Luci e ombre della fusione tra Fca e Renault

Fiat Chryler Automobiles e Renault stimano un grande risparmio dato dalla probabile fusione. Gli esperti di settore però mettono in guardia dall’essere così certi che si avranno i benefici preventivati. Questa incertezza è dovuta ai lunghi cicli di produzione del settore automobilistico e dal successo reale che può avere un progetto commerciale simile. Guardando operazioni di questa tipologia vengono in mente le fusioni di BMW e Rover nel 1994 e Daimler – Chryler del 1998. In entrambi i casi le partership furono impraticabili. La stessa Renault nella fusione con Nissan datata 1999, non ha avuto nella realtà i risvolti preventivati. Inizialmente Renault e Nissan si erano poste come obiettivo di condividere il 70% delle piattaforme su cui costruire veicoli. Secondo Morgan Stanley, le vetture realmente costruite con pianali condivisi fra le due aziende rappresentano solo il 35% del totale delle vetture prodotte dal duo franco-nipponico.

Fiat- Renault hanno alzato ulteriormente l’asticella prefigurando non solo la condivisone delle piattaforme ma una fusione senza chiusure degli impianti. Cuni dovrebbe essere un risparmio di 5 miliardi annui grazie anche ad acquisti comuni e investimenti in ricerca condivisi. Per arrivare a risultati concreti la strada è ancora lunga. Il consiglio di amministrazione di Renault sembra essere vicino ad accettare la proposta FCA, ma anche se la partership avesse esito positivo, nell’immediato si avrebbe solamente un atto di intesa con il quale prefissare i piani operativi e i dettagli finanziari.

Per avere invece un accordo finale con annessa determinazione della varie componenti societarie si avrà bisogno di mesi se si arriverà in fondo alla fusione. Uno dei principali motivi per cui FCA e Renault voglio unirsi è la questione ambientale. Entrambe stanno investendo nello sviluppo di motori elettrici/ibridi, con la casa francese in netto vantaggio su Fiat per soluzione proposte sul mercato. Da qui la volontà FCA di acquisire tecnologie innovative e la possibilità per entrambe di tagliare i costi di ricerca e sviluppo. Inoltre le auto dei due marchi potranno essere vendute nei rispettivi concessionari. Entrambi i marchi vogliono puntare sul nuovo trend elettrico ma questa tipologia di veicoli è per le aziende una fonte di perdite dati gli alti costi di produzione. Questa è la grande sfida per i marchi che vogliono vendere city-car in Europa senza perderci: non solo costruire auto elettrico, ma sopratutto farlo non in perdita. Come detto in precedenza la fusione e la condivisione di piattaforme potrebbe richiedere molto tempo. Secondo Carl-Peter Forster, ex Volvo, BMW e Opel, i risultati positivi potrebbero richiedere anni. L’ex AD per fare un esempio ha citato la partership Fiat-Opel per sviluppare la Punto e la Corsa. Il risultato fu quello di avere un’eccellente cooperazione che però necessitò di 3-4 anni per avere i suoi frutti.

Altra necessità per Fiat, oltre quella di acquisire tecnologie è quella Fiat di abbassare le proprie soglie medie di emissione della sua gamma per rispettare le regole dell’Unione Europea che impongono i 93g/km. La flotta Fiat ha come media quella di 124g/km mentre quella Renault di 113 grammi per chilometro. La nuova fusione andrebbe anche nella direzione di abbassare la propria media di emissioni della flotta di veicoli prodotti così da avvinarsi alla soglia richiesta dalle istituzioni europee.
In definitiva, i risultati ottenibili da una fusione FCA-Reanult sarebbe notevoli ma rimane la questione di chi sarà poi effettivamente a guidare il nuovo gruppo. Secondo Thomas Stallkamp, ex dirigente Chryler Corp, un grande problema sarà quello relativo all’integrazione manageriale dei due gruppi e di chi avrarà il controllo del capitale azionario. Se nella fusione si dovessero aggiungere Nissan e Mitsubishi il compito sarebbe ancora più difficile. Nessuno sano di mente proverebbe a mettere insieme le cinque case Renault- Fiat – Chryler – Nissan e Mitsubishi, ha concluso.

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