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Polestar crolla in Cina: pronta l’uscita dal mercato?

Polestar potrebbe ritirarsi completamente dal mercato cinese entro la fine dell’anno, secondo quanto riportato da Car News China, che cita il sito di informazione cinese NBD Auto. Secondo il rapporto, ciò sarebbe dovuto alle scarse vendite e a una significativa ristrutturazione organizzativa nella regione.

Il marchio svedese di proprietà di Geely ha venduto solo 69 veicoli in Cina nella prima metà di quest’anno, durante la quale non ha registrato alcuna vendita nei mesi di aprile e maggio. Ciò contrasta con le vendite globali di Polestar, pari a 30.319 veicoli nella prima metà del 2025, che rappresentano una crescita del 51% rispetto allo stesso periodo del 2024.

I cambiamenti organizzativi hanno suggerito l’uscita di Polestar dalla Cina, compresa la joint venture tra Polestar e Star Meizu, Polestar Times Technology, che ha interrotto le attività ad aprile, secondo il rapporto.

La presenza fisica di Polestar in Cina è limitata a un unico punto vendita diretto a Shanghai, mentre il suo sistema di acquisto online è stato chiuso e i test drive dei clienti richiedono un appuntamento telefonico preventivo, il che suggerisce che le operazioni sono state quasi completamente sospese sul mercato.

IL DISASTRO IN CINA

Secondo NBD Auto, principale investitore del Geely Holding Group controllato dal presidente di Geely Li Shufu, PSD Investment ha fornito un’iniezione di liquidità di 200 milioni di dollari a Polestar, aumentando così la sua partecipazione in Polestar al 44%, con la partecipazione complessiva di Li in Polestar aumentata al 66%, mentre la partecipazione di Volvo in Polestar è scesa dal 18% al 16%.

Nel febbraio 2024, Volvo ha interrotto il finanziamento di Polestar e ha ceduto il controllo del marchio di veicoli elettrici alla società madre Geely, che ha rilevato la quota del 48% di Volvo in Polestar. Il mese successivo, marzo 2024, Polestar ha annunciato di aver ottenuto 950 milioni di dollari di finanziamenti esterni.

NBD Auto ha riferito che il prezzo delle azioni Polestar è sceso del 90% dalla sua quotazione in borsa nel 2022 e che ha ricevuto una notifica di conformità dal Nasdaq quando il prezzo delle azioni è sceso al di sotto di 1 dollaro USA per azione nel 2024.

Per quanto riguarda i prodotti del marchio, la Polestar 2 è stata aggiornata nell’aprile di quest’anno come modello dell’anno 2026, con una batteria più grande per la sua variante base che aumenta la sua autonomia WLTP a 554 km. Nel frattempo, il SUV compatto premium Polestar 7 sarà prodotto in Europa, mentre la Polestar 5 dovrebbe essere commercializzata nella seconda metà di quest’anno.

Addio Ercole Spada Genio silenzioso dello Stile Auto

Quanti guai che ha combinato la Televisione: mezzo secolo dopo la diffusione del Mezzo di Comunicazione di Massa (MCM) più caratteristico nell’evoluzione della Società, ci ha fatto abituare alla sua propria scaletta rappresentativa, quella in cui apparire è sempre stato meglio che spiegare e descrivere, e quella in cui il significante era sempre privilegiato rispetto al significato. Con questa architettura organizzativa, i tanti “Eroi Borghesi” di ogni aspetto sociale, culturale ed artistico, sono sempre stati relegati a posizioni di subalternità mediatica rispetto a personalità più istrioniche e scenografiche.

Se alla spinta mediatica per eccellenza, quella televisiva, sommiamo lungo quaranta anni di narrativa sull’Industrial Design il peso moltiplicatore delle Riviste di settore, ed infine mettiamo la stratificazione che i troppi “ripetitori da salotto” hanno fatto sul Web delle storie più ridondate; porta da almeno un quarto di secolo ad amplificare soprattutto storie già fin troppo note.

Tutto compreso, siamo arrivati – quaranta anni dopo – ad aver totalmente elevato al rango di epica alcune storie persino mediocri per insabbiare profili e carriere di chi, oserei dire umilmente, si è tenuto sempre al di fuori del cono di luce mediatico e pubblicitario.

Segnando con piccoli fuochi durante sessantacinque anni di storia “sul campo” la storia bella del Disegno di Stile. 

Il problema di Ercole Spada, come quello di tante divinità terrene del disegno, non è elencare i padri nobili che in un modo o nell’altro lo hanno ispirato. 

Uno di questi fu di certo Scaglione, succendendo al quale nella evoluzione della “Giulietta Sprint Zagato” assegno’ alla sua creazione l’imprimatur della “coda tronca” di cui Spada sarà discreto e nobile sacerdote per sempre.

Il problema è che queste divinità terrene, e non per colpa loro, non hanno visto il piacere di una generazione degna di figli elettivi in grado di trasmetterne ed onorarne la memoria e la lezione culturale che ha fatto crescere il “senso del bello” in intere generazioni di persone nel mondo.

Ed oggi che lo devo ricordare in memoria perché scomparso nella sua residenza estiva al Sestriere, pesa come in pochi altri casi il dolore e la sensazione di colpa per non averlo potuto o cercato di conoscere anche solo per un saluto ed un “grazie” detto di persona. 

Sessantacinque anni fa, la storia di Ercole Spada inizia intrecciandosi con un’altra storia di nobile provincialismo: la Bristol (marchio artigianale inglese conservatore nel midollo e però testimone di un lusso sportivo senza tempo) ha voglia di una miniserie di special basate sulla Coupè “406” e si affida alla Zagato. Nel frattempo a questa è arrivato da parte del ventiduenne Ercole un plico: lettera di presentazione e disegni, tanti ed in bellissima copia, per offrire la sua collaborazione nel disegno di stile che lo aveva appassionato fin da bambino, forse con la piacevole “deriva” del fratello minore Augusto che stava intraprendendo gli studi di architettura e che dopo il Liceo Scientifico si era iscritto al Politecnico.

Ma – devo presumere – i pigmalioni ispiratori di Ercole a quel 1960 sono già diversi, ed italiani, che hanno già scritto pagine importanti di storia dello stile, permettendo ad Ercole a sua volta di riempire fogli bianchi di bozzetti, profili, tratti che diventeranno il suo marchio di fabbrica perfezionato negli anni del Diploma all’Istituto Tecnico Feltrinelli di Milano da cui esce nel 1956 come Perito industriale. La “Bristol 406 GTZ” – opera prima di Ercole – è l’anticamera del lavoro che appena successivo già lo iscrive nella dimensione dei grandi: un poco “Maserati Mostro”, quel tanto che basta di Scaglietti e Franco Scaglione, la “406 GTZ” è qualcosa che alla Bristol non avevano mai visto, ed in verità non viene commissionata dal Marchio inglese ma da un suo agente in Gran Bretagna. 

La Aston Martin DB4 GT Zagato che segue la Bristol a cavallo tra 1960 e 1961 è qualcosa di più di una concept: è lo sdoganamento di Aston Martin da canoni puramente sportivi che lo stesso David Brown aveva cercato fin dall’inizio della sua gestione in Aston Martin di instaurare e che Ercole Spada seppe battezzare senza privare il Marchio inglese della personalità che l’ha reso celebre. E la DB4 GT è anche la prima opera in simbiosi tra Elio Zagato ed il giovane Ercole: alla Aston Martin non cercano solo eleganza ma sportività tale da rendere la DB4 competitiva con la Ferrari 250 SWB, e questo fa spremere a Elio tutto il Know How tecnico ed aerodinamico che lo contraddistingue per elaborare la piattaforma Superleggera della Carrozzeria Touring; impresa difficile visto che la lavorazione Superleggera contraddistingue un tipo di telaio dove la “pelle” della carrozzeria svolge un ruolo portante e strutturale. Ed è subito nell’opera di stile della Aston Martin che Ercole Spada si rivela un genio visionario oltre che stilistico. E sono passati solo pochi mesi dal layout della Bristol.

Il Genio e l’Umanità: l’antidoto di pochi, nel mondo dello Stile auto, alla “fenomenite”

Nella DB4 di Spada entrano bellezza classica, piacere visivo del gioco di luci ed ombre, e la plasticità tipica delle forme semplici e senza fronzoli (pinne posteriori, rostri, fregi) che si abbracciano per creare una volumetria priva di quelle angolazioni forzate ed un poco barocche che DB4 “original” del 1959 portava in dote anche nella concezione della Touring.

Non pensiate che io voglia comporre una biografia non richiesta ed integrale di un uomo come Spada: in primo luogo perché non richiesta e successivamente perché inutile (vista la serie di articoli apparsi) e poi perché non merito di scriverla. 

Vorrei solo ricordare la serenità e la modestia “non falsa” con cui rispondendo alle domande durante il Premio “Matita d’Oro” (strameritatissimo e persino “tardivo” nel 2018), Ercole Spada (l’uomo che tanto per fare un esempio tra i tanti grazie alla “Serie 7” disegnata per BMW consentì al marchio bavarese per la prima volta nella storia un sorpasso storico su Mercedes nelle vendite di superammiraglie“Segmento E/F” dove la Classe S di Bruno Sacco era da anni la Best Seller indiscutibile) dichiarava semplicemente di essere stato beneficiato da un colpo di fortuna e da un riflesso di scaltrezza coraggiosa e giovanile: 

“Quando Elio Zagato, nel valutare la mia possibile assunzione, mi chiese se avessi la patente, se sapessi guidare molto bene l’auto (Elio oltre che ottimo Disegnatore era stato anche ex Pilota e collaudava personalmente le sue creazioni e così pretendeva dai suoi collaboratori) e se davvero mi sentivo un talento nel disegno; ebbene io risposi assolutamente si per tre volte”; così si espresse in quel Premio del 2018 alternando forte simpatia, umiltà e grande carattere”. 

Detto in parole povere, l’ingresso di Ercole Spada in Zagato è il frutto di due tenere “bugie”: in realtà Zagato, a corto di nuove leve nel suo Atelier, ha esigenza soprattutto di un disegnatore in grado di aiutare la realizzazione di disegni in scala 1:1 per i modellisti, più che di un creativo. Mentre Ercole Spada si guarda bene dal dire a Zagato che in realtà lui di disegni in scala 1:1 non ne ha mai fatti fino ad allora.Ma la Zagato che incontra il giovane Ercole è in fondo una piccola Factory da una trentina di dipendenti, e il vero “Designer” è in effetti il solo Patron Elio. 

 

Si può dire dunque che in quel momento in cui entra il secondo vero Designer sarà proprio Ercole Spada. Che, fino al trasferimento a Terrazzano di Rho, nei nuovi impianti Zagato a partire dal 1962, dividerà eroicamente tecnigrafo e lavagne nelle stesse aree dei battilastra della vecchia e lillipuziana Carrozzeria a Milano, in Via G.B. Giorgini 16 vicino a Viale Certosa. Ma quello che colpisce di Ercole è la sua natura a tal punto discreta e comprensiva da aver lasciato al solo Elio, il patron, il lusso e la pubblicità mediatica di quelle realizzazioni: al Salone dove Aston Martin e Bristol sono esposte, il giovane Spada non viene neppure portato. Ma è una sorta di “agreement” anche di reciproco scambio: Zagato sta dando fiducia al suo giovane talento, ed Ercole sta prendendo pian piano possesso di tutti i segreti del mestiere.Ma resta straordinaria e didascalica la rappresentazione storica fatta da Ercole Spada sul “workflow” adottato dentro la Zagato: come amava dire in più di una occasione, la Galleria del Vento della Zagato era l’autostrada, e con Zagato impegnato direttamente alla guida il buon Ercole fa da cronometrista per testare le modifiche aerodinamiche sui concept.

Mi piace ricordare, di Ercole Spada, le sue quattro creazioni che in un modo o nell’altro mi sono rimaste impresse e che voglio ricordare per l’effetto che mi hanno lasciato nel tempo: immagino già il disappunto di quanti preferirebbero che io moltiplicassi le recensioni sulla serie Zagato che Spada ha realizzato per Alfa Romeo e Lancia, ma in fondo (ripeto) non ne vedo il motivo visto che dal 3 Agosto il Web e le pagine della Stampa specializzata sono pieni di ricordi di queste auto.

Mi farebbe certo curiosità, avessi tempo e spazio, leggere le recensioni su una delle più discusse e criticate opere di Spada, la famigerata “Lancia Flavia Sport Zagato del 1962, un modello che fino a ieri si è tirato dietro le osservazioni poco lusinghiere dei “puristi” che non hanno perdonato a Spada la tentazione anticonvenzionale di stravolgere la classica fisionomia Lancia. Ma consentitemi di raccontare e recensire il “mio” preferito Ercole Spada sulla base di cinqueprove d’autore che in particolare che mi piace condividere con Voi:

Iso Varedo, BMW Serie 7 E32, Ford Mustang, la famiglia di modelli basati sul pianale Fiat Tipo “2/3” e la particolare e rarissima “Codatronca” del Centro Stile che Ercole Spada fonda con suo figlio Paolo dal 2008.

La prima opera che vorrei ricordare, inutile a dirsi, è la rarissima e rarefatta “Iso Varedo”: quando Piero Rivolta affida ad Ercole Spada il progetto della prima berlinetta a motore posteriore centrale della dinastia “Iso Rivolta” la situazione del Marchio del Grifone è disastrosa, e dunque il progetto gestito stilisticamente da Spada è una avventura vincolata da budget irrisori, necessità di rilancio di un Marchio in crisi, ed esigenze legate all’inevitabile confronto della futura “Varedo” nel segmento di mercato di Lamborghini Countach e De Tomaso Pantera solo per ricordare le dirette concorrenti a motore posteriore centrale.

Cosa Vi sottolineo di Varedo? Il coraggio di tre reali galantuomini e passionali uomini del mondo Auto che conta (un giovane Piero Rivolta succeduto al padre Commendatore Renzo, Giotto Bizzarrini e proprio Ercole Spada) che si buttano nel futuro (motore centrale, parabrezza piatto, superfici in compositi e fiberglass, linee oniriche) senza il budget e la sicurezza che accompagnava altri marchi in questo tipo di mercato; correre, superare i limiti, poter essere nel gotha dell’industria auto per rilanciare un Marchio di eccellenza. 

Varedo: personalità, coraggio e un pizzico di avventura per l’ultima Concept Iso

All’epoca Spada è ancora un freelance in rapporto con Ford da un lato e Ghia (sempre più nell’orbita del Marchio Ovale); per Ford UK ha appena disegnato una pietra miliare (visto che influenzerà più o meno massicciamente la serie “Probe” delle concept americane legate agli studi aerodinamici) come la “GT70” sviluppata in due serie: un layout per una possibile versione “Gruppo 4” per i Rally (con motore V6 della Capri RS 2600) destinata a fare concorrenza ad Alpine e Stratos; ed una successiva “concept” del 1971 decisamente più elegante e rivolta elettivamente al confronto stradale con la Gamma Lotus, con la “Opel GT” e con la Porsche 914 oltre che, evidentemente, con la neonata De Tomaso Mangusta. 

La base del telaio è un vincolo insuperabile anche per Ercole, perché arriva diretto dal progetto che nel corso di pochi mesi nel 1970 Giotto Bizzarrini aveva pensato su commissione da parte di AMC per la “AMX/3” con cui  a sua volta l’ex quarto Gruppo americano voleva fare concorrenza a Ferrari e Corvette: il vincolo è a tal punto assillante che la “Varedo” per la quale Ercole Spada disegna il corpo carrozzeria ha lo stesso interasse reso dal telaio della “AMX/3” c.d. a passo corto (era intenzione della American Motors infatti equipaggiare la probabile AMX con un V8 ed un V6), ma per motivi anche di “trend” sportivo legato ai canoni europei la carrozzeria che riveste il “V8 Cleveland” della Ford rispetto al 6,4 litri della AMX è alta solo un metro anziché 130 cm. della AMX/3. Ercole disegna qualcosa di unico e davvero speciale sia per il prodotto finale che per il tempo consentito da Piero Rivolta che ha assolutamente bisogno di presentare la Varedo al Salone di Torino del 1972. 

Linea che riprende nel taglio dei fanali posteriori la sua concept GT70, taglio laterale meno a cuneo della Stratos“Concept Zero” della quale riprende il tema dei due quadrati vetrati laterali a mo’ di finestrino panoramico; codone che assume un “guscio” fessurato simile alla griglia coprilunottodi “Carabo”ma in questo caso assimilata nella carrozzeria, ed infine l’anteriore che davvero presenta un taglio che non dimentichi, con questo sviluppo di “vuoti” e “pieni” sulla superficie che rende il “frontale” della Varedo un contrasto bellissimo e dinamico in ogni vista. Purtroppo Varedo rimane un sogno fermo allo stadio di prototipo, a causa degli sviluppi finanziari e societari di Iso Autoveicoli Spa con la cessione a Ivo Pera ed alla cordata che diede vita alla IsoMotor.

Ford Mustang di Ercole Spada: a sua insaputa il “cavallo” della rinascita

Per Ford USA il modello “Mk2” (T4 Series) della Mustang era stato praticamente una ecatombe commerciale e mediatica: troppo ritagliata sul segmento “medio” al punto da rinunciare al “must” del motore V8, la Mustang della vergogna costò addirittura la carriera di Lee Iacocca nell’Ovale. 

A fronte di questo Ford decise di delegare anche alla Ghia di Torino uno studio della “futura III° Serie (T-5): l’atelier di stile ovviamente organizza più di un Team di ricerca, ma nel 1975 il concept di Ercole Spada, seppur non selezionato come “Masterpiece” da mandare in produzione, offre al Team di Stile di Detroit (guidato da Jack Telnack) il maggior numero di spunti per dare vita al modello del vero rilancio.

Tra le particolarità che del prototipo di Ercole Spada si ritrovano nel modello messo in commercio dal 1979 ci sono i quattro fari rettangolari anteriori, il cofano anteriore molto allungato nella proporzione con gli altri volumi ed un particolare disegno di declino del montante posteriore verso il basso, piccoli segni caratteristici che hanno fatto appunto della terza serie Mustang quella dell’insperato rilancio sul mercato americano. E pensare che rispetto alle strutture ciclopiche di Detroit sia stata l’idea di stile di un discreto e silenzioso genio come Spada a prevalere, non può che colpirci.

Ercole Spada alla corte di Monaco: la rivoluzione silenziosa con Claus Luthe

Uscito da Ghia e Ford, e dopo la parentesi inespressa della “Varedo”, la vita di Ercole Spada incontra il clima freddo e brumoso della Germania, poco male per un nativo di Busto Arsizio. 

Certo, diversi motivi facilitano e stimolano questo cambio epocale: il destino di Ghia che lentamente diventa un avamposto Ford a tal punto vissuto come esclusivo da Detroit che persino Alejandro De Tomaso, inviato dal Management dell’Ovale a guidarne le sorti a Torino, si trova a dover combattere per ottenere “licenza” creativa minimamente sufficiente per percorrere con lo Staff interno di Design un percorso sperimentale che i vertici americani della Casa Costruttrice volevano ridotto al minimo: secondo Ford insomma Ghia doveva trasformarsi in una sorta di “griffe” pregiata in stile “Vanden Plas” per il Gruppo BritishMotors in Gran Bretagna.

Questo lento stato di depotenziamento di Ghia, oltre probabilmente ad un clima socio/politico/industriale (lotte sindacali, crisi energetica, terrorismo e difficoltà estrema della filiera della eccellenza artigiana di cui i Centri Stile erano i capisaldi) che da metà anni Settanta diventa sempre più opprimente, possono essere stati il movente per il quale Ercole Spada approda in Germania; e come avrei voluto chiedere al Maestro Marcello Gandini, mi sarebbe piaciuto anche chiedere personalmente ad Ercole Spada come viveva il periodo in cui le contestazioni studentesche spaccavano i vetri alle auto di prestigio, oppure le lotte sindacali boicottavano le catene di montaggio delle fabbriche; e contrapporre tutto questo ad un oggi in cui tanti dei nostri cosiddetti politici di oggi sono tra quei teppisti giovanili che allora devastavano il patrimonio auto per ideologie od interesse e che oggi si illudono di poterlo difendere……….Ercole Spada arriva insomma in Germania ma non direttamente e inizialmente alla BMW di Monaco (dove è appena arrivato Claus Luthe); ma passa quasi otto mesi alla Audi di Ingolstadt, selezionato e promosso da un headhunter incaricato direttamente da Ferdinand Piech. 

 

Ma questa è l’unica parentesi che lascia l’amaro in bocca ad Ercole, secondo la recensione di un sito/blog di settore “CarCatalog” da cui si evince che pur lavorando all’embrione di quella che diventerà successivamente la “Audi Quattro”, a causa di un Budget risicatissimo e di una situazione gestionale interna davvero drammatica (stile notte dei lunghi coltelli, dove tutti erano contro tutti), Ercole si trova a dover utilizzare un numero altissimo di componenti e particolari della prossima “Audi 80” in uscita. 

Il risultato, per le immagini diffuse da questo Blog, è di una sorta di “embrione” della Audi Quartz che commissionata alla Pininfarina farà la sua apparizione addirittura sei anni dopo.

Ma il disordine regna così sovrano ad Ingolstadt all’epoca che il diretto responsabile “pro-tempore” dello Stile Audi (Hartmut Warkuss) liquida senza molta eleganza e senza mezzi termini il lavoro di Ercole Spada ritenendolo “inadeguato”. 

Ci siamo capiti???? Per rispondere alla chiamata di Audi, Ercole aveva coinvolto tutta la famiglia che pochi mesi dopo il suo arrivo in Audi lo aveva seguito vendendo l’appartamento in Italia ed iscrivendo subito i bambini ad una nuova Scuola. 

Anche per questo, il referente in BMW che aveva ausiliatoClaus Luthe a passare in BMW entra in contatto con il nostro genio nazionale e riesce a favorire il passaggio alla BMW che sotto la spinta creativa prima di Paul Bracq e poi di Claus Luthe sta aprendosi ad una nuova “vita” commerciale ed industriale. 

Inizia quella sorta di “ossessione” bavarese nel voler surclassare e combattere Mercedes nel suo stesso campo di battaglia: le vetture di classe. 

Ovvio che la “summa” di tutto questo si ritrovi nella Serie “7” E32 che deve sostituire – apparentemente superando una sorta di ciclopico muro di ereditarietà inarrivabile – la precedente Serie 7 di Paul Bracq, che a sua volta doveva superare la pesante primogenitura del grande Michelotti. 

Ercole Spada non si fa trovare impreparato: i primi “sketches” ovvero bozzetti di stile della sua idea di serie “7” sono del 1982/1983, ma non replicano in nulla le linee che Claus Luthe sta imprimendo alla nuova Serie 3 ed anticipano in modo sorprendente persino i concetti di stile che muoveranno la futura Serie 5 “E34”. 

Chi distrattamente vede una sorta di “stratificazione” e di omologia tra Serie 3 di Luthe e Serie “7” e “5” di Ercole Spada o non ha occhio o semplicemente non sa tenere in mano una matita: al di là del family feeling garantito dal frontale a quattro fari rotondi ci sono tra le tre serie supervisionate da Luthe e Spada molte più differenze determinanti di quelle che separano le tre serie (“3”, “5”, “7”) supervisionate da Paul Bracq; un po’ come il non saper leggere le differenze tra “Panda”, “Uno”, “Regata”, “Tipo”, “Autobianchi Y10”e Fiat “Croma” opera di quattro Centri Stile e Designer diversi……

Risultato: con la “E32” Serie 7 la BMW riesce per la prima volta nella sua storia a superare le vendite della Classe S di Bruno Sacco nella categoria Ammiraglie. 

La perfezione tecnica di Wolfgang Reitzle e la industrializzazione “All Quality” di Heinz Radermacheravevano incontrato lo stile essenziale e purtuttavia emozionale di Spada.

Fu una vera best seller che la Stampa tedesca rinomina “Jaguar di Baviera, ma che tiene la strada” e che vedrà la ripetizione del successo nella successiva “E34” Serie 5 dal 1988, per la quale ugualmente il Team di Ercole Spada aveva efficacemente “congelato” il concept di stile dalla fine del 1985.

Con Ercole Spada, dopo la metà degli anni Ottanta, Monaco di Baviera brinda ad un risultato storico che ancora da quelle parti si ricorda, soprattutto nella debacle del sistema auto europeo di oggi…….

Pochi possono sapere cosa la “Serie 7 E32” ha rappresentato per quel periodo per BMW, e Ve ne ricordo alcuni passaggi: dopo la Serie “7” precedente che consentiva solo a Monaco di “essere” in un settore Ammiraglie dove ci era arrivata, più che per merito di Bracq, per il lavoro certosino e fondamentale di Giovanni Michelotti che aveva saputo da un lato traghettare BMW in un target “Sport Representative – Executive” che forniva sia emozione che status; ma che dall’altro aveva riportato, dopo la “Neue Klasse” e le Coupèmonumentali, il marchio bavarese su un livello “Luxury” dal quale il marchio dell’Elica era stato defenestrato a causa del disastro generato dai famosi Angeli Barocchi. 

Nessuno a Monaco di Baviera avrebbe potuto solo pensare che con una grossa Berlina di rappresentanza la BMW potesse non solo elevarsi – quanto a pedigree – al temporaneo successo di Jaguar (che dopo la privatizzazione del Governo Thatcher e la vittoria “favorita” nell’Euroturismo 1984 dalla XJS proprio a danno della BMW 635 aveva ritrovato lo smalto commerciale di un tempo tornando a rivestire il ruolo di Benchmark); ma che potesse minacciare i numeri di vendita che Mercedes “Serie S” di Bruno Sacco aveva saputo costruire in Europa ed America lasciando alla Ammiraglia della Stella il solo mercato mediorientale. Ed invece fu proprio quello che Ercole Spada seppe regalare con la Serie “7”.  

 

Piattaforma “Tipo 2: il genio di Ercole Spada diventa “Modulare”

Ed arriva il 1983, quando Ercole fa ritorno in Italia ed entra nello Studio I.De.A. nato dentro Villa Cantamerla nel 1978 da una idea di Franco Mantegazza, Renzo Piano ed altri geni dello stile e dell’Industria dell’auto; e dall’opera prima della Concept VSS del 1978, con l’arrivo di Ercole Spada prende il via un progetto ambizioso commissionato direttamente dall’allora A.D. di Fiat Vittorio Ghidella: sviluppare sulla base della “VSS” due vetture diverse sia come segmento di mercato che come aspetto pur nel rispetto di una medesima piattaforma e della massima condivisione di componenti. 

Ercole Spada si trova coinvolto nel progetto che porta nel 1984 a congelare i figurini di stile di due vetture tra loro “asimmetriche” (Fiat Tipo e Lancia Dedra), dalle quali prenderanno forma la serie “Tempra” per Fiat e “Delta Seconda Serie” per Lancia. 

 

Ma già alla fine del 1987 la sfida per Ercole viene moltiplicata: l’arrivo di Alfa Romeo dentro il Gruppo Fiat e l’assenza di piattaforme in grado di rendere “complementari” le future realizzazioni di Arese con l’assetto industriale e produttivo di Mirafiori e Chivasso (l’Alfa acquisita da Fiat viveva su due soli pianali, quello ex Alfasud del 1968 a Pomigliano d’Arco con motore e trazione anteriore e quello originario della Alfetta del 1971 ma con trazione posteriore) pongono l’ancora capo di Fiat ed ideologo della Societa’“Alfa Lancia SpA” pensata proprio da Ghidella alla fine del 1986 a dover mettere in piedi un nuovo modulo sulla base del Pianale “Tipo 3” dal quale prende forma la futura “Alfa 155”.

SVS e Codatronca, 2008: rimettersi in gioco a settanta anni, per passione

Dopo il ritorno nel 1992 alla Zagato, Ercole Spada ne esce alla soglia del nuovo Millennio per abbracciare una nuova sfida: a settanta anni quasi sopraggiunti, si mette di nuovo in gioco in una ennesima sfida di Impresa e di vita, fondando insieme al figlio Paolo la “Spada Concept(https://www.spadaconcept.com) nel periodo che forse più di altri indirizza il nostro Paese all’oblio del settore Automotive: prevale la spinta “commodity” sul fronte dello stile, il “family feeling” non è più un supporto mediatico e simbolico ma è un vincolo insuperabile verso la omologazione Corporate dei diversi Marchi dentro la serie di Gruppi Internazionali di cui il mondo Auto si circonda. La frontiera elettrica comincia ad esplodere con il fenomeno “Tesla”, ma soprattutto il Crack Lehman ha avuto un effetto “Tsunami” nel panorama industriale a quattro ruote. Interi Gruppi rischiano la Bancarotta, inizia ad affacciarsi nel Vecchio Continente e nel mercato occidentale il mondo oltrefrontiera di Cina ed India.

Eppure Ercole Spada sente dentro la forza e la passione intatta per fare quel che in tanti hanno smesso di fare: vedere oltre, proponendo in prima persona una nuova offerta di stile che allo stesso tempo gratifichi il senso estetico ed emotivo del Cliente e rispecchi il motivo eterno per il quale si nasce e si continua ad essere Designer auto: tramandare la cultura della bellezza dinamica.

Ercole getta il suo “sasso” nello stagno di una banalità di settore che il mercato Auto offre sempre più in abbondanza, e ritrova i suoi paradigmi tradizionali: la grinta, le linee decise e la “Coda Tronca”. Proprio per questo nel 2008 lancia la sua concept didascalica: “CodaTronca”, su base meccanica della Chevrolet Corvette e linea onirica ed unica.

Al “Top Marques” di Montecarlo del 2008 il New York Times dichiara questa Concept la più bella auto dell’esposizione. Ma non c’è solo bellezza ma anche piacere di guida con il V8 da 7 litri a carter secco da 630 cavalli, un tempo di 3,4 secondi per passare da zero a cento chilometri orari, e 335 chilometri orari. Provate a guardarla ancora oggi, ben 17 anni dopo il suo battesimo. Passerete interi minuti a ripassare con lo sguardo particolari, spigoli ed incrocio di luci che ogni secondo abituano i vostri occhi ad una linea che ancora oggi, anche se di ieri, richiama sempre il domani.  

Il ricordo personale di un amico di Autoprove: Federico Signorelli

Federico è un ragazzo che noi di Autoprove particolarmente stimiamo e di cui non abbiamo mai parlato spesso: grazie alla sua passione cristallina e sincera per la ricerca storica nel campo dell’Automobile, è diventato con il suo solo impegno un ottimo riferimento, e ne ha dato prova con il suo primo Libro “45 Storie sull’Automobile” che cattura l’attenzione su dimensioni storiche speciali e in molti casi sconosciute alla gran massa degli appassionati.

Proprio la passione ma anche la disponibilità libera del nostro amico Federico, insieme alla passione ed all’impegno degli amici cultori ed “Owners” di Isomoto ed Iso Rivolta ha dato a noi di Autoprove la fortuna di poter condividere un giorno di commemorazione per Giotto Bizzarrini nello scorso sei Giugno 2023 nell’ambito della Mostra “L’IsoAvventura”al Mauto di Torino.

Proprio in quel contesto è maturata la conoscenza e a quel punto una sorta di amicizia e condivisione personale tra Federico ed Ercole Spada. 

Due anni fa, pensate: questo discreto, elegante, disponibile e sereno uomo di ormai 85 anni si è reso disponibile con tutti i nostri amici ricordati sopra a condividere ed esplicare pezzi di storia importanti del mondo auto a partire ovviamente dalle informazioni determinanti sulla Iso Varedo.

Con la sua vecchia e popolarissima Fiat Panda, Ercole si presentava al Mauto da solo (stanco e provato ma disponibilissimo) anche più volte nell’arco delle settimane, per presentare lucidi e progetti, svelare aneddoti, ripercorrere passaggi storici. Con un affetto ed una passione che traspariva dagli occhi e dal sorriso discreto sempre presente. Fu probabilmente una sorta (se l’amico Federico mi consente) di “consulente ombra” per i ragazzi appassionati che stavano organizzando quella bellissima Mostra, ed ha tributato loro (l’uomo delle Zagato storiche, del record BMW, delle prove più belle del disegno di Stile all’italiana) una attenzione ed una vicinanza umana che rende ancora di più Ercole Spada un silenzioso e discreto eroe borghese dello Stile italiano.

Una mia ultima riflessione? Con Marcello Gandini e Bruno Sacco (insieme ovviamente a Giovanni Michelotti scomparso diverso tempo fa) scompare completamente il 90% del patrimonio artistico ed ingegneristico italiano che è riuscito da solo a rendere grande l’Automotive tedesco, oltre che rendere leggendario il “Made in Italy” che oggi, nella Patria del B&B globale e dei palazzi sventrati per allestire alloggi turistici e fare cassa, è semplicemente uno slogan inventato dentro un ufficio ministeriale a Via Veneto. Oggi, ancora un poco di più, l’Italia perde un pezzo di sé e sposa un pezzettino in più di Portogallo e Grecia. Ma noi siamo italiani, non possiamo essere la Grecia, dicono nei Bar e sotto gli ombrelloni.

Riccardo Bellumori

Mercato Tesla in crisi in Europa ma l’Italia tiene

Le difficoltà di Tesla in Europa stanno diventando sempre più evidenti e le prospettive non sembrano migliorare nel breve termine. Una combinazione di fattori, tra cui l’immagine pubblica polarizzante di Elon Musk, la crescente concorrenza delle case automobilistiche consolidate e la rapida ascesa dei marchi cinesi di veicoli elettrici, ha portato a un forte calo della popolarità del marchio in diversi mercati europei chiave. Di conseguenza, la sua quota di mercato locale ha subito un duro colpo.

I CONTI NON TORNANo

Nuovi dati rivelano l’entità del danno. A luglio, le immatricolazioni di Tesla nei Paesi Bassi sono diminuite del 62% su base annua, attestandosi a 443 veicoli. In Belgio sono diminuite del 58% a 460 unità e in Portogallo sono diminuite del 49% a sole 284 unità.

L’impatto è stato ancora più grave in Svezia, dove le immatricolazioni sono diminuite dell’86% a 163 veicoli. Anche la Danimarca e la Francia hanno registrato forti cali, rispettivamente del 52% e del 27%, con Tesla che ha venduto 336 e 1.307 unità in questi mercati.

Le vendite hanno continuato a scendere anche in Italia, con un calo del 5% su base annua a 457 veicoli. Come osservato da Reuters, il calo delle vendite in questi importanti paesi non solo a luglio, ma anche a giugno, ha visto la quota di mercato dei veicoli elettrici a batteria di Tesla scendere dal 21,6% al 14,5%.

Tesla sta perdendo l’Europa più velocemente di quanto Elon Musk possa twittare
Tesla riuscirà a invertire la tendenza?

Nonostante la flessione, ci sono stati un paio di aspetti positivi. In Norvegia, le immatricolazioni di Tesla sono aumentate dell’83% a 838 veicoli, grazie anche all’introduzione di prestiti a tasso zero. Anche la Spagna ha registrato un modesto aumento, con vendite in crescita del 27% a 702 unità.

Nonostante le difficoltà, Musk rimane ottimista sul fatto che Tesla possa registrare una ripresa in Europa. Recentemente, parlando con gli analisti, ha affermato che le normative più severe della regione sui sistemi di guida semi-autonoma rendono più difficile vendere il Model Y rispetto agli Stati Uniti.

“Riteniamo che le nostre vendite in Europa miglioreranno in modo significativo una volta che saremo in grado di offrire ai clienti la stessa esperienza che hanno negli Stati Uniti“, ha spiegato, citando le funzionalità di guida completamente autonoma come “un enorme punto di forza” nel mercato americano.

Nuovo Mercedes GLC 2025: Anteprima Teaser

Prima di svelare il nuovo Mercedes GLC 100% elettrico a inizio settembre, Mercedes mostra già la sua calandra.

Cambio di rotta in casa Mercedes. Come molti costruttori impegnati nell’elettrificazione delle proprie gamme, il marchio premium tedesco sembra voler modificare la propria strategia. Nessun ritorno al motore termico (o forse sì?). Tuttavia, la Stella non sembra più così convinta della validità dei suoi modelli EQ, preferendo proporre versioni “a batterie” dei suoi veicoli classici.

Dopo la nuova famiglia CLA (coupé e Shooting Brake), che sarà offerta con entrambe le motorizzazioni su una nuova piattaforma, è ora il turno del GLC di adottare la propulsione completamente elettrica in una variante che coesisterà con l’attuale modello. Quest’ultimo continuerà ad essere disponibile in versione diesel, benzina e ibrida.

Il nuovo Mercedes GLC sarà presentato ufficialmente al prossimo Salone di Monaco, dal 9 al 14 settembre 2025. Secondo L’argus, sarà il primo modello a utilizzare la nuova piattaforma MB.EA e, dal punto di vista del design, dovrebbe mantenere lo stile generale del GLC termico. Ed è proprio qui che Mercedes avvia una rivoluzione: i modelli EQ specifici (EQA, EQB, EQE, EQS…) saranno gradualmente sostituiti da versioni elettriche di modelli già noti ai clienti Mercedes.

Dopo il CLA, toccherà al GLC, e nel 2027 arriverà anche una nuova Classe C elettrica che sarà venduta accanto alla versione termica. Mercedes, in difficoltà con le vendite dei modelli EQ, punta ora sulla notorietà dei modelli esistenti per convincere gli acquirenti a passare all’elettrico. E il GLC è in prima linea, essendo ogni anno il modello Mercedes più venduto al mondo.

LO STILE EVOLUTIVO

Il Mercedes GLC elettrico, che coesisterà con il GLC termico, arriverà sul mercato entro la fine del 2025. Secondo le prime indiscrezioni, il design sarà molto simile a quello del GLC termico, ma la parte frontale sarà specifica, grazie a una nuova calandra. Da oltre cento anni, la calandra cromata è un elemento iconico del design Mercedes.

Anche se ha subito molte evoluzioni nel tempo, ha sempre permesso di identificare immediatamente una Mercedes. Pensiamo alla calandra massiccia e rettangolare della Classe G, a quella bombata delle sportive AMG-GT (ispirata alla leggendaria 300 SL), o ai radiatori a lamelle delle limousine Mercedes.

Un elemento di design e tecnologia

Con l’arrivo delle motorizzazioni elettriche, la calandra perde la sua funzione tecnica e diventa un elemento puramente estetico. Il nuovo GLC reinterpreta la calandra cromata in chiave moderna. Come ha detto un designer Mercedes: “Perché torniamo al passato? Perché possiamo!”

Una frecciatina ai nuovi concorrenti, spesso cinesi, privi della lunga tradizione dei costruttori europei. Il teaser mostra una cornice cromata, una struttura a griglia con effetto vetro fumé e illuminazione integrata. Nella versione base, sarà disponibile questa configurazione; come optional, si potrà scegliere una versione luminosa con grafica a pixel composta da 942 punti LED retroilluminati. Il top di gamma avrà anche animazioni e il logo Mercedes centrale illuminato.

Il resto del Mercedes GLC sarà svelato il 7 settembre 2025 prima della presentazione ufficiale al Salone di Monaco il 9 settembre.

Sergio Marchionne cosa c’azzecca con questa Italia?

La storia è sempre ingiusta con i paralleli e con i paragoni. Ma ci azzecca sempre con i corsi e ricorsi. Dopo la Fiat di Ghidella, entrato in crescendo nel 1978 dentro Fiat Auto per poi diventarne A.D. e proseguire con una carriera straordinaria in dieci anni, si era materializzato per Corso Marconi un quindicennio davvero plumbeo: si era iniziato con la guerra dei lunghi coltelli tra Vittorio e Cesare Romiti. 

A scatenare le dimissioni di Ghidella fu l’indagine interna promossa da Romiti sui Fornitori della Fiat con la “scusante” delle verifiche e del miglioramento di performances dei processi di Qualità Totale, per arrivare alla ipotesi (totalmente smentita e destituita di fondamento) che Ghidella“favorisse” alcuni fornitori rispetto ad altri per mera questione di rapporto personale. 

Questo in sintesi il “vulnus”. In verità alla data dell’inchiesta di Romiti l’ingegner Ghidella era davvero l’uomo più significativo e strategico del Gruppo di Torino, anche se ovviamente non era il più potente. Ghidella stava marciando a gran passo verso la realizzazione di un obbiettivo o, se volete, di un miraggio: fondere Fiat e Ford Europa per creare il colosso continentale e probabilmente la risorsa che avrebbe portato la Galassia dell’Ovale ad essere il primo Gruppo mondiale scavalcando l’allora Leader General Motors. Chiaro, parliamo di 35 anni fa, quando per dominare le classifiche “bastava” produrre quattro milioni di vetture ogni anno.

Romiti, dicono i maligni, ammonì Gianni Agnelli del pericolo di “svuotamento” strategico di Corso Marconi rispetto alla possibile sudditanza strategica di Detroit. Stranamente le solite “pippe” nazionaliste sul treno economico in piena corsa e sulla quinta potenza mondiale all’epoca non valevano più un tubo, visto che nessuno fece notare all’ex Kaiser romano che la Fiat gestita da Ghidellaera diventata primo Gruppo mondiale contro però un fenomeno in pieno progresso come Volkswagen che aveva cominciato a mordere la distanza con Torino.

La Fiat ereditata da Marchionne: dalle stelle alla palude  del “De-Motive” di Romiti

E senza contare che mentre Ford era all’epoca un raggruppamento davvero di “Commodity” di buon pregio (prima del 1989 in casa Ford l’unico “Brand” di lusso era la Lincoln, mentre Mercury e Ford stessa erano marchi generalisti) e che solo dopo il 1989 entra in casa la Jaguar (Aston Martin, Volvo e Land Rover aspetteranno ancora parecchio) ed inizia una sorta di “rally” commerciale della nuova Fiesta che davvero in Europa è best seller; mentre la Fiat che Ghidella avrebbe portato in dote probabilmente avrebbe preso la cosiddetta paga rispetto alla capacità costruttiva di Ford sulla Gamma generalista, ma avrebbe avuto il ruolo mediatico dominante che derivava dal possedere dentro la pancia nomi come Abarth, Alfa Romeo, Ferrari, Lancia, Maserati senza dimenticare tutto l’indotto gigantesco che Fiat e Ford avrebbero messo insieme sui mezzi pesanti, da Cantiere e per Agricoltura. 

Comunque, stoppata l’operazione Fiat/Ford (visto che annusata l’aria il povero Ghidella fece le valigie prima ancora che l’inchiesta interna sui Fornitori avviata da Romiti gli desse pienamente ragione) l’Ingegnere piemontese passò proprio in veste di consulente alla Ford dal 1989. Andate a vedere i risultati commerciali di quella Ford nel periodo di consulenza di un uomo (Ghidella) che amava dire che le auto non bastava saperle progettare ma occorreva saperle amare e conