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Goldman Sachs taglia i numeri del mercato auto Usa

I dazi al mercato auto dell’amministrazione Trump potrebbero avere un impatto devastante sulle vendite e sui prezzi.

Sebbene l’attenzione iniziale si sia concentrata soprattutto su questi ultimi, ci stiamo facendo un’idea più precisa di quanto potrebbero crollare le vendite.

Secondo Reuters, Goldman Sachs ha abbassato le previsioni di vendita annuale di autoveicoli negli Stati Uniti da 16,25 milioni di unità a 15,40 milioni. Si tratta di un calo di 850.000 veicoli e la società ha previsto un periodo ancora peggiore nel 2026. La previsione è stata tagliata di 1,1 milioni di unità a 15,25 milioni, un numero inferiore a quello previsto per quest’anno.

I DAZI INCROCIATI

Il dazio del 25% imposta da Trump sulle importazioni di autoveicoli è ampiamente nota, ma non è l’unica cosa che potrebbe pesare sulle vendite. Al contrario, i dazi sull’acciaio e sull’alluminio sono ancora in vigore e a maggio potrebbero entrare in vigore quelli su alcuni componenti automobilistici.

Tutto ciò significa che i prezzi dei nuovi veicoli sono destinati ad aumentare, indipendentemente dal fatto che siano prodotti a livello nazionale o internazionale. L’entità del rincaro rimane il grande interrogativo, ma Goldman Sachs ritiene che le case automobilistiche non saranno in grado di trasferire tutti i costi aggiuntivi ai consumatori, soprattutto quando la domanda si ridurrà.
Sebbene vi sia ancora molta incertezza, il colosso finanziario prevede che i prezzi delle auto nuove aumenteranno di 2.000-4.000 dollari nei prossimi sei mesi o un anno. Si tratta di un aumento considerevole, ma molto più contenuto rispetto agli scenari peggiori.

A parte le vendite statunitensi, l’azienda ha abbassato le previsioni per la produzione automobilistica globale da 90,4 a 88,7 milioni di unità. Anche la stima per il 2026 è scesa da 92,6 a 90,7 milioni di unità.

Nuova Toyota GR Yaris 2025: Restyling

È passato appena un anno da quando la Toyota GR Yaris è stata sottoposta a lifting e solo un paio di mesi dopo che la nuova utilitaria è stata messa in vendita in Malesia. Ma il ritmo di lavoro di Toyota è tale che ha già presentato un modello aggiornato con alcune modifiche di portata sorprendente.

La maggior parte di esse è incentrata sul cambio automatico diretto GR an otto velocità, che l’anno scorso ha affiancato il manuale a sei rapporti. All’epoca, si diceva che la scatola di fango offrisse una selezione delle marce simile a quella di un pilota professionista, ma ora Toyota ha apportato ulteriori miglioramenti dettagliati al controllo della selezione delle marce, soprattutto per aumentare la reattività durante la guida sportiva.

Le modifiche includono l’ampliamento dell’intervallo di giri in cui è possibile scalare dalla seconda alla prima, sia in modalità automatica sia manualmente tramite i paddle. È stata inoltre ridotta la latenza del cambio con i paddle, mentre è stato migliorato il “senso di immediatezza” quando si cambia manualmente vicino al limite in modalità Sport. Inoltre, l’auto ora ritarda leggermente le cambiate durante la guida in salita per mantenere una potenza elevata.

DATI TECNICI E MOTORE

Nessuna modifica al motore: il venerabile G16E-GTS continua a produrre 304 CV (4 CV in più rispetto alle unità malesi) a 6.500 giri/min e 400 Nm di coppia da 3.250 a 4.600 giri/min. Invariato anche il sistema di trazione integrale GR-Four, che ripartisce la coppia 60:40 anteriore-posteriore in modalità Normal e 50:50 in Gravel; l’impostazione Track prevede una ripartizione della coppia variabile da 60:40 a 30:70 a seconda delle condizioni di guida.

Altrove, Toyota ha apportato minime modifiche alla struttura portante grazie a un nuovo componente inaspettato: speciali bulloni aiutano a fissare i componenti del telaio in modo più rigido, migliorando la risposta dello sterzo e la stabilità in rettilineo e aumentando ulteriormente il “senso di unicità“.

Potreste ridere, ma l’effetto risultante è stato così significativo che gli ammortizzatori sono stati regolati di conseguenza, migliorando sia il controllo della scocca che il comfort di guida.

Il servosterzo elettrico, nel frattempo, è stato messo a punto per ottenere una sensazione più lineare, con il contributo di Kazuya Oshima, pilota Super GT e Super Formula di Rookie Racing. La messa a punto è diversa per le due varianti consumer: la RZ High Performance, che continua a essere dotata di differenziali Torsen a slittamento limitato anteriori e posteriori, ha una messa a punto più orientata alla pista per ottimizzare la velocità e la controllabilità al limite, mentre la RZ normale è stata impostata più per la guida veloce su strada.

DETTAGLI DISTINTIVI

Altre modifiche minori includono un poggiapiedi allargato per i modelli auto e il nuovo freno a mano verticale, precedentemente riservato alla RC motorsport special, ora reso opzionale per tutti i modelli. La suite di sistemi di assistenza alla guida Toyota Safety Sense dei modelli RZ, finora opzionale per la RC, è ora di serie su tutta la gamma.

