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Tanti auguri UNRAE: 75 anni sull’ottovolante del mercato Auto

Chissà com’era l’Italia del 1950: chiedilo a chi è nato almeno nel 1945, mi suggerite? 

Potrebbe essere un’idea nella rievocazione che voglio fare. Perché di certo il mondo auto del 1950 era davvero un mondo a parte rispetto ad oggi, in Italia. 

La voglia di mobilità e l’esigenza di professionale nell’uso dell’auto erano la spinta a sacrifici enormi, visto che la più accessibile di tutte le utilitarie nazionali dell’epoca – la Fiat 500 Topolino – costava quasi due anni di stipendio di un operaio generico, benchè Fiat avesse in pancia la “SAVA” (a proposito di anniversari, ha appena compiuto un secolo pieno) che con un piano rateale garantito a cambiali permetteva a tanti di accedere all’auto dei propri sogni.

In quell’epoca il concetto di “concorrenza estera” era davvero una categoria dello spirito, benchè di Costruttori interessati all’italia ce ne erano parecchi. 

Citroen (che aveva comprato direttamente da Nicola Romeo un pezzo di terreno del Portello per creare la sua filiale), Opel, Austin Morris, Volkswagen e pochi altri i veri capisaldi della presenza straniera in Italia: prima di fondare Autogerma nel 1954 “herrGerhard Gumpert” importava il Maggiolino a proprio nome già in quel periodo.

 

C’era già un nome come Koelliker, pensate, ma l’Industria italiana produceva circa 150.000 auto per uso privato all’anno perché il mezzo più alla portata era la Vespa oppure la derivazione a tre ruote Ape.

In questo panorama il 24 Novembre del 1950, mentre il numero di auto estere immatricolate ammontava per quell’anno fiscale a poco più di un centinaio, si incontrano presso lo Studio del Notaio Giovanni Grassi in Roma dieci personaggi già importanti nel contesto dell’Automobile in Italia:

tra nomi praticamente da sempre noti al pubblico automobilista attento alla evoluzione del mercato (Paolo Borghese, titolare del celeberrimo “Gruppo Motori Roma” e primo presidente della nuova associazione; Renato Bornigia, esponente importantissimo della Società romana – il cui figlio Giancarlo è tra i fondatori del “Piper”, il locale storico delle notti romane – che all’epoca già commercia in auto inglesi di lusso; Alfredo Fattori, che dal 1947 opera con “Fattori & Montani Company” come importatore di auto inglesi; Fernando Martorelli che già dal 1922 viene nominato importatore ufficiale ed esclusivo per l’Italia di Rolls Royce; ed infine Ernesto Nussbaum che da titolare del Gruppo Nussbaumforniva affermati e rinomati macchinari per autoriparazione e logistica Automotive) oltre a Gugliemo Bolla, Fred L.Cole, Giorgio Pieroni e Salazar Sarsfield viene fondata la “Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri” per rappresentare e tutelare il comparto degli operatori dell’Import e della Dealership di Marchi auto esteri in Italia.

LA SCELTA CORAGGIOSA

Una mossa rischiosa, per i Costruttori nazionali conservatori e avvezzi a quel moto di protezionismo sempre presente in Italia; in realtà una mossa che regala al mercato italiano quell’interesse internazionale che si concretizzerà negli anni con l’apertura a nuovi Player, all’incremento dell’interesse dei potenziali Clienti, alla crescita di occupazione e Know How. E che farà per tanti anni dell’Italia uno dei mercati di Serie A in Europa.

Oggi, appena trascorso il 24 Novembre del settantacinquesimo, sono 46 le Aziende associate all’UNRAE; fanno parte di una realtà economica che, direttamente o indirettamente, nella distribuzione e nell’assistenza, registra un fatturato di oltre 50 miliardi di euro e 160.000 occupati nelle circa 2.600 Concessionarie, 11.100 officine autorizzate e nelle Case Madri presenti in Italia. 

Nel nostro Paese le Case automobilistiche estere investono circa 10 miliardi per acquisti di componentistica e, attraverso le sedi italiane di Ricerca, Sviluppo e Design, 10,5 miliardi di euro per beni e servizi. 

Il punto di forza di UNRAE è la forza di rappresentanza ed interlocuzione politica ed istituzionale, la capacità di battere il pugno sul tavolo per difendere diritti ed interessi del settore; ma più sottilmente e costantemente UNRAE è anche sempre la fonte, anche per gli operatori come noi che divulgano e recensiscono anche le statistiche, i report e le analisi di mercato che l’Associazione rende sempre disponibili per capire meglio il mercato auto e le sue evoluzioni. Auguri, dunque, sperando di festeggiare i prossimi compleanni dentro un contesto un poco meno agitato del mercato auto.

Riccardo Bellumori

Bugatti dice addio al motore W16

La Bugatti Bolide è una supercar da pista molto costosa, prodotta in soli 40 esemplari. Questa settimana Bugatti ha annunciato di aver consegnato l’ultimo esemplare di Bolide al cliente. Ogni Bolide è costata al cliente non meno di 4 milioni di euro.

Bugatti ha presentato la Bolide per la prima volta nell’autunno del 2020 come concept car, mentre la versione di serie è stata presentata nell’estate del 2021. La messa a punto ingegneristica di questo modello è proseguita fino all’inizio del 2024, poi è iniziata la produzione manuale in piccola serie, che si è conclusa pochi giorni fa.

L’ultimo esemplare della Bolide ha una verniciatura bicolore: la parte inferiore scura di colore Black Blue e la parte superiore chiara di colore Special Blue Lyonnais ricordano al facoltoso proprietario di questa vettura un’altra Bugatti presente nel suo garage, la Type 35 da corsa della seconda metà degli anni ’20, che probabilmente vale anche più della Bolide.

Alcuni appassionati di Bugatti ritengono che la Bolide sia la versione da pista della supercar Bugatti Chiron, la cui produzione è terminata lo scorso anno, ma in realtà la Bolide ha preso in prestito dalla Chiron solo il motore W16, mentre la carrozzeria in fibra di carbonio e il telaio in stile racing sono propri, motivo per cui è stato necessario un ciclo di sviluppo completo.

IL MOTORE DEI SOGNI

Il motore W16 da 8,0 litri, dotato di quattro turbocompressori, della Bugatti Bolide eroga 1600 CV e 1600 Nm. Il cambio è un “automatico” a 7 marce con due frizioni, la trazione è permanente integrale. L’accelerazione da 0 a 100 km/h richiede 2,2 secondi, la velocità massima è limitata a 380 km/h. Il peso della supercar è di 1450 kg.

La Bugatti Bolide non ha stabilito alcun record, ma i suoi proprietari non sembrano preoccuparsene più di tanto, poiché per loro la Bolide ha un valore collezionistico anche senza record. Nel frattempo, Bugatti ha venduto volentieri la Bolide a tutti i principali giochi di corse automobilistiche per computer, quindi anche i giocatori più giovani la conoscono bene.

La BugattiBolide non è l’ultimo modello con motore W16: è ancora in produzione la supercar da strada Bugatti W16 Mistral (tiratura limitata a 99 esemplari), che è proprio un derivato del modello Chiron. A sua volta, sulla base della W16 Mistral è stata recentemente realizzata la Bugatti Brouillard, la prima di una nuova linea di supercar Bugatti uniche per collezionisti.

La nuova supercar base Bugatti nel prossimo decennio sarà la Tourbillon, la cui produzione inizierà il prossimo anno, con una tiratura di 250 esemplari e un prezzo a partire da 3,8 milioni di euro. La Bugatti Tourbillon è dotata di un propulsore ibrido plug-in, il cui componente principale è un motore V16 aspirato da 8,3 litri sviluppato da zero.

