La casa automobilistica britannica sta preparando un nuovo modello, come dimostrano le prime foto spia di prototipi camuffati. Sulla base di queste foto, abbiamo deciso di immaginare come sarà il SUV.
L’attuale Land Rover Defender ha debuttato nell’autunno 2019. È ancora presentato solo in versioni con motori a combustione interna, e una modifica completamente elettrica potrebbe apparire più vicino al prossimo decennio insieme al cambio di generazione. Tuttavia, molto prima sarà affiancato dal modello più giovane della famiglia Defender, che riceverà un propulsore elettrico.
Per ora abbiamo a disposizione solo alcune foto spia, scattate da grande distanza, ma possiamo già farci una prima idea sull’aspetto del nuovo modello. Lo stile spigoloso della carrozzeria si sovrappone in gran parte al modello precedente, mentre le proporzioni del nuovo modello sono più vicine ai modelli Freelander/Discovery Sport: c’è una maggiore inclinazione del parabrezza, un livello del tetto significativamente più basso, una linea di soglia ascendente e, probabilmente, montanti in tinta con la carrozzeria dietro le porte posteriori.
Rendering Kolesa.ru
IL DEFENDER MINI
La parte anteriore è pesantemente camuffata, sono visibili solo i contorni dei fari più stretti rispetto ai tradizionali Defender di forma rettangolare. Le fiancate sono quasi piatte e le portiere saranno probabilmente dotate di maniglie a scomparsa. A prima vista, la poppa del SUV evoca associazioni con la Hyundai Santa Fe dell’ultima generazione, grazie al massiccio portellone del bagagliaio e ai fari posizionati in basso. Nel prototipo di prova manca la ruota di scorta sul portellone del bagagliaio, mentre il tetto presenta una coppia di “pinne” come nei nuovi modelli Range Rover.
La nuova piccola Land Rover Defender sarà costruita sulla piattaforma EMA (Electrified Modular Architecture), che sarà utilizzata dai futuri crossover elettrici dell’azienda.
Il nome suggerito è Defender Sport, simile a quello della Discovery Sport e della Range Rover Sport.
Con i suoi 650CV e 770Nm di coppia la Hyundai Ioniq 5N non è una elettrica qualunque.
La Hyundai Ioniq 5 N è una vettura elettrica ad alte prestazioni, progettata per offrire un’esperienza di guida emozionante e coinvolgente. Il suo motore è composto da due unità sincrone a magneti permanenti, una per asse, che insieme erogano una potenza di 650 CV (478 kW) e una coppia di 770 Nm. Grazie alla trazione integrale, la vettura garantisce un’aderenza eccezionale e una dinamica di guida raffinata. L’accelerazione è fulminea, con uno scatto da 0 a 100 km/h in 3,4 secondi con la funzione N Grin Boost, mentre la velocità massima raggiunge i 260 km/h, un valore impressionante per un’auto elettrica.
L’autonomia della Ioniq 5 N è di 448 km nel ciclo WLTP combinato, grazie alla batteria da 84 kWh, con consumi di 21,2 kWh/100 km. Hyundai ha dotato il modello di un sistema di ripartizione della coppia regolabile, che consente al guidatore di scegliere la percentuale di potenza tra avantreno e retrotreno. Inoltre, la modalità di cambio virtuale simula il comportamento di una trasmissione tradizionale, offrendo un’esperienza di guida più coinvolgente.
Per garantire un controllo ottimale, la Ioniq 5 N è equipaggiata con dischi anteriori da 400 mm con pinze fisse a 4 pompanti e posteriori da 380 mm con pinze flottanti. Le sospensioni, MacPherson all’anteriore e multi-link al posteriore, assicurano stabilità e precisione. Questa Hyundai non è solo un’auto elettrica, ma una vera sportiva con il DNA della divisione N. Ecco come si comporta nella prova su strada completa!
Il rinnovato SUV del marchio cinese è leggermente aumentato nelle dimensioni, inoltre la versione base è diventata più potente.
Il marchio premium Voyah appartiene all’azienda Dongfeng. Il primogenito è stato il crossover Free, apparso sul mercato cinese nel 2021 e sottoposto a restyling nel 2023. Ricordiamo che inizialmente in patria veniva venduto nelle modifiche di un ibrido di serie e di un’auto completamente elettrica, ma dopo il primo restyling del modello nella RPC ha iniziato a essere offerto solo con “imbottitura” ibrida. Tra l’altro, nei mercati di esportazione, tra cui la Russia, Voyah Free è ancora offerto sia con tecnologia benzina-elettrica che completamente elettrica. Allo stesso tempo, il crossover aggiornato sul mercato russo viene venduto separatamente come edizione speciale Sport. La scorsa settimana si è saputo che il modello attuale si sta preparando per il secondo restyling in Cina: sono quindi apparsi i primi teaser con un prototipo camuffato.
IL RESTYLING SOFT
Il marchio ha pubblicato un’immagine ufficiale della Voyah Free restyling, inoltre, le immagini del prototipo senza camuffamenti sono state pubblicate nel database del Ministero dell’Industria cinese. A giudicare dalle immagini, l’ottica della testa è stata lasciata della stessa forma, ma è cambiato il disegno della luce, inoltre la griglia del radiatore è stata disegnata in modo diverso, così come la parte inferiore del paraurti anteriore con prese d’aria integrate – ora ha un aspetto meno aggressivo.