Toyota ha inoltre annunciato che il prototipo Aero Package mostrato al Tokyo Auto Salon all’inizio di quest’anno entrerà in produzione come Aero Performance Package. Più che un semplice bodykit, l’aggiunta di derivazione racing comprende un cofano in alluminio canalizzato, prese d’aria sui parafanghi anteriori che riducono le turbolenze nei pozzetti delle ruote, un alettone posteriore regolabile più grande, prese d’aria sul paraurti posteriore che riducono la resistenza aerodinamica e una copertura per il serbatoio del carburante che attenua il flusso del sottoscocca. Per ridurre la portanza è stato aggiunto anche uno spoiler sul labbro anteriore, su richiesta di Oshima.

La Toyota Yaris GR rivista avrà un prezzo di 4.480.000 yen per la RZ e di 4.980.000 yen per la RZ High Performance, con un supplemento di 350.000 yen per l’auto. Il pacchetto Aero Performance dovrebbe essere offerto non prima dell’autunno.

Ferrari Testarossa: storia della più veloce del mondo

Concedetemi due licenze poetiche ed una amara considerazione: prima licenza poetica, se devo datarla, la classifico nel 1985 pieno. 

Perché le realizzazioni del Cavallino non le puoi radunare in uno stesso anno, devi per forza parcellizzarle come nelle collezioni d’Arte; e dunque il 1984 va dedicato all’opera scultorea unica “288 GTO” mentre “Lei” va diretta nel 1985. 

Inoltre per come si è presentata, con le sue linee estreme, potevi datarla già nel futuro piuttosto che nella contemporaneità. Infine, diciamolo: all’atto del suo esordio fu talmente un boom di mercato da ricevere un fiume di prenotazioni, ed onestamente dubito che i primi fortunati possessori l’abbiano potuta materialmente ordinare e guidare prima del 1985.

 

Seconda licenza artistica e poetica: fatemela sempre chiamare con il suo nome anticipato dal suffisso “512”; vero che i puristi del Marchio di Maranello si scocciano, ma nel tributarle onore e ammirazione non posso dimenticare che la sua “cellula” generatrice deriva da un’altra scultura nata dalla matita magica di un nome al quale, insieme a quello di Gandini e Scaglione, io sono affezionato. 

 

Ed è il nome di Leonardo Fioravanti, il geniale Designer che presso Pininfarina ha disegnato la “BB 365” prima e la “512 BB” successivamente adeguando le linee strepitose della prima all’aumento di cubatura voluto da Ferrari per la 512.

La linea della “BB” è qualcosa che fa venire voglia di entrare dentro una foto e da là sedersi dentro all’abitacolo e correre; “BB” celebra davvero il paradigma stradale della sportività Made in Maranello. Ed anche su questo potrò elencare la serie di commenti sdegnati di tanti appassionati. 

Pazienza, il mondo – anche nell’auto – è bello perché vario, la cosa importante è saper motivare le proprie preferenze.

La recriminazione: per una svista od una palese superficialità, Ferrari ha perso fino ad oggi il diritto di ridenominare una sua creatura con questo nome leggendario, perché a metà anni ’90, uscita di proeduzione, una Agenzia operativa nel brevetto seriale di nomi e loghi ha registrato a proprio utilizzo e diritto il titolo di sfruttamento sul mercato automobilistico della parola.

TestaRossa: il mito rinasce

Operazione Heritage svolta in modo magistrale dalla Ferrari, tra il 1984 ed il 1985: riprendere i due nomi che, insieme a quello “Dino” hanno segnato la storia delle Gran Turismo e delle barchette prototipo del Cavallino.

E così come la “288 GTO” si riallacciava all’epopea della mitica berlinetta del 1962, così la chiusura del cerchio simbolico e storico avveniva con la “Testarossa” che recuperava il nome della famigerata “250” di fine anni Cinquanta.

L’operazione commerciale del 1985 tuttavia apre le porte in Ferrari ad una sorta di piccola rivoluzione copernicana.

Mentre la “288 GTO” proietta alla sua attualità lo spirito corsaiolo della “GTO” del 1962, la “512 Testarossa” non si sposa idealmente con la sinuosa ma feroce barchetta da corsa che ne è antenata. Anzi, la “512 Testarossa” pare strizzare l’occhio molto meno, dentro la Gamma Ferrari, al pilota Gentleman od allo sportivo puro orientato alle competizioni in veste privata.

Parliamo subito di questa caratteristica particolare dentro la natura ed il profilo della Testarossa, in evidente contrapposizione con il resto di Gamma a due posti e motore posteriore centrale. Ricordiamo che in quella metà degli anni ’80 la promozione mediatica della Ferrari non era più soltanto radicata nelle competizioni ma anche nel concetto di “status Symbol”, sebbene in questo forse la svolta di immagine appartenga più all’Ufficio Marketing di Corso Marconi nella triangolazione con Ferrari e Pininfarina concasa Fiat che non alla diretta ispirazione della cultura ancora piacevolmente ruspante del Cavallino “factory”.

A parte le importanti sinergie industriali tra Ferrari, Fiat e Lancia nella realizzazione della “Lc2”, della “Thema Ferrari” e della ormai prossima “Delta S4”, se Maranello aveva destinato – anche obtorto collo – ad una visibilità televisiva mai vista prima la presenza della serie “GTB/GTS” in diverse occasioni; e se, caso davvero raro nella storia Ferrari, il Merchandising era diventato predominante anche a casa del Drake con quella memorabile linea “Ferrari Formula” quasi sintomatica della “ingerenza” di Mirafiori nelle strategie di comunicazione ortodosse di casa Ferrari; beh, tutto questo non poteva esentare anche un effetto sulla produzione di serie del Cavallino la cui Gamma di metà anni ’80 aveva un curioso equilibrio mai registrato prima: se la serie “GTB/GTS” di 208 Turbo e 308 Quattrovalvole rappresentava la simmetria targata di modelli serenamente omologabili per le Gare di Velocità su strada e per i Rallyes (tanto è vero che fino a pochi mesi prima della uscita pubblica della Testarossa la “308 GTB” si faceva ancora ammirare attraverso ottimi exploit nei Rallyes), arrivava in parallelo la “Mondial 8” 2+2; ed al Top di Gamma alla “288 GTO” si contrapponeva la “400 i” ed appunto la “Testarossa” che esprimevano prerogative meno “pistaiole “ e più di rappresentanza.

A quell’epoca “9 Settimane e ½” e le serie Tv americane esaltavano la capacità speculativa degli “Yuppies” e l’avvento tecnologico dell’Informatica e della copertura satellitare delle comunicazioni; gli indici di Borsa sovrintendevano ogni strategia industriale e la contrapposizione tra “Orso” e “Toro” teneva il mondo con il fiato sospeso; ma era anche quello il periodo degli Smoking e degli eventi mondani, dei gran Gala della Moda nelle Capitali europee. 

L’Italia in questo senso guidava come immagine e lustro tutto il mondo, ed era l’amabasciatrice del “bello” nell’industria, ma in tutto questo panorama “pecunia non olet” ed indubbiamente il Management di Corso Marconi aveva individuato una ricchissima nicchia di potenziali acquirenti che  – di sicuro – di fronte ad una realizzazione del Cavallino votata ad un mix ben ripartito di lusso, sportività, glamour ed aristocrazia come la “Testarossa” avrebbero facilmente rifiutato Chevrolet Corvette, Porsche 928/968 ed Aston Martin tanto per fare alcuni nomi.

Per spiegare dove e come Ferrari e Pininfarina si sono diretti per conferire alla “Testarossa” lusso, sportività, glamour ed aristocrazia dobbiamo partire dalla sua “cellula” originaria: quella della “BB 512” che proviamo didascalicamente a confrontare con la sua succedanea.

Nel 1973 la Gamma stradale della Ferrari porta una novità importante: a sostituire la Daytona 365 GTB/4 arriva la “BB 365 GT/4 che mette in posizione posteriore centrale il famoso V piatto a 180° che sulla Daytona era anteriore; e che, ricordiamo, da 4,4 litri arriverà a quasi 5000 cc. 

La linea mozzafiato è opera di Leonardo Fioravanti, e porta dentro casa Ferrari i concetti tipici di Pininfarina: linea moderna e sportiva, frontale lungo ed a cuneo, coda compatta e piatta alla parte posteriore. La particolarità è nei due maxi “gusci” longitudinali di carrozzeria davanti e dietro che completano e raccordano visivamente la cellula centrale e che coprono due parti di telaio tubolare a traliccio, con il guscio anteriore incernierato sul fronte del telaietto anteriore e quello posteriore che si apre secondo una linea di cerniera posta alla cornice della parte posteriore finale del tetto. Proprio la cellula abitacolo centrale, il tetto ed il taglio dei cristalli laterali (sia quello del finestrino abbassabile sia quello minore posto dietro il montante centrale della portiera) insieme al parabrezza sono praticamente invariati tra “512 BB” e “512 Testarossa”; questo salvo il diverso profilo dell’attaccatura del cristallo laterale posteriore con il guscio coprimotore. 

Ed ecco perché, preso da un entusiasmo e da un affetto originario per la “BB” non posso che esaltarla nell’accoppiarne la radice strutturale alla linea stravolgente della “Testarossa” che vede sempre e comunque la mano di Pininfarina.

E dove, se posso elencare le mie impressioni, hanno distribuito sapientemente i requisiti di:

lusso, sportività, glamour ed aristocrazia tecnologica i maghi di Maranello e di Pininfarina?

IL DESIGN UNICO

Proviamo a fare un “walk-around” della Testarossa avendo bene in mente l’originaria “BB”:

l’aristocrazia tecnologica è chiaramente nel cuore “Boxer” (anche se si tratta sempre di un V di 180°) da quasi 5000 cc. che  – grazie alle quattro valvole per cilindro e la sontuosa iniezione elettronica Bosch aggiornata ed evoluta rispetto alla ultima serie “BB” – sviluppa ben 390 Cv ed è il motore più potente al mondo montato su un’auto di serie a quel tempo; ma offre una coppia che risulta più corposa ed utilizzabile a regimi inferiori rispetto alla “BB”.

Allo stesso modo direi che il taglio della fanaleria posteriore ed anteriore (“Big Sized” quella dietro e di forma rettangolare come nelle Ammiraglie invece che tradizionale con i doppi fari circolari; ugualmente regale la disposizione dei doppi fari tondi in ciascuno dei due moduli anteriori a scomparsa, che una volta alzati fanno il paio con la bellissima disposizione della fanaleria ai lati della griglia frontale) è disegnato apposta per regalare alla “Testarossa” un “Upgrade” del carattere di lusso che raramente si era mai visto prima in una Berlinetta Granturismo a motore posteriore centrale.

 

Il Lusso è evidentemente incastonato nella selleria in pelle e nelle tappezzerie dell’abitacolo, nel “dashboard” più opulento e meno “agonistico” ed essenziale della “BB” (sebbene la secolare contestazione di alcuni appassionati che criticarono la presenza di strumentazione e pulsantiere derivate dalla produzione di serie “popolare” di Fiat e Lancia.

