Ne avevamo parlato, ufficialmente, ad Aprile di quest’anno: il terremoto generato da Trump con i “contro-dazi” di Washingtonha acceso un faro su un curioso “binario” che per anni è stato “in ombra” e più recentemente coperto dall’antagonismo triangolare “China Vs USA” / “ UE Vs USA” / “UE Vs China” esploso proprio con l’arrivo del Tycoon repubblicano alla Casa Bianca.
Curioso dover imparare dall’informazione governativa statunitense della gravissima situazione commerciale mondiale in cui apparentemente è l’Unione Europea ad aver pagato il prezzo maggiore del confronto con la Cina, spiegato in un crollo commerciale ed in un declino industriale continuato.
Incredibile dover apprendere dalle recensioni taglienti della propaganda repubblicana americana di quanto, in 30 anni, l’Unione Europea abbia perso per proprio peso economico e commerciale rispetto al panorama mondiale: eppure, pur non essendo noi di Autoprove un’Agenzia economico finanziaria, abbiamo focalizzato da tempo la situazione anomala di una Unione che pur crescendo da 12 a 27 Stati Membri si è progressivamente e continuativamente espressa in una riduzione costante dei volumi produttivi di auto, segnando un controsenso storico ed industriale incredibile.
Detto in parole povere, quella CEE a dodici che rappresentava negli anni Ottanta circa un terzo della intera produzione automobilistica mondiale (definibile all’epoca nella soglia media di una quarantina di milioni di pezzi all’anno) vede erodere sempre più oggi – che come Unione Europea è più che raddoppiata in popolazione e Stati Membri – una posizione che nevede ormai il costante “sdrucciolare” dalla prima posizione mondiale in volumi di produzione (detenuta in effetti fino a non tantissimo tempo fa) fino ad una sorta di “staffetta” per le posizioni del Podio con USA e Giappone; ma “quell’Europa” era in fin dei conti l’Europa che smontava interi sistemi produttivi per traslocare nelle aree industriali a minor costo. Quelle stesse aree che grazie agli esodi dai Continenti ricchi del mondo sono diventate le attuali potenze industriali del futuro.
Ed in questo senso un nuovo Player rispuntato come per magia dalle cronache di settore è diventato – o meglio è tornato ad essere – l’India; protagonista di una vera e propria “vampata” mediatica nell’esordio del nuovo Millennio con l’arrivo in Europa di Tata e Mahindra precedute – in maniera molto soft ad inizio decennio del 1990 – da “Maruti 800”, il “Monoprodotto Low Cost” presentato tuttavia come Joint Venture con Suzuki che ha rapidamente conquistato attenzione e gradimento del pubblico continentale con buoni numeri di immatricolato nei diversi mercati nazionali dell’Unione.
I protagonisti indiscussi di questa ribalta indiana nell’Automotive globale rispondono senza dubbio ai nomi di Ratan Tata e AdnanMahindra. Due veri ed originari apripista del prestigio industriale dell’India a confronto con l’emergente Cina e con la più consolidata immagine coreana in Occidente.
E dunque il nuovo millennio ha svelato al mondo le figure ed il carisma di due figure iconiche del new deal indiano nell’Automotive, un Paese il cui 2024 racconta di una Nazione che esprime dati eccellenti in diverse voci di competenza del mercato Auto. Il primo Dato che arriva dalle Associazioni di Categoria e di informazione ministeriale, e che vogliamo ricordare, è l’ottimo excursus economico della Componentistica, un settore da segnalare perché ci svela non soltanto un profilo di Supplier strategico del continente indiano tale da poter “offuscare” il peso tradizionale dell’industria cinese: anche grazie ad una proiezione del mercato elettrico che qui non conosce la confusione che propone la UE, e visto che per l’India è quasi indifferente la scelta della piattaforma tecnica deputata a dare un volante a diverse centinaia di milioni di aspiranti nuovi automobilisti, il settore della componentistica proietta un 2026 con volumi di affari potenziali per 200 miliardi di Dollari.
