Il mio sogno, molto surreale, era quello di essergli contemporaneo, e di abitargli vicino casa, da ammiratore delle sue imprese.
“Ingegnere” – gli avrei domandato – “insomma, io sono un suo ammiratore, posso seguirla un po’ da vicino per una mezza giornata, senza disturbare?”
E Lui: “Si, va bene: fatti trovare domattina alle 9 in strada; si va a Terracina”.
Ovviamente, fraintendendo, mi sarei fatto trovare in abbigliamento balneare. Così Lui, appena fatto salire sul rimorchio il Bisiluro “Tarf”, mi avrebbe dato un’occhiata di traverso e: “Ma cosa hai capito??”, mi avrebbe forse domandato.
Piero Taruffi, Ingegnere/Pilota/Manager/Talent Scout/filosofo della materia estesa dell’Automotive era così: viveva e condivideva in perfetta normalità delle situazioni al limite dell’impossibile e così facendo rivoluzionava piano piano il concetto popolare dell’Automobile.
E così quella “fettuccia di Terracina” divenne tale per tutti noi automobilisti popolari, che non disdegnavamo l’ingarellamentovelocistico con i compagni di carovana in direzione mare: e così facendo cercavamo di imitare Piero che – tra le tante imprese – con il suo leggendario Bisiluro “Tarf” andava a demolire record mondiali di velocità sulle strade di qualunque signor Rossi nel Dopoguerra.
Aveva la razionalità dell’Ingegnere, e la sensibilità del meccanico. A buon bisogno, le metteva entrambe queste qualità a frutto in condizioni estreme; come quando nella Carrera panamericana – che fu fatale al povero Felice Bonetto – il nostro Piero rimediava alle conseguenze di una uscita fuori strada dentro ad un fienile: chiedendo in prestito pietre, mazza e fiamma ossidrica addrizzò in fretta il braccio piegato di una sospensione, e ripartì.
La sensibilità e la razionalità gli furono di grande supporto anche per non subire gravi conseguenze in Gara: conosceva l’auto e i suoi limiti, non si lasciava guidare dalla emotività, e teneva tutto sotto controllo. In questo la sua forza fisica e la energia atomica che lo muovevano (dai venticinque agli oltre cinquant’anni Taruffiha sempre sovrapposto e seguito in parallelo progetti agonistici, consulenze professionali, studi e collaudi) sono stati una caratteristica che avvicina il nostro eroe ai Campioni moderni: prendete a confronto tanti Piloti del Dopoguerra, con la loro pancetta o la sigaretta ben esposta in foto.
Al loro contrario Piero mostrava un livello atletico inarrivabile, che nei suoi esordi con l’auto costruisce con la pratica parallela dello sci e del canottaggio con cui diventa Campione europeo a Squadre a 22 anni. Poco prima acquista moto inglesi (all’epoca le più rinomate nelle cilindrate alte) e si fa notare nelle Cronoscalate e nelle corse su strada. Siamo ancora nel 1930, Piero ha solo 24 anni ma un rigore, un autocontrollo ed anche l’umiltà di non montarsi la testa.
Ecco, forse in questo c’era il rispetto continuo di Taruffi alle sue origini, a quelle radici del borgo e della campagna che le grandi città non hanno mai corrotto in lui.
Nato ad Albano nel 1906 arriva ovviamente a svolgere la sua carriera su auto e moto nelle altre “Capitali” del motore (Roma, Milano, Torino, Modena); ma nella sua dimensione locale Taruffisi rende protagonista della animazione di Gare locali, dello sviluppo di Vallelunga a Campagnano di Roma; e si dimostra un ottimo talent scout e supervisore di giovani talenti, grazie anche alla sua capacità didattica da cui ha preso forma il famoso libro sulla guida di auto da corsa.
Piero era un eroe popolare, o meglio un eroe del popolo, ecco perché ha ammiratori in Italia, Europa ed oltreoceano. In SudAmerica le sue imprese alla Carrera lo rendono il beniamino del pubblico, ma è nel Vecchio Continente che la sua impronta rivoluziona un intero settore industriale dell’Auto, in primo luogo cercando di concretizzare un sogno: rendere lo Sport del motore accessibile a tutti.
Auto e Sport per tutti
Dopo la prima Gara di sempre a 17 anni sulla Fiat 501 del papà, passa alle moto, iniziando con una AJS che lo stesso genitore gli affida perché capisce che il giovanotto ha davvero talento. Piero vince l’Europeo Velocità 1932 sulla Norton 500, che compra e modifica nell’aerodinamica di sua iniziativa; due anni prima però – nel 1930 – aveva corso la sua prima Mille Miglia sulla Bugatti.
L’Alfa Romeo (ancora guidata da Enzo Ferrari) a quel punto lo nota e lo chiama a correre con le auto del Portello. Siamo appunto al 1932, lui è neo ingegnere e giovanissimo: i miti del tempo sono altri (Nuvolari, Varzi, Rosemeyer e Caracciola, Vimille) ma lui cresce in fretta. Come Tazio e Varzi ha iniziato l’agonismo professionale con le moto, me sulle auto aveva la lucidità di Varzi unita ad un livello fisico ed alla conoscenza tecnica superiore. E soprattutto lui portava insieme a sé il popolo dei tifosi, perché era davvero il Campione che cresceva a furia di Gare locali corse tra le case e le strade di paese.
Nel 1933 arriva terzo alla Mille Miglia, alla soglia di un percorso che appare già inesorabile e vincente; ma un brutto incidente di moto nel 1934 gli impedisce di arrivare meglio alla classica italiana che resterà un suo “pallino” fino all’ultima del 1957.
L’incidente con la moto del 1934 chiude buona parte della sua partecipazione agonistica a due ruote (corre quasi cinquanta Gare vincendone la metà) ma non prima di aver dato alla luce il suo “miracolo” in moto: la Gilera “Rondine”. Nata da un progetto tutto romano dedicato ad una base di motore con cui le moto potevano correre contro le quasi imbattibili inglesi e destinato ad Artigiani e piloti privati, la “Rondine” diventa una realtà grazie al progetto ed ai continui collaudi e miglioramenti di Piero Taruffi; il fatto di chiamarsi “Gilera” deriva dalla volontà dell’Ingegnere di rivolgersi ad un Costruttore industriale per il fallimento della Società romana di partenza. Ma la Rondine è una tappa storica tutta merito di Taruffi, insieme ai suoi record ed alla sua tecnica che ha ispirato le moto da corsa degli anni successivi: il chilometro percorso in 14 secondi e 7 decimi il 19 Novembre del 1935, oppure il chilometro lanciato a 274 kmh.
Tra l’altro proprio la Gilera gli affidò la gestione delle partecipazioni sportive tra il 1937 ed il 1939, per poi tornare a lui in un periodo glorioso tra 1949 e 1955.
Pochi ricordano in effetti questo “skill” di Taruffi come Manager: eppure nella sua carriera si sono affidati a lui (oltre alla Gilera appena detta) nomi come Cisitalia; come Mercedes per la F1 nel 1955, la Vanwall, e persino la BRM di F1.
Vola la “Rondine”: 280 Km/h novanta anni fa…
Nel mezzo dei record con la “Rondine” (vittoria a Tripoli 1935 e 280 km/h di Record di velocità sul chilometro e sulla “Bergamo-Brescia”), Piero continua la carriera automobilistica con Maserati e Bugatti prima che scoppi la Guerra.
Il primo evento storico di Taruffi nel dopoguerra è il supporto a Piero Dusio ed alla Cisitalia.
Piero Dusio ha un vantaggio ed un problema. Il vantaggio è che è pieno di soldi, il problema è che da ex bravo pilota di auto ed appassionato desidera costruire la migliore auto al mondo ma non sa né cosa e né come: la sua base operativa è uno Stabilimento a Corso Peschiera dove sono prodotte temporaneamente le bici “Beltramo”.
Potendo scegliere e pagare qualunque “guru” mondiale il Commendatore Dusio chiama l’unico capace di rendere concreto il futuribile. Piero Taruffi comincia a indirizzare Dusio su un progetto davvero rivoluzionario: c’è da costruire un Marchio ancora sconosciuto, ci vuole visibilità e l’occasione di poter riportare tutti gli italiani a correre con le auto. La “D46” è per prima cosa un concetto filosofico nato da Taruffi: piccola, economica, riparabile e con cui correre in strada, in salita e persino sullo sterrato.
L’ingegnere ha bisogno di un interlocutore davvero eccezionale dal lato tecnico, per mettere in pratica il suo pensiero, e Dusio gli porta Dante Giacosa; davvero non sarebbe stato possibile trovare di meglio.
Cisitalia: il sogno interrotto dai cattivi consiglieri
Nella villa di Dusio in Corso Galileo Ferraris, la sera a luci basse per non stuzzicare le ronde naziste Giacosa mette nero su bianco quel progetto condiviso bullone per bullone con Taruffi; ed è proprio Piero, nelle stradine di basolato intorno a Corso Peschiera, a risvegliare un intero quartiere: siamo alla fine dell’inverno del 1946 e il Pilota Campione ed Ingegnere Piero Taruffi sale sullo scheletro motorizzato della D46 che a motore acceso pare molto più cattiva del povero 1100 cc. Fiat montato sopra.
Sappiamo della gloria e della fortuna della “D46” passata poi nelle mani di Karl Abarth. Sappiamo anche che Taruffi, sorpreso dall’impazzimento di Dusio sulla Formula Uno e sui progetti di Ferry Porsche, aveva opposto un sereno giudizio contrario, per poi realizzare e prendere atto che il Patron della Cisitalia era ormai preda di sé stesso e di pessimi consiglieri. Taruffi aveva invece suggerito fin dall’inizio di affermare e consolidare la “D46” nelle Gare europee, per poi pensare a nuove motorizzazioni e tecniche costruttive per la neonata “202” (come anche pensava Giacosa).
Perso Taruffi, perso Giacosa ed anche Giovanni Savonuzzi, il destino della Casa dello Stambecco fu segnata, ma la sua vera nascita la dobbiamo al nostro eroe ingegnere.
Siamo ormai vicini al nuovo decennio degli anni Cinquanta, con l’affermarsi dell’auto italiana anche in confronto con quella inglese ed americana; l’Italia comincia a conquistare tanto, grazie anche a Piero Taruffi.
Che continua la sua ottima carriera di Pilota ma affiancata sempre più strettamente a quella di un Consulente; il suo obbiettivo professionale rimane vincere la Mille Miglia, ma nel frattempo dopo l’addio alla Cisitalia corre con Alfa Romeo 158, Ferrari e Vanwall di Formula Uno, arrivando terzo iridato nel Mondiale 1952; corre le Gare di Salita più prestigiose, e si affaccia alle Gare di Durata ed alla Carrera con la Lancia e poi con la Maserati. Celebre la Targa Florio vinta nel ’56 guidando da solo o la vittoria alla 1000 km del “Ring” dello stesso anno. Ma Piero Taruffi ruba il cuore a tutti nel 1954: 12 Ore di Sebring, Piero ha 48 anni ed è in testa a poche ore dalla fine. La Lancia si ammutolisce in piena gara, Piero la spinge per due chilometri fino ai Box: viene squalificato ma sarà l’eroe di quella giornata per tutti.
Comincia dentro Piero l’elaborazione di una scelta. Chiudere con l’agonismo. Lui che ancora è al volante dopo la scomparsa o gli abbandoni delle glorie del passato (Varzi, Nuvolari, Caracciola, Stuck, Vimille…) ha allo stesso tempo accompagnato quella gloria nel tempo moderno e dall’altra parte l’ha rinnovata, aggiornata e resa futuribile.
Ha avuto tutto dalla gloria sportiva: le Carrera, le Corse in moto ed auto, i successi imprenditoriali. Si è reso protagonista autonomo delle imprese del “Tarf” che sarà ricordato non solo dalla storia ma anche da un famoso Carrozziere come “OSI” a Torino che gli dedica la “Silver Fox”.
Parliamo di “Tarf I” (motore prima Guzzi e poi Gilera derivato dal Rondine) e “Tarf II” (motore Maserati 1.720 cc. volumetrico) che sono il biglietto da visita della capacità unica di Piero di saper inventare, sognare, e dare forma al sogno.
Nella storia, quelli di Piero sono i “bisiluri” unici ad aver conseguito un risultato storico e vincente, merito della corretta applicazione delle teorie aerodinamiche in vigore e di una architettura equilibrata e razionale. Il Tarf “I” del 1948 seppur limitato dal motore di derivazione motociclistica ottiene quasi 35 record internazionali fino al 1957. Nel mentre nasce il “Tarf II” del 1951, che batte nove record internazionali.
L’ULTIMA MILLE MIGLIA
Si arriva al 1957. Taruffi Vince la sua ultima Mille Miglia, ed è l’ultima Mille Miglia di sempre per la tragedia di De Portago. Chiude la sua carriera alla Targa Florio autunnale lo stesso anno, arrivando settimo in coppia con la amata moglie sulla Lancia Appia.
Piero ha 51 anni; è ancora un vulcano: ai tempi in cui i progetti si costruiscono sui cianoacrilati da due metri quadri e si portano arrotolati ai quattro angoli di Italia ed Europa; ai tempi in cui non ci sono Fax e neppure mail, Piero Taruffi dà vita a una valanga di progetti e iniziative; progetta il nuovo Circuito di Vallelunga trasformando una pista di sabbia; fonda una scuola piloti, diventa giornalista, commentatore sportivo, opinionista, e tecnico sulle riviste di settore.
Continua la ricerca tecnica e la consulenza di sviluppo su motori e tecnologie; e scrive i famosi e leggendari manuali che sono arrivati dalla storia a noi. Rimane un riferimento per tutti, una voce giudiziosa nel mondo auto; nel quale spicca ed inizia a brillare la luce di sua figlia Prisca.
La lezione di Taruffi, ancora oggi un riferimento
Dare importanza alla dimensione popolare delle corse, senza creare steccati; proteggere la “biodiversità” tecnologica contro le fedi monoteiste che a turno celebrano l’endotermico prima e l’elettrico poi. E soprattutto amare la propria voglia di scoprire e progredire, se c’è.
Ed in Piero Taruffi ce n’era tantissima.
A tal punto che, da quando l’Ingegnere non c’è più, tutta l’Italia del motore ha fatto alcuni passi indietro. Ed oggi ad onorare la memoria di questo straordinario personaggio c’è proprio Prisca Taruffi.
Elegante, razionale, competente, affabile ed appassionata alla bellezza automobilistica come papa’ Piero. Ce ne sarebbe davvero bisogno, in un mondo dell’Auto in così grande grigiore, del grigio argento della “Volpe” per riportare un poco di luce e di passione nel mondo che amiamo.
Riccardo Bellumori