Il “Glamour” si rispecchia ovviamente nel marchio del Cavallino, nella sigla evocativa “Testarossa” ma soprattutto nella intersezione stilistica operata dalla Pininfarina che invece che optare per un frontale a cuneo fendente sceglie un fascione perimetrale che incornicia l’anteriore fino alle ruote sterzanti costituendo quasi il “copriradiatore” lavorato ed imponente che avvicina nel suo sviluppo la “Testarossa” al profilo contemporaneamente “Executive” e di rappresentanza delle più prestigiose Ammiraglie, Cruiser, Coupè e Limousine tedesche e britanniche,

Inutile che io Vi ricordi dove si condensava l’anima sportiva della “Testarossa”: ovviamente nella altezza da terra minimale, nella impronta trasversale della generosa larghezza e nel profilo delle superfici dei battistrada; nei Cerchi a stella e gallettone di serraggio centrale; ma soprattutto nelle fiancate innervate e convesse posteriormente e nella griglia posteriore coprifanali. 

Soprattutto l’intuizione delle fiancate della “Testarossa” simboleggiava con il profilo dinamico e soprattutto con le prese d’aria davanti alle ruote posteriori il richiamo evocativo della Formula Uno, attirando sulla nuova Gran Turismo allo stesso tempo l’ammirazione di una gran parte dei suoi cultori ma anche qualche critica per essere un po’ troppo vistosa ed eccessiva. Inevitabile, come per ogni prodotto rivoluzionario, la contrapposizione.

Ma se c’è una cosa che rende davvero onore alla genialità della “Testarossa” ed al lavoro di Pininfarina è di sicuro un “benchmark” di confronto delle misure fondamentali di questa con la “BB 512”, per dimostrare come sono stati straordinari i responsabili di progetto e di prodotto nel rendere praticamente stravolto ed irriconoscibile apparentemente il risultato finale della “Testarossa” rispetto alla sua progenitrice.

“BB 512” e “Testarossa” coincidono nel passo (2,50 mt. Ciascuna), e “quasi” nelle carreggiate rispettive; mentre le altezze differiscono di un solo centimetro in più sulla “Testarossa” rispetto alla “BB”. 

La differenza vera è in due peculiarità: il posizionamento in altezza del motore sulla Testarossa risulta maggiore, insomma più alto, rispetto alla “BB”; motivo questo che unito ad una maggiore “morbidezza” delle sospensioni rispetto alla precedente, porta la nuova Ammiraglia berlinetta ad essere meno a suo agio in pista; e la differenza è anche nel rapporto tra misure fondamentali longitudinali e trasversali e dunque nel maggiore effetto “avvolgente” della carenatura della “Testarossa”. 

Vediamo perché:

rispetto alla larghezza massima la “Testarossa” prima serie del 1984/1986 (dunque con un solo specchietto retrovisore laterale) offre ben quindici centimetri in più di misura laterale rispetto alla “BB” dovuti certo alla sporgenza del singolo specchietto ma anche alla maggiore “rotondità” dei volumi di coda e delle fiancate; sotto l’aspetto della lunghezza massima rispetto al medesimo interasse la “Testarossa” misura solo nove centimetri in più della “BB”; ma solo se si mettono a confronto le immagini di vista laterale delle due berlinette si può capire che al di là della suggestione visiva il frontale ed il posteriore della prima non sono più cubati, estesi o volumetrici rispetto alla “BB”; ma se al contrario ci si dispone ad osservare le due vetture senza confrontarle, davvero la prima sensazione che ispirano entrambe è di essere due creature che non hanno nulla in comune. 

Anche questa, se vogliamo, è una prerogativa magica che contraddistingue il vero miracolo ordinario che si era in grado di fare sempre e comunque in casa Ferrari o al tavolo da disegno della Pininfarina. 

Riccardo Bellumori

Nuovo Mazda CX-6e: Anteprima

La nuova Mazda CX-6e sarà presentata all’Auto Shanghai il 23 aprile. La versione di serie della concept Arata dello scorso anno ha un aspetto certamente sorprendente e riprende un numero sorprendente di dettagli stravaganti della show car.

Più simile a una grassa Mazda 3 hatchback che a un crossover, la EZ-60 appare lunga e bassa, con una vetratura elegante e bassa e linee nitide su superfici voluttuose. Il linguaggio stilistico Kodo, marchio di fabbrica di Mazda, continua a spiccare in questo caso, con una griglia illuminata a scomparsa che si collega alle sottili luci diurne, con i fari principali collocati sotto l’aggressivo paraurti anteriore a X.

Il profilo laterale, invece, è dominato dal lungo cofano, dal tetto nero, dalle maniglie delle porte a scomparsa e dai massicci cerchi in lega bicolore a forma di petalo. Passando al posteriore, la grafica dei fanali posteriori a forma di L è stata ridotta a una fessura, posta sopra la scritta Mazda distanziata che adorna anche le minigonne laterali.

La Mazda CX-6e è unica anche per la presenza di telecamere laterali al posto degli specchietti.