La Componentistica indiana: un valido Player anche per le BEV
La previsione governativa di un target di circa dieci milioni di vetture elettriche vendute ogni anno entro il 2030 porta questo mercato a surclassare nettamente l’Unione Europea nell’interesse dei Costruttori. Ma quello che impressiona, nel primo mercato mondiale per diffusione ed impiegati del Ciclo e motociclo, è la rapida ed inesorabile crescita del supporto dell’Industria nazionale della componentistica auto come Supplier internazionale: già ora un quarto della produzione locale di ricambi viene esportata; ma la vera notizia è che un buon 8% si è aggiunto nell’arco di un solo anno, il 2024, con la prospettiva di un valore complessivo di 100 miliardi di dollari di esportazione entro il 2030 fortemente incentrata sulle piattaforme elettriche. Quanto questi flussi e questa crescita dipendano per effetto domino dai movimenti della concorrente principale (la Cina) è facile capirlo. La “ri-esplosione” dell’industria Auto indiana, che come detto aveva avuto una esplosione internazionale da fine anni Novanta per poi rivolgersi più alla crescita interna, si è rivista dalla fine del Lockdown in poi, ed oggi riesce a coprire ogni sorta di “buco” creatosi nella catena di Supply cinese ed asiatica, mostrando persino un vantaggio competitivo in termini di costo rispetto all’altra “competitor” elettiva del mondo indiano come è il Sudamerica.

India posizionata benissimo anche su risorse energetiche e per i Biofuel
Motivo principale di questo vantaggio è la posizione dell’India come secondo Paese al mondo per la produzione di acciaio; ma vediamo come anche dal lato delle forniture energetiche sia un’area interessantissima: ottima per le rinnovabili sia in termini energetici (elettricità ed Idrogeno) che per produzione di materia prima agricola per biocarburanti (solo per dare un valore, l’India segue al Brasile per prodotto interno lordo di vegetali madre per Bioetanolo).
Ed anche sulla produzione di vegetali per il Biodiesel (olio di Palma, di colza e soia, girasole, etc…) l’India è ben salda nelle diverse Top Five o per autonoma produzione (soia, girasole) o per rapporto strettissimo con altre aree (come l’Indonesia).
Dunque, dentro casa sua, l’India continua a spingere sulla politica di accesso di fette crescenti di popolazione all’uso dell’auto, e per farlo lavora su piani paralleli convergenti: dal lato della elettrificazione l’ “Office of Principal Scientific Adviser of Government” del Paese segnala che il Piano nazionale specifico – NEMMP – varato nel 2020 ha già previsto di incentivare la vendita di circa 6/7 milioni di auto elettriche ed ibride ogni anno, con il collegamento della “Green Hydrogen Mission” che dovrebbe stimolare la produzione di celle a combustibile.
Ma ancora più ambizioso è il programma PM-Electric Drive Vehicle Incentive ed Ecosystem, anche attraverso il quale l’obbiettivo di Governo è toccare target 30% di penetrazione dei veicoli elettrici entro il 2030. Un ostacolo da superare è la espansione della rete di ricarica e la potenza erogata.
Così come l’India sta promuovendo attivamente i biocarburanti per autotrazione, principalmente attraverso il suo Programma di Miscelazione dell’Etanolo (EBP) per raggiungere il 20% di miscelazione con benzina (E20) entro il 2025, riducendo le importazioni e le emissioni di petrolio, e sviluppando al contempo il Biogas Compresso (CBG) e il Carburante Aviazione Sostenibile (SAF), con l’emergere di nuovi veicoli compatibili con l’E20.