I clienti Bugatti attendono con impazienza che questo motore dal suono fantastico venga montato sulla nuova supercar da pista del marchio francese, ma per ora non c’è stata nemmeno l’annuncio di tale supercar.

Nuova Toyota GR GT 2026: la Supercar in Anteprima

Al Japan Mobility Show (JMS) di quest’anno, Toyota ha annunciato che presenterà la sua nuova supercar con marchio GR il 5 dicembre 2025, con un debutto pubblico previsto per il Tokyo Auto Salon del prossimo anno. La futura ammiraglia della marca, che si chiamerà GR GT, è stata anticipata in uno spot pubblicitario trasmesso di recente in Giappone.

Nel video, ci viene prima presentata la 2000GT e il suo motore a sei cilindri in linea, prima che venga superata da una Lexus LFA, quest’ultima con il suo rombante V10. Segue poi la GR GT senza alcuna camuffatura e la scritta “The Soul Lives On” (L’anima vive), seguita da un promemoria della data di debutto del 5 dicembre e da una ripresa posteriore della supercar.

La GR GT è stata anticipata dalla GT Concept, con un prototipo camuffato che ha partecipato al Goodwood Festival of Speed di luglio di quest’anno. L’evento ha visto anche la partecipazione alla famosa cronoscalata della GT Racing Concept, incentrata sul motorsport e anticipata dalla GR GT3 Concept.

LA SUPERSPORTIVA

Schiarendo le immagini del video, è possibile distinguere alcuni dettagli della GR GT, come il cofano ventilato e le prese d’aria laterali montate in alto che richiamano la LFA. I fari LED aggressivi con luci diurne integrate a forma di L ricordano quelli della GR86, mentre altri dettagli sono la griglia sottile, le grandi prese d’aria anteriori e il cofano lungo e scolpito.

Per quanto riguarda la vista posteriore, i fanali a tutta larghezza sono affiancati da grandi prese d’aria, spalle larghe e uno spoiler integrato a coda d’anatra. I tubi di scarico non sono visibili, anche se secondo quanto riportato saranno integrati nel diffusore (la versione da gara avrà invece scarichi laterali).

IL PROGETTO

Non abbiamo immagini degli interni nello spot, ma il livestream ufficiale dell’evento di Goodwood ha mostrato un grande display di infotainment posizionato sopra una fila di comandi fisici. L’abitacolo del prototipo è un mix di pelle rossa e Alcantara, con il materiale in pelle utilizzato per l’imbottitura dei sedili avvolgenti in fibra di carbonio.

Per quanto riguarda il propulsore, la GR GT avrà un nuovo V8 biturbo che dovrebbe beneficiare dell’assistenza ibrida. Questo sistema dovrebbe anche essere rimesso a punto per essere utilizzato nella versione di produzione della Lexus Sport Concept che ha fatto il suo debutto al The Quail, un evento motoristico tenutosi ad agosto, e che è apparsa anche al JMS.

Record di vendite per BYD in Europa: crolla il Diesel

Le case automobilistiche cinesi continuano ad accelerare la loro presenza in Europa, conquistando costantemente una fetta sempre più ampia del mercato. Un tempo considerate operatori di nicchia, ora rappresentano il 6,8% delle vendite totali europee nel mese di ottobre, con colossi come SAIC e BYD in testa alla classifica, mentre lo slancio di Tesla vacilla.

Solo in quel mese, circa 75.000 veicoli di marchi cinesi sono stati venduti nell’Unione Europea, nel Regno Unito e nei paesi dell’EFTA, che includono Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

SAIC ha goduto di un mese particolarmente forte, con vendite che sono passate da 17.552 nell’ottobre dello scorso anno a 23.860 nell’ottobre di quest’anno. Nel periodo gennaio-ottobre, le sue vendite sono aumentate del 26,6%, passando da 197.686 a 250.250 unità.

Anche BYD sta godendo di un aumento della domanda e ha quasi triplicato le vendite di Tesla. A ottobre, l’azienda ha venduto un totale di 17.470 veicoli in tutta la regione, con un aumento del 206,8% rispetto alle 5.695 unità dello scorso ottobre. Da inizio anno, le sue vendite sono aumentate di un monumentale 285%, passando da 35.949 a 138.390 unità.

BYD ha venduto quasi tre volte più auto di Tesla in Europa
Le cose non sembrano andare molto bene per Tesla. A ottobre, le sue vendite in Europa sono scese del 48,5% da 13.519 unità nello stesso mese dell’anno scorso a sole 6.964 nel 2025. Ciò significa che è rimasta indietro persino rispetto a Porsche, che ha registrato un calo delle vendite del 26% ma ha comunque superato Tesla con 7.653 vendite. Nei primi dieci mesi dell’anno, le vendite locali del marchio americano sono diminuite del 29,6%, attestandosi a 180.688 unità.

Tra le auto nuove vendute dai marchi cinesi nella regione nel mese di ottobre, il 36% era costituito da veicoli elettrici a batteria. Tra questi, la piccola BYD Dolphin è stata la più venduta.

Vendite di auto nuove nell’UE + EFTA + Regno Unito

I NUMERI DA RECORD

In tutta Europa, le immatricolazioni di auto nuove sono aumentate dell’1,4%, con i veicoli elettrici a batteria che ora detengono una quota del 16,4%.

Nei primi dieci mesi del 2025, sono state immatricolate 1.473.447 nuove auto elettriche a batteria in tutta l’UE. Questa crescita è dovuta in gran parte ai quattro mercati più grandi, tra cui Germania (+39,4%), Belgio (+10,6%), Paesi Bassi (+6,6%) e Francia (+5,3%), che insieme rappresentano il 62% del totale. Solo nel mese di ottobre, le immatricolazioni di veicoli elettrici a batteria sono aumentate del 38,6% rispetto all’anno precedente.

Le auto ibride elettriche continuano a dominare come propulsione più popolare, con una quota di mercato del 34,6%. Tra gennaio e ottobre 2025, le immatricolazioni hanno raggiunto le 3.109.362 unità, guidate da Spagna (+27,1%), Francia (+26,3%), Germania (+10,3%) e Italia (+8,9%).

BYD ha venduto quasi tre volte più auto di Tesla in Europa
Anche le ibride plug-in sono in crescita, con un totale di 819.201 immatricolazioni, pari a un aumento del 43,2% rispetto allo scorso anno. La domanda è stata particolarmente forte in Spagna (+109,6%), Italia (+76,5%) e Germania (+63,4%). Le auto ibride plug-in rappresentano ora il 9,1% di tutte le immatricolazioni nell’UE, in aumento rispetto al 7% di un anno fa.

Le auto a benzina detengono ancora il 27,4% del mercato, anche se la loro quota è scesa dal 34% dello scorso anno, poiché le vendite di auto a combustione continuano a contrarsi. Fino a ottobre, le immatricolazioni di auto a benzina sono diminuite del 18,3% nei principali mercati, con un calo del 32,3% in Francia, del 22,5% in Germania, del 16,9% in Italia e del 13,7% in Spagna.

Anche il diesel continua la sua tendenza al ribasso, con una contrazione del 24,5% e una quota di mercato del 9,2%.

Opel Ascona 400 Gruppo B: l’ultimo Paradiso della Classe Operaia nei Rally

Che anni incredibili per le Gare automobilistiche, quelli a cavallo tra Settanta ed Ottanta: la TV che diventa imperante, le immagini a disposizione di ogni Tubo catodico familiare con Gare domenicali sul Satellite, approfondimenti settimanali di mamma RAI e delle prime Reti Private, senza dimenticare il tam tam informativo che veniva dalle Riviste e dalla Stampa specializzata. 

Eppure, a ben vedere, la specialità che dai primi anni Settanta alla sua fine ha avuto un vero boom di interesse commerciale, finanziario e mediatico è stata quella dei Rally ancora di più della Formula Uno. Per poi diventare, il mondo delle gare tutte controsterzi e polvere, un must irrinunciabile dei media dagli anni Ottanta.

Perché se c’è stato un motore fortissimo nell’interesse commerciale dei potenziali Clienti in tema di acquisto auto, questo è stato il connubio tra l’auto del Signor Rossi parcheggiata accanto al marciapiede di una strada pubblica, e la corrispondente (od evocativa) versione speciale omologata per le Gare che le telecamere ed i teleobbiettivi di mezzo mondo riprendevano in primo piano ad attraversare il Colle del Turini a Montecarlo, oppure un guado africano nel Safari Rally, lo sterrato fatto di brulle pietre dell’Akropolis Rally in Grecia fino a chiudere il cerchio con l’asfalto traditore della Corsica.

La grande riorganizzazione che la Federazione Internazionale (FIA) aveva fatto nelle categorie di auto autorizzate a competere (i “Gruppi”) era in questo senso pensata appositamente per dare più chances ai modelli di produzione stradale impiegati nelle Competizioni. Perché a parte i Gruppi “3” (fondamentalmente la Classe di appartenenza delle più esclusive Gran Turismo a tiratura limitatissima) e “4” (cioè le vetture derivate dalla Serie ma talmente elaborate da aver bisogno per la omologazione di un lotto molto ristretto di repliche identiche), i restanti Gruppi “1” (vetture strettamente di serie) e “2” davano davvero la formula piena di quella identificazione tra automobilista comune e Campioni del Mondo. 

Per carità: non che vedere, per gli appassionati, una “Pantera De Tomaso” Gruppo 3 oppure una “Lancia Stratos” Gruppo 4 a correre fosse una cosa disdicevole; ma era talmente “lunare” ed impossibile il rapporto diretto tra quei mostri speciali e l’uomo della strada che in quel caso l’attenzione ed la simbiosi erano tra il Marchio e l’automobilista appassionato dello stesso. 

Eppure, anche nel Gruppo “4” in esercizio pieno ed ufficiale tra il 1963 ed il 31 Dicembre del 1981 (dopo, con la nascita del “Gruppo B” dal 1982 il vecchio “4” sarà ammesso in parziale coabitazione per poco tempo) c’erano delle vere e proprie “icòne popolari” che meritano di essere ricordate. 

Ricordate il titolo di un vecchio libro: “La Classe operaia va in Paradiso”? Ecco, questa è la storia dell’ultima Auto per la classe Operaia, o perlomeno per i “Workers” che tra anni Settanta ed inizio anni Ottanta facevano sacrifici per acquistarla, per avere la soddisfazione sfogliando il giornale o scorrendo i canali della TV di sentirsi in vetta al mondo, di essere riconosciuti da tutti. Questa è la storia dell’ultima vera auto popolare uguale a sé stessa – nella produzione di serie – capace di vincere un Titolo Mondiale in mezzo ad una concorrenza di Supercar. 

Le “auto del Popolo” contro le astronavi da corsa nel Mondiale Rally

In particolare anche in quell’inizio di anni Ottanta – ormai decennio votato alle esagerazioni tecnologiche di Turbocompressore, Trazione Integrale, motore posteriore centrale e materiali compositi e carbonio a go-go nei programmi dei Costruttori – nel quale la nostra eroina ha vinto ci sono state con lei due sole altre auto davvero popolari che nella serie Stagionale 1980/1981/1982 si sono tolte la soddisfazione di salire sul tetto del mondo in un filotto unico ed irripetibile, poiché l’ultimo possibile nella storia, contro la serie di nuovi mostri tecnici e sportivi che via via scendevano in campo. 

Parlo di Fiat “131 Abarth”, Ford “Escort RS”, ed ovviamente “Opel Ascona 400”: certo, so bene che questo elenco si era regalato delle gioie anche nel decennio precedente, ma vorrei spiegare bene quel che intendo rievocare in questo pezzo.

Tra la metà degli anni Settanta e la sua fine sono in fondo due le “marziane” che irrompono nella scena internazionale dei Rally: la “Alpine Renault A110” e la “Lancia Stratos HF”, ad accompagnare una “marziana in incognito” che era comunque un bel mostro da Gara come la Porsche “911” (la “BMW M1” e la “Ferrari 308 GTB” arrivano dopo, vale la pena ricordare).

Non che, ho ricordato prima, non vi fosse un corollario continuativo o sporadico di presenze quasi ultraterrene: ma in fondo o la maggior parte era relegata nel Gruppo “3” (praticamente Gran Turismo di serie portate in Gara più spesso da Gentlemen Drivers) perché nel caso le eventuali Gruppo “4” erano riservate alla Pista; oppure si era trattato di semplici esperimenti in molti casi pubblicitari (Lotus Esprit, Ferrari “308 GT4”, Triumph “TR7”) che a parte poche apparizioni finirono presto nel limbo.

Certo, dal 1979 arriva la “Renault 5 Turbo” ma la sua è una storia che recupero alla fine di questo pezzo.

Ma alla fine il “grosso” della rappresentanza internazionale e massiva dei Costruttori era nella derivazione sportiva di Gruppo “2” o “4” di modelli così popolari e diffusi che, in taluni casi, faticheremmo ad immaginarne l’impiego sportivo anche all’epoca : le mastodontiche “Mercedes 450 SLC” ad esempio, o le “Volvo 242”; oppure la “Citroen SM Maserati”, la “Peugeot 504”; od all’opposto la paciosa “Volkswagen 412” che sostituiva il “Maggiolino” in attesa della “Golf”. 

Popolari e diffuse erano anche loro, le “131”/”Escort”/”Ascona”, portabandiera di tre Marchi che messi insieme valevano in tutta Europa, a cavallo tra anni Settanta ed Ottanta, fino al 35% del mercato auto; e per ognuna di loro quell’arco temporale rappresenta una specie di viatico: per Ford GB che in Europa ha ancora il ruolo di “Headquartier” nella presenza sportiva dell’Ovale, quel periodo è davvero nero perché a causa degli scioperi selvaggi che inchiodano l’Isola la gestione sportiva diretta è praticamente delegata ai diversi Preparatori; per Fiat invece la “131 Abarth” è una sorta di Jolly di ultima istanza dopo che per la sostituzione della “Stratos” si era attesa per troppo tempo la buona riuscita del progetto “X1/8” alias “Abarth 030”. 

Opel infine, Vi sembrerà strano, nel passaggio decennale tra Settanta ed Ottanta è tra i Marchi più impegnati nella disciplina dei Rally: pensate che è riuscita a produrre, elaborare ed omologare tra Gruppo “2” e “4” le versioni Coupè di Kadett, Ascona e Rekord/Commodore; praticamente tutta la Gamma degli anni Settanta a Russelheim (esclusa la imponente “Diplomat” che però è prodotta in pochissime unità residuali ed esclusa la di per sé sportiva “Manta”) ha una esponente per i Rally. 

Non ricordo alcun altro caso tra i Marchi cosiddetti “generalisti” ad eccezione di Saab, che in effetti porta in Gara sia la “96” che la “99” (e che magari molti di Voi non considerano “generalista”).

 

Dunque la “Ascona” è dentro casa in ottima compagnia, e probabilmente tra la “Kadett” sotto di Lei e la poderosa “Commodore” Coupè a sei cilindri sopra sembra quasi stretta dentro una morsa. 