Mazda afferma che il design contribuisce a ridurre il coefficiente di resistenza aerodinamica dell’auto e a ottimizzare il raffreddamento della batteria, con conseguenti miglioramenti delle prestazioni e dell’autonomia. Il tutto è completato da un’esclusiva opzione di vernice viola lucida, che rappresenta un ulteriore collegamento con l’Arata (anche se quell’auto aveva una finitura opaca). Finora non sono state fornite foto degli interni, ma un precedente spyshot mostrava un pannello di visualizzazione widescreen con touchscreen sia per il passeggero centrale che per quello anteriore.

L’EZ-60 è il secondo veicolo elettrico sviluppato in collaborazione con il partner cinese di Mazda, Changan, dopo l’EZ-6/6e. Dovrebbe quindi utilizzare la stessa piattaforma EPA della sorella berlina e delle relative Deepal L07, S05 e S07.

DATI TECNICI E MOTORE

La nuova Mazda CX-6e dovrebbe essere alimentata da un innovativo sistema elettrico di cui non si conoscono i dettagli. A titolo di esempio, il motore posteriore della 6e produce 258 CV (190 kW) e 320 Nm di coppia ed è alimentato da una batteria al litio-ferro-fosfato (LFP) da 68,8 kWh per garantire un’autonomia di 479 km secondo il WLTP. Nel frattempo, la versione Long Range eroga una potenza leggermente inferiore, pari a 245 CV (180 kW), ma dispone di una batteria più grande da 80 kWh al nichel manganese cobalto (NMC) per un’autonomia dichiarata di 552 km.

Proprio come la 6e, la EZ-60 sarà esportata in Europa e nel Sud-Est asiatico con un nuovo nome.

È stato riferito che Mazda ha registrato il marchio CX-6e, collegandolo sia alla 6e sia alla popolare gamma di SUV CX della casa automobilistica giapponese.

Nuove Bentley Continental GT, Continental GTC e Flying Spur

Bentley ha presentato le ultime novità della sua gamma di modelli con il debutto delle Continental GT, Continental GTC e Flying Spur 2025.

Dotate di un motore ibrido plug-in benzina-elettrico V8 biturbo da 4,0 litri che eroga 680 CV e 930 Nm di coppia combinati nei tre nuovi modelli.

Si tratta di quelli che Bentley definisce i modelli High Performance Hybrid, che si collocano al di sotto della linea di modelli Ultra Performance Hybrid, ovvero la gamma di modelli Speed e Mulliner, tra cui la Continental GT Speed, la GTC Speed e la Flying Spur Speed, che estraggono 782 CV e 1.000 Nm di potenza combinata dai loro propulsori a benzina V8 biturbo da 4,0 litri.

Bentley sottolinea che il nuovo trio supera i modelli GT Speed della generazione precedente: la Continental GT, in particolare, è in grado di effettuare lo sprint da 0 a 100 km/h in 3,7 secondi (contro i 3,2 secondi della GT Speed). La Flying Spur a quattro porte lo fa in 3,9 secondi (contro i 3,5 secondi della Flying Spur Speed).
Poiché i nuovi modelli utilizzano una versione del gruppo propulsore del trio Speed, sono in grado di percorrere in modalità puramente elettrica fino a 85 km per la Continental GT (rispetto agli 81 km della GT Speed) e 82 km per la Continental GTC. Il tutto grazie alla stessa batteria da 25,9 kWh delle versioni Speed, che fa parte dell’architettura a 400 volt. Non sono stati indicati i valori di carica della batteria, anche se la stessa batteria della Speed richiede fino a 11 kW di corrente alternata e si ricarica completamente in meno di tre ore.

TECNOLOGIE E DESIGN

Le tecnologie della trasmissione e del telaio del set Bentley Active Chassis per i modelli principali Continental GT, GTC e Flying Spur includono Dynamic Ride, sterzo posteriore e LSD a controllo elettronico, con modalità Comfort, Bentley e Sport selezionabili dal guidatore.

Le Continental GT e GTC di base sfoggiano la griglia a matrice firmata Bentley in nero lucido con bordo e barra centrale cromati, le griglie inferiori del paraurti in nero opaco e lo splitter in nero lucido. Le finiture esterne sono cromate, mentre il diffusore posteriore è in nero lucido. I fari sono ispirati al cristallo tagliato e presentano un’animazione di benvenuto personalizzata.

LO STILE BENTLEY

Le versioni Azure di ciascun modello presentano uno stile più tradizionale e sono identificate da una griglia anteriore con cromo brillante per il bordo della griglia e le sue alette verticali. I cerchi sono da 22 pollici con design Azure e finitura lucida in argento, mentre i badge Azure adornano i parafanghi anteriori.

All’interno, la Continental GT e la GTC sono dotate di sedili con design a scanalature dritte, mentre le finiture interne possono essere scelte tra cromo lucido e cromo scuro opzionale. Le versioni Azure hanno la specifica dei sedili Wellness con aspetto trapuntato a diamante e cuciture a contrasto, finiture in noce taglio corona a poro aperto con i pacchetti di specifiche Touring, Comfort e Mood Lighting e pedane illuminate.

La Bentley Continental GT Azure è dotata di tetto apribile panoramico, mentre la GTC Azure ha uno scaldacollo da utilizzare nei climi più freddi. Naturalmente, come Bentley, ognuno dei tre nuovi modelli può essere personalizzato con una combinazione pressoché infinita di colori di vernice, impiallacciature, finiture, rivestimenti interni e opzioni Mulliner.

Nissan Juke Hybrid: focus Infotainment e ADAS

La Nissan Juke ha rivisto in maniera importante il suo abitacolo e dotazioni tecnologiche.
Ecco come cambia con il restyling di metà carriera il modello che ha fondato il segmento dei B-SUV.