La carrozzeria è disegnata in modo diverso grazie a uno spoiler più laconico sulla parte superiore del portellone dei bagagli, nonché a un diverso design della parte inferiore del paraurti posteriore. I fari Voyah Free durante il restyling non sono stati toccati. Da notare che davanti, sul tetto, sopra il parabrezza c’è un lidar. È stato riferito che il crossover aggiornato riceverà un complesso avanzato di assistenti alla guida di Huawei. Secondo il Ministero dell’Industria della Repubblica Popolare Cinese, nel corso del restyling il modello è leggermente aumentato nelle dimensioni: così, la lunghezza del Free rinfrescato è pari a 4915 mm (10 mm in più rispetto alla versione pre-riforma), la larghezza – 1960 mm (anch’essa 10 mm in più), l’altezza – 1660 mm (15 mm in più), e la distanza tra gli assi non è cambiata ed è ancora 2960 mm.
MOTORI E DATI TECNICI
Il crossover aggiornato ha un motore ibrido che, come in precedenza, comprende un motore turbo benzina da 1,5 litri che funge da generatore (secondo il Ministero dell’Industria, la sua potenza è di 129 CV, anche se la versione precedente ha 150 CV), oltre a un motore elettrico montato sull’asse posteriore (la sua potenza è aumentata da 272 a 292 CV). La capacità della batteria di trazione non è ancora stata resa nota, l’attuale crossover ha un indicatore di 43 kWh. Anche questa versione ha una versione top a trazione integrale con un motore elettrico aggiuntivo da 218 CV sull’asse anteriore (potenza totale – 489 CV). Probabilmente, l’anteprima completa del restyling di Voyah Free avverrà nell’ambito del Salone dell’automobile di Shanghai, che aprirà i battenti molto presto. Ricordiamo che alla fine del mese scorso il corrispondente di Kolesa.ru ha studiato l’attuale crossover ibrido “sportivo” per il mercato russo Voyah Free EVR in azione: tutti i dettagli nel nostro test drive
Si potrebbe pensare che una casa automobilistica giapponese riservi il debutto delle sue auto per il paese d’origine, ma la Subaru non sembra essere d’accordo.
La nuova Subaru Forester di sesta generazione arriva in Giappone ben 18 mesi dopo essere stata presentata per la prima volta negli Stati Uniti. Tuttavia, la nazione insulare riceve alcuni aggiornamenti per compensare il ritardo.
MOTORI E DATI TECNICI
Per cominciare, mentre in America l’unico modello a benzina è il quattro cilindri di base da 2,5 litri ad aspirazione naturale, il Giappone riceve un quattro cilindri a iniezione diretta (DIT) da 1,8 litri dal suono molto più eccitante. Come previsto, la potenza è leggermente inferiore (177 CV da 5.200 a 5.600 giri/min) ma la coppia è leggermente superiore (300 CV da 1.600 a 3.600 giri/min), abbinata come sempre a un cambio CVT Lineartronic e alla trazione integrale simmetrica Subaru.
Rimane il modello ibrido S:HEV, presentato negli Stati Uniti all’inizio di quest’anno, che utilizza un motore da 2,5 litri a ciclo Atkinson ad aspirazione naturale, anch’esso con iniezione diretta. In questa versione, produce 160 CV a 5.600 giri/min e 209 Nm da 4.000 a 4.400 giri/min, abbinati a un sistema Strong Hybrid di origine Toyota con un motore di trazione elettrico da 119,6 CV/270 Nm per una potenza totale di 197 CV.
Subaru dichiara un consumo di carburante secondo la classificazione WLTP fino a 18,8 km per litro, contro i 13,6 km per litro del modello a benzina. A differenza delle ibride Toyota, la Forester utilizza ancora un sistema di trazione integrale meccanico per alimentare le ruote posteriori invece di un motore posteriore separato.
L’altra novità è un airbag per pedoni più grande, il primo al mondo progettato per proteggere i ciclisti. Un “sacco” a forma di U si avvolge intorno ai montanti A per offrire una maggiore protezione alla testa dei ciclisti, che in caso di incidente tendono a colpire l’auto in una posizione diversa da quella di un pedone.
La Subaru Forester è stata inoltre progettata con una trave del paraurti più ampia e un sottotelaio rinforzato per una maggiore efficienza di assorbimento dell’energia in caso di urto. Nei modelli ibridi, inoltre, l’unità di controllo dell’alimentazione (PCU) è stata spostata nella parte anteriore, il che non solo consente di ampliare il serbatoio del carburante (e di aumentare l’autonomia), ma migliora anche la sicurezza in caso di incidente.
Nel frattempo, il sistema di assistenza alla guida EyeSight si arricchisce di una nuova telecamera centrale grandangolare e di sensori radar frontali per ampliare il funzionamento della frenata autonoma di emergenza. La nuova Forester è anche la prima a essere dotata di EyeSight X, che consente la guida semi-autonoma a mani libere negli ingorghi autostradali.
All’esterno, la Subaru Forester giapponese è praticamente identica al modello statunitense, il che significa che il design è ancora piuttosto poco appariscente, con una grande griglia esagonale, fari posteriori con luci diurne a forma di sopracciglio, fanali posteriori a forma di L rovesciata uniti da una barra nera e altri elementi esagonali nei passaruota, nei paraurti e persino nella forma della calandra.
La vettura è disponibile con cerchi di dimensioni fino a 19 pollici di diametro e si può scegliere tra 11 colori, tra cui il nuovo River Rock Pearl.
Il motivo esagonale continua all’interno, adornando le bocchette dell’aria, la base della leva del cambio e persino i pannelli delle portiere. A dominare la scena è naturalmente un grande schermo touchscreen da 11,6 pollici verticale per l’infotainment che incorpora i comandi dell’aria condizionata, insieme a un display digitale da 12,3 pollici per la strumentazione. È disponibile un sistema audio Harman Kardon, completo di subwoofer da 200 mm nel bagagliaio.
Subaru ha prestato particolare attenzione alla visibilità esterna, abbassando gli angoli del cofano e la base del montante A, rendendo più piccoli gli specchietti retrovisori e ridisegnando i tergicristalli per ridurre l’ingombro. Anche il bordo inferiore dei finestrini del quarto posteriore è stato abbassato per migliorare la visibilità fuori dalle spalle.