Mercato Auto: crescita morbida ma costante
Con circa 3 auto ogni 200 abitanti nel 2015, ma ben 300 milioni di mezzi motorizzati tra due ruote, 3 ruote (ricordiamo che l’India è rimasto l’unico sito produttore delle leggendarie “Ape” Piaggio) ed auto che ovviamente rappresentano ancora una percentuale embrionale, il Paese ha comunque continuato ad offrire un quadro socioeconomico propedeutico allo sviluppo sia produttivo che commerciale di settore. Il comparto Auto prende un 7% del PIL nazionale ed impegna per il 49% il Pil del solo settore manifatturiero.
Se lo consideriamo come singolo Stato nazionale produttore, nel periodo 2020/2025 l’India si è resa protagonista di un rally di salita delle classifiche ed al momento stacca persino Germania, Francia, Corea, Brasile e si pone al quarto posto dopo Cina, USA e Giappone. Inteso come Continente produttore chiaramente la UE (che in quanto tale non è uno Stato Federale ma una Unione politica e commerciale) si pone nel 2024 ancora al terzo posto dopo le aree continentali di Cina e Stati Uniti. SIAM (Society of Indian Automobile Manifacturers) dichiara per il 2024 una produzione di quasi 5 milioni di auto, un milione di LCV ed altrettanti “3 ruote” per finire con 24 milioni di mezzi a due ruote; tutto questo dentro un mercato auto detenuto per oltre il 90% delle vendite da solo sei Gruppi (oltre Tata, Mahindra e Suzuki ci sono Toyota, Hyndai, Kia) con Suzuki leader di mercato.
I protagonisti “casalinghi” dell’Automotive indiano
Quali sono gli assi portanti della produzione automotive indiana? Tata Motors, nata come costola del più colossale Tata Group, diventa davvero “altro” dall’arrivo di Ratan Tata che nel 1991 ne diventa Presidente battezzando il primo modello di auto prodotta interamente “in house” (la Tata Sierra) cui seguiranno Estate, la Sumo (primo Suv indiano) per arrivare alla prima gamma di berline popolari: “Indica” è lo sdoganamento internazionale del Marchio indiano insieme alla “Safari” anche se anni dopo la “Sierra” viene esportata la “Telcoline” (versione Pick up della Sierra).
Ma è l’arrivo di “Nano” che porta il classico “coup de Theatre”nella storia mediatica di Tata: Mister Ratan azzecca tempi (2009, l’epoca di partenza della rivoluzione elettrica nell’opinione pubblica), modi (una minicar elettrica Low Cost) e mezzi (l’immagine di potenza ed internazionalità del Gruppo Tata) per proporre – e si dimostra uno dei primi Costruttori al mondo a farlo – una piccola e popolare Citycar come protocollo di mobilità ecologica alla portata di tutti. Nel 2008 l’acquisto di Jaguar e Land Rover, visto con l’occhio del tempo – si dimostra alla lunga un viatico ricco di incognite ed imprevisti, che si riverberano sulla situazione “sgranata” del futuro di Jaguar, ma anche con il colpo da maestro dell’acquisto di Iveco.
Maruti è una realtà molto più “sfumata” rispetto a Tata e Mahindra ma in India è senza dubbio l’impresa “apripista” insieme alla Hindustan (licenziataria General Motors – Holden) della motorizzazione in India.
Nasce nel 1981 per sviluppare veicoli economici ed efficienti per il consumo di massa in India basati sull’accordo con Suzuki che – intelligentemente – capisce che c’è un mercato interessante e dà vita alla “Maruti 800” che dal 1983 diventa una best seller esportata anche in Europa.
Mahindra invece è una storia un poco a parte: in verità è una incredibile creatura indo- (quasi) Pakistana (incredibile, eh?) perché da dopo la Seconda Guerra la proprietà rimane alla famiglia Mahindra dato che il socio Malik Ghulam Muhammad (nato nel Punjab) cede le quote e si trasferisce in Pakistan. Dettagli sociopolitici a parte, Mahindra debutta nel settore auto con l’assemblaggio delle Willys Jeep su licenza, per poi passare a LCV su chassis della Jeep e poi ai trattori. La storia della Mahindra automobilistica si divide in due binari: la gamma auto sviluppata anche attraverso Joint (Renault-Dacia) e quella dei SUV per la quale è universalmente riconosciuta a partire dalle “GOA” e “Bolero”.