Nuova Citroen C5 Aircross: foto rubate

La prossima Citroen C5 Aircross è stata fotografata sul set di un filmato pubblicitario senza alcun camuffamento. Basata sullo stile del concept visto al Salone di Parigi, questa rivale della Renault Austral e cugina della Peugeot 3008 sarà proposta con diversi livelli di elettrificazione nell’autunno del 2025.
La presentazione della nuova Citroen C5 Aircross (codice CR3) si avvicina rapidamente e, secondo le nostre informazioni, dovrebbe avvenire prima dell’estate. Il costruttore sta quindi lavorando agli ultimi preparativi. Il crossover si è avventurato in una foresta slovena per girare il video promozionale che accompagnerà il suo lancio. Non abbastanza discreto, a quanto pare, visto che una foto “rubata” del veicolo, scattata sul set, rivela alcune delle sue plastiche.
Il modello di serie ha lo stesso stile e colore della concept car.
Il modello di produzione riprende lo stile e il colore della concept car.
Gatien-Hugo Riposseau – L’argus
Un cambiamento di stile
Come le illustrazioni dei brevetti emerse in precedenza, la fotografia conferma un design molto simile a quello della concept car vista al Salone di Parigi 2024. La nuova arrivata perde le curve del suo predecessore per assumere un aspetto più robusto. Il cofano e il tetto sono quasi orizzontali, la prua e la poppa sono verticali e le pieghe della carrozzeria sono prominenti. Queste sottolineano la larghezza e l’altezza dei parafanghi posteriori. La vettura qui raffigurata ha un tetto nero flottante. Le protezioni dei passaruota sono in nero opaco, mentre i paraurti sono in nero lucido. Inoltre, questo modello di presentazione è verniciato in una tonalità di verde simile a quella della concept car del Salone di Parigi..
Si ripete il linguaggio stilistico introdotto con la concept Oli, con i gruppi ottici posteriori divisi in segmenti orizzontali ai lati della striscia nera che sottolinea il lunotto. Al centro della striscia si trova il nuovo logo Citroen in bianco sopra il nome Aircross nello stesso colore. Il badge C5 si trova nell’angolo inferiore destro del portellone posteriore. Per inciso, la targa è la stessa utilizzata nella pubblicità attuale della C3 Aircross.

DATI TECNICI

La nuova Citroen C5 Aircross utilizza la piattaforma STLA Medium delle ultime Peugeot 3008 e 5008 e della seconda generazione di Opel Grandland. Condividerà anche i loro motori.

La gamma entry-level sarà alimentata dall’unità micro-ibrida 1.2 da 145 CV con cambio a doppia frizione elettrificato e-DCS6. Verrà offerto anche un ibrido plug-in da 195 CV con cambio e-DCS7.

Per la prima volta sarà disponibile una ë-C5 Aircross elettrica, con una scelta di tre propulsori. Il più modesto combinerà un motore da 210 CV con una batteria da 73 kWh per un’autonomia WLTP di circa 500 km. La variante Long Range, con 230 CV e una batteria da 96,9 kWh, garantirà ufficialmente un’autonomia di circa 700 km. Successivamente, una versione 4 x 4 da 325 CV e 73 kWh dovrebbe completare la gamma. Questo propulsore è atteso prima da Peugeot; la sua autonomia è ancora da vedere. Come il suo predecessore, la prossima Citroen C5 Aircross sarà prodotta in Francia, a Rennes. Secondo le nostre informazioni, il suo arrivo nelle concessionarie è previsto per l’autunno 2025.

Autodemolitori e Rigeneratori: la Supply Chain Automotive che nessuno rivaluta

Il segno concreto che nel mondo dell’Auto le cose non vanno più allo stesso modo lo possono vedere solo “gli addetti ai lavori” del comparto Aftersales: in particolare il cambiamento è radicale agli occhi di chi, “sfogliando” sullo schermo del loro PC l’assortimento di parti di Ricambio registrate e catalogate (tra parti Originali, primo Equipaggiamento ed analoghe, corrispondenti, etc..), si rendono subito conto che l’elenco variegato che cominciò di colpo ad allungarsi in calce ad ogni componente da inizio anni 2000 – anche e soprattutto per l’espansione degli “ERP” di gestione Magazzino a supporto dell’assortimento dei Distributori e del “Gross Market” – comincia a “sfoltirsi” in associazione con l’elenco di componenti delle auto di ultimissima uscita. Ed in molti casi Ricambisti ed Autoriparatori stanno verificando che parecchie vecchie diciture e codificazioni Ricambio sono ormai irreperibili perché esaurite o non più presenti: tanto è vero che si moltiplicano spontanee coalizioni di ricambisti che mettono in comune sempre più spesso assortimenti di magazzino nell’auspicio di reperire quelle referenze che ormai i Distributori non hanno più in catalogo.

Perché questa premessa? Perché la base dell’Industria dell’Auto, intesa come materia prima, nuove produzioni e giacenze, sta per raschiare il barile: dapprima il taglio delle catene di Supply internazionale (pensiamo alle disponibilità del mercato inglese compromesse dalla Brexit o la filiera del ricambio aftermarket asiatico cambiata per sempre dopo il Lockdown) e poi la deriva elettrica hanno tagliato via in modo drastico e prematuro una serie di disponibilità di componenti e di “kit” che erano in disponibilità nei magazzini. 