INTERNI E TECNOLOGIE
L’abitacolo della Subaru Forester è inoltre dotato di alcune simpatiche sorprese, come la grafica di un colibrì sui finestrini posteriori e sul tetto panoramico in vetro opzionale, nonché il Monte Akagi sul parabrezza posteriore.
I sedili sono stati ridisegnati per sostenere meglio il bacino, mentre le barre sono ora fissate direttamente alla carrozzeria per ridurre le vibrazioni. Le opzioni di rivestimento includono un tessuto tricot idrorepellente, pelle Nappa e Ultrasuede e, sul modello turbo Sport, Ultrasuede ed ecopelle.
Lo spazio di carico è sostanzialmente identico a quello del modello precedente (circa 500 litri), con in più ganci per il carico, “dadi di utilità” per il fissaggio di accessori come barre e portapacchi e un portellone posteriore motorizzato a mani libere opzionale.
Ultimo ma non meno importante è il robusto livello di allestimento X-Break, disponibile solo con la motorizzazione ibrida e dotato di elementi esterni e interni in tinta, barre sul tetto più robuste e sedili in ecopelle idrorepellenti.
Da tempo le case automobilistiche cinesi pubblicizzano funzioni di guida autonoma avanzata e altamente automatizzate, ma il governo centrale ha deciso di dire basta.
Secondo Car News China, il Ministero cinese dell’Industria e delle Tecnologie dell’Informazione (MIIT) ha emanato nuove e severe linee guida per queste funzioni, con l’obiettivo di limitare i test pubblici, la commercializzazione e l’utilizzo.
I funzionari si sono incontrati ieri per discutere della gestione dei veicoli connessi intelligenti e hanno annunciato restrizioni complete sulla tecnologia di guida autonoma in un documento ampiamente diffuso. Ciò avviene dopo l’incidente di alto profilo che a fine marzo ha coinvolto uno Xiaomi SU7 che guidava in modalità autonoma e che ha causato la morte di tre persone.
Tra queste restrizioni c’è l’effettiva messa al bando dei programmi di beta testing che danno ai membri del pubblico l’accesso anticipato a determinate funzionalità; i funzionari hanno dichiarato che “i test pubblici, sia con migliaia che con decine di migliaia di utenti, devono passare attraverso i canali ufficiali di approvazione”. Questo pone fine a tattiche come quella di Xiaomi che impiega un “experience team” di 1.000 persone per testare le sue funzioni di guida autonoma.
GUIDA AUTONOMA PERICOLOSA
La Cina sta anche mettendo un freno all’uso di termini come “guida autonoma” e “guida intelligente” nel marketing: le case automobilistiche sono ora tenute a usare la dicitura “L(number) assisted driving” (guida assistita) – che si riferisce ai livelli SAE di semiautonomia e piena autonomia – e ad attenersi rigorosamente a tali classificazioni.
Inoltre, le case automobilistiche non potranno più offrire funzioni di guida autonoma non supervisionate, come il parcheggio automatizzato, il richiamo con un solo tocco e il parcheggio a distanza. L’idea è che, poiché le case automobilistiche non sono in grado di garantire il coinvolgimento del conducente e la sicurezza operativa, “queste funzioni non saranno approvate per i prodotti”.
Uno spiacevole effetto collaterale di queste norme è che i sistemi di monitoraggio del conducente non potranno più essere disattivati. Questo serve a rilevare se il conducente ha tolto le mani dal volante e, se queste non vengono rimesse entro 60 secondi, l’auto dovrà attuare “strategie di mitigazione del rischio” come rallentare fino a fermarsi, attivare le luci di emergenza o accostare.
AGGIORNAMENTI A RISCHIO
Anche la frequenza degli aggiornamenti over-the-air per il software di guida autonoma è stata criticata, con il MIIT che ha chiesto di ridurre “i frequenti aggiornamenti OTA e di migliorare la gestione del rischio di versione” (cioè le case automobilistiche dovranno darsi il tempo di eliminare i bug prima del rilascio). Gli aggiornamenti di emergenza dovranno ora essere registrati come richiami e richiedere l’approvazione del regolamento di mercato da parte dell’amministrazione statale.
Le nuove norme arrivano in un momento inopportuno per le case automobilistiche, dato che probabilmente stavano pianificando di presentare le loro ultime tecnologie di guida autonoma all’Auto Shanghai della prossima settimana. Inoltre, pone un ulteriore ostacolo a Tesla, che aveva l’obiettivo di portare in Cina la sua suite di funzioni di guida autonoma completa (erroneamente chiamata “Full Self-Driving”) nel trimestre precedente.
Ha compiuto mezzo secolo nel 2022, in una cornice purtroppo tragica di guerra tra il suo Paese di origine e l’Ucraina.
E forse questo avrà pregiudicato contro la sua stessa volontà l’immagine di uno degli unici due simboli rappresentativi per longevità del fuoristrada europeo esteso, se nell’area continentale europea inseriamo anche la propaggine dell’Est estremo e degli Urali.
La “UAZ 469B” poi diventata nel tempo – provvisoriamente – 31512 per poi tornare in un breve periodo, sempre in Russia, “469B” ed essere riproposta ed esportata anche per la gioia di appassionati e fuoristradisti imperterriti come “UAZ Hunter”.
Parliamo dell’altra unica icona originaria di un disegno ed uno schema “Off Road” che per longevità di rispetto dello schema originario vede come unico contraltare europeo nientepopodimeno che la “G-Klass” di Mercedes, nata nel 1979 e rimasta fedele all’impronta stilistica cui ha lavorato il Maestro Bruno Sacco e che è appunto il contraltare i questo solo alla “Hunter” che ricalca fedelmente linea e attributi che sono nativi nel modello del 1972 creato e prodotto nello Stabilimento di Uljanovsk in Russia.