Meno piacevole da raccontare è la parentesi di partecipazione nella Ssangyong, acquisita e poco dopo ceduta per evidente impossibilità a sbrogliare la matassa dell’inceppo commerciale in cui il marchio coreano si era infilato.
Dal lato della componentistica, i giganti presenti in India ed operativi anche in supporto a Costruttori internazionali sono la Bosch, Samvardhana Motherson (Motherson Sumi), Bharat Forge Ltd., JBM Group, Uno Minda Limited, Endurance Technologies, Varroc Engineering Ltd, Sundram Fasteners Ltd.
L’attrazione sempre più inesorabile tra India, USA e Gran Bretagna
In tutta questa panoramica come entra l’eventualità di un asse – al momento neppure ventilato – tra Stati Uniti ed India (con la Gran Bretagna a chiudere una ideale triangolazione) di cui da diversi mesi parlo su Autoprove.it con un primo articolo esplicito di Aprile scorso (vai al Link QUI)?
Beh, a leggere tra le righe della serie di scossoni commerciali e mediatici lanciati dalla nuova Amministrazione Trump qualche indizio si riesce a intravedere: i marchi automobilistici statunitensi si riforniscono – eccome – dall’India: solide capacità produttive del Paese, vantaggi in termini di costi e un aumento costante degli Skills e delle competenze di tecnici e Manager indiani sono la piattaforma ideale di servizio. General Motors, Ford e Tesla operano sempre più con fornitori indiani, e gli Stati Uniti rappresentano il 30% del valore delle esportazioni che partono dall’Industria indiana dell’Automotive.
Curioso, certo, che la Cina rimanga la principale fonte di importazione dell’India, fornendo quasi il 23% di tutti i componenti importati.
E la Gran Bretagna? Beh, anche qui occorre strizzare bene gli occhi e ricordare che recentemente la Gran Bretagna è reduce dalla firma di due succulenti accordi commerciali particolarmente interessanti e favorevoli per il settore automobilistico: un accordo con l’India (con dazi sulle auto di fabbricazione britannica esportate in India, che in precedenza si attestavano su un livello esorbitante del 100% che sono stati ora ridotti al solo 10% per una quota di 22.000 veicoli elettrici di valore più elevato) e non a caso gli inglesi hanno azzerato in risposta i dazi sul 99% dell’import dall’India con specifica attenzione al settore auto.
E poi un altro accordo con gli USA: con questi la Gran Bretagna riduce i dazi per le auto inglesi esportate in America dal 27,5% al 10% anche se per un contingente massimo di 100.000 veicoli all’anno; ma considerando che dalla Gran Bretagna partirebbero marchi putativamente inglesi come Jaguar, Land Rover, Bentley, Aston Martin, Rolls Royce, il contingente di 100.000 pezzi all’anno è un bel valore di partenza. Ovviamente l’esubero rispetto ai 100.000 pezzi va tassato in modo diverso ma anche in questo caso tutto il quadro è molto più propizio rispetto al passato.
Dunque, un triangolo commerciale dorato tra USA, India e Gran Bretagna nel settore auto? Di certo non passerà inosservato rispetto al panorama commerciale mondiale regolarizzato dal WTO.
E le conseguenze e gli effetti? Una prima conseguenza la stiamo ripetendo da mesi: questo modello di commercio mondiale che conosciamo ed usiamo oggi avrà vita breve.
E forse chi parte prima parte meglio, dice il proverbio. Un ipotetico triangolo commerciale in stile “Club ristretto” tra India, USA e Gran Bretagna susciterebbe un effetto onda su tutto il resto del sistema oggi in vigore.
Riccardo Bellumori