Complice anche, in chiave italiana, la rincorsa di diversi Ricambisti alla vendita Ricambio di “Marca” in affiliazione con la Rete colabrodo dei Dealers; e la ricerca fino al 2020 di paradigmi canonici ma poco gestibili (un magazzino “leggero”, un modello logistico “Just in Time” ed una Supply pesantemente indirizzata al Drop-Shipping con ricerca estenuante e continua sul Web di componenti mancanti in Magazzino) che hanno finito per aumentare i costi di approvvigionamento e circolazione dei ricambi.

Si è soliti ridurre tutto alla data di inizio del Lockdown del 2020: ma quella in verità  non fu la data di inizio della siccità occidentale in materia di Supply Chain, ma fu quantomeno la data di “fine” di un ciclo spropositato di subfornitura verso l’Export da parte del monopolista divenuto tale nella filiera automotive globale: il polo cinese.

Verso la Supply “a chilometro Zero”: ma quanto costa!

Quello che dal 2020 si è invece materializzato nell’intermediazione delle parti di ricambio è un lento recupero della parte “OEM” cioè originale, ma questa è solo la facciata “pubblica” del sistema. In verità è aumentata la quota fatturata di intermediazione di componenti originali legata ai Costruttori originali per tre motivi: 1) una riduzione sensibile dei prezzi medi operati sul Distributore e ricambista (oppure, vedetela anche così, un aumento della soglia di sconto operato) da parte della filiera OEM

2) il taglio di diverse figure intermedie di distribuzione verso il ricambista finale (con gli Agenti di vendita del Produttore OEM indirizzati direttamente alla conclusione di affari con i dettaglianti e le officine);

3)l’aumento di commercio ed attività di autoriparazione “allblack” che si è volutamente lasciato alla carità cristiana dei controllori sul territorio al fine di lasciar respirare la componente più precaria del mondo Aftersales da alcuni anni a questa parte: gli autodemolitori che non ricevono più la mole di rottamazioni che derivava da un mercato auto in salute ed in pieno rinnovamento, e le micro-officine che nel pieno di una crisi socioeconomica epocale del paese danno lavoro ad almeno cinquecentomila anime che in caso contrario sarebbero a libro paga Inps come disoccupati. 

E non solo: Vi siete semplicemente imbattuti in titoli di giornali che parlano dell’aumento di furti parziali su automobili oppure siete consapevoli che i furti su commessa di parti di ricambio sono davvero in ripresa?

Meno nuove, più “OEM”, più vecchie, rischio “all black”. Nuovi paradigmi Aftersales

Europa ed Italia in specifico, hanno ormai volumi di produzione del “nuovo” dove il parco Auto invecchia sempre più con il problema che la sua maggioranza è composta da auto ultradecennali con una conseguente quota di sempre maggiore “fuori magazzino” per quel che riguarda il vincolo di disponibilità di ricambi che il Costruttore deve poter garantire dopo la fine del ciclo industriale del mezzo. A poco servono ormai i supporti degli Owners Group che sul Web si confrontano di continuo su Forum e Chat per favorire la disponibilità di Marchi specifici, ma dico “a poco servono” perché il polso della ricerca personale fatta mi porta a segnalare alcune aberrazioni poco salutari sul mercato, con aumento indiscriminato di prezzi di offerta per molti che nel ricambio intermediato non vedono più solo un atto di passione identitaria ma un supporto ad economie familiari sempre più in crisi.

Il quadro rischia di diventare sempre più esplosivo perché alla base, appunto, si sta riducendo al lumicino il ruolo chiave di “disaster recovery” degli Autodemolitori: le materie prime, le risorse energetiche e i costi logistici sono in aumento esponenziale, e questo rende molto più caro non solo reperire e selezionare ma anche immagazzinare un Ricambio. Il vecchio quadro normativo per il ricambio usato da demolizione (D.P.R. 915/82, per la regolamentazione dei rifiuti, dove all’Art.15) le attività di vendita degli autodemolitori sono sempre in violazione rispetto alla norma che prevede un massimo di 6 mesi tra recupero e vendita per non subire: “l’eccessivo deterioramento dei materiali stessi e di agevolarne una sollecita riutilizzazione”) fa sorridere nella dicitura secondo cui ‘Il Rottamatore’ dovrebbe inoltre “corrispondere al proprietario del veicolo conferito il prezzo ragguagliato al suo valore commerciale; non aiuta di piu’ il D.Lgs. 209/2003, in attuazione della Direttiva CE/53/2000, quando, all’articolo 7, gli autodemolitori si impegnano a re-impiegare (cioè favorendone il loro riutilizzo secondo l’uso previsto dalla fabbrica) almeno il 95 per cento delle parti in proporzione al peso medio delle auto in giacenza; ed inalternativa il recupero dei componenti non riutilizzabili ed il loro riciclaggio.

Se poi a sovrintendere tutto questo rimane una semplice autodichiarazione come quella del MUD Ecocerved nella specifica Sezione Veicoli che inquadra la “Decisione 2003/138/Ce”.

 

Autodemolitori alla prova “Carbon Zero”

In sostanza il ricorso al ricambio usato da demolizione oggi salta a più pari almeno tre requisiti oggettivi integrati ed imprescindibili rispetto alla norma di legge: l’obbligo di tracciatura e di vendita conforme del Rottamatore, la sussidiarietà obbligatoria dell’Autoriparatore nella scelta e prelievo di componenti ritenute “vitali” per il funzionamento in sicurezza del veicolo ed infine l’obbligo dello stesso autoriparatore a porre sua personale garanzia su vizi e difetti della componente usata sull’auto in riparazione. La assenza continuativa e standardizzata di queste regole porta sempre più spesso all’accendersi di controversie di natura peritale ed assicurativa per la presenza sull’auto di parti di ricambio non conformi o non tracciate.

Sono circa 1.450 gli autodemolitori in Italia: l’obiettivo fissato dalla Direttiva europea su riuso e riciclo dei veicoli demoliti è dell’85%, a cui va aggiunto un 10% da avviare a recupero energetico. In Italia, il target dell’85% è stato raggiunto nel 2019, mentre manca la quota di recupero energetico. 

Tante norme ma la prassi dal Rottamatore è ancora la Giungla

Questo sta portando gli autodemolitori da recettori di un servizio di recupero ad un ruolo di intermediari dei Costruttori OEM che sono obbligati per obbiettivo di Carbon Zero al recupero totale del loro lavorato, mentre è ancora in corso la revisione della Direttiva 2000/53/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sui veicoli a fine vita  mentre in tema di RENTRI – registro digitale delle radiazioni e radiazioni online – tracciabilità delle vendite online di ricambi usati), vedrà un impatto sempre più discriminante legato al recupero certosino dei cosidetti Metalli rari. E’ per questo che le istitutuzioni di controllo sul territorio hanno aguzzato gli occhi, troppo spesso bendati nel passato, sul workflow in entrata ed uscita dagli Autodemolitori, perché oggi il rifiuto è diventato un bene. Dunque nel prossimo futuro meno ricambi disponibili, più cari, e forse meno Jungla. Ed allora come approcciare nei panni di un potenziale Cliente e come professionista di settore? Siamo sinceri, la prima prerogativa che deve raggiungere l’Automobilista è quella di “saper leggere” il ricambio ed i suoi codici fondamentali, per capire origine e tracciabilità; per poi capire quali sono i diritti che gli competono in tema di ricambio usato, e quali servizi pretendere dall’Autoriparatore per la garanzia della sicurezza necessaria nel post riparazione.

Da “AutoriparaPTOR” ad Autoriparatore: la categoria non denuncia le mele marce?

Una premessa, fondamentale: tutti teniamo famiglia ma sono in netto aumento le controversie in tema di autoriparazione per informazioni errate o fallaci, preventivi incomprensibili e soprattutto certificazione finale dei lavori svolti. Soprattutto la ruggine tra clienti e autoriparaPTOR si acuisce dato l’aumento costante dei costi a carico del cliente finale. Eppure nessun Costruttore ha mai finora definito la formula più semplice di supporto e di fidelizzazione con gli automobilisti: non esiste un numero verde, una mail o un supporto Whatsapp di tutela e assistenza degli Automobilisti per poter segnalare eventuali abusi o condotte scorrette degli autoriparatori sia nelle reti ufficiali che in quelle Indipendenti dove, ex BER 2010, è legittimo poter svolgere interventi autorizzati anche da Casamadre. Chiaro che finchè il rapporto tra OEM ed autoriparazione si svolgerà solo presso le Reti ufficiali, senza monitorare le reti indipendenti lasciando dunque a mo’ di punizione per i clienti il rapporto commerciale e di servizio.

Ricambio Usato Vs. Rigenerato: quando  non vanno mai confusi

Detto questo, apriamo un focus di osservazione rapido sulla categoria dei ricambi usati rispetto a quelli Rigenerati, visto che ancora corrono degli equivoci sulla questione: i ricambi usati sono quelli che derivano dalla rimozione di auto in fine ciclo di vita, dunque fondamentalmente quelli derivanti da processi di rottamazione oppure, meno usualmente, dallo smontaggio di componenti presso le Officine

Il ricambio rigenerato invece ha tutt’altra genesi, che nasce dalla interazione tra parti in rapporto: in particolare il rigenerato deriva dalla scelta di un fornitore di Componente usurata da rigenerare (Autoriparatore, Ricambista, o Cliente finale) ad un professionista della rigenerazione. Costui è un soggetto abilitato, certificato ed inquadrato sia a livello di Know How che di categoria artigiana, adatto a compiere tutti i passaggi tracciati e garantiti per ripristinare nella componente meccanica, elettrica, elettronica, elettropneumatica od idraulica la parte soggetta ad usura ovvero a rottura funzionale. 

Dunque la rigenerazione è prassi ormai consueta nelle componenti soggette ad usura da attrito (Freni, frizioni, ferodi diversi e componenti in gomma); nelle componenti soggetti ad usura volvente (Alberi, avvolgimenti, rotori, pompe, etc..) oppure a consumo da flusso elettromagnetico; ed infine nella rigenerazione rientrano le procedure di rettifica fatte su parti meccaniche nelle quali il continuo funzionamento genera difformità superficiali anomale tra unità componenti meccaniche seriali (ad esempio la rialesatura delle canne cilindri, il ripristino di sedi di battuta delle componenti meccaniche, il rifacimento di filettature, etc.) 

Dunque, in un rapporto di rigenerazione/rettifica componenti il protocollo di servizio prevede il ripristino di funzionalità pari all’originale delle componenti rigenerate, il collaudo e la applicazione della garanzia biennale sulle lavorazioni. In un contesto ed in un protocollo del genere non solo la rigenerazione è una attività di postvendita assolutamente valida e certificata ma è anche rispettosa del concetto di circolarità e di recupero intelligente. Anche per questo la rigenerazione è una prassi ed una cultura da rivalutare.

Riccardo Bellumori