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Lotus Elise S1 Progetto Safari: mostro da rally

La Lotus Elise ha ufficialmente cessato la produzione nel 2021 dopo 25 anni di molteplici successi. Ora, una start-up britannica l’ha rilanciata in forma di restomod, conferendole un aspetto e un DNA completamente diversi dalla piccola roadster che conoscevamo.
La leggendaria Lotus Elise non è scomparsa, una start-up l’ha trasformata in un’auto sportiva fuoristrada.
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Ecco come si presenta la Lotus Elise S1 Project Safari, un restomod della leggendaria roadster britannica.
Cosa passa per la testa di progettisti e ingegneri automobilistici che vogliono esaltare il lato off-road di auto sportive originariamente destinate alla strada. La Porsche 911 Dakar o la Lamborghini Huracán Sterrato erano lontane dalla mano dei marchi stessi.

In questo caso, una start-up ha immaginato come potrebbe essere una Lotus Elise S1 con un’immagine più fuoristradistica. E la verità è che ha un aspetto favoloso e le sue caratteristiche promettono molto bene.

Il nuovo marchio di design e ingegneria Get Lost del fotografo George Williams è stato incaricato di creare questo “Project Safari” basato sulla piattaforma dell’ormai defunta roadster sportiva britannica.

Se la Lotus Elise era stata concepita a metà degli anni Novanta per essere un vero e proprio punto di riferimento per la guida sportiva su strada, Get Lost voleva arrivare all’estremo opposto.

Non conosciamo le intenzioni specifiche della start-up britannica a questo proposito, ma questa prima pillola mostrata non potrebbe essere più appetitosa. Si tratta di un restomod (l’arte di restaurare e modificare un’auto d’epoca con componenti moderni) che esalta il lato off-road della Elise, se mai ne ha avuto uno.

Utilizza lo stesso telaio in alluminio estruso dell’Elise S1 originale, ma è stato completamente rinnovato. Non solo in termini di design, ma anche di messa a punto e di meccanica.

IL TUNING ESTREMO

Sul fronte del design, le caratteristiche più evidenti sono i passaruota allargati, i nuovi fari rettangolari, i quattro fari supplementari sul cofano e, soprattutto, la vistosa presa d’aria nel tetto sopra i due sedili e il motore in posizione centrale.
Per quanto riguarda quest’ultimo, Get Lost ha ammesso di aver sostituito il motore originale, un benzina da 1,8 litri di origine Rover, con uno di cui non si sa nulla, anche se si scommette su un motore Honda serie K o Ford Duratec, blocchi che sono stati montati sulla Elise in precedenza e che apportano più dei 120 CV originali della Elise.

“Offrirà le prestazioni e l’affidabilità che si desiderano da un’auto come questa”, afferma il capo di Get Lost.

I pneumatici, come potete vedere, sono progettati per i terreni fuoristrada e prodotti da Nankang, così come le nuove sospensioni, che aumentano l’altezza della carrozzeria di 100 millimetri. Anche il sottoscocca è stato rinforzato per proteggere il veicolo dalle asperità del terreno.

A tutto questo si aggiungono un differenziale a slittamento limitato, un freno a mano idraulico interno, nuovi sedili più ampi e una ruota di scorta posteriore nascosta davanti allo spoiler posteriore flottante.

MG Rover: storia della caduta dell’auto inglese

Raccontiamo la seconda parte della fine drammatica e purtroppo poco onorevole di due Marchi della storia più gloriosa dell’automotive britannico  MG/Morris Garage e Rover) che venti anni fa esatti – era l’8 Aprile del 2005 – scomparvero dal panorama automobilistico seppelliti da un solo termine, per certi versi infamante: fallimento. 

Quello che tuttavia è derivato da inchieste riservate successivamente ha dischiuso uno scenario di malversazioni e di attività poco chiare. Cerchiamo di riepilogare gli eventi.

La prima parte del racconto si è conclusa con la retrospettiva di quello che accadde fino all’arrivo di Michael Edwardes, davvero salvatore della Patria inglese, in soccorso dell’Industria auto nazionalizzata in modo scriteriato da Governi Laburisti e Tories; l’ultimo atto straordinario di Edwardes fu l’accordo con Honda nel 1979 e la nascita della Austin Metro.

Ma il nuovo Governo Thatcher arrivato a Downing Street nel 1979 non poteva perdonare a Sir Michael la sua autonomia politica ed il carisma rispetto ad una classe politica allo sbaraglio: Edwardes fu presto sostituito a fine mandato. Come stanno MG e Rover in questi anni? 

Abbiamo raccontato della chiusura dell’impianto di Abingdon, che sembrava dovesse spegnere per sempre l’esperienza di vita di MG, eppure il Marchio è troppo popolare per scomparire anche se la produzione di MGB ed MGC (le ultime due serie rimaste in gamma prima della chiusura del sito di produzione) è ormai irrecuperabile: il management di British Leyland decide dunque nel 1982 di rilanciare il Marchio MG come griffe sportiva per connotare serie speciali di modelli Austin specifici: Metro, Maestro, Montego. E con successo.

MG tenta il rilancio, e – incredibile – quasi gli riesce….

Dopo che la Triumph aveva abbandonato dal 1983 il mondiale Rally (per poi essere chiusa) il Gruppo BL decise addirittura di promuovere la MG (parte ormai del nuovo raggruppamento Austin/Rover) marchiando a suo nome la nuova arma da Rally inglese in Gruppo B, la MG Metro 6 4R; mentre tornava l’ipotesi di produzione stradale autonoma con il prototipo “EXE Concept” disegnata da un talento come Roy Axe. 

Non se ne fece nulla, e con la soppressione del Marchio Austin e l’uscita di scena di Montego e Maestro, persino come Griffe MG finì nel cassetto per un buon lustro. 

Poi nel 1992 ci fu il ritorno: prima un restyling poco apprezzabile della MGB e nel 1995 la MGF roadster a motore centrale: davvero questa l’auto di una possibile rinascita, concorrente designata della Mx Miata di Mazda e della poco successiva Fiat Barchetta, oltre che cugina minore della Lotus (che a sua volta aveva varato una Roadster di taglia più poderosa) e antagonista potenziale di un bel po’ di giapponesi ed europee varie.

Cosa è mancato per sfondare? Ecco una serie di motivi, amici di Autoprove: inizia il racconto più vicino ad una Spy story che non ad un racconto industriale

Rover ed MG, e gli anni Novanta: il peccato originale di essere British

La maggior parte degli anglosassoni duri e puri contesta Miss Thatcher e detesta un disastroso John Major in particolare da quando l’allora primo ministro inglese avallè nel 1992 l’accordo che decretava l’ingresso del Regno Unito tra i membri della nuova comunità economica.

Unico “firewall” imprescindibile dall’elettorato fedele alla Sterlina era l’adesione alla successiva moneta unica subordinata al consenso popolare referendario…..ma sappiamo come solo un quarto di secolo dopo tutto questo è finito……Ecco un primo vero problema per l’Union Jack anni Novanta, la fine dell’indipendenza ed autonomia pregiudiziale e la subordinazione ad un sovra-sistema decisamente coercitivo per l’Isola come lo diventerà per l’Italia. Su questo l’Automotive inglese vive la parabola finale di uno shopping compulsivo da parte estera (Germania, Giappone e USA) peggiorato dalla speculazione che a fine Agosto 1992 colpì proprio Sterlina e Lira italiana; per effetto della svalutazione rispetto a Marco Forte e USD una dopo l’altra le residue roccaforti dell’Automotive inglese cadono in mano nemica: Bentley e Rolls Royce aeronautica passano alla Volkswagen (inizialmente poi Wolfsburg capì la boiata immensa fatta nell’aver comprato un Marchio inutilizzabile per Rolls Royce in campo Automotive e cedette alla BMW che nel frattempo aveva rilevato diritti e stabilimenti dello Spirit of Ecstacy); la stessa BMW rileva da British Aerospace proprio Rover/MG con i diritti di Mini; mentre si salvano solo, passatemi la parola, Land Rover e Jaguar acquisiti da Ford USA per antica gloria dei due Marchi sul mercato statunitense. Ma tutti questi passaggi non sono contemporanei.

Tra Rover e BMW nessun rapporto elettivo…..E allora perché comprare le inglesine?

In specifico il passaggio a BMW da British Aerospace (da cui il marchio di Monaco compra per 800 milioni di Sterline la quota dell’80% di controllo lasciando il residuo 20% alla Honda): la notizia potrebbe non essere questa, ma quella che il Governo Thatcher – preda del sacro fuoco delle privatizzazioni insensate come le precedenti nazionalizzazioni – decise di liquidare Austin Rover ad una Compagnia aeronautica estranea al mercato auto semplicemente perché nessun altro Gruppo Automotive concorrente aveva la minima intenzione di rilevare Rover lasciando ai britannici i veri gioielli come Land Rover, Mini, MG; questo ribadiva esattamente quel che Michael Edwardes aveva spesso ripetuto ad una sempre più stizzita Lady di Ferro un decennio prima. 

