Giotto, la Targa, la Barchetta: favole a motore di mezzo secolo fa

Nella storia della civiltà rimangono – chissà perché – sempre le gesta dei grandi Generali, a danno spesso della memoria di degni Ufficiali che hanno condiviso la trincea e la polvere da sparo con i loro soldati.

Nella storia dell’Arte – allo stesso modo – per secoli abbiamo celebrato artisti protetti e pagati da illustri mecenàti, trascurando vicende come (ad esempio) quelle del Caravaggio che cedeva le sue tele per pagare gli affitti di una stanza, o dell’emblematica leggenda del pittore che per dipingere con il colore rosso – poiché terminato – si era dovuto tagliare un dito.

La bellezza più leggiadra a volte nasconde storie difficili, e momenti tristi tipici soprattutto dei grandi geni della storia, quelli destinati a segnare per primi le tracce seguite dagli altri.

Lui, Bizzarrini “il” Giotto – come affettuosamente lo ricordano o lo citano i suoi concittadini di Livorno – aveva l’indole dell’esploratore ed una tempra di acciaio che lo ha accompagnato sin qui, sino ai giorni nostri: la forza narrativa legata alla sua carriera di progettista e creatore segnata da vicende leggendarie è tornata da qualche tempo all’attenzione che merita anche perché, in una fase davvero sterile e opaca per il mondo dell’auto ed in un momento di mercato e di settore così povero di emozioni e di “bellezza”, può davvero fare da contraltare positivo insieme alla esplosione di sensi emozionali (e di quotazioni nel mercato collezionistico) che si genera alla visione e considerazione di tutte le sue creature a motore; al genio del “Giotto dell’Automobile” (come è stato definito in un bellissimo evento dedicatogli tempo fa nella sua Livorno) dopo la fine del rapporto con la Ferrari sono riconducibili – tra le altre – le “Iso A3/C”; le “Bizzarrini 5300 GT Strada” e “1900 GT Europa“, per passare al 12 cilindri più iconico in casa Lamborghini, continuando con le Supercar “Iso Rivolta” di Bresso, dove Giotto ha prestato la sua opera come Consulente; passando infine per le “ASA 1000” GT e GTC.

Ma c’è ben altro, nella sua biografia, quanto a imprese da raccontare.

La storia dell’Auto segnata dagli anniversari di Giotto

Perchè quel che più sorprende, nella lunga attività dell’Ingegnere livornese, è la serie di difficoltà e sacrifici che si nascondono dietro realizzazioni meravigliose che neppure i Centri Stile e le Factory più organizzate del tempo erano riuscite a concepire e realizzare:

compie 60 anni la “Iso A3/C” abbozzata nelle sue linee basse e tese su una lavagnetta e sul tecnigrafo di Via Ippolito Nievo a Livorno, nel “garage/officina” della “Autostar” dove a malapena potevano stare due auto appaiate e dove ragazzi appassionati e talvolta alle prime armi hanno espresso tutto il loro talento come nelle antiche botteghe artigiane d’Arte;

come gli stessi anni compiono la “Iso A3/L” (realizzata però a Bresso nella factory del Commendatore Renzo, che voleva sedersi sulle sue Supercar tenendo il cappello ben calcato sul capo), ed il più iconico motore Lamborghini – il 12 cilindri – che molti hanno definito “lo Chevy italiano” per la flessibilità ed adattamento all’uso più disparato dalle Supercar, ai prototipi, alla Nautica (celeberrimi i Lamborghini montati sull’iconica serie “Achilli Motors”) e persino sul primo Maxi Suv del mondo (la Lanborghini “LM002”).

Da quel 1963 che segna un debutto scoppiettante per la sua immagine di progettista e Consulente indipendente si delineano purtroppo strade e momenti altalenanti dove il genio dell’Ingegnere si infrange contro congiunture sfavorevoli e crisi gestionali della sua stessa Impresa.

Il momento più triste è ovviamente il 1968, quando la Società per Azioni fondata dal Bizzarrini Costruttore (che dall’allestimento ed impegno agonistico delle “Iso A3/C” con la “Prototipi Bizzarrini” per conto del Commendator Renzo Rivolta era passato alla costruzione diretta delle “5300 GT Strada” e delle altre spostandosi dagli spazi angusti di Via Lulli ad un vero e proprio Stabilimento su via della Padula, a Livorno era stata chiusa con provvedimento giudiziario. E comincia un lungo e ripetuto esodo, per Giotto e per la sua famiglia: un periodo di spostamenti e di trasferte legate alla necessità di ricostruire una base operativa e di prodotti, e di raccogliere e lavorare importanti commesse professionali.

Giotto si trasferisce infatti da Livorno a Torino dove in ballo c’è l’attività sulla AMX/3 (riproposta come “Sciabola” nell’allestimento marchiato direttamente Bizzarrini) e successivamente sulla “Iso Varedo” che dalla berlinetta della American Motors riprende quasi tutto a parte la linea di Ercole Spada; dopo di che fa ritorno nelle sue terre, nella zona di Castelnuovo della Misericordia (vicino Livorno, lungo una strada che per anni è stata sede di una Prova Speciale del Rally della Liburna).

Qui la sua creatività lo porta a proseguire su richiesta la linea delle Berlinette e GT del suo repertorio di Costruttore, e lo porta ad avviare una serie importante di progetti e consulenze tecniche (pochi ricordano ad esempio tra le altre la Francis Lombardi FL1 – Lancia); ma torna ad essere importante nell’opera di Bizzarrini a Castelnuovo anche l’interesse e l’impegno agonistico diretto.

Castelnuovo della Misericordia, l’avventura del genio continua

Chiaramente le disavventure amministrative e finanziarie appena passate non lo mettono in condizione, in quei primi anni Settanta, di finanziare, movimentare e dirigere una Squadra o Scuderia Corse come quella che con furgoni e bilico aveva portato persino a Le Mans o negli USA sia le “Iso” che le “Bizzarrini – Livorno”; però la passione resta ancora molto forte.

Detto più chiaramente, è un po’ tutta la nuova organizzazione logistica ed operativa di Giotto che deve fare i conti con risorse limitatissime ed apparecchiature e supporto tecnico molto basilari: quello che non manca al genio di Quercianella è di sicuro il suo talento inarrivabile, la capacità di costruire di tutto sulla base di una idea innovativa realizzata con poche risorse.

Il resto deriva soprattutto dalle sue stesse mani, perché a differenza di altri “capetti” del mondo dell’auto (come lui stesso definì molti Tecnici e manager), il nostro mitico Ingegnere gli dà dentro di frullino, saldatrice, piegatubi, spatole e ciuffi di fibra di vetro da impastare con le resine: le risorse tecniche scarseggiano, ma al suo fianco c’è una straordinaria famiglia che non lo lascia solo, con la figura monumentale della moglie Rosanna e dei due figli Giuseppe (il maggiore, neolaureato in Ingegneria) ed il più piccolo Pietro.

Da quel suo nuovo laboratorio di meraviglie a Castelnuovo della Misericordia prende anche vita un progetto poco noto, che proprio in questo 2023 arriva a compiere il suo cinquantesimo anniversario: la serie delle “Barchetta 128P”, davvero un esempio di genio e sregolatezza esemplare nel repertorio di Bizzarrini, ma anche un prodotto automobilistico “griffato” da una particolarità unica. Quella di potersi dichiarare “Made in Livorno” 100%, perché non solo è pensata e realizzata nel territorio, ma perché monta un motore progettato dall’altro livornese DOC Aurelio Lampredi di Ardenza, il 1300 cc. della “128” appena messa in commercio dalla Fiat. Anni prima che da Corso Marconi escano le celebri Fiat “X1/9” o “Lancia Montecarlo”, Giotto si orienta verso una architettura davvero insolita in quel taglio: il motore di una popolare “tutt’avanti” finisce su una piccola nuova sportiva con posizione centrale posteriore del quattro cilindri, una “Barchetta”.

Ancora più straordinario che la prima “128P” del 1971 – presentata al Salone di Torino del 1972 – sia davvero realizzata con il recupero massimo di quello che Giotto si ritrova in casa, perchè senza metterci davvero molta attenzione non ci si rende conto del piccolo miracolo realizzato.

Solo ad un occhio esperto infatti potrà risaltare che buona parte del cofano anteriore, le portiere ed i gusci parafango posteriori sono derivati da una “1900 GT Europa”, e questo fa capire quanta genialità vi era anche a Castelnuovo dove pur con attrezzature e risorse ridotte, “Barchetta” e “1900 Europa” non sembrano assolutamente parenti.

La linea della prima Barchetta è davvero coraggiosa ma a parte qualche vista di ¾ con le vistose pinne aerodinamiche posteriori si fatica a darle oggi più di mezzo secolo, perché nel rispetto di una economia realizzativa la linea è decisamente innovativa ed iconica.

Al punto che – senza malizia alcuna e solo per parentesi allegorica – la sua linea mi ha richiamato una Concept di ben 15 anni dopo, la “Aztec Italdesign” di Giorgetto Giugiaro…….Certo che non è in discussione l’origine della ispirazione del grande Designer torinese, ma non è eresia notare nella vista frontale della “Aztec” del 1988 e della “128P” del 1972 una suggestiva simbiosi. Ovviamente, solo suggestione, senza assolutamente voler asserire una volontaria od eventuale similitudine stilistica. Che tuttavia non sarebbe disdicevole per quel giovane Giorgetto che con Giotto disegnò linee straordinarie per le Iso. Come è fatta la “128P” 1971, sulla quale invece la mano stilistica è tutta “homemade”?

Sotto la pelle di fiberglass, stesa pazientemente anche grazie alle mani preziose e pazienti di Rosanna (la straordinaria moglie di Giotto) su un reticolato di acciaio tubolare sottile sagomato, si trova uno chassis a sua volta in piastre e tubi di acciaio a sezione quadra e tonda che collega le sospensioni indipendenti, un cambio Colotti ed un 1300 Fiat “128” trasversale con due carburatori Weber e potenza di circa 130 Cv (!!!!!) pari a 100 Cavalli/Litro per un monoblocco di serie, più di mezzo secolo fa, e – ripeto – con pochissimi mezzi a disposizione.

Che tutto questo possa nascere da quattro straordinari membri di famiglia e non – come potremmo immaginare – da una Factory inglese organizzatissima o da un Carrozziere torinese di grido, fa davvero riflettere e appassionare.

Come detto la prima Barchetta “128 P1” rimane allo stadio di prototipo visuale, e parecchio ambita dai collezionisti, ma si sta preparando in casa Bizzarrini una piccola “bomba” per andare a correre, addirittura, alla “Targa Florio”, una vetrina internazionale ambitissima !!!

Giotto e la “Targa Florio”: un esempio di coraggio e passione

1973, mezzo secolo fa, Maggio e la Sicilia: un appuntamento di prestigio assoluto per lo sport dei motori a livello internazionale, con auto di ogni foggia e nazionalità a darsi battaglia lungo le articolate e spesso traditrici strade e stradine dell’Isola, la “Targa”.

A 47 anni Giotto, con alle spalle una licenza C.S.A.I. di guida e l’esperienza di Collaudatore ed Ingegnere di prestigio, si mette in gioco di persona e iscrive una nuova “Barchetta” non certo per motivi ludici, ma per promuovere e rilanciare la sua immagine ed il suo repertorio di progettista di prestigio in una vetrina osservata e rinomata a livello internazionale come la “Targa”. Iscritto in coppia con Larini, in realtà poi lascerà la coabitazione ad un altro Pilota, Finiguerra; ma al numero “66” viene iscritta da Giotto una versione decisamente riveduta e corretta della prima “128P” : la versione 73 (che dopo la Targa Florio sarà esposta ad una piccola Mostra a Monza) nasce con alcune collaborazioni importanti: a coadiuvare lo Staff Bizzarrini nelle lavorazioni usuali e nelle “Best Practices” a cura dell’ingegnere (molature, saldature, piegatubi, taglio, lavorazione fiberglass ed alluminio) c’è anche il “C.R.A. – Istituto Macchine” di Pisa.

Inoltre la barchetta – attraverso modellini in scala – effettua importanti Test in Galleria del Vento: ecco perché è in effetti molto più leggera ed essenziale, con feritoie e passaggi aria sconosciuti alla prima concept, ma soprattutto privilegia la massima manutenzione, riparabilità e controllo della biposto in Gara. Le vecchie pinne di coda lasciano in posto ad uno “scivolo” (ispirato molto alle Sport Prototipi di Le Mans ma impensabile su piccole cilindrate sportive)che fa da convogliatore aria posteriore coadiuvato dalla massa di aria calda del blocco motore che fuoriuscendo visivamente verso il retro lascia vedere un prepotente sistema di scarico Racing del tipo quasi motociclistico “4-2- in uno”. La seduta Pilota/passeggero, ennesima chicca, è differenziata e separata, ed in effetti questo permette una visione ed un controllo dei riferimenti stradali maggiore da parte del pilota: caratteristica non indifferente in una corsa che si dipanava tra un dedalo di stradine e segnaletiche davvero impegnativo.

Dunque proprio una concept da corsa, questa “128P”. Con una prerogativa ulteriore (segno della genialità aerodinamica di Giotto pur

nei limiti della sua dotazione tecnologica a disposizione) che per l’epoca anticipava di gran lunga la “mitologia” inglese sull’effetto suolo in Formula Uno: cosa piuttosto eccezionale per un’auto a ruote coperte, la “128P Barchetta” per la Targa Florio aveva una conformazione del muso atta a favorire la “estrazione” verso l’alto (dalla notevole feritoia posta nella sede di alloggiamento del radiatore) dei flussi d’aria in ingresso sotto la scocca. Questo generava dunque una ottimale zona di depressione che “schiacciava” il muso stesso verso il basso……Particolari del genere basterebbero a celebrare la grandezza ingegneristica di Bizzarrini, nonostante le “Barchetta” siano poco conosciute.

Il motore 1300 è portato a potenze più rassicuranti, ma comunque garantisce – per il rapporto peso/potenza – un ottimo grado prestazionale: 4,24 Kg/Cv, valori da Gr. 5 “over” 2500 cc !!

La Targa Florio tuttavia si interrompe per la numero “66” prima della fine, a rompersi in effetti non è il motore ma la frizione: ma pazienza, quella “Targa” di orgoglio e passione Giotto la vince uguale, idealmente; la sua “Barchetta” esprime al meglio lo spirito della Gara.

Perché è stato un “Davide” contro la massa dei “Golia” mondiali, ma ciononostante ha compiuto una impresa straordinaria. Una delle tante vissute dall’Ingegnere magico, che in più portando a ruggire sulle strade isolane un gioiello “made in Livorno” dettato dal binomio Bizzarrini/Lampredi – ha una parentesi di orgoglio popolare e campanilista in più.

Quel gioiello sarà portato ancora in Gara nei tornei nazionali di Sport Prototipi fino alla fine degli anni ’80 alla guida di un altro livornese Doc, Roberto Banchieri; e là si chiude la sua onorata carriera, semisconosciuta ma non per questo meno gloriosa.

Con il piacere un poco snob, a pensarci, di aver visto quel 1300 Fiat Lampredi montato posteriormente e trasversale su una tipologia “Roadster”, ma non a marchio Fiat. La “X1/9” arriverà un po’ di mesi dopo la prima “128P” del 1971, e così l’ideale primogenitura di quel tipo di concetto è storicamente di Giotto Bizzarrini (con i vertici di Corso Marconi che peraltro visionarono con una certa curiosità la prima versione della Barchetta).

A questa piccola straordinaria avventura della “Barchetta 128P”, dunque; al suo mezzo secolo da quella corsa dignitosa ed avventurosa sulle strade della Targa Florio, ed al genio livornese dedichiamo un doveroso ricordo. E come usuale, ancora un “Grazie, grazie sempre, Giotto !”

(Si ringraziano per il supporto di informazioni e ricordi l’Architetto Leonardo Peruzzi e Pietro Bizzarrini)

RiccardoBellumori

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