A compendio di queste dinastie ed intorno a loro si è creato un vuoto: la “Land Rover Defender” figlia diretta della capostipite del 1948 è stata tolta di produzione da anni ed al suo posto è pervenuto il nuovo modello “Tata Approved” che se non offre il fianco a limiti e pregiudiziali tecnologici che potevano riferirsi alla “vecchia” Defender, di sicuro non ha però il fascino eterno e quasi sacro per i puristi che aveva la classica Land Rover.
La più longeva delle Offroad “Original”: Lei
Neppure è il caso di parlare della situazione in Jeep dove “CivilianJ7” (con le leggendarie versioni “Golden Eagle”, “Laredo”, “Wrangler” e “Renegade”) e la storica “Cherokee” sono ormai nel limbo della memoria passata, retaggio di un’epopea che da FCA a Stellantis nessuno ha più neppure interesse a riscoprire nemmeno nella dimensione “Heritage”.
Ovviamente il vento della modernizzazione non ha risparmiato neppure le esponenti giapponesi di Toyota Land Cruiser ed LJ, la Nissan Patrol e la Pajero di Mitsubishi, tutte fagogitate dalla neo modernità che ha però tagliato di parecchio il sentimento e l’onorabilità del fuoristrada tutto di un pezzo.
Tutte tranne lei e la più piccola esponente russa del 4×4, cioè la Lada Niva: ma se pensate di trovarvi di fronte al “classicamente narrato” mezzo russo fatto con i longheroni per edilizia catramati, la ghisa pesante e il fil di ferro per tenere tutto insieme siete fuori strada più della Gippona UAZ che al contrario delle metafore e delle favolette che vengono dette, in modo forse persino ormai stantio, è stata ed è tuttora uno dei mezzi preferiti dai fuoristradisti professionali che impazziscono dalla voglia di galleggiare in mezzo a guadi di fango, che superano pendenze di 40 gradi come se fossimo in pianura e che fanno dell’utilizzo estremo dei fuoristrada un motivo di orgoglio.
Ai più avventurosi la serie “469” ed “Hunter” ha regalato e continua a regalare solidità senza tempo, essenzialità di meccanica e suppellettili che permettono di gestire il post guado di fiumi e torrenti alti un metro con la semplice esposizione della loro fedele Uaz al sole ed al vento: la supremazia manifatturiera di acciaio, alluminio e solide plastiche di rifinitura non lascia spazio a pelli, vellutini o tappezzerie che si rigonfierebbero di acqua e di muffa.
Certo, con la dotazione che prevede sedili completamente regolabili e tappezzeria lavabili, climatizzatore (opzionale), cruscotto/pulsantiere/leveraggi di foggia moderna, leggibili e didascalici la vita a bordo è decisamente più confortevole delle prime “469B” di mezzo secolo fa con due soli quadranti sul dashboard di nudo metallo e strapuntini fissi in tessuto a coprire molloni e tubi di struttura che non mettevano granchè a proprio agio.
E dimenticate pure senza timori il classico rumore di vele al vento che dava il vecchio sistema di telonatura (peraltro comune nei disagi a quelli di Jeep, Land Rover, Fiat Campagnola ed off-road giapponesi) e godetevi l’ambientazione più confortevole e domestica del tetto rigido o della cellula in acciao vetrata che di fatto è il tetto classico anche nella “Hunter”.
Tradizione ed innovazione: non è solo slogan
Ma quel che rende la attuale “Uaz” erede del meglio della “469B” e testimone al futuro dell’aggiornamento tecnologico necessario per la mobilità moderna, è la equilibrata fusione di tradizione e modernità al punto giusto: il fuoristrada puro si affronta (come nella eccellenza consolidata di settore) non certo con il telaio monoscocca portante a gusci saldati, ma con il classico e rassicurante chassis innervato e perimetrato da longheroni a sezione quadra e traverse intervallate; una struttura che si dispone longitudinalmente come un poligono a sezioni variabili che dalla parte anteriore, più ristretta, percorre il sottoscocca allargandosi fino alla estremità posteriore; nella fattura moderna questo chassis ha migliorato punti di fusione e modalità di saldatura, si avvale di trattamenti anticorrosione attualissimi e nella sua concezione progettuale è fornito di tutte protezioni sottoscocca in grado di proteggere le componenti accessorie più esposte inferiormente (condotti di scarico e tubazioni longitudinali ad esempio ma anche la classica coppa dell’olio) e di evitare punti di accumulo di terra, neve o sale corrosivi; ovviamente l’impianto frenante(dischi+tamburi), cambio e trasmissione sono in linea con i canoni della migliore produzione mondiale, e la guidabilità e l’assetto sono decisamente più rassicuranti e proattivi grazie ai quattro ammortizzatori telescopici “molleggiati” da balestre per l’asse posteriore e da molle elicoidali sull’asse anteriore.
Tutto questo, sia chiaro, senza stressare la carrozzeria di copertura poiché le sospensioni sono ancorate solidarmente con lo chassis a longheroni e traverse.
Se non ci credete provate a chiedere a chi ha un “469B” o un “Hunter” usato prevalentemente in montagna, o sulla neve o nello sterrato boschivo (pieno di radici affioranti, pietre e fango) quante volte ha dovuto affrontare bolle di ruggine, corrosione passante o peggio la rottura improvvisa di un componente essenziale della loro bambina.
Perfetta per il “Fuori”, gradevole e protettiva su Strada
E con la perfetta geometria di angoli di attacco e di impronta perimetrale a terra delle ruote in linea con gli ingombri esterni del corpo vettura, la “Hunter” si arrampica dovunque con le sue belle ruote in lega a 16”, ma soprattutto ha un assetto sicuro in ogni condizione di fondo: le geometrie canoniche, il dislocamento delle masse, il punto di baricentro ed il peso più che ragionevole pongono la classica “Hunter” in una dimensione di quasi imbattibilità su neve e fango ma di sufficiente sicurezza su asfalto a patto di non esagerare. Ed in effetti, analizziamo i numeri fondamentali di “Hunter”.