Opel Ascona, dalle mezze maniche a tuta, casco, guanti

Ma come nasce la “Ascona” per i Rally? La storia parte da una vettura commercializzata largamente a tre volumi (anche se una rarissima versione “Voyage” con corpo vettura Coupè Wagon come la Ford Taunus rappresenta oggi il sogno proibito dei collezionisti) e che nella iconografia di Opel rappresenta l’auto per professionisti e Classe borghese, con quel disegno che scimmiotta molto le berlinone americane di mamma General Motors (non a caso Head of Design è quel Chuck Jordan che aveva concepito le Cadillac più iconiche). Così’ come era usuale per i Costruttori tedeschi affiancare alle 4/5 Porte quasi sempre anche le rispettive versioni 2/3 porte. 

All’epoca (il 1973) alla Kadett non mancavano certo i trofei, ma con la “Commodore” ormai fuori luogo in un contesto concorrenziale molto più contenuto negli ingombri la soluzione più razionale in termini di “muscolatura” oltre la Kadett non potè che essere nella sua “media” di Gamma che, per target di mercato, era una sorta di “crossover” paragonabile, rispetto alla concorrenza, al punto medio tra Ford Escort e Taunus o tra Fiat 131 e 132: insomma, non era certo mingherlina, ma con 4,32 mt. di lunghezza ed 1,67 di larghezza la Opel B (1977-1981)assemblata a Bochum (Stabilimento cessato da Stellantis nel 2021) era una perfetta media europea.

Ovviamente Vi chiederete perché Opel non abbia puntato allasportivissima “Manta” come portabandiera ufficiale, e la risposta per la maggior parte dei Costruttori generalisti la facciamo valere anche qui: non era abbastanza “generalisticamente iconica” per poter acciuffare attenzione ed identificazione del grande pubblico. All’epoca si ragionava ancora così. 

Opel vara e prepara l’allestimento/versione “SR” che inizia la sua carriera in ambito europeo e che con un giovane e già fortissimo Walter Rohrl in coppia con il copilota Jochen Berger vince il Campionato Europeo nel 1974: sei su otto Gare in calendario vinte, filotto record mai più eguagliato.

 

Ma gli exploit non finiscono qui: nel 1975, dentro il contesto micidiale del Rally Acropoli in Grecia (fatto di temperature infernali, terra brulla, radici di alberi che sporgono, strade acciottolate e persino le gimkane sull’asfalto delle strade che corrono dentro villaggi e paesi con le case ad un palmo dalle auto che sfrecciano), la coppia di assi Rohrl/Berger regala ad Opel la prima vittoria mondiale di sempre. 

Ma nel 1976 a Russelheim il Reparto sportivo sta già organizzando il “dopo”. Che prende le forme di una Gruppo 4 nel quale l’unico “must” classico e tradizionalista rimane quello di un modello di grande serie. La scelta ricade nella Opel Ascona “B” (serie successiva, cioè) a due porte, alla cui forma che per l’epoca è davvero azzeccata lavora un team di veri maghi della matita: Chuck Jordan, Dave Holls, Jean-François Venet, Erhard Schnell, George Gallion, Albertus Johannes Holsheimer, Walter Bickelhaupt, Tsutomu Aoto, Hans Krot, Adam Schwab, Heinrich Spickert, Günther Coldewey, Theo Neidert, Hans Hermann Paegelow.

Dentro una linea davvero ben fatta la Opel ha deciso di mettere un motore davvero speciale, elaborato nientemeno che dalla Cosworth: la fornitrice (o per meglio dire la bandiera) sportiva dell’odiatissimo (da Opel) Marchio Ford; ma, per capirci, sottolineo che Cosworth guida la Opel dentro un motore…..che non esisteva fino a quel momento. O meglio, esisteva solo nella sua “maquette” di riferimento con l’alimentazione a Gasolio, ed il suo monoblocco è stato la base per la nuova architettura. 

E’ il 2400 cc. quattro cilindri aspirato, 16 Valvole DOHC, con due carburatori Weber 48 a doppio corpo. Roba del genere in Opel non si era mai vista. Nella serie di 400 unità targate necessarie alla omologazione in Gruppo “4” la potenza arriva al massimo a 150 cv. La versione da Gara con le marmitte ed il filtro aria in meno e con tanto pepe in più arriva a 240 cavalli. 

 

Siamo nel 1979, e la “Ascona” si presenta alla ribalta mondiale vincendo il Rally di Svezia con l’equipaggio Kullang – Berglund nell’anno in cui la “rivale” elettiva Ford vince però il Titolo con la Escort “RS” e Bijorn Waldegaard al volante. Inizia quel duello a distanza che tutti attendono e che appartiene all’iconografia dell’epoca. Nel 1980 Waldegaard approda alla Mercedes insieme ad Hannu Mikkola (altro finlandese straordinario) mentre Walter Rohrl aveva già lasciato Opel per approdare alla Fiat con cui vince, sulla “131 Abarth” il Titolo Mondiale Piloti di quella Stagione.

Opel Ascona 400: il numero della Bestia per segnare un destino vincente?

La Opel, quell’anno, accumula esperienza per la sua “Gruppo 4” che promette già di fare il diavolo a quattro fin dalla sua omologazione

In pochi sanno infatti che la “fiche” di Gruppo 4 rilasciata dalla FIA è la numero “666” del 2 Novembre 1979. Il numero della Bestia nel giorno dei Defunti: sembra quasi un destino esoterico quello della berlina di Russelheim che in tutta Europa ed in Italia è diffusissima, oggetto di un interesse e di un gradimento che la rende ricercata sia per la flessibilità nella gamma motori (parte da un pacioso 1200 cc per arrivare molto in alto) sia per la cura di costruzione ed allestimenti (ottima auto da lavoro ma anche da rappresentanza e per il tempo libero) ed infine azzeccata nel posizionamento: superiore alla Escort e di poco più voluminosa della “131” è comunque più piccola e pratica di “Taunus” e “132”.

Il 1981 è una stagione davvero particolare, in tutti i sensi: arriva il mostro epocale “Audi Quattro” ed il primo Rally di Stagione, il Montecarlo, è vinto dalla Renault “5 Turbo” di Jean Ragnotti. Alla Fiat hanno perso il Campione del Mondo Rohrl che ha ceduto alle lusinghe di Mercedes, la quale rappresenta uno degli exploit imprevedibili della Stagione 1980: la monumentale “SLC 450” è stata la Regina d’Africa e a furia di piazzamenti ha chiuso il Titolo Costruttori al Quarto posto, ma è arrivata tanto così dal record del Podio Iridato. Waldegaard e Mikkola però sono andati via, e Stoccarda ha chiamato due vere superstar: Rohrl e Vatanen sono chiamati a fare il miracolo. Sembra incredibile, ma basta che entrambi, al Montecarlo, dicano chiaramente che la “450 SLC” è perfetta in Africa e Grecia, scadente sulla neve ed inutile sull’asfalto; e basta che la Audi Quattro dell’ex Mikkola faccia vedere con che tempi percorre le tappe innevate del Rally monegasco, per convincere seduta stante la Mercedes ad abbandonare il carrozzone ed a lasciare disoccupati, “quasi liberi” e con tutto l’ingaggio pagato per il 1981 i suoi gioielli. Per fortuna Ari Vatanen è più libero di accordarsi con il vecchio amico e mago preparatore David Sutton e la Ford Escort Rothmans Campionessa mondiale Piloti 1981 è la sua. Dividerà l’Iride con la Talbot Sumbeam Lotus Campione del Mondo Costruttori.