Fu invece il nuovo Commissario governativo Graham Day a dare una decisa scossa verso la privatizzazione di Austin Rover nel 1987, presentando un Dossier dove parlava della esigenza di tagliare posti di lavoro e di vendere asset per evitare che il Gruppo cadesse in default; tagli fatti, partnership con Honda rinforzata, e appena uscita la bellissima Serie “800” Rover si passa alla privatizzazione e cessione di MG/Rover alla “British Aerospace” cioè un soggetto del tutto estraneo all’Automotive; e come ci si arriva? 

Dopo il rifiuto che Ford e General Motors dichiarano avendo tentato accordi di acquisizione tra 1985 e 1987 (poiché il loro interesse verso Mg Rover non può prescindere dall’ottenere veri gioielli come Land Rover, MG e Mini che però stupidamente il Governo Thatcher non intende cedere nello stesso “pacchetto” rendendo a questo punto l’offerta risibile) è la politica come sempre a fare la differenza in negativo: una proposta firmata da diversi parlamentari richiede al Governo di non cedere a pretendenti esteri e a questo punto la rosa di potenziali acquirenti Automotive si riduce al lumicino. 

Una mozione di esponenti delle”Midlands”indirizza il Governo a selezionare solo soggetti che in certa sostanza tutelino il patrimonio industriale e strategico in Gran Bretagna, poiché le indagini e gli auditing che soprattutto Ford intendeva fare per conoscere bene potenziali e consistenza industriali di Rover venivano viste dalle Camere come potenziali rischi di violazione di segreti industriali e della tutela nazionale; dunque fu la stessa Thatcher a scegliere Graham Day per guidare le operazioni di vendita, anche se questi si rivelò una triste metafora del caro e rimpianto Edwardes: cominciò a tagliare teste ed a rimpiazzarle con suoi propri uomini distanti dall’Automotive; si dimisero in fila uno dietro all’altro i dirigenti di British Leyland e Day, nel rinominare “Rover Group” il nuovo format aziendale, e promuovere un nuovo corso produttivo (dal 1985 con Graham Day Rover ottiene e conferma dei bellissimi colpi di mercato: l’evoluzione della serie “800”, il “rebranding” riuscito della Serie “400” derivata dalla serie “Concerto” di Honda, ed il futuro delle serie “200” e “600”) deve tuttavia rassegnarsi – diversamente da quel che avrebbe fatto forse Edwardes – ad una perdita costante di un milione di sterline al giorno di soldi pubblici. Non basta cancellare per sempre, alla fine del 1987, il marchio Austin con due modelli su tre (Maestro e poco dopo Montego) in quanto Marchio e prodotti più “bucati” commercialmente; il Commissario vende la linea “Trucks” di Leyland e Freight Rover alla DAF a Febbraio 1987, mentre alcune voci su prospettive di vendita di Rover MG ad Honda sono presto smentite, ma allo stesso tempo il Governo riceve la notizia ferale di una perdita record di 900 milioni di Sterline nel 1986 e di un crollo produttivo da 557.000 veicoli nel 1985 a solo 476.000 nel 1986. 

La svolta il 2 Marzo del 1988, quando il Segretario all’Industria Lord Young annuncia che British Aerospace aveva appena dichiarato interesse ad acquisire il pacchetto azionario del Governo nel controllo del Gruppo Rover. Scelta davvero atipica per un Gruppo disinteressato al mondo Automotive che però risponde alla richiesta di tutela del patrimonio industriale dentro la Gran Bretagna e, in fondo, opera un taglio dei debiti monstre di Rover. A parte questo, nessun commentatore considera questo passaggio risolutivo per il mercato futuro di Rover.

Da Leyland a British Aerospace: bruciato l’ottimo lavoro di Graham Day

Gli effetti furono visibili da subito, British Aerospace cercava un asset industriale in grado di ripristinare liquidità compensativa dei ritorni sulle commesse aerospaziali, il Governo cercava un modo per liberarsi di una voce di spesa impressionante, i Sindacati cercavano uno spunto per sollevare questioni antagoniste, ma probabilmente più di un Marchio Auto concorrente avrebbe messo la firma su un assetto proprietario e strategico che aveva portato British Aerospace da subito a insabbiare Rover con la chiusura di Cowley e la cessazione di ben quattro linee di produzione. 

Vero che British Aerospace, visti i suoi rapporti nel mondo militare aveva fatto fare un balzo in avanti alla Land Rover, i cui due soli modelli in vendita finirono nelle flotte di Forze governative ed eserciti africani e sudamericani mentre modelli trasformati divennero il perno degli acquisti di agricoltori e imprese minerarie ed estrattive. Così facendo tuttavia il Marchio Land Rover ripartì. In fondo però il buon lavoro fatto da Graham Day per vendere Rover alla BAe fu distrutto in pochi mesi come la nuova immagine vincente e di classe della nuova Rover 800. Diversi libri, come “End of the Road” di Chris Brady e Andy Lorenz, oppure “The Rover Group –Company and Cars” segnano il countdown di una crisi annunciata, in cui il passaggio successivo è la vendita da British Aerospace a BMW.

Da BAe a BMW: il grande “tradimento” su Honda, la cenere su Rover

Una gamma motori da 1400 quattro cilindri a 2.500 V6; dal 1985 al 1994 ben cinque car line “in sinergia” (800, 200, 400, 600)e soprattutto il gemellaggio completo tra la Serie 400 e la Civic Serie MA/MB prodotta a sua volta in Gran Bretagna (oltre che in diversi altri Paesi): tanto elenca la Joint tra Rover e Honda che tuttavia rimane vincolata ad un rapporto di royalties che evidenzia un olimpico distacco del colosso giapponese rispetto ad una velleità di controllo e di “scalata” gestionale mai tentata; Rover ed Honda sembrano molto più legate tra loro di quel che gli assetti aziendali fanno vedere, ma il loro rapporto rimane molto di forma. Tuttavia, quando BAe vende a BMW per 800 Milioni di Sterline, lasciando a Honda un piccolo 20% di partecipazione, a Tokio si precipitano a commentare sul timore che il nuovo corso possa pregiudicare anni di collaborazione e sviluppo condiviso. Va però ricordato che Honda era stata “silente” rispetto a scelte commerciali e strategiche per le quali BAe aveva alla fine affossato il Marchio Rover, tenuto sotto naftalina quello MG ma per contro aveva aumentato numeri e prospettive della Land Rover con nuovi modelli, estensione a nuovi mercati e adesione al nuovo verbo del “SUV”; probabilmente questo, oltre alla proprietà del Marchio Mini, ha portato BMW sulle tracce di Rover, dato che all’epoca il Marchio di Monaco era del tutto assente dal mercato di SUV ed Offroad. Su questo, era arrivato al momento giusto, visto che per la prima volta il Brand Land Rover costituiva il 20% delle vendite totali del Gruppo Rover. Se il connubio BMW/LR aveva dunque senso, ne aveva molto meno il gemellaggio tra la Gamma di Monaco e quella quasi parallela e comunque concorrente della Rover verso le BMW nel settore “Premium”. Serie “200” a parte, ogni modello Rover aveva intorno o sopra le spalle un concorrente potenziale nella BMW. Non meglio era andato, dicevamo sopra, alla MG che con la “F-TF” del 1995 aveva visto bloccato il mercato americano per rischio concorrenza con la serie “Z” della BMW. Dopodiche’ a velocizzare il divorzio tra BMW e Rover corrispondono diversi fattori:

– Il recupero della Sterlina sul Marco e la fine del divario valutario favorevole per BMW riguardo a costi industriali anglo tedeschi a confronto e riguardo l’export di Land Rover; vero però che con la Sterlina in rinforzo le Serie “5” e “7” di BMW furono vendute in numeri maggiori;

– Il Flop dell’unico modello comune Rover/BMW, la “75”, in contemporanea del crollo dei volumi di tutto il Gruppo Rover:

– La concorrenza endemica tra due motoristi come BMW e Rover, che portò ad uno scaricabarile sulle famose testate bruciate dei motori Honda K series sulle Rover.

Bernd Pischetsrieder nel 1998 dichiarò pubblicamente che Longbridge non era più economicamente sostenibile senza tagli, e BMW chiese al Governo Blair 200 milioni di Sterline di aiuto prima di mettere in produzione e commercio la “75”: per tutta risposta dal Governo arrivarono 118 milioni di Sterline previsti in 5 anni. 

Un ping pong che ha portato le vendite della Rover nel 1999 ad un rosso clamoroso. Ed arriviamo alle trattative di cessione da parte BMW del Gruppo Rover: Prima ad Alchemy e poi alla Phoenix, portata al tavolo delle trattative dall’ex CEO Rover  John Towers, mentre come detto Ford acquisiva Land Rover da BMW.

Il rapporto industriale tra BMW e Rover MG dimostra da subito effetti fallimentari: dalla linea antropomorfa di stile orientale e l’aspetto sportivo tipico dell’impronta Honda, si passa ad una “Premium” come la “75” che a tutti appare goffa, sgraziata, frutto di un Marketing dilettantesco: mentre tutti si aspettano un rilancio di Rover nel target “B” e “C” di mercato (in un Gruppo BMW dove il taglio Premium Ammiraglie è a Monaco, il non plus ultra di RR ed il futuro trendy di Mini sono in Gran Bretagna) con nuove edizioni della “25” e “45”; in realtà BMW stupidamente si avvale solo della logica delle piattaforme condivise e dunque si trova in primis a proporre la “75” su base BMW medio-alta; non avendo nulla a disposizione sotto quel taglio, “25” e “45” cominciano a restare invendute: troppa la concorrenza di taglio giapponese, coreano, francese ed italiano per poter sopravvivere. Come temuto dai sindacati inglesi, la mano di BMW su Rover si impone nelle scelte di “riserva” che Monaco realizza pro domo sua a Longbridge: intanto logistica di magazzino, e priorità di catena produttiva vengono strumentalizzati da Monaco per le necessità industriali dislocate in Gran Bretagna, con effetti pesanti su gradi di aggiornamento e sviluppo tecnologico. Le politiche tedesche tagliano via dalla gamma Rover una fetta importante di motorizzazioni Honda a benzina, mentre i Diesel diventano tutti BMW: comincia un batti e ribatti tra Monaco e Governo inglese su finanziamenti generici promessi da quest’ultimo e mai mantenuti. Mentre al contrario esponenti delle Camere e dei Sindacati replicano che è la BMW a fare gioco sporco approfittando delle politiche salariali inglesi più favorevoli rispetto a quelle tedesche, pertanto BMW troverebbe più conveniente produrre la sua gamma nell’Isola invece che mantenere le promesse di sviluppo dei Marchi MG e Rover. Per poi arrivare, quasi in una sorta di Spy story, allo scandalo dei motori Honda K-Series che bruciano a ripetizione la testata sotto ai cofani delle Rover, problema che BMW non sottopone neppure ad un processo di auditing interno ma che demanda alle regole di garanzia del colosso di Tokio.

La verità? A BMW interessa di sicuro il Brand Mini, che stupidamente alla British Aerospace hanno liquidato dentro tutto il cucuzzaro ceduto ai bavaresi; intelligenza assente negli inglesi e coerenza avrebbero dovuto suggerire il frazionamento e la vendita separata di Rover ed MG rispetto a Triumph Cars, Land Rover e Mini Morris, ma la stupidità inglese è pari solo alla prosopopea popolare. BMW in verità fa esattamente questo: “mura” MG e Rover dentro la strategia globale di gamma tedesca. 

L’unico vero prodotto nuovo inglese sotto il patriarcato bavarese è la “75”; tutto il resto, compresa la best seller “600” del 1993 è frutto delle strategie pluriennali concepite da Rover in sinergia con Honda che in ogni caso mantiene persino la condivisione quasi totale della piattaforma “Civic DA/DB Series” (1995-1999) con la Serie “400” Rover due volumi e mezzo e tre volumi.

Quanto alla “75” è indubbiamente un prodotto di apparente rango con la Serie “800” che tende a sostituire ma purtroppo i dibattiti poco favorevoli su linea e motorizzazioni ed un appeal ormai in calo per il marchio inglese porta a risultati commerciali deludenti.

Se tutto questo è il panorama in grandi linee della parentesi di gestione MG Rover da parte BMW, cosa avrebbe spinto ilMarchio bavarese a cedere di colpo tutto ad un nuovo, altro, oscuro interlocutore? E quale è questo nuovo interlocutore?All’inizio di tutto, siamo a metà del 1999, Monaco di Baviera mette in vendita come Asset separati Land Rover, MG e Rover.

Land Rover troverà il suo acquirente in Ford a Maggio del 2000, per quasi tre bilioni di Dollari. 

Da BMW a Phoenix, dalla padella nella brace, inizia la fine di MG Rover

Per Rover ovviamente è tutto più complesso, visto che la prima pretendente è Alchemy Partners con comunicato stampa pubblico di Marzo 2000: la strategia spiegata dal pretendente già prefigurava la fine di Rover con il mantenimento della sola MG: di fronte alla sollevazione popolare inglese Alchemy dovette ritirarsi. Il Sei Aprile fu la volta del fatidico Gruppo Phoenix: promessa, mantenimento produttivo e di posti di lavoro, sviluppo commerciale e nessuna chiusura. Proposte migliori di queste? Al momento no. L’8 maggio, in seguito a un’iniezione di finanziamenti all’ultimo minuto dalla First Union Bank of North Carolina, fu raggiunto un accordo con Phoenix

La vendita fu completata il giorno successivo. A causa delle normative del Regno Unito che ritengono il precedente proprietario di una società responsabile di tutti i pagamenti di licenziamento se la società in questione dichiara bancarotta entro 3 anni dalla vendita, BMW ha garantito che Phoenix Venture Holdings (inizialmente denominata MG Rover Holdings) avrebbe avuto abbastanza denaro per mantenere Rover Group in attività per almeno 3 anni dopo la vendita. La “dote” concordata da BMW era composta da un prestito senza interessi di 420 milioni di Sterline per Phoenix. 

Risultato: Phoenix Venture Holdings ( PVH ) società inglese formata da John Towers , Peter Beale, Nick Stephenson e John Edwards affronta dopo lo scioglimento del Rover Group da parte della BMW , un affare finanziariamente complesso che prevedeva un “pagamento di dote” di 500 milioni di sterline da parte della BMW, portò la PVH ad acquistare il marchio Rover nel maggio 2000 per la somma simbolica di 10 sterline, rilanciando la casa automobilistica come MG Rover . MG Rover e le società collegate si misero in amministrazione controllata l’8 aprile 2005.

Kevin Howe diventa amministratore delegato del nuovo soggetto MG Rover Group nel luglio 2000.

Nei piani della nuova proprietà Phoenix la Rover avrebbe rinnovato profondamente la Gamma 25/45/75; sebbene questo sia avvenuto in parte, visto che a parte la “Streetwise” ed i restyling la Gamma 25 e 45 è praticamente la stessa da anni, mentre per la 75 rimangono i problemi di partenza su linea e contestualizzazione di market target.

Ancora peggio va ad MG che torna praticamente a rivestire il ruolo di Griffe con una “linea” di elaborate su base Rover 25, 45,75 (quest’ultima, ricorderete, diventa la “ZT”). La crisi di vendite continua. A questo punto arriviamo alla fine dell’anno 2004: da diversi mesi il management di Phoenix Group lancia allarmi al Governo Inglese: da un lato sta cercando Partners industriali Automotive soprattutto in Cina, dall’altro lato chiede disperatamente un prestito ponte per incoraggiare proprio azioni di M&A. Se per il prestito ponte il Governo rimarrà praticamente alla finestra, dal lato del possibile socio cinese arriva alla corte di Phoenix la SAIC, anticipata da una curiosa e “pruriginosa” Advisor come la Dottoressa “Qu Li”. Questa, ingaggiata da Phoenix come promoter di contatti favorevoli verso SAIC, pagata 1,5 milioni di Sterline per la consulenza finisce per diventare l’amante di uno dei Manager Phoenix, Stephenson. E già questo fa capire il senso etico delle cose e di come andranno.Ma per avere il vero senso di quello che è stata la gestione e la mannaia di Phoenix sulle spalle di Rover, è stata necessaria una inchiesta di quattro anni e 16 milioni di sterline.

Il rapporto, che si occupava solo dei direttori e delle loro azioni mentre il gruppo MG-Rover era ancora in attività, rivelò che i cinque dirigenti Phoenix coinvolti avevano preso 42 milioni di sterline in stipendi e pensioni dall’azienda Rover in difficoltà prima che crollasse. Complimenti, belle canaglie.

Il rapporto commentava anche la relazione personale tra uno dei quattro fondatori di Phoenix, Nick Stephenson e Miss Qu Li, allo stesso tempo consulente chiamata per supportare il management nelle attività di intermediazione presso potenziali acquirenti cinesi che era stato pagato più di 1,6 milioni di sterline nel periodo di 15 mesi fino ad aprile 2005 per servizi di consulenza e mediazione come Manager presso la “Eco Concept Ltd”. 

Ha anche concluso che la dott. ssa Li ha ricevuto una retribuzione “eccessiva” per i suoi servizi di consulenza presso lo studio. La dott. ssa Li ha giustificato i suoi enormi compensi sostenendo di aver portato 77 milioni di sterline di investimenti. L’imprenditrice cinese al centro dello scandalo MG Rover ha acquistato il produttore di furgoni LDV dai suoi amministratori per 8 milioni di sterline. 

La maggior parte degli 850 dipendenti di LDV sono stati licenziati quando è fallita a giugno. 

Si pensa che, sebbene il dottor Li sia stata prestanome nell’acquisto, in realtà l’accordo sia sostenuto da investitori cinesi, forse persino dalla Shanghai Automotive Industry Corporation.(SAIC)

Ma la cosa peggiore è per Phoenix, la inchiesta sulla sottrazione di fondi e stipendi.

