condizione africana: la disponibilità di risorse minerarie, fonti fossili e rigenerabili per la filiera energetica; la presenza di materia prima a buon mercato (non pensiamo solo alle terre rare, ma all’alluminio del Mozambico, alla Gomma della Costa d’Avorio, etc…) e una catena logistica che può far ampio uso di vettori terrestri ed aerei a guida autonoma, motivo per il quale tutte i colossi della distribuzione (Amazon, DHL, etc..) hanno da tempo avviato i propri mega – Hub di movimentazione merci e servizi.

Senza dimenticare che quella africana può essere senza timore di smentita la prima filiera industriale nativa in dimensione Blockchain, sia dal lato delle relazioni industriali sia dal lato dei pagamenti in valuta virtuale.

Germania: leader mondiale, sconfitta in casa

Ovviamente tutto questo, senza l’evidenza di cifre a supporto, può sembrare per Voi un arzigogolo mentale dell’autore del “Dossier”. 

Ok, proviamo a metterle in batteria queste cifre. Mentre in Europa i Brand di subfornitura, componentistica hanno subito da un anno e mezzo un tracollo di mercato e valore azionario che le ha lasciate alla aggressione di nuovi acquirenti e ha costretto un numero di licenziamenti di centinaia di migliaia di lavoratori di settore in Europa ed USA, c’è la dicotomia tra trend occidentali ed africani. Alcuni esempi: in Germania il settore componentistica ha perso oltre 30.000 addetti, la Francia almeno 9.000; l’Italia invece, e non è una battuta, ha praticamente perso la nazionalità di tutto il comparto. 

Non a caso la “C.L.E.P.A. – European Association of Automotive Suppliers” ha lanciato prospettive di medio termine ancora preoccupanti.

Ed in Africa? Beh, la crescita della domanda non è legata direttamente allo sviluppo di una filiera componentistica e di subfornitura funzionale al mercato interno. L’Africa appare più per l’Europa come l’HUB sostitutivo della stessa Cina, del Sudamerica, dell’Est europeo per il sostegno della produzione estesa. Fino a contemplare per la Germania un nuovo partner nello sviluppo industriale dell’Idrogeno. Tanto per ricordare eventi non troppo lontani, è passata in sottotono la notizia di un anno fa in cui PNE – Produttrice di soluzioni per l’energia eolica – e la SET (Utility tedesca) avevano firmato un protocollo di intenti per produrre e-fuel in Sudafrica, in particolare sulla costa occidentale; funzionante ad elettrolisi di acqua marina desalinizzata prima del processo, tutto servito da energia eolica e solare. Senza contare che per l’Idrogeno esiste la via ancora poco percorsa in Occidente delle auto “Fuel Cell”, ma in generale tutto il comparto dell’Idrogeno per autotrazione sta diventando in Africa molto più di un esercizio accademico. Toyota Mirai, Bmw, ed altri esempi sono a corredo di una realtà in cui Camion e Pullman ad Idrogeno sono ormai una pietra miliare in Africa.

Ma ora il problema per occupare il mercato auto africano più maturo è quello di garantire il post vendita, potenziando e sfruttando in primo luogo le realtà locali e aumentando il Know How e la meccanizzazione dei Suppliers già presenti sul territorio. 

Lavorare sull’elettrico è allo stesso tempo una chiave di sviluppo per una mobilità adatta allo sviluppo del mercato africano, e dall’altra una pista per completare la rete di infrastruttura energetica di rete in un territorio dove ancora oggi il 20% della popolazione del continente non è servito. 

Ovviamente la ottimizzazione delle reti infrastrutturali (energetica, logistica, viaria) sta portando ad una moltiplicazione di sinergie, J.V. e collaborazioni multisettore tra Costruttori, Componentisti, Utilities, Imprese di Logistica; anche se a fare da apripista è al momento il mondo dell’Usato. 

In tre paesi come Etiopia, Kenya e Nigeria almeno 8 veicoli importati su 10 sono usati, e l’Africa importa quattro volte più prodotti automobilistici di quanti ne esporti, con importazioni di automobili per un valore di 52 miliardi di dollari USA nel 2020 ed esportazioni per un valore di soli 13 miliardi di dollari USA nel 2020. Le principali fonti di veicoli usati sono gli Stati Uniti (USA), l’Europa e il Giappone. Il Medio Oriente funge da notevole via di transito per i veicoli verso l’Africa orientale. 

Il Sudafrica domina il commercio automobilistico nel continente, rappresentando i tre quarti delle esportazioni automobilistiche africane e il 15% delle importazioni nel 2020. Come detto, la parte del leone la fa il Giappone come Marchi ma la provenienza è soprattutto europea.

Ed ora l’Africa, l’Europa, la Germania e tutto l’Automotive sono ad un bivio incrociato: per la UE l’Africa commerciale unita può essere un’area di oltre un miliardo di consumatori, anche se la concorrenza della Cina è difficile da superare; per la Germania, come abbiamo visto, l’Africa è più di una prospettiva, essendo già una piattaforma di accordi e sinergie industriali.

L’Europa per l’Africa è al momento il maggior vettore di auto usate provenienti dal territorio comunitario, e in tema Bruxelles ha lanciato la proposta di una tracciatura delle auto secondo quoziente ecologico: insomma, stop prima o dopo all’esportazione verso l’Africa di modelli inquinanti. Con la prerogativa opzionale ma non secondaria di un crescente interesse dei consumatori africani verso il cosidetto – in Europa – Kit Retrofit 100% elettrico.

Insomma il retrofitting, la conversione dei veicoli con motore a combustione interna in motori elettrici a batteria o a celle a combustibile a idrogeno, è in crescita. È persino un argomento di cui parlano tutti gli operatori dei trasporti perché la promessa è incoraggiante: limitare gli investimenti ed estendere la vita utile del veicolo in funzione per un’elettromobilità a zero emissioni.

Ci sono poi le questioni integrate a quelle appena espresse: c’è l’intreccio delle relazioni tra Cina, Europa, Germania. La Germania, si sa, non vede di buon occhio i superdazi comminati dalla UE contro le BEV di importazione cinese, soprattutto perché diversi Gruppi cinesi sono in J.V. con Costruttori tedeschi. 

Resta da capire se la soluzione delle linee di produzione cinesi in Europa (legate in primis a vetture elettriche popolari) non sia come ci aspettiamo in Autoprove una sorta di “Hub” generalizzato per indirizzare in Africa linee di export ecologico e “tracciato” dentro un accordo commerciale che certo la UE in qualche modo sta favorendo; e in questo – poiché i prodotti originari cinesi oggetto degli accordi tra Costruttori saranno probabilmente rimarchiati dai Brand occidentali – l’eventualità di un accordo generalizzato di esportazione verso l’Africa sarebbe l’uovo di Colombo per tutti:

– Per l’UE gli stabilimenti europei di produzione sarebbero fonte di nuova occupazione potendo contemporaneamente mostrare agli elettori il polso duro esercitato verso i cinesi; 

– Per la Germania l’esportazione verso l’Africa di linee di auto cinesi sarebbe una forma di autotutela sia verso i rapporti e gli impegni patrimoniali strutturati con i partner cinesi sia una forma di promozione degli investimenti per una dimensione industriale tedesca in Africa;

– Per l’Africa l’arrivo di auto elettriche pseudoeuropee “fresche” sarebbe una leva commerciale interessante; 

– E per i Brand occidentali ed europei infine la serie di nuove BEV popolari in arrivo in Europa sarebbe un Firewall contro il pericolo multe da parte UE.

Nella prossima puntata cercheremo di capire se i nostri sono vaneggiamenti o realtà.

(Fine Quarta Parte – Segue) 

Riccardo Bellumori.

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