Per Walter Rohrl questioni di diritti di immagine e forse la voglia di una sorta di “anno sabbatico” (della serie “ci è toccato così, facciamocene una ragione”) comportano per il tedesco una misura “tampone” con la Porsche 924 Carrera che un Team assistito dall’altro Marchio di Stoccarda porta in Gara tra Europeo e Mondiale. In quel 1981 la “Ascona 400” si difende comunque bene al Mondiale ed all’Europeo ma vince la simbolica corona di alloro per il maggior numero di Titoli nazionali vinti.

Ed eccoci al 1982. La FIA rimpiazza il Gruppo “1” con il Gruppo “N” concettualmente identico; trasforma in Gruppo “A” il Gruppo “2” e raggruppa i vecchi Gruppi “3”, “4”, e “5” nel Gruppo B: significa almeno 200 esemplari costruiti e targati identici al modello da Gara. Una Stagione davvero leggendaria questa del 1982: scompaiono auto del rango di Talbot Sumbeam, Triumph, Saab, Volvo; Porsche presenta la sua storica “911” in Gruppo B e la stessa cosa fa Renault con la “5 Turbo”; e si iniziano a vedere i giapponesi per tutta la Stagione e non solo alle latitudini africane o britanniche.

La Fiat forse fa il passo meno prevedibile, anche per Corso Marconi: pensiona anticipatamente una “131 Abarth” ancora bella arzilla, ma lo fa perché cerca di aderire in pieno ed in prospettiva al nuovo Regolamento. 

Si dice che Torino pensi ad una Super Ritmo Gruppo B, e forse addirittura agli uffici di Mirafiori qualche estimatore del Cavallino vorrebbe dare una “Chance”  alla “308 GTB” Vice Campionessa europea; ma alla fine prevale la linea del nuovo uomo forte di casa Fiat, cioè Vittorio Ghidella. 

Alla Autobianchi A112 Abarth va l’incarico di icona del Gruppo N, alla Ritmo Abarth va il ruolo di portabandiera nel Gruppo A, mentre se la Ferrari non vuole scocciatori torinesi in F1 si deve rassegnare a non scocciare nei Rally l’unica rappresentante designata. Cioè la Lancia che nel 1981 appena trascorso ha regalato a tutto il Gruppo Fiat il Mondiale Marche con la Montecarlo Turbo dalla cui cellula nasce la “037” che debutta in fortissimo ritardo “buttando via” una Stagione intera. Stagione che butta via anche Ford: la “Escort RS” è ormai veterosportiva, serve un ricambio e però ad un passo dal lancio della “Escort RS 1700 Turbo Gruppo B” nel 1983 qualcosa si blocca. Arriva l’input per il programma “RS200” che per Ford sarà gioia e dolore. Forse più il secondo.

Mondiale Rally 1982, sulla Ascona torna il Campionissimo Rohrl

Ed Opel? Opel è la vera rivelazione di quel 1982:Vi assicuro, anche se avevo solo dodici anni, che quasi nessuno la dava per favorita all’inizio. 

Vero, manca anche il Gruppo PSA ed in tandem con Ford in pratica le due Campionesse 1981 si sono autopensionate in un modo o nell’altro. L’attesa vira allora per le nuove debuttanti di Gruppo B all’orizzonte, e si pensa ad una sorpresa dell’ultimora di Gruppo Fiat (che inizia la Stagione al “Monte” con delle originali Lancia “Beta HPE” Gruppo N) e di Peugeot (che stava testando un prototipo della “305”) ma all’alba della Stagione il favore è per un confronto diretto ma già molto squilibrato in premessa tra Renault 5 Turbo ed il panzer Audi Quattro. 

Pochi vedevano nella Ascona 400 (nuova nella bellissima livrea Rothmans e nuova di ri-omologazione in Gruppo B) una papabile per i due Titoli mondiali. Certo, scorrere la serie di nomi chiamati da Russelheim per difendere i colori di Squadra fa ancora effetto: torna il Re Walter Rohrl e poco dopo arriva l’altro Re, Ari Vatanen, che da campione 1981 certifica il “non pervenuto” da Ford lasciando la Escort RS per la Ascona a Mondiale avanzato.

Mettete due Top Driver come il “vecchio” Jimmy Mc Rae ed il nuovo Henri Toivonen, e il poker di assi è servito.

Per inciso, lo Sponsor Rothmans (con una livrea che rende la Ascona 400 una strafiga) evidentemente porta bene, visto che segna una insolita doppietta sul Titolo Piloti nel 1981 e nel 1982.

Certo: il 31/12/1981 vi addormentate con il dominio delle due auto più forti del Mondiale appena terminato: la Ford Escort RS1800 Mk2 del 1979 Gr.4 (1800 cc, 205 Cv, 1010 Kg.) e la Talbot Sumbeam Lotus Gr.2 (2200 cc, 230 Cv, 945 Kg); dopo il Veglione di Capodanno Vi svegliate il giorno dopo, ed improvvisamente non solo quelle due auto ma persino una Renault 5 Turbo (1.400 cc per 265 Cv e 980 Kg) sembra una carriola di fronte al “mostro” Audi Quattro Coupè (4WD, 2100 cc Turbo, 1230 Kg. con 350 cavalli). 

Cosa potrebbe opporre la due porte tre Volumi del Signor Rossi con il suo 2.400 aspirato e la trazione posteriore con classico motore davanti? La solidità. La prima qualità della Ascona: non si rompe mai! 

Quasi impossibile per Lei, come per Audi Quattro, corrispondere all’ottimale rapporto che lega pesi minimi e cubature (ad es: da 1000cc a 1400 cc peso 700 Kg; da 2500cc a 3000cc 1020 Kg; e tra 3500cc e 4000cc 1180 Kg. e così via) che sarà più conforme alle nuove Gruppo B come Lancia 037 e Peugeot 205 T16; ma comunque in quel 1982 si combattono diverse “Guerre dei Mondi” che ci piace raccontare in un Mondiale che apre i suoi diversi “Stargate” tra passato e futuro. Un uomo contro una donna, Germania contro Francia ed in parallelo la guerra tra vecchia e nuova Baviera (Russelheim contro Ingolstadt); auto classica contro Turbo e 4×4. Che confronto, ragazzi!

Nel Mondiale Rally il calendario 1982 vede il taglio del Rally di Argentina per la guerra nelle Falkland, e dunque nelle 11 Gare residue si preannuncia un elenco di almeno 4 Rallyes nettamente favorevoli all’Audi (Montecarlo e Svezia sotto la neve, il 1000 Laghi in Finlandia misto “neve-sterrato”, oltre a Rac Rally in mezzo al fango sono decisamente disegnati per un “panzer” 4wd come la Quattro).

Rimangono altri 7 Rally, dei quali solo quattro neutrali sia perchèapertamente ostili alle misure “oversize” della Coupè tedesca (Rally della Corsica e Rally del Portogallo) oppure perché aperti a tutte le opzioni come Sanremo e Akropolis Rally; ed infine almeno residui tre – Safari, Costa d’Avorio e Brasile – “atipici” perchè tradizionalmente favorevoli alle Case giapponesi od alle Outsider. Insomma, 4 a 4 tra Audi contro Opel, Renault ed il resto del mondo: palla al centro, inizia il Mondiale Rally della leggenda.

Mondiale 1982: Marte contro Venere, Potenza contro costanza

Tuttavia, per parlare della concorrenza alla Audi Quattro, è significativo dire che in effetti, all’esordio di quel 1982, il problema è che la “concorrenza” apparentemente non esiste: contro la prima della classe, la Quattro nata nel 1980, si oppongono per prime le Gruppo B Renault 5 Turbo e Datsun Silvia ri-omologate nella metà dell’anno in Gruppo B come la Opel.

Ed in attesa della concorrenza residua (Ford, Toyota, Mitsubishi, Subaru, Peugeot tutta in arrivo dopo il 1983), a fare i conti con la belva tedesca sono modelli databili tra il 1977 ed il 1980 (Ford Escort, Porsche 911, BMW M1, Ferrari 308 GTB e le altre giapponesi).

Incredibile a dire, però, la Laurea di quella stagione il biondo Walter la declina al MonteCarlo, che sembrava preda facile per Ingolstadt : sotto la neve invece la vecchia e classica Opel Ascona 400 vince sull’Audi Quattro (seconda con Stig Blomqvist) e la cosa sembra surreale, oltre ad una rivalsa sul destino: i colletti bianchi di Mercedes Benz solo un anno prima avevano appiedato Walter ed Ari Vatanen sulla suggestione di una umiliazione in arrivo dalla storica concorrente a quattro anelli proprio al Montecarlo. 

Grazie a quella defenestrazione sia Ari che Walter si incoronano Campioni del Mondo consecutivamente, tornando nel 1982 Compagni di Squadra anche se Vatanen disputa solo quattro rally con la Opel ed il suo unico risultato straordinario (secondo al Rally di Svezia) lo ottiene sulla “vecchia” Escort. Ma Ari sarà il capitano dell’ultimo anno di vita sportiva della Ascona a cui regala una insperata ultima vittoria al Safari Rally. Che poi a conti fatti è l’ultima di quattro sole vittorie mondiali della berlina. 

Lo squadrone Audi non soffre certo crisi di identità contro il Team Opel: Mikkola, già recordman mondiale di vittorie al 1000 Laghi, il Rally di casa, si affianca ad un altro campione come Blomqvist, ed i due sembrano già la coppia da battere. 

Peccato però aver sottovalutato una giovane ragazza pilota, Miss Michèle Mouton: alla lunga, nel Mondiale 1982, sarà lei (proveniente da 5 anni di Rally mondiali con una squadra privata, più due anni di Fiat France) a siglare il primo record di quella stagione: è lei ad aver collezionato più vittorie assolute in Stagione: 3 centri contro le due “sole” sia di Rohrl che di Mikkolae Blomqvist.

Perché per vincere il Mondiale Piloti 1982 Walter Rohrl – che nel 1980 aveva stracciato tutti con quattro vittorie su 12 appuntamenti di calendario, nessuno come lui in quella stagione – si mette a fare la “formichina”. Decide di lavorare ai fianchi la concorrenza sull’unico neo della Quattro che in realtà è risorsa vincente per Opel: l’affidabilità; quella “Quattro”, come alcuni Campioni imbattibili, ha davvero troppi muscoli per non rischiare anche troppi infortuni. Problema sconosciuto alla proletaria ed essenziale Ascona che infatti fa centro anche dove le europee di solito toppano, nelle distese africane.

La differenza in quel Mondiale Piloti la fanno i piazzamenti totali in zona Podio: Michelle lo consegue solo quattro volte contro le otto di Rohrl; e complessivamente, sempre rimanendo in zona Podio, il team Rothmans garantisce a Rohrl e Toivonen ben 11 piazzamenti tra 1° e 3° posto, alla pari con gli 11 complessivi del terzetto Mikkola/Blomqvist/Mouton che tuttavia garantiscono al 95% con il rendimento di Stagione, il Titolo Costruttori per Audi. Ma con la sua resistenza la Ascona di tanti “Signori Rossi” raggiunge il Paradiso……anche per la Classe Operaia. Ed in fondo la giusta cabala sportiva si compie in quel 1982: Rohrl supera Michelle Mouton di appena 12 punti e l’Audi tiene dietro la Opel nel Costruttori di altrettanti 12 punti, ma in entrambi i casi il duo di testa straccia gli avversari: il primo dei “Non” Audi od Opel tra i Piloti (Per Eklund quarto con la Toyota) ed il primo Costruttore dopo Audi ed Opel, cioè la Nissan, sommano un divario di punti abissale. 

La vecchia Signora operaia di Russelheim si dimostra ancora di più, numeri alla mano, la degna e più forte antagonista del nuovo bulldozer della scena mondiale dei Rally: Audi Quattro che, dal 1983, mette mano ad una gran parte dei suoi problemi di fragilità e diventa davvero imbattibile. Mentre la Ascona, vincendo il Safari Rally con l’equipaggio Vatanen – Harryman segna il suo canto del cigno: al RAC – Lombard Rally di fine Stagione dello stesso 1983 si compie in diretta la successione: Jimmy Mc Rae è terzo con la nuova Manta 400 Gruppo B. L’operaia va in pensione, da vera Regina: sarà l’ultima “proletaria” a vincere nella storia del Mondiale Rally contro l’aristocrazia tecnologica delle Gruppo B.

Riccardo Bellumori

Suzuki Jimny torna disponibile in Australia

Gli australiani nutrono da tempo un grande affetto per la Suzuki Jimny, un fuoristrada compatto che è diventato una sorta di beniamino nazionale.

All’inizio di quest’anno, tuttavia, la versione a 3 porte è scomparsa silenziosamente dalla vendita dopo non aver soddisfatto i nuovi standard normativi.

Ora, sulla scia del lancio in Giappone di una versione leggermente rinnovata della Jimny, Suzuki ha confermato il ritorno in Australia del modello a passo corto, che presenta alcuni modesti miglioramenti in termini di tecnologia e caratteristiche di sicurezza.

La gamma Suzuki Jimny 2026 sarà disponibile in due allestimenti familiari. Il modello base Lite ora è dotato di uno schermo infotainment da 7 pollici e finalmente perde il nostalgico lettore CD, mentre il Jimny standard passa a un display più grande da 9 pollici.

Lo schermo informativo da 4,2 pollici presente sul modello giapponese non è stato menzionato nel comunicato locale di Suzuki, quindi sembra che gli australiani potrebbero perdersi questo particolare aggiornamento.

IL SALTO DI QUALITÀ

Il resto del design esterno e interno rimane praticamente invariato. Tuttavia, il modello a 3 porte beneficia di sistemi di assistenza alla guida aggiornati, precedentemente limitati al modello più lungo a 5 porte.
Le nuove caratteristiche includono il sistema Dual Sensor Brake Support II, il Lane Departure Prevention, l’Adaptive Cruise Control e i sensori di parcheggio anteriori e posteriori.

Come prevedibile, non ci sono cambiamenti al telaio a longheroni o al motore aspirato a quattro cilindri da 1,5 litri, che genera 101 CV (75 kW / 102 PS). Gli acquirenti possono abbinarlo a un cambio manuale a cinque marce o a un cambio automatico a quattro marce, sempre collegato a un sistema 4WD part-time standard.

La popolarità della Jimny in Australia le ha conferito il valore residuo più alto tra tutti i SUV. Alcuni proprietari hanno persino realizzato un profitto vendendo esemplari usati, vista l’offerta limitata e le lunghe liste d’attesa.
Le consegne della Suzuki Jimny 3 porte aggiornata dovrebbero iniziare nel febbraio 2026. I prezzi prima delle spese di immatricolazione partono da 31.990 dollari australiani (equivalenti a 20.700 dollari USA al tasso di cambio attuale) per il modello base Lite, mentre la Jimny standard parte dallo stesso prezzo per la versione manuale o da 36.490 dollari australiani (23.600 dollari USA) per quella automatica.