In totale, i quattro boss, insieme all’amministratore delegato Kevin Howe, hanno preso 42 milioni di sterline dall’azienda in stipendi e pensioni prima che crollasse nel 2005 con la perdita di 6.500 posti di lavoro. “.Un altro ricco direttore, Peter Beale, è stato accusato di aver distrutto le prove la mattina dopo l’annuncio che gli ispettori governativi avrebbero indagato sulla scomparsa della MG Rover. 

 

Mentre le vendite di auto MG Rover crollavano e la società continuava a perdere denaro, la società dei direttori, Phoenix Venture Holdings, ha dirottato 17 milioni di sterline in un trust offshore a Guernsey. Di questi, 16,9 milioni di sterline sono andati ai quattro uomini e al signor Howe, insieme a un’altra dipendente, Jane Ruston, responsabile legale di PVH.

Tra le nuove informazioni più schiaccianti contenute nel rapporto sulla condotta dei direttori c’è la rivelazione che alle 10.05 del mattino del giorno dopo la nomina degli ispettori governativi nel giugno 2005 per indagare sul crollo della MG Rover, Peter Beale acquistò un programma per computer chiamato Evidence Eliminator che ‘pulisce a fondo’ il disco rigido di un computer da qualsiasi ‘materiale sensibile’.

La fine dei giochi, la vergogna pubblica per la Phoenix

Durante i loro cinque anni di mandato, i direttori Phoenix hanno ristrutturato pesantemente l’azienda Rover e venduto continuamente asset. La società aveva perso 92,6 milioni di sterline nel 2003 e i colloqui con il produttore di automobili cinese Shanghai Automotive Industry Corporation (SAIC) su una fusione decisiva sono iniziati nell’aprile 2004.

Nonostante le finanze in difficoltà, Stephenson, che aveva divorziato nel 2004, assunse la consulente 45enne Dr. Qu Li, che in seguito divenne la sua amante. Le fu assegnato un compenso di 1.000 sterline a settimana più 1.000 sterline al giorno per ogni giorno in cui supportava le trattative all’estero e una tariffa di 750 sterline al giorno quando si trovava nel Regno Unito.

La consulente nata in Cina, che in precedenza aveva lavorato per diverse aziende cinesi, era stata inizialmente assunta per un mese da febbraio a marzo 2004, ma ha finito per lavorare per MG Rover fino ad aprile 2005, e se n’è andata con la sbalorditiva cifra di 1,7 milioni di sterline pagate alla sua azienda con sede nelle Midlands, China Ventures Ltd. Gli ispettori hanno affermato che si trattava di una cifra molto più alta di quanto avesse mai ricevuto prima.

La dottoressa Li e Stephenson furono in prima linea negli sforzi per siglare l’accordo SAIC, ma c’era confusione sui ruoli e alcuni dirigenti della MG Rover pensavano che Qu Li fosse un’interprete. Gli amanti, che furono visti dagli ingegneri di Longbridge mentre si coccolavano su un volo per la Cina, erano pesantemente coinvolti nei colloqui SAIC nel 2004, ma il rapporto notava che nessuno dei due aveva “alcuna significativa formazione finanziaria o legale o molta esperienza nella finanza aziendale”. La relazione “intima” ebbe luogo nel 2004, ma sia Stephenson che la dottoressa Li fornirono resoconti diversi su quando iniziò e finì durante la testimonianza..

I direttori che gestivano il gruppo MG Rover al momento del suo fallimento sono stati rimossi dalla carica di direttori.

Ma anche la Società Advisor incaricata dei processi di revisione e verifica dello stato di messa in liquidazione della Rover, cioè la Deloitte, è finita nel libro nero: multa di 14 milioni di Sterline da parte del Financial Reporting Council per coinvolgimento come società contabile nel fallimento.

Peter Beale, Nick Stephenson, John Edwards e John Towers, noti come i Phoenix Four, hanno accettato volontariamente una squalifica da tre a sei anni con inibizione a svolgere cariche.

Le squalifiche da parte del Dipartimento per le imprese, l’innovazione e le competenze sono il risultato di una “lunga e complessa indagine” sul crollo di MG e Rover. La storia lascia chiara la sua sentenza: MG Rover fallita nel 2005 con debiti per 1,3 miliardi di sterline e la perdita di 6.000 posti di lavoro; i direttori Phoenix ampiamente accusati di essersi arricchiti mentre gestivano male la società, rimossi e costretti a non fare danni per almeno un lustro. Ed infine una sorta di favola conclusiva su ……BMW. Se la storia recente della MG Rover dovrebbe essere trasformata in un film, è perché è stata un dramma con tutti gli ingredienti necessari: avidità, potere, alta finanza, crepacuore su scala epica e persino un brivido di sesso con una imperscrutabile donna cinese. E cosa dire alla fine di BMW? Bene, il colosso di Monaco aveva concordato con Phoenix la cessione di MG Rover per un valore simbolico: una banconota da dieci Sterline. Davanti al Notaio la procedura economica e non solo simbolica doveva tuttavia essere formalizzata. Ma in realtà all’atto della cessione il Management di Phoenix non aveva materialmente consegnato a BMW alcuna banconota da 10 Sterline, e questo fu il tono di missive poco amichevoli dei legali di BMW alla Phoenix nel 2000, con la minaccia di risolvere l’accordo di cessione. La risposta di Phoenix fu a sua volta un capolavoro: trattandosi di un versamento “simbolico” la banconota da Dieci Sterline per il saldo era molto di più di un valore contabile o di un controvalore di acquisto convenzionale.

Pertanto “quella” banconota, scelta e custodita da Phoenix in una targa ricordo celebrativa, era stata appunto costruita quasi come trofeo unico da consegnare alla BMW. E così, dichiararono in risposta quelli di Phoenix, quella banconota incorniciata era in un elenco inventario di Documenti presentati all’atto della sottoscrizione di accordo consegnati alla BMW. Come tale irriproducibile, “quella” Banconota – se smarrita – era responsabilità di BMW e Phoenix semplicemente si rifiutava di ripetere un atto il cui simbolismo era proprio nella unicità di “quella” Banconota. Ovviamente da Phoenix attendevano ordini di BMW per poter in ogni modo inviare ulteriori dieci sterline a saldo. Non sappiamo se mai BMW proseguì con la sua richiesta…

Riccardo Bellumori

Unione Europea contro la Fibra di carbonio nelle auto

Materiali come piombo, mercurio, cadmio e cromo esavalente sono da tempo classificati come pericolosi dall’Unione Europea. Nonostante ciò, sono ancora ammessi nel settore automobilistico grazie a deroghe che non si applicano ad altri beni di consumo. Ora, però, un altro materiale potrebbe essere vietato nelle auto europee: la fibra di carbonio.
Secondo un nuovo rapporto, il Parlamento europeo, responsabile delle leggi dell’Unione, ha recentemente concluso una bozza di revisione della direttiva sui veicoli fuori uso (ELV), che regolamenta la demolizione e il riciclaggio dei veicoli e mira a renderli più ecologici. In essa, per la prima volta al mondo, la fibra di carbonio viene classificata come materiale nocivo.

La fibra di carbonio è ampiamente utilizzata nell’industria aeronautica e in molte altre applicazioni, come le pale delle turbine eoliche, le automobili e, in misura minore, le motociclette, perché è più resistente dell’acciaio e più leggera dell’alluminio. Sebbene sia più costoso di entrambi, in quanto la sua costruzione è molto più difficile e costosa, in molti casi i suoi vantaggi superano gli svantaggi.

L’UE vuole vietare la fibra di carbonio nelle auto e le case automobilistiche sono nervose
Un mercato enorme che vale miliardi sta per essere decimato?

Secondo le stime della società di ricerca statunitense Roots Analysis, il mercato mondiale della fibra di carbonio, che nel 2024 valeva 5,48 miliardi di dollari, dovrebbe crescere annualmente a un tasso medio dell’11% fino a raggiungere 17,08 miliardi di dollari entro il 2035. Attualmente, le automobili rappresentano dal 10% al 20% di tutte le applicazioni, secondo il rapporto di Nikkei Asia. Questo numero è destinato ad aumentare in modo esponenziale man mano che i produttori si impegnano a ridurre il peso dei loro veicoli elettrici.

Il peso aggiuntivo dei veicoli elettrici rispetto a quelli a motore ICE è dovuto al fatto che devono trasportare un grosso pacco batterie, solitamente sul pavimento. L’uso della fibra di carbonio è visto come una soluzione ideale, soprattutto dai produttori di fascia alta per i quali il prezzo è tutt’altro che la prima priorità, a differenza della maneggevolezza e dell’autonomia, che sono compromesse da tutto quel peso e che sicuramente contano molto di più per loro.
Perché l’UE considera questo materiale pericoloso? Perché quando la fibra di carbonio, legata alla resina, viene smaltita, i filamenti possono diffondersi nell’aria, causando cortocircuiti nei macchinari e, soprattutto, dolore negli esseri umani se entrano in contatto con la pelle e le mucose.

UE CONTRO LA FIBRA DI CARBONIO

Come sottolinea Nikkei Asia, a rimetterci maggiormente se il divieto dovesse passare sono tre aziende giapponesi, Toray Industries, Teijin e Mitsubishi Chemical, che insieme detengono il 54% del mercato mondiale della fibra di carbonio. Per Toray Industries, dopo gli aerei e la generazione di energia eolica, le automobili rappresentano il terzo segmento di attività. Inoltre, il 50% di questo segmento si trova in Europa, per cui la proposta verrebbe fortemente colpita se venisse approvata.
A parte i veicoli elettrici, molti marchi utilizzano la fibra di carbonio nelle loro auto ibride o a combustione interna, persino McLaren ne fa l’intero telaio delle sue supercar. La buona notizia è che anche se questo divieto venisse adottato in Europa (e questo è un grande “se”, dato che è destinato a incontrare molte resistenze), non entrerà in vigore prima del 2029.

Quattro anni possono non essere un tempo così lungo per i produttori che devono sviluppare le loro prossime auto per conformarsi alle normative, ma date un’occhiata a come il nostro mondo è cambiato in meno di quattro mesi, quando Donald Trump si è insediato come 47° Presidente degli Stati Uniti.

Una sola decisione, il dazio del 25% sulle auto importate, attuata il 2 aprile, ha mandato in tilt le economie di tutto il mondo. Tuttavia, non c’è ancora nulla di definitivo, poiché molti Paesi intendono negoziare con l’amministrazione Trump su questa misura che danneggia le loro attività. Quindi, forse non dovremmo ancora preoccuparci troppo di un possibile divieto della fibra di carbonio in Europa – a meno che, ovviamente, non siamo dirigenti di una delle aziende giapponesi sopra citate. O della McLaren.

Addio Mercedes Classe T e Citan

Mercedes sta rinnovando la propria gamma di veicoli, anche nel segmento dei furgoni. Nell’ambito di questo sforzo, l’azienda sta eliminando la Citan e la Classe T.

I furgoni compatti saranno eliminati entro la metà del prossimo anno.
Quando ciò avverrà, gli ultimi furgoni a marchio Mercedes usciranno dalla catena di montaggio dello stabilimento Renault di Maubeuge, in Francia. L’impianto costruisce anche il Kangoo, che è in gran parte identico.

Nuovo Mercedes-Benz Citan 2022, non chiamatelo Renault Kangoo

ADDIO AI FURGONI MEDI

Un portavoce ha confermato la mossa dichiarando ad Automobilwoche: “In linea con la strategia di crescita nei segmenti redditizi comunicata nel maggio 2023, stiamo effettuando investimenti mirati e ottimizzando ulteriormente il nostro portafoglio prodotti”. Questo significa abbandonare i furgoni piccoli per concentrarsi sui modelli medi e grandi.

È difficile discutere questa decisione dopo aver visto il grafico delle vendite. Secondo la pubblicazione, le vendite del Citan sono scese a 23.351 unità lo scorso anno, mentre la Classe T è scesa del 31% a 5.117 unità.
Il Mercedes Citan è stato progettato per le aziende e offre configurazioni di furgone e furgone passeggeri. Il primo parte da 24.198 euro in Germania e monta un motore da 101 CV (75 kW) abbinato a un cambio manuale a sei rapporti.

La Classe T è simile, ma parte da 26.795 euro (30.291 dollari) ed è orientata alle famiglie. Per questo motivo, presenta paraurti in tinta con la carrozzeria, finestrini posteriori e interni a cinque posti. Può anche essere equipaggiata con sedili anteriori riscaldati, volante riscaldato e motori più potenti.

All’asta la Ferrari F2001 di Schumacher

Negli ultimi anni sono state immesse sul mercato diverse auto di Formula 1 di Michael Schumacher, che tendono a raggiungere prezzi da capogiro. Ora ne è emersa un’altra, che non è solo da collezione, ma anche storica. Schumacher la guidò per vincere il Gran Premio di Monaco del 2001, una delle gare più prestigiose del calendario.

La Ferrari F2001 è stata utilizzata per tutto il campionato mondiale di F1 di quell’anno e guidata da Schumacher e Rubens Barrichello. Quell’anno Schumacher ottenne nove vittorie in gara e si assicurò il suo quarto campionato del mondo. La F2001 fu un’auto importante nell’era del dominio di Schumacher.

LA FERRARI DEL SOGNO

Non solo Schumacher vinse il Gran Premio di Monaco proprio con questa vettura, ma si assicurò anche la pole position e la vittoria di gara al Gran Premio d’Ungheria. Fu proprio in questa gara in Ungheria che Schumacher conquistò il titolo mondiale.

La F2001 fu progettata nientemeno che da Ross Brawn, insieme ad altre importanti figure della Formula 1, tra cui James Allison. Era alimentata da un V10 da 3,0 litri ad aspirazione naturale accoppiato a un cambio sequenziale semiautomatico a sette rapporti. Le auto di Formula 1 di quel periodo erogavano circa 825 CV e pesavano solo 600 kg.
RM Sotheby’s venderà l’auto attraverso la sua divisione Sealed. A differenza di alcune vetture di F1 che vengono vendute non funzionanti, questa F2001 è stata revisionata dalla Ferrari stessa nel 2024 e all’inizio di quest’anno ed è in perfette condizioni di funzionamento. Ciò significa che il prossimo proprietario potrà utilizzarla durante gli esclusivi eventi Corse Clienti del marchio italiano che si tengono negli autodromi di tutto il mondo.

Poiché la vendita è privata e non un’asta pubblica, il prezzo finale rimarrà probabilmente riservato. Tuttavia, è lecito supporre che l’auto supererà i 10 milioni di dollari. Se il vostro conto in banca è in grado di assorbire una cifra del genere, l’annuncio è disponibile qui. Buone offerte, ma non aspettatevi uno sconto.

Nuova OMODA C3 2026: Anteprima

La nuova OMODA C3 è pronta a riscrivere le regole del segmento.

Chery è inarrestabile in Europa. Un giorno i suoi marchi si sgonfieranno, ma oggi continuano a incrementare i dati di vendita giorno dopo giorno, con un OMODA che sta già iniziando a diventare più di un marchio, visto che nel giro di pochi mesi amplierà la sua offerta da un’unica proposta a tre.

La crescita è spettacolare, anche se il marchio cinese ha al suo attivo un solo modello, anche se in uno dei segmenti più importanti del mercato: quello delle compatte, dove vende diversi milioni di unità. Ma le scommesse non si limiteranno solo ai SUV compatti, ma anche a quelli più grandi come gli attesi OMODA 7 e OMODA 9, quest’ultimo un D-SUV più familiare e spazioso.

Questi sono i lanci in programma del produttore, ma ce n’è un altro che attira maggiormente l’attenzione, perché potrebbe fare molti danni. La nuova OMODA C3 è stata rivelata da alcuni schizzi e da un’immagine della vista laterale, ed è chiaro che questa vettura sostiene linee più spigolose e rettilinee.
Le linee delle protezioni dei passaruota, le linee dinamiche o di cintura dei pannelli delle porte conferiscono all’OMODA 5 una personalità diversa. I fari anteriori rivelano una forma molto affilata, mentre i gruppi ottici posteriori mantengono lo stesso stile a boomerang che abbiamo visto sull’OMODA 7, ancora da presentare.

INTERNI UNICI

Gli interni sono visibili solo in questi schizzi, ma è chiaro che il minimalismo tecnologico è uno dei suoi tratti distintivi. La plancia è molto avvolgente e presenta un grande schermo digitale touchscreen nella console centrale che si trova sul tunnel della trasmissione in stile Mercedes.

Le proporzioni sembrano quelle di un SUV compatto, ma potrebbe rientrare anche nel segmento B. OMODA ha iniziato la sua particolare casa al centro del mercato, le prossime mosse sono sul tetto”” e la parte più bassa rimane, quindi sembra che questa nuova OMODA C3 potrebbe essere l’alternativa alla nuova generazione di Dacia Duster.

Quindi, secondo le fonti, si tratterà di un modello più versatile che privilegerà le versioni ibride rispetto a quelle elettriche. Ne sapremo di più dopo l’estate, poiché OMODA intende lanciare questo nuovo modello intorno al terzo trimestre.

Vendite flop per il Tesla Cybertruck

Ecco tre cose che probabilmente già sapete ma che, alla luce di quanto seguirà, vale la pena di ripetere. Primo: Tesla non è la solita azienda automobilistica. In secondo luogo, il Cybertruck è quanto di più lontano ci possa essere dalla media dei camion. E terzo, Elon Musk non è certo il solito amministratore delegato, sembra avere un’opinione su tutto e si assicura che venga ascoltata.

La storia del successo di Tesla e di come sia riuscita a sconvolgere l’industria automobilistica è stata raccontata così tante volte che non vi annoieremo con essa. Il Cybertruck, tuttavia, merita di essere analizzato perché è un prodotto relativamente nuovo ed è stato presentato come il camion per porre fine a tutti i camion, elettrici o meno. Allora, è stato così?

Quando si parla di pubblicità, la risposta è un sonoro “sì”. Non passa giorno senza che una storia (o cinque) coinvolga il pick-up angolare di Tesla, che si tratti di quanto sia brutto il suo aspetto, di come il suo telaio si spezzi nel test di uno YouTuber mentre quello di un vecchio Ram non lo fa, della volta in cui un terrorista ne ha scelto uno per far esplodere un ordigno fuori da un Trump Hotel, e così via.

Ma prima facciamo un piccolo viaggio nella memoria fino all’ottobre 2023. Un mese prima del lancio del Cybertruck, Musk si vantava che Tesla aveva già ricevuto “oltre 1 milione di prenotazioni” e che la domanda per il camion non convenzionale era “fuori scala”. Naturalmente, era possibile prenotare pagando un deposito rimborsabile di 100 dollari (poi aumentato a 250), ma questo era un dettaglio secondario…

Naturalmente nessuno, nemmeno lo stesso Musk, si aspettava che tutte quelle prenotazioni si traducessero in ordini effettivi. Infatti, Stephanie Valdez Streaty, direttore del settore insights di Cox Automotive, ha dichiarato a Wired che “l’industria automobilistica punta a un tasso di conversione compreso tra il 2 e il 16%”. Poiché un paio di settimane fa Tesla ha rivelato, nell’ambito di una campagna di richiamo, di aver consegnato 46.096 Cybertruck dal 13 novembre 2023 al 27 febbraio 2025, il tasso di conversione è inferiore al 5%. Si tratta di un valore che rientra nell’intervallo citato, ma che non è esattamente una musica per le orecchie di Musk o dei fanboy di Tesla.

TNuovo Tesla Cybertruck 2023: video esclusivo

I NUMERI NON TORNANO

Che fine ha fatto il milione di prenotazioni del Cybertruck di Musk?
Anche se nessuno oserebbe accusare l’uomo più ricco del mondo di fare dichiarazioni fuorvianti (tranne, forse, la “disonesta” SEC), 46.000 vendite non indicano che la domanda sia “fuori scala”. Certo, all’inizio era il nuovo giocattolo scintillante che tutti coloro che sono qualcuno dovevano avere, e nella prima metà del 2024 il Cybertruck è stato il leader delle vendite in America nel club delle auto a sei cifre. Tuttavia, se paragonato a quello delle auto sotto i 100 mila dollari, che è il pane quotidiano della maggior parte delle case automobilistiche che non si chiamano Ferrari, Bentley, Aston Martin o Lamborghini, è un club piuttosto esclusivo, non siete d’accordo?

All’inizio di gennaio, Business Insider ha riferito che, secondo le sue fonti, il calo delle vendite ha portato Tesla a spostare alcuni dei suoi lavoratori nello stabilimento di Austin dalla linea di produzione del Cybertruck a quella del Model Y. In un sondaggio in cui chiedeva ai lavoratori di essere riassegnati, l’azienda ha dichiarato: “Poiché continuiamo a valutare gli orari per soddisfare le esigenze aziendali, cambieremo gli orari della Model Y e della Cyber e vogliamo assicurarci che le vostre preferenze siano prese in considerazione”.

I primi 20 anni senza MG e Rover: storia di truffe e veleno

Raccontiamo la storia gloriosa e sofferta di due Marchi – MG/Morris Garage e Rover – uniti da un destino purtroppo tragico e in fondo non meritato, per la storia ed il pedigreeeche li rappresentava.

La notizia ci era arrivata dentro un contesto certo già non facile per l’Europa, con una tensione socioeconomica internazionale e soprattutto con quella che era la questione terrorismo: Spagna, Germania, Gran Bretagna ma anche Francia erano al centro del Focus di allerta, ed infatti a Luglio del 2005 l’attentato di Londra fu purtroppo la conferma che il pericolo sociale non era affatto una chimera.

In tutto questo, il mercato auto europeo si presenta con i primi vagiti dell’importazione dalla Cina di SUV e PickUpche sollevavano la risatina di scherno e sufficienza da parte di operatori e clienti potenziali; nel frattempo dentro casa General Motors diventa in un certo senso protagonista una altra tipologia di “asiatica”: la Coreana Daewoo, giunta al limite delle potenzialità di mercato in Europa a causa soprattutto della sua immagine davvero ed inguaribilmente “Low Cost/Low Quality”, viene investita da un cambio di immagine passando al “Rebranding” Chevrolet.

Operazione, con il senno di poi, valida e coerente solo con la valorizzazione della Best Seller “Matiz” passata alla seconda generazione di Gamma. Per il resto però di una linea di prodotto che resta fondamentalmente ostaggio di linee un po’ troppo anonime e di riconoscibilità ancora troppo popolare e modesta rispetto al Marchio pretenzioso che General Motorsha appena assegnato alla Casa Coreana;

possiamo dire – risultati alla mano –che l’operazione Chevrolet è stata la conferma che General Motors era e rimaneva un carrozzone ampiamente ed inutilmente favorito dalla politica e dalle correnti governative americane, ma incapace di definire strategie di Marketing degne di questo nome. Ed infatti è stato il più illustre becchino di propri Marchi.

8 Aprile 2005 : il mondo auto si sveglia con uno scoop

Ma quale è stata la notizia di Agenzie e Periodici di settore? 8 Aprile di venti anni fa, siamo a Primavera: Rover-MG, il fallimento! Rover ed MG in parole povere, non c’erano più. 

Erano state spente dall’azione giudiziaria di creditori che avevano spinto alla chiusura e liquidazione forzata del Gruppo, del suo complesso industriale e dei Marchi. 

Come sappiamo, in quella azione coattiva si verificarono tre aspetti: la cessione in toto dei diritti industriali, del marchio e della attività commerciale di “MG”; il ritorno alla Ford del Marchio “Rover” che in forza della acquisizione di Land Rover da parte della Casa di Dearborn era stato mantenuto in concessione alla struttura industriale preesistente inglese di “Rover/MG”; con la conseguenza che per un po’ di tempo tutta la catena di montaggio di “25”, “45” e “75” sbarcata in Cina sfornò auto marchiate “Roewe”, una sorta di tragicomica assonanza verbale con il precedente Marchio britannico.

Rover ed MG, la loro storia in capitoli

Sarebbe rimasta in piedi, ancora per poco tempo, in Europa, la Rete del Service e dell’Aftersales “MG/Rover”; ed anche diversi Dealers rimasero in attività con i relativi mandati, in verità soprattutto per smaltire gli stock di invenduto che le povere inglesi si tiravano dietro da tempo in diversi paesi europei, mentre in Patria (Gran Bretagna) i numeri non permettevano di recuperare lo stallo negli altri mercati.Proviamo a ripercorrere in pochi passaggi quello che Rover ed MG hanno rappresentato per il proprio popolo inglese ma anche per il mercato Auto globale, dove le due cose che quasi tutti sanno è che i due Brand occupavano un posto di rilievo nel settore delle sportive “leggere” con la MG ed il comparto “Premium” con la Rover.

Rover, fondata da John Kemp Starley e William Sutton nel 1887, fa solo auto di pregio: parlandone dal secondo Dopoguerra in poi, il Marchio è legato alla tipica tradizione ed ispirazione British per le auto di alto rango dentro un sistema industriale dove ad inizio anni Cinquanta Jaguar/Daimler, Bentley e Rolls, ma anche Vanden Plas e Princess si confrontavano sul tema con una soluzione unica e fideistica: il telaio a longheroni e traverse sul quale le carrozzerie spesso battute a mano venivano montate non prima di aver ricevuto, cliente per cliente, una infinità di piccole o grandi personalizzazioni. 

Come sapete, la concorrenza prima americana e poi europea della scocca autoportante stampata aveva però dato un colpo ferale ai costruttori inglesi più conservatori: da un lato le carrozzerie più spesso “landaulet” di questi non reggevano più il confronto estetico con i tre volumi bellissimi e moderni delle monoscocca; dall’altro il prezzo di queste, a parità di lusso, era decimale rispetto alle costosissime inglesi.

Su Autoprove abbiamo raccontato la storia di “Bentley Burma”, andatela a rivedere: Rolls Royce dovette affrontare l’ironia dei giornali tradizionalisti prima di lanciare con la Silver Spirit un vero boom di mercato. Purtroppo per gli altri Marchi che però via via scomparvero (Daimler, Vanden Plas, Princess) il passaggio allo chassis autoportante fu l’anticamera del fallimento, perché nel frattempo era cominciata appunto la perniciosa nazionalizzazione: scioperi, manifattura vergognosa, ritardi nelle consegne e soprattutto la moda inglese di replicare gli stessi modelli dentro ad un Gruppo cambiando solo il Marchio segnarono il tracollo di tanti Costruttori un tempo celebri. 

Rover in tutto questo si avvaleva di un privilegio che era davvero raro in quella follia industriale della nazionalizzazione: poter essere distinta dal resto, essere un Marchio con una propria personalità. Fino al 1949 Rover aveva una linea di vetture “Limousine” di rango altissimo, e tutt’altro che fallimentari: la “P3” ad esempio, ultimo caso di Rover classica a carrozzeria vecchio stile, viene venduta in oltre novemila esemplari in un solo anno, e mantiene il simbolico record di essere stata la base per la prima serie di “Land Rover”; viene superata dalla “P4” che è la prima vera tre volumi classica a Marchio Rover ma rimane a telaio classico (Longheroni e traverse) e dura dal 1949 al 1964. Disegnata da Gordon Bashford fu per breve tempo la base per una personalizzazione di un piccolo costruttore artigiano, la Marauder. 

In molti visitatori di Wikipedia ritengono, come dice la piattaforma, che questa fu l’ultima serie di successo per Rover, prima della serie “3500/SD1”di circa venti anni dopo.

Il motivo sarebbe da ricercare nella presenza del telaio separato: in verità è una motivazione stupida. Il motivo del successo del modello “P4” (130.000 pezzi in quindici anni, davvero tanti per l’epoca) deriva proprio dal disegno di berlina 3 volumi moderno e più gradevole per i tempi, con cui Rover abbandona il modello “Limousine”.

Lo stesso telaio separato non aveva la classica struttura predominante a longheroni ma era suddivisibile in “telaietti” collegati ai travi lungitudinali: un telaio separato con tamponi antivibrazioni per motore e sospensioni anteriori, e telaio di sostegno per trasmissione e differenziale posteriore ed il ponte ad assale rigido. 

Dunque la Rover si stava avvicinando al mondo del monoscocca, anche perché la carrozzeria era prodotta in acciaio su stampi della “Pressed Steel” di proprietà del Gruppo Austin Morris. Piccola raffinatezza, la Rover si era riservata la costruzione e l’assemblaggio di porte e cofani in alluminio e magnesio per ridurre il peso e battuti a mano.

Ed ecco la presunta “pietra dello scandalo”: la “P5”, vittima della ignoranza storica, delle recensioni fantasiose: viene prodotta dal 1958 al ’73. Già solo questo basterebbe, per i sani di mente, a spiegare la fregnaccia insita nella ipotesi che i clienti conservatori avessero bocciato il telaio monoscocca che “Pressed Steel” (probabilmente la migliore catena di montaggio europea in termini di Know How e metallurgia per gli stampi metallici automobilistici) aveva realizzato per la prima volta nella storia di Rover. 

Purtroppo la “P5” si trova stretta da troppi fuochi: la qualità costruttiva iniziale risente delle lotte sindacali, ma il peggio deve arrivare quando British Leyland ingloba il marchio trasformandolo in un carrozzone elettorale e politico; in secondo luogo il rango della “P5” con motori sei cilindri da 3 litri molto più ingestibile e costoso del 2600 cc. della “P4” costringe anche questo modello a pagare lo scotto della crisi energetica che colpisce l’Europa ed il mondo da fine anni Sessanta. In questo, pensate, alcuni commentatori si dilettarono persino a sommergere di critiche la scelta grafica, in verità davvero un poco plumbea, del nuovo logo “Rover” del 1965: un ovale con sfondo color nero pietra lavica, e con solo la famosa nave vichinga (apparsa per la prima volta nel 1929) stilizzata in modo davvero imbarazzante con linee di un bianco pauperistico, senza alcun richiamo al nome “Rover”.

Come vedete, la fantasia dei detrattori british del Marchio era multilevel, anche se francamente la scelta di un logo che superava quello precedente – bellissimo – in nero/rosso/oro avrebbe dovuto essere costruita meglio. Non

Probabilmente prima vera concorrente in suolo inglese della prossima e quasi coetanea RR Silver Spirit, la “P5” era progettualmente eccellente, ma l’elenco di guai premessi sopra sono la base di una storia in chiaroscuro. 

 Unico problema vero in realtà creato in casa da Rover fu la presentazione poco dopo la “P5” berlina, della cosidetta“Coupè” nel 1962. 

Sempre disegnata da David Bache, la “Coupè” era la stessaberlina a 4 porte con padiglione ribassato e porte senza montanti, ma aveva una linea che da un lato avvicinò i clienti più sportivi e dall’altro frenò i clienti classici dal comprare la Berlina, decisamente ed oggettivamente meno bella nel confronto.

Nel 1967 debuttò la 3,5 litres, berlina e coupé, con motore V8 OHV (monoalbero centrale in mezzo alle bancate) di 3532 cm³ da 146cv, abbinato unicamente alla trasmissione automatica.

Fermiamoci un attimo: la storia di Rover diventa un piccolo tormento da fine anni Sessanta, ma prima di proseguire conosciamo meglio “MG” ovvero Morris Garage.

 

Proprio così, MG nasce come officina di preparazione delle Morris “invendute” ed assemblatore delle componenti giacenti nel magazzino centrale del Marchio. Dunque una costola solidale e sbarazzina del prostigioso Brand Morris, sebbene votato al target popolare.

Proprio nel 2024 MG ha compiuto cent’anni nel silenzio generale, perché il Direttore Generale di Morris – Cecil Kimber – sforna la prima MG su base Morris Oxford nel 1924.

In meno di cinque anni il piccolo Marchio fa un boom, e deve trasferirsi ad Abington nel 1929.

Arrivano Record e primati: “MG” è la prima auto da 750 cc a superare le 100 miglia orarie di velocità massima, e nasce il mito delle “Midget” MG (cioè le EX120); inoltre MG è il primo Marchio non italiano a vincere la Mille Miglia con la “K3” Magnette che vince la sua categoria

Dopo la seconda Guerra Mondiale l’esercito americano di stanza in Gran Bretagna porta decine di deliziose e mai viste MG in patria e da quel momento gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sempre per MG. 

Va tutto troppo bene perché la politica non entri a rompere schemi e qualcos’altro: nel 1952 nasce un primo carrozzone di Stato, la British Motor Corporation che ingloba Austin/Morris e dunque MG ma anche vere concorrenti come Wolseley e Riley.

 TMa MG va dritta per la sua strada e nel 1955 presenta la “A”, una delle sue più belle auto e prodotta in oltre 100.000 pezzi

 MmjkuuùLa categoria motoristica di MG resta popolare nel taglio ma non nelle prestazioni: nel 1958 alla versione da 1.500 cc si unisce un Twin Cam 1600 cc. che è tra i primi a toccare i 105 cv per un motore di serie. Nulla a confronto dei 290 Cv che sviluppò il 1500 con Compressore di un prototipo da Record di velocità a Bonneville basato proprio sulla “A”, chiamato “EX181” e guidato da Stirling Moss nel 1957 a oltre 245 Miglia orarie. 

Due anni dopo sempre a Bonneville Phil Hill, con il motore 1.500 twin Cam da 300 Cv tocca le 255 miglia orarie di velocità massima, la più alta di sempre per una MG. Un’altra “…più…MG di sempre” è la MGB del 1962, la prima monoscocca, in versione roadster ed in versione chiusa nel 1965 con tetto disegnato da Pininfarina. E forse la MG più venduta di sempre.

Fermiamoci qui: sia per Rover che per MG siamo arrivati alla fine degli Anni Sessanta. Il peggio deve ancora arrivare.

Dagli anni Sessanta Importazioni e shopping dall’estero fanno entrare in crisi il sistema industriale nazionale; a questo, dalla fine degli anni Sessanta, si unisce il fenomeno dello sciacallaggio sindacale: per effetto della corruzione operata da altri Dealers e Costruttori esteri, i Dirigenti sindacali proclamano negli Stabilimenti chiave dell’Automotive inglese raffiche di scioperi, arrivando a onorare solo un giorno lavorativo su tre all’anno; il motivo è semplice; da “Red Derek” ai suoi colleghi semi mafiosi dell’associazionismo sindacale inglese, la scelta di bloccare gli Stabilimenti diventa una operazione “extra-busta paga” straordinaria: inchieste e indagini giudiziarie e parlamentari scoprono traffici nascosti di ricambi e macchinati rubati dagli impianti produttivi, scoprono migliaia di Concessionarie e Punti Officina della concorrenza ai Marchi inglesi che fa risalire direttamente od indirettamente alla delinquenza sindacale dell’epoca. Finchè un giorno, God save the Queen, non arriva “LUI”: Sir Michael Edwardes. Ma facciamo ordine.

La nazionalizzazione selvaggia e la mafia sindacale in Gran Bretagna: 

muore l’auto “British”

Dopo il primo Dopoguerra in cui era stata contemporaneamente miglior mercato Auto europeo e mondiale, Nazione vincente e dunque non assoggettata alla tagliola di Norimberga e soprattutto partner commerciale preferenziale dei ricchissimi americani, la Gran Bretagna dal 1955 aveva dovuto cominciare una “lotta di frontiera” per proteggere il proprio mercato industriale, schiavo di sè stesso (Gamma auto troppo conservatrice e di nicchia, costi di produzione altissimi ed incapacità di sfondare nei mercati europei) e di politiche governative disastrose in primis dei Governi Laburisti : l’iniezione di soldi pubblici aveva trasformato gli Stabilimenti automobilistici nazionali in incubatori di voti e corruzione, con assunzioni a valanga di manodopera inutile ma anche con la esplosione di lotte sindacali pretestuose e ricattatorie che avevano paralizzato il sistema produttivo. 

E nonostante il lancio della straordinaria “Mini Minor“, dai circa 2.500.000 di auto prodotte nel 1964 la Gran Bretagna  era passata a circa 1.800.000 di unità nel 1972, ed il 1980 proietterà un solo misero milione di pezzi, contro quasi il doppio di Germania, Francia ed Italia. Per questo gli anni Ottanta diventano il palcoscenico della schizofrenia inglese in campo Automotive: da un lato apertura totale ai giapponesi, e dall’altro contropropaganda diffamante il più delle volte su presunte pecche costruttive della concorrenza estera soprattutto tedesca, al pari degli Stati Uniti dove la pubblicità offensiva era all’ordine del giorno contro le auto europee.

Per proteggere l’Industria dell’Union Jack soprattutto dalla concorrenza, dagli anni Sessanta un numero impressionante di Marchi viene parcheggiato dentro quattro Gruppi: la Leyland Motors (che comprendeva MG, Triumph e Rover e finirà per assorbire anche Land Rover); la BMC – BritishMotor Corporation (Austin Motor, Riley, Wolseley, Alvin, Vanden Plas, Princess, Jaguar – Daimler, Nuffield – Morris); poi il Gruppo Rootes (Sumbeam, Singer, Humber, Hillman, Frazer, Talbot) ed infine Rolls Royce-Bentley ed AstonMartin Lagonda. Rimaneva infine una prestigiosa galassia di Marchi artigianali (Lotus, Bristol, Jensen, AC, Marcos, etc..) comunque al “Top” di sportività e prestigio.

I Governi più impegnati nell’iniezione di Sterline pubbliche all’Industria UK sono certo stati quelli di Harold Wilson e di James Callaghan, tra il 1964 ed il 1979; ma anche al Governo Conservatore di Edward Heath – il 4 Febbraio 1971  – era toccato di salvare la divisione aeronautica di Rolls Royce, finita in amministrazione controllata con oltre 75.000 lavoratori che da Hillington e dintorni rischiavano il posto.

Ma il primo boato della frana fu nel 1958 quando il Gruppo Rootes fu comprato da Chrysler che “colonizzando” il Gruppo inglese (che aveva già conquistato il Sol Levante e che stava per diventare il primo produttore occidentale ad aprire uno Stabilimento in Romania) aveva aperto ufficialmente lo stato di crisi.

E si arriva nel 1968 quando la politica spinse per la maxi fusione tra British Motor Corporation e Leyland nell’ unico grande conglomerato “B.L.M.C.” (British LeylandMotor Corporation, poi nazionalizzato dal 1975 con i soldi pubblici di Sir Harlod Wilson) con ben 14 Marchi al suo interno. 

Come estremo gesto di disperazione nel 1976 Wilson crea il “N.E.B. – National Enterprise Board” per “potare” le imprese nazionalizzate che è ormai ora di abbandonare al loro destino, ma il problema è che il presidente designato del N.E.B. tra il 1975 ed il 1977, Lord Don Ryder, sta praticamente buttando via soldi pubblici su British Leylandsenza riuscire a risollevarla: a questo punto entra in scena Sir Michael Edwardes (già Manager di importanti Aziende inglesi di componentistica) che affianca per un anno proprio Don Ryder nel Board del “N.E.B.” e lo sostituisce nel 1977, l’anno del “Giubileo d’Argento” della Regina Elizabetta.

Alla sua prima Conferenza Stampa Edwardes ha appena dichiarato guerra aperta ai sindacati con la prima occasione di linea dura a Febbraio 1978 va diretto a Speke e fa chiudere lo Stabilimento contro un Sindacato che non vuole avviare nessuna trattativa.

Edwardes si spostava regolarmente in Jaguar e Rover, e lavora per il rilancio di un Marchio che in effetti torna sugli allori. La “Rover SD1” diventa “Auto dell’Anno 1977” mentre prosegue il rilancio e la valorizzazione di Jaguar, e la nuova “Austin Metro“, anticipa un progetto di collaborazione con il colosso giapponese Honda per una linea di nuovi modelli in Joint ventures; 

Anche per MG Edwardes si muove con impegno: nel 1979 è protagonista di un “incontro di prova” tra AstonMartin ed MG che ha dato vita al prototipo “MGB Aston; tentativo per unire le due realtà imprenditoriali nell’Impianto di Abington. Sempre con Aston Martin, o meglio con Victor Gauntlett, tenta l’esperimento della celebre “Aston – Jaguar Bulldog” del 1980.  E Sir Michael fa persino conoscenza con il famoso e discusso John De Lorean che si propone per rivitalizzare e far ripartire la Triumph nel famoso Impianto di Dunmurry in Irlanda, ma sappiamo che piega presero poi le cose….

Ecco perchè Edwardes il 24 Dicembre 1979  – con l’OK appena ottenuto dal Governo per incontrare la Honda – anche se il giorno dopo è Natale, ed anche se purtroppo suo padre si è aggravato dopo una lunga malattia a Port Elizabeth, deve tuttacvia volare di corsa al  Centro Direzionale “HayoamaBuilding” di Minato (Tokyo) perchè il 26 Dicembre (giorno normalmente lavorativo nel Giappone scintoista) è atteso dal Presidente della Honda Kawashima, e quando tornerà dal Giappone per tornare in famiglia, purtroppo dovrà recarsi al funerale paterno.

 

Martedì 25 Dicembre, Heathrow – London Airport, ore 9,00 : mentre gli inglesi si stiracchiano davanti alla TV con “Star Over Behetlem” trasmesso dalla BBC Michael Edwardes sta salendo in aereo verso Tokyo e dai microfoni saluta i suoi concittadini con un “Now buy British !!” per contrastare l’oltre 60% di mercato in mano ai Marchi esteri.

Minato, Tokyo, 26 Dicembre 1979: Edwardes e Kawashimafirmano un accordo rivoluzionario, prospetticamente di 15 anni per la condivisione di tecnologia e sviluppo congiunto della prima auto giapponese prodotta su suolo comunitario (l’Alfa “A.R.N.A.” arriverà due anni dopo) che sarà anche la prima capostipite di una serie di insediamenti nipponici in UK (verranno piano piano la Nissan, la Mitsubishi, la Suzuki, Toyota, Subaru e Daihatsu); come detto la base “Ballade” non è destinata a diventare per una best seller europea (men che meno nel DNA della Triumph) ma almeno permetterà a British Leyland di rianimare gli impianti di Cowley e Gaydon (Ex RAF, appena riconvertito con Pista di Prova, Galleria del vento e Centro sviluppo Progetti) con una produzione su licenza (rimarchiata Triumph Acclaim)a soli 100 USD di Royalty per auto prodotta, davvero spiccioli! 

Purtroppo l’azione di Edwardes è una mannaia per la storia e l’eccellenza industriale del Regno Unito: chiudono 19 Impianti su 55, tra i quali Abingdon e Canley (MG), Solihuled appunto Speke (Triumph), mentre rimangono Cowley, Browns Lane e Coventry.  A fare le spese delle “lacrime e sangue” sono in primis “Vanden Plas” ed “MG” che da produttori diventano o ritornano semplici “Griffe” di personalizzazione di modelli speciali mentre già Riley, Wolseley, Alvis, e praticamente la Morris erano finite di esistere. 

Questo Vi spiega perché la Gran Bretagna è diventata in pochi anni il luogo di elezione dei Marchi giapponesi che volevano arrivare in Europa, e anticipa quello che è accaduto tra Austin Rover ed Honda.

Ebbene, uscito Edwardes da BL il timone passa ad un Management che decide di unificare sotto un unico raggruppamento Austin/Rover/MG per poi spegnere Austin. 

Inizia il rapporto “binario” tra Rover ed Honda fatto di luci ed ombre: ottime piattaforme motoristiche provenienti da Tokio ma assemblaggio e verifiche di catena di montaggio decisamente scadenti fanno del prodotto Rover una “Premium a metà” quanto a qualità costruttiva e cura dei dettagli; 

i numeri rimangono marginali, anche perché nel frattempo l’Europa da fine anni Ottanta comincia a subire profonde trasformazioni socio/economico/politiche: ad inizio anni Novanta le tempeste speculative su Lira e Sterlina mettono queste due valute in una situazione critica, e le rispettive economie entrano in cavitazione. 

Certo, a confronto della situazione italiana la Gran Bretagna appare ancora un Eden motoristico; ma da quel 24 Dicembre del 1979 sembrano ormai passati secoli: e poco dopo la scomparsa di Sir Michael Edwardes il 15 Settembre del 2019 a Swindon, davanti agli Stabilimenti Honda, centinaia di residenti sfilano per convincere il Marchio giapponese a riaprire l’Impianto chiuso a Luglio 2021 con l’uscita di 3.500 operai: con questo passaggio si chiude idealmente la rivoluzione straordinaria di quell’ex suddito coloniale di Sua Maestà la Regina, che a Natale 1979 gridò”Buy British” !!!  

Riccardo Bellumori (Prima parte di Due – Segue)