In una abitabilità ottima per cinque persone il “guscio” in ottimo metallo al 100% (come amano sottolineare in Uaz Italy) fornisce ingombri massimi più che ragionevoli (lunghezza 4,10 mt; larghezza fuori tutto 2,10 mt.; Altezza 2 mt; ben 21 cm. di altezza minima dal suolo ed un peso di 1810 Kg. in ordine di marcia. Tutto questo quadro è canonico per ogni fuoristrada degno di questo nome: avete mai provato a fare Off-road con transatlantici vicini ai 5 metri di larghezza e da due tonnellate e mezza?
Anche la base meccanica non lascia spazio a dubbi: Hunter è perfetta per l’uso cittadino e familiare, validissima per l’uso professionale, insostituibile per il tempo libero. Il motore da 2.693 cc. quattro cilindri ha nella alimentazione monofuel a benzina 135 cv e ben 210 Nm a solo 2.500 giri.
La trazione è canonicamente 4×4 inseribile ed il cambio (Hyundai Dimos) ha le ridotte più cinque marce di base.
L’utilizzo a bordo è di razionalità “vecchio stampo” oggi introvabile con la chicca dei due sedili posteriori abbattibili 2/3 (cioè lasciando posto ad una sola ovvero a due persone sedute dietro) per far carico ad un ottimo bagagliaio.
Hunter: praticamente eterna
Ma soprattutto “Hunter” è solida: le tante Uaz importate in questo hanno superato la classica e prima obiezione di comodo dei rivenditori di marchi nazionali e concorrenti in Italia: “Ehhhh…..Ma sai che casino farle riparare??? Ma dove lo trovi un meccanico e pezzi di ricambio per le officine???”.
In verità i meccanici comuni nella loro esperienza di officina da un lato non conoscono le “Uaz” e dall’altro le detestano per gli stessi motivi per cui non le conoscono: Uaz “469B” ed oggi “Hunter” hanno sempre permesso agli affezionati proprietari di coccolare la loro amica con le operazioni manutentive di routine, affidandosi però con sicurezza ad una Rete diretta e/o convenzionata per gli interventi più delicati ed impegnativi di prolungamento della vita e della fruibilità dei loro mezzi.
La ottima responsabile Marketing e Comunicazione dell’attuale “UAZ Italy” a Siena, la cortese Valentina Valiani con cui “Autoprove” ha condiviso un momento di dibattito e confronto, mi perdonerà se alla mia augusta età ricordo tutte le volte che ho assecondato la mia passione innata verso il “469B” andando a trovarlo fisicamente ed in tutta la sua bellezza presso l’allora importatore “Martorelli” in provincia di Roma; era la prima metà degli anni ’80 e di questo fuoristrada si cominciavano a vedere i primi esemplari in giro anche in Italia.
Ovviamente all’epoca, come immatricolato autocarro e praticamente venduto nel solo allestimento telonato, il motore di riferimento era un circa due litri Diesel di matrice Peugeot (vado a memoria) e il suono roco e cavernoso della “469B” si faceva riconoscere a distanza. Iniziava però il tam tam mediatico di Stampa e TV che nel riprendere le prime Gare di fuoristrada mostrava la mia beniamina affondare dentro una gola piena di fango e riuscire sbuffando di vapore e di fumo risalire senza battere ciglio una salita praticamente verticale aggrappandosi ai suoi “gommoni” e potendo contare su angoli di attacco da far invidia alle “regine” Land Rover.
Uaz Italy: organizzazione esemplare, in attesa che torni a governare la pace
Oggi ovviamente la responsabilità commerciale di “Uaz” è nella rappresentanza perfetta e professionale di “Uaz Italy” che ha sede appunto a Siena e che da anni ha seguito e curato la clientela con una perfetta organizzazione di vendita ed una altrettanto completa rete di Assistenza, Service e Ricambi.
Certo, la presenza del conflitto bellico e dell’embargo di merci russe ha di fatto sospeso l’importazione anche qui in Italia di mezzi ma soprattutto ha caricato indirettamente la “mia” beniamina “Hunter” di una iconografia alla quale la piccolina rinuncerebbe volentieri: il collegamento con gli scenari di guerra.
La UAZ-469B è un fuoristrada sovietico costruito dalla UAZ a partire dal 1972 in sostituzione della GAZ-69 ed è in effetti la versione civile della UAZ-469, veicolo utility e comando militaredestinato a sostituire la GAZ-69 nelle sue diverse versioni in seno alle forze armate.
La gestazione del veicolo è stata particolarmente lunga e laboriosa, con i primi progetti risalenti al 1956 e con indirizzi tecnici più volte riveduti e corretti, frutto delle esigenze di creare un veicolo in grado di operare dalle temperature al di sotto dei -30 °C della Siberia fino ai 50 °C dei deserti.
Alla fine, soprattutto per ottenere un basso costo di produzione standardizzando quanto più possibile l’uso di componenti utilizzati per la produzione di altri veicoli, si optò per l’adozione della meccanica del furgone UAZ-452, in produzione presso gli stessi stabilimenti dal 1966, che a sua volta adottava trasmissione finale della GAZ-69 e motorizzazione della berlina GAZ M-21 Volga.
Dopo 10 anni di severi test volti ad assicurare ottime prestazione in fuoristrada, robustezza e affidabilità, la produzione ha inizio il 15 dicembre 1972 con l’uscita dalle catene di montaggio della prima UAZ-469B prodotta in serie.
La produzione cesserà a giugno del 1985, quando la UAZ-469B lascerà il posto alla UAZ-3151, portando con sé importanti modifiche sia meccaniche che estetiche al modello originario tra i quali differenziali con rapporti più lunghi, freni a doppio circuito, comando idraulico della frizione, ecc.
Inizialmente la UAZ-469B adottava il motore benzina UMZ-451M di 2445 cc.
Il posizionamento delle molle a balestra sopra i ponti, tipico dei veicoli da trasporto pesante fanno subito la gioia dei fuoristradisti estremi.
Nel 2016 la casa automobilistica russa, per adeguarsi alle nuove leggi sulla sicurezza, dota le nuove Hunter 31519 di spia ed avvisatore acustico di cinture di sicurezza non agganciate e di una terza cintura con ancoraggi ISOFIX posteriore per ancorare il seggiolino dei bambini .
Martorelli a partire dalla metà degli anni ’70 provvede a rimotorizzare la UAZ-469B, montando in alternativa al motore originale russo a benzina svariati motori: i Diesel Peugeot da 2100 cm³, 2300 cm³ e 2500 cm e infine il 2400 cm³ Turbo Diesel prodotto dalla VM Motori.
Hunter, l’icona che non ti aspetti anche Bifuel
Ed arriviamo ad oggi quando la datata ma inossidabile “UAZ-469B” rivive nella produzione della “Hunter” che per il mercato italiano vede come protagonista di punta la versione “Bifuel” con impianto GPL del poderoso 2.700 cc quattro cilindri che in questa opzione offre la risposta alle esigenze ecologiche e normative, una spinta poderosa e vecchia maniera ma anche il sicuro supporto di risparmio nell’uso di un mezzo polivalente come l’Hunter che al prezzo canonico paragonabile “fino a ieri” ad una media vetturagarantisce nella versione a tetto rigido – quattro porte e portellone posteriore – spazio per passeggeri ottimo davanti e dietro, ed ovviamente suppellettili e dotazione in grado di rendere gradevole e divertente ogni viaggio con una regina vecchio stile dell’Off Road avventuroso.
E se parliamo di prezzi reali, con riferimento ai listini ultimi appena precedenti allo scoppio della guerra russo ucraina, segnaliamo che una “Hunter” a benzina (alimentazione monofueldunque) era proposta al pubblico – fino a “ieri” – ad un prezzo di “soli” 22.500,00 Euro chiavi in mano.
E Vi assicuro che se anche fossero state presenti a confronto le versioni “Base” di Land Rover Defender 90 prima generazione e persino la serie “CJ7” vecchia maniera i loro prezzi di listino sarebbero stati esorbitanti rispetto alla simpatica “Hunter” in un ipotetico confronto.
Fino a ieri, dicevo: purtroppo il conflitto in corso ha bloccato le importazioni della “Hunter” e della Gamma Uaz in diverse aree tra le quali l’Italia.
E’ questo soprattutto il senso di dispiacere condiviso con Valentina. Ed ecco che l’augurio tardivo di un “Buon mezzo secolo, cara amica 469B ed Hunter” si sposa ad un invito: “ Che vinca la pace”.
E sarebbe davvero un evento straordinario se finita la guerra russo-ucraina la nostra beniamina Hunter, attualmente la più longeva e continuativa fuoristrada pura dell’industria mondiale,tornasse di nuovo anche in Italia.
Sarebbe il simbolo, dopo la sua nascita dentro un progetto di mezzo militare, della nuova pace scoppiata (speriamo tutti) in quei territori.
Buon compleanno, amica “Uaz”: spero di ritrovarti ancora per tanto tempo sulle strade, come una vecchia amica.
La Kia EV3 è stata incoronata Auto Mondiale dell’Anno 2025, battendo due altre finaliste, la BMW X3 e la Hyundai Inster.
Presentata nel maggio 2024, la Kia EV3 è emersa come il SUV elettrico compatto del marchio coreano che si aggiunge alle EV5, EV6 ed EV9 per sfidare vetture del calibro della Volvo EX30, anch’essa finalista del WCoTY nel 2024. Si tratta della seconda vittoria in due anni per Kia, che ha vinto il WCoTY anche nel 2024 con l’EV9.
Con una lunghezza di 4.300 mm, una larghezza di 1.850 mm, un’altezza di 1.560 mm e un passo di 2.680 mm, la Kia EV3 è più grande della Volvo EX30, ma più piccola della Zeekr X e della BYD Atto 3. Con un’architettura elettrica a 400 volt come quella utilizzata nell’EV5, anziché a 800 volt nell’EV6 e nell’EV9, l’EV3 dispone di una batteria da 81,4 kWh che può essere ricaricata dal 10 all’80% in circa 31 minuti. Con una carica completa, l’EV3 con questa batteria raggiunge un’autonomia di 605 km; la versione Standard Range, con una batteria più piccola da 58,3 kWh, ha un’autonomia di 436 km.
I PREMI DEL 2025
Nelle altre categorie dei premi 2025 World Car of The Year, la Volvo EX90 è stata premiata come 2025 World Luxury Car of The Year, con la Porsche Macan e la Porsche Panamera come finaliste di categoria; mentre la Porsche 911 Carrera GTS ha vinto il premio 2025 World Performance Car of The Year con la BMW M5 e la Porsche Taycan Turbo come finaliste di categoria.
La Hyundai Inster ha vinto il premio 2025 World Electric Car of The Year con la Kia EV3 e la Porsche Macan come finaliste di categoria, mentre il premio 2025 World Urban Car of the Year è andato alla BYD Seagull, con la Hyundai Inster e la MINI Cooper Electric come finaliste di categoria. Il premio per il World Car Design of the Year 2025 è andato alla Volkswagen ID Buzz, con la Kia EV3 e la Toyota Land Cruiser come finalisti di categoria.
Non ci crederete, ma me lo sentivo: dopo tanto chiacchiericcio su “Carbon Zero”, “Carbon Footprint”, “Decarbonization”, il mio sentore mi aveva dato gli imput giusti.
Sarebbe arrivato il tempo in cui, come prevedevo, Bruxelles avrebbe ampliato il suo raggio di azione coercitiva anche su, nell’ordine:
-Carta Carbone;
-Bicarbonato;
-Carbone della Befana;
–Pasta alla Carbonara;
-Carboncini da disegno;
-Luca Carboni;
-Fibra di Carbonio.
Il mio dubbio era, in ultima analisi, dove avrebbe esercitato la propria mannaia l’Istituzione sovrana della UE per la prima mossa.
Ma soprattutto, tra Parlamento, Commissione e Consiglio mi domandavo chi sarebbe stato il prossimo protagonista di una ennesima esternazione di follia inquisitoria ed iconoclasta. Francamente, la fibra di carbonio è stata una sorpresa anche per le mie personali proiezioni, ed analogamente il comprendere che di decisioni allucinanti si rendeva protagonista anche il Parlamento è stata una sorpresa amara.
Tuttavia, per questa pervicace tensione iconoclasta delle istituzioni europee contro tutto quello che si richiama alle auto, devo per forza esplicitare una vera e propria sindrome di ribellione verso una strategia ed una mentalità che in un primo momento ho rubricato nella prerogativa della incompetenza, poi in quella della idiosincrasia istituzionale verso un intero comparto industriale; per poi convincermi negli ultimi tempi che questa tempesta perfetta, tutto questa pioggia di bibliche pietre contro il comparto auto europeo rasenta l’inquisizione ossessiva e in malafede tipica nella storia europea di chi nella ostentazione di valori positivi a causa dei quali si pone nella posizione di demolire uno status quo, in realtà intende demolire di quello stesso status quo solo i valori canonicamente positivi per immettere nel sistema gli enzimi idonei a distruggere un intero ecosistema, così da generare il caos.
Ed è quello per cui io vorrei esistesse nell’Unione Europea un procedimento di “enpeachment” di questa Commissione europea, ed un modello maneggiabile dagli elettori per spezzare anticipatamente una legislatura e mandare tutti a casa.
Ma temo che non sia previsto un provvedimento del genere. Questa classe istituzionale e politica sta portando l’Europa nel baratro del nichilismo, e non può essere un caso. Ci deve essere per forza un Grande Fratello che sta portando l’Unione al collasso ed alla frattura.
Non può essere un caso tutto questo, soprattutto contro un comparto industriale che comprende non solo il mero settore “Automotive” ma contemporaneamente un’intera industria manifatturiera, meccanica e motoristica continentale.
Perché quando Bruxelles mette i paletti su un settore industriale specifico, tutte le diramazioni commerciali e tecniche di quel settore finiscono per desertificarsi.
Colpisci gli endotermici sulle auto? Contemporaneamente dai un colpo di zappa sugli stinchi di una filiera che contemporaneamente aggiorna, sviluppa, ottimizza gli endotermici per le decine di utilizzi complementari al mondo auto; lasci che il comparto del Gas naturale esploda con escalation di prezzi inenarrabili? Bene, devi sapere che il taglio di approvigionamento alla pompa si declinerà nella scomparsa di intere filiere accessorie a questo tipo di alimentazione, e lo stesso dicasi del Gasolio.
Ma, davvero, la follia iconoclasta contro la fibra di carbonio no, questa non Ve la faremo passare. E spero che la pagherete cara, là a Bruxelles., se darete corpo a queste allucinazioni giuridiche vicine alla farneticazione ed alla bestemmia.
Materiali come piombo, mercurio, cadmio e cromo esavalente sono da tempo classificati come pericolosi dall’Unione Europea. Nonostante ciò, sono ancora ammessi nel settore automobilistico grazie a deroghe che non si applicano ad altri beni di consumo.
Ora, però, un altro materiale potrebbe essere vietato nelle auto europee: la fibra di carbonio. Secondo un nuovo rapporto, il Parlamento europeo, responsabile delle leggi dell’Unione, ha recentemente concluso una bozza di revisione della direttiva sui veicoli fuori uso (ELV), che regolamenta la demolizione e il riciclaggio dei veicoli e mira a renderli più ecologici.
In essa, per la prima volta al mondo, la fibra di carbonio viene classificata come materiale nocivo.
Fermiamoci un momento qui: rendere più ecologici i veicoli è una prerogativa proprio della fibra di carbonio: non corrode e non arruginisce come l’acciaio, ha un rapporto peso/rigidità che permette un utilizzo ponderale di materiale frazionario rispetto a quello di metalli e plastiche tradizionali, ha una base decisamente biocompatibile come il carbonio; è per sua natura antimagnetica e decisamente termoisolante più del metallo.
Dal lato della “demolizione e riciclaggio” della fibra di carbonio, vale la considerazione che la fibra di carbonio è purtroppo una fibra elitaria dato il suo costo (finchè almeno non sarà sviluppato un protocollo produttivo da tempo allo studio di fibra di carbonio a basso costo di produzione) e dunque non è una riflessione sciocca ritenere che le auto che la adottano sono auto che più che a processi di alienazione, demolizione e distruzione sono soggette alla procrastinazione di vita nel mondo del collezionismo e dell’amatorietà.
Dal lato del riciclaggio, infine, è pur vero che si è sottoposta un poco tardi la fibra di carbonio a studi e sperimentazioni su prassi e benchmark di riciclo e riutilizzo industriale dei manufatti obsoleti o dismessi, ma teniamo anche conto che nella agenda temporale dei materiali per il comparto Automotive il carbonio è un elemento strutturale che l’industria ha cominciato a diffondere da non più di trenta anni e per volumi davvero ancora contenuti.
Va detto però che su questo tema Bruxelles più che applicare tagliole dovrebbe aprire i cordoni di borsa e favorire la ricerca: è noto a pochi ma importante il lavoro svolto da Università di Bologna, Hera Ambiente e Curti Spa sul recupero e riciclo di scarti derivanti dalla lavorazione della fibra, con l’obbiettivo di recupero e rigenerazione di gran parte della fibra rigenerata.
Oltre tutto questo l’anzianità industriale della fibra di carbonio (che nel settore Automotive sportivo tocca appena i quaranta anni ma nel settore stradale si è affermata non più di un quarto di secolo fa) delegittima ogni azione avversa nel breve termine, quando cioè ancora non si saranno raggiunti cicli di vita ed obsolescenza idonei a valutare con obbiettività il degrado strutturale e biologico della fibra.
Secondo le stime della società di ricerca statunitense RootsAnalysis, il mercato mondiale della fibra di carbonio, che nel 2024 valeva 5,48 miliardi di dollari, dovrebbe crescere annualmente a un tasso medio dell’11% fino a raggiungere 17,08 miliardi di dollari entro il 2035. Attualmente, le automobili rappresentano dal 10% al 20% di tutte le applicazioni, secondo il rapporto di NikkeiAsia; ma in una ottica di risparmio energetico e di miglioramento qualitativo del prodotto auto europeo, il maggior costo di realizzazione della fibra di carbonio in termini di approvigionamento, lavorazione e trasformazione in manufatto rispetto ad altra materia prima è ampiamente remunerato da:
– facilità e molteplicità di modellazione tridimensionale, prerogativa che permette di dominare i vettori di forza e spinta dosando e orientando i diversi strati di fibra sulla struttura dell’auto; oltre a questo permettendo una perfetta integrazione di esigenze strutturali con quelle aerodinamiche e stilistiche volute;
– Modularità estrema che permette l’integrazione tra componenti strutturali in carbonio tra più modelli e Gamme mediante sovrapposizione, estensione, sovrapposizione di superfici e volumi complessi al fine di ottenere da un numero di “stampi” ridotto all’estremo una serie di composizioni che possono dare vita a manufatti diversi;
– Leggerezza e razionalità manifatturiera del composito che consente risparmio di materiale, peso e dispendio energetico del mezzo costruito; questo benchè come detto la costruzione di manufatti in fibra di carbonio sia molto più difficile e costosa dei metalli classici. I vantaggi sono anche prospettici: il peso aggiuntivo dei veicoli elettrici rispetto a quelli a motore ICE è dovuto al fatto che devono trasportare un grosso pacco batterie, solitamente sul pavimento.
Perché l’UE considera questo materiale pericoloso? Perché quando la fibra di carbonio, legata alla resina, viene smaltita, i filamenti possono diffondersi nell’aria, causando cortocircuiti nei macchinari e, soprattutto, dolore negli esseri umani se entrano in contatto con la pelle e le mucose. Insomma, un enorme caso Eternit che si aggira per l’Europa? Ma che fesseria. E’ stato dichiarato che le fibre di carbonio a base di “PAN” non sono nocive per la salute. Si tratta solo di prevenire la distruzione o lo smaltimento che provochi la dispersione nell’ambiente di particelle di carbonio che se inalate possono essere irritanti. Dov’è la eccezionalità? Le particelle di materiale di attrito di freni e frizioni, il particolato degli pneumatici, persino la polvere di cemento di lavorazioni edili o lo sfrido di lavori di giardinaggio per le persone allergiche: tutto questo e molto altro se inalato provoca irritazione; il segreto sta nella informazione, nella dotazione di sicurezza e nei protocolli rigorosi di operatività.
Come sottolinea Nikkei Asia, il 50% del volume di consumo e produzione di manufatti e semilavorati in fibra di carbonio per uso Automotive si trova in Europa: serve dire altro?
Il fatto che se questo divieto dovesse essere confermato in Europa non entrerà in vigore prima del 2029 non consola: fino ad allora assisteremo ad una dismissione delle tecniche di utilizzo del Carbonio e ad una disperata ricerca di nuove lavorazioni che – ulteriore beffa – erano patrimonio dell’Europa prima del consolidamento di lavorazioni con fibra.
Vero è che il consumo energetico e le emissioni di gas serra (GHG) per la produzione di fibra di carbonio sono elevati rispetto all’acciaio e alla fibra di vetro.
L’impronta di carbonio di ogni chilogrammo di fibra di carbonio può variare da 24,4 a 31,0 kg di CO2/kg.
L’intensità energetica della produzione di fibra di carbonio può variare da 2,1 a 132,8 kWh per kg.
Ma va ricordato che nell’automotive le uniche alternative industriali alla fibra di carbonio sono solo tre concrete ed una solo al momento onirica, una più costosa dell’altra:
-a) Il ritorno ad acciaio, alluminio, magnesio, titanio per surrogare rigidità e leggerezza del carbonio, con i relativi costi di approvvigionamento e modellazione/trasformazione;
-b) La conversione produttiva e la convergenza in sostituzione del Carbonio con Kevlar, Nomex ed altri compositi persino più costosi del carbonio stesso;
-c) La applicazione diffusa di materiali plastici in via di definizione e sintesi chimica ed industriale, con tuttavia problemi analoghi come per il punto b di maggior dispendio energetico e finanziario per la produzione, maggior impatto ambientale delle lavorazioni ed identiche incognite di riciclo a fine vita. E poi, per ridurre l’impronta di carbonio della produzione di fibra di carbonio, i ricercatori stanno esplorando metodi per:
Utilizzare la CO2 atmosferica come fonte di carbonio
Recuperare e ricircolare il calore
Utilizzare bruciatori elettrici
Ridurre il flusso d’aria
Bella idea, bel colpo di genio, illustri europarlamentari della Domenica.