Ciò segna un aumento di 2.000 dollari australiani (1.300 dollari USA) rispetto alla versione precedente, con Suzuki che punta sulla forte domanda e sulla mancanza di concorrenti diretti per giustificare l’aumento.

Nel frattempo, la Jimny a 5 porte, più lunga, continua a essere l’opzione più pratica per chi desidera un po’ di spazio in più senza perdere il fascino della Jimny.

Nuova Mercedes GLB 2026: Rendering Totale

Presto ci sarà il debutto della seconda generazione di uno dei crossover più compatti di Mercedes-Benz, e nei giorni scorsi sono state pubblicate online alcune foto spia dei prototipi, in parte senza camuffamento.

Il Mercedes GLB della prima e unica generazione è stato presentato nell’estate del 2019. Si colloca in una posizione intermedia tra i SUV GLA e GLC, e la sua caratteristica principale è l’abitacolo a sette posti con tre file di sedili. Nella primavera del 2023 il crossover ha subito un restyling programmato, mentre ora si prepara il debutto di una generazione completamente nuova. Un paio di settimane fa, la casa automobilistica ha svelato l’abitacolo della futura novità e, grazie alle foto dei prototipi di prova, abbiamo la possibilità di valutare le caratteristiche principali dell’aspetto esterno.

Rendering Kolesa.ru

MOTORI E DATI TECNICI

I prototipi immortalati dalle foto spia hanno proporzioni familiari, praticamente identiche all’attuale Mercedes GLB.

Tuttavia, il design sarà sostanzialmente diverso: nella parte anteriore appariranno fari con le caratteristiche luci di marcia a LED a tre raggi, che molto probabilmente saranno visivamente uniti da una striscia LED, come sulla nuova CLA. La griglia del radiatore sarà posizionata leggermente più in basso. Di lato, il nuovo GLB è facilmente riconoscibile grazie alle maniglie delle porte a scomparsa, presenti sulla maggior parte dei nuovi modelli dell’azienda, e alla diversa forma dei finestrini laterali. I finestrini stessi avranno un aspetto più moderno grazie ai montanti delle porte posteriori nascosti dietro i finestrini. La parte posteriore del SUV cambierà radicalmente: al posto dei fanali orizzontali ci saranno blocchi verticali, tra i quali si estenderà un inserto decorativo con una sottile striscia LED. La nicchia della targa si sposterà dal cofano del bagagliaio al paraurti posteriore.
La nuova Mercedes GLB sarà costruita sulla piattaforma MMA (Mercedes-Benz Modular Architecture), come la già citata CLA di terza generazione. Da quest’ultima sarà presa in prestito gran parte della dotazione tecnica, compresi i propulsori completamente elettrici. Uno di questi sarà dotato di un unico motore elettrico da 272 CV, mentre la versione top di gamma a trazione integrale con due motori elettrici avrà una potenza di 354 CV. Il crossover manterrà anche le tradizionali versioni con motori a combustione interna: si prevede che saranno versioni ibride con motore a quattro cilindri da 1,5 litri, batteria da 1,3 kWh, cambio a otto rapporti con doppia frizione e motore elettrico integrato. La potenza può raggiungere i 156 CV (280 Nm) o i 184 CV (330 Nm).
Il debutto della nuova Mercedes-Benz GLB è previsto per l’8 dicembre.

Nel frattempo, il mese scorso abbiamo parlato di una Classe S usata con carrozzeria W140.

Nuovo incubo Subprime dagli USA: travolgerà il settore Auto europeo?

Il titolo e fonte sono di per sé stessi allarmanti: la fonte è un sito denominato “NPL Confidential”, che si descrive ed è segnalato (in senso positivo) nelle diverse recensioni come “Piattaforma indipendente che fornisce giorno dopo giorno contenuti specializzati curati da un team esperto di giornalisti finanziari di buona reputazione”. 

Il titolo in Rete, pubblicato appena dieci giorni fa, è decisamente preoccupante: “ La prossima crisi dei “Prestiti Subprime” arriverà dalle automobili”. E non termina, questo titolo, con un punto interrogativo. E’ una affermazione  perentoria.

 

A poco meno di venti anni dalla esplosione del “SubprimeGate” (gli americani non lo chiamano così ma essendo un problema nato e cresciuto nella sola America non vedo perché i “Gate” laggiù dovrebbero essere solo quelli di provenienza estera) lo scandalo dei prestiti non garantiti nel settore immobiliare – che in verità a me è sempre apparso come un “preavviso” per una eventualmente più drammatica bolla creditizia già allora nel settore Auto – sembra avere ancora, ai giorni nostri, un seguito molto serio nel mondo delle quattro ruote a Stelle e Strisce.

Si trattò all’epoca di uno dei fallimenti più epocali per una Banca d’Affari: il 15 Settembre del 2008 Lehman Brothers invocava la protezione dal fallimento ex Chapter 11. Non vi riuscì a causa di una sovraesposizione debitoria causata dal crollo della marea di derivati che l’Istituto aveva in pancia indicizzati al mercato dei finanziamenti Subprime.

Il crollo di Lehman si legò all’epoca a quello di Fannie Mae (gergalizzazione di F.N.M.A. – Federal National MortgageAssociation), una Banca pubblica che dal 1999 – sotto la spinta “welfare oriented” di Clinton – aveva aumentato l’erogazione di Mutui a Clienti con basso titolo di merito creditizio; e di FreddieMac, altro soprannome di un Istituto Bancario a sua volta affondato dalla crisi delle insolvenze. Freddie Mae – rimasta pubblica – si è ristabilita al punto da essere diventata due anni fa la più grande azienda degli Stati Uniti e la quarta più grande del mondo, aveva cominciato tuttavia il suo crollo quando al crescere delle insolvenze dei mutuatari Subprime si era sommata la cessione di credit default swap (CDS) sugli stessi mutui, moltiplicando l’esposizione debitoria della Banca.

In quel frangente le Banche raccoglitrici sono state un veicolo di propagazione altissima di “contagio”. 

Il successivo Crack Lehman è stato il segno di questo “contagio” legato alla pioggia di cartolarizzazioni (ABS ed MBS) e di emissione di derivati per la raccolta di liquidità. Fu risparmiata solo la “AIG” (American International Group fondato da Cornelius Vander Star nel 1919 a Shangai) forse perché nel 2007 era stata eletta come sesta più grande società dalla rivista Forbes, solo un anno prima della sua quasi-bancarotta. Il governo americano decise così di farsi carico del salvataggio utilizzando fino a 182 miliardi in cambio del 92% delle azioni. 

 

L’epicentro del disastro finanziario per la compagnia è stato un ufficio situato a Londra che negli ultimi anni ’90 ha iniziato a negoziare massicciamente CDS che a causa del crollo degli MBS (Mortgage Backerd Securities, cioè Asset finanziari garantiti da mutui ipotecari) a causa delle insolvenze sono schizzati alle stelle.La crisi Subprime USA, va anche ammesso, parte dalla combinazione tossica di tre fattori: bolla del credito, sommata alla bolla immobiliare all’epoca in corso in America ed infine la politica monetaria della FED che durante il mandato di Clinton e Bush Jr. fu particolarmente larga di manica dalla fine degli anni Novanta. Bene, questo il quadro di quasi venti anni fa: ed oggi? 

Oggi, o meglio circa due mesi fa, succede che un grande Dealer di auto usate (e le dimensioni dei “grandi rivenditori” di Usato in America non sono propriamente come quelle di un Automercato sulla Via Salaria a Roma) si è nel tempo “arricchito” di sempre più numerosi Clienti che, per motivi di rischio creditizio, hanno avuto in questo Dealer l’estrema sponda per acquistare un’auto attraverso un finanziamento non garantito da asset oppure da cauzioni o fidejussioni. 

In pratica la “Tricolor Holding” (questo il nome del Rivenditore) ha esteso il suo portafogli Clienti a soggetti con un merito creditizio basso, bassissimo. Questa la definizione bancaria. Attenzione però: ho detto “Dealer” ma la definizione è in parte sbagliata, perché la realtà esatta è più preoccupante: Tricarico Holding ha in realtà accettato da un corposo Network di Rivenditori affiliati una mole di ordini di acquisto di auto usate ponendosi più correttamente nella posizione di “Terzo garante” con una azione di “cartolarizzazione” dei crediti incerti andando a reperire sul mercato compratori per questa ennesima ondata di finanziamenti “Subprime”. 

In verità la fine di Tricolor apre uno scenario improvviso, una sorta di faro acceso a livello di opinione pubblica mondiale poiché:

-Dopo la ferita ancora aperta del crack Lehman Brothers la parola “Subprime” fa venire ancora gli incubi;

– Una nuova eventuale crisi del credito avrebbe effetti devastanti perché impatterebbe in un mercato molto più povero e più chiuso di quello pre-2007;

– quel che è peggio, è che il fallimento Tricolor ha aperto il sipario su altri due casi precedenti su cui l’opinione pubblica era rimasta distratta;

– Last but not Least, a quanto ammontano in generale, ad oggi, i crediti “spazzatura” ? e l’insieme del credito Subprime in essere negli USA per il settore Automotive, a quanto ammonta in erogazione di nuovi ABS (Asset Backed Securities) ?

Cosa è accaduto a Tricolor Holding ovvero Tricolor Acceptancecon sede nel Delaware? Il gruppo (specializzato negli anni con la intermediazione e vendita auto e crediti alla vasta comunità ispanica – generalmente economicamente precaria – molto radicata nel sud Ovest degli Stati Uniti) sovrintendeva a 65 rivenditori in sei Stati lo scorso 10 Settembre ha presentato istanza di fallimento presso la sede del Texas del Tribunale fallimentare. 

Il 12 Settembre ovviamente S&P ha comunicato di aver emesso rating negativo su sei classi di titoli garantiti dai crediti automobilistici del Tricolor Auto Securitization TAST 2025-2. Ma per Tricolor la questione potrebbe farsi più pesante: il dubbio è che per ottenere più liquidità Tricolor abbia gonfiato il portafoglio delle attività (o meglio dei crediti sottoscritti) duplicando i contratti di vendita di auto. 

Prima di questo un Partner finanziario di Tricolor, la Fifth Third Bank, aveva denunciato la stessa Holding per una frode legata ad un maxi prestito di 200 milioni di Dollari, seguita da altre due Banche (Zions Bancorporation e Western Alliance). Non propriamente noccioline, ed il primo problema è stata la immediata piccola frana a Wall Street sui titoli legati alla finanza subprime, per seguire con appunto il faro acceso sul particolare settore creditizio: la CNN ha commissionato una propria ricerca ed ha lanciato la notizia un poco più ferale: il 6,5% di debitori per prestiti subprime diventerà un c.d. “cattivo pagatore” entro la fine di quest’anno anche a causa del costo supplementare caricato sulle rate di maxi interessi che sono gli stessi che come rendimenti ingolosiscono gli investitori che comprano i crediti cartolarizzati. 

Interessi e rendimenti che per effetto di questo fallimento pregiudizievole dovranno per forza salire- per rendere i conseguenti “ABS” interessanti da sottoscrivere, con un probabile effetto boomerang sugli incagli nel prossimo futuro. Gli analisti si difendono: ”l’attuale mercato Subprime è comunque piccolo rispetto al settore globale dei finanziamenti auto”; sarà vero, ma nel frattempo anche la platea ed i volumi di credito auto erogato si è ridotta rispetto a prima del 2007….E sulla attitudine degli investitori ad acquisire ABS indicizzati su Crediti Subprime, occorre capire se dopo il 2007 è davvero rimasta uguale. 

Ma appena aperta la persiana sul default di Tricolor e sul buffo da 200 milioni di Dollari, ecco rimbalzarne un altro: si tratta del famigerato “Chapter Eleven” (ricordate il caso Hertz?) invocato dalla PrimaLend Capital Partners di Plano (Texas) insieme a due affiliate per ottenere in pratica un regime giuridico di protezione dal fallimento, e dunque poter procedere alla ristrutturazione dei debiti attraverso cessioni, tagli e politiche di contenimento dei costi: parliamo in questo caso di debiti che superano le diverse centinaia di milioni di Dollari. 

Ma non basta: acceso il faro su Tricolor e PrimaLend, ecco aggiungersi la frana di First Brand del Michigan. E First Brand Group non è certo un pesce piccolo della Componentistica auto americana: nel corso degli ultimi anni ha percorso una politica di espansione ed acquisizione di diversi Suppliers del settore auto: tra il 2018 e lo scorso anno questo gli è costato 4 miliardi di Dollari finanziati con strumenti di rischio. A fine Settembre come in un effetto Domino anche First Brand ha dichiarato Bancarotta. E’ finita così la “scorribanda” dell’Indo-americano Patrick James che in quindici anni ha creato un Gruppo da 26.000 dipendenti e che vede il suo sogno affondare per un “buco” di 2 miliardi di Dollari.

Tre casi, un unico allarme: quale è la gravità del “buco”? Qui la mia decenza e onorabilità mi impone di fermarmi: definire e declinare le classificazioni e diverse categorie di debiti e passività non è alla mia portata, e spero a breve di poter articolare un confronto con figure professionali ad hoc per inquadrare la questione in modo adeguato. 

Di certo la tripla frana unita alle analisi di peggioramento delle condotte dei debitori, ma il tutto unito ad un periodo critico dell’auto sia in America che nel mondo occidentale, non fa tutto questo che aggravare gli allarmi. Gli Stati Uniti dell’Auto rischiano di chiudere l’anno con quattro problemi in pancia: uno è l’aumento immediato dei costi delle materie prime, dei semilavorati e delle parti di ricambio (ennesima idiozia di una Amministrazione Trump alla canna del Gas dal lato politico e del consenso, tassare le componenti associate alle auto con dazi diversi da quelli applicati alle auto…….) che i Costruttori, gli Autoriparatori ed i Suppliers statunitensi si sono trovati a pagare prima che – chissà quando – una nuova Supply Chain (magari tra USA ed India) possa rimpiazzare i canali classici di fornitura; a seguire la riduzione generalizzata dei margini ed il calo delle vendite del nuovo per finire con la possibile “bolla”legata al ritorno sul mercato dell’Usato di BEV sottoscritte in Leasing e Noleggio in piena era di incentivi del Governo Biden.

E dove si trova il centro del problema? Nelle cartolarizzazioni, negli ABS (Asset Backed Securities): infatti la trasformazione di crediti subprime in Asset Backed Securities avviene tramite la cartolarizzazione: i crediti vengono impacchettati, ceduti a una società veicolo (Special Purpose Vehicle – SPV) e trasformati in titoli negoziabili che vengono poi venduti agli investitori. In questo modo, l’istituzione originaria riceve liquidità immediata e scarica il rischio associato a quei crediti. In parole povere con le cartolarizzazioni si costruisce una nuova opportunità ad un rischio e si trasforma in possibile valore una esposizione anche molto forte di un creditore. Ne abbiamo già parlato, continueremo a parlarne. Per ora la vera notizia è che la parola “Subprime” è tornata a far paura.

Riccardo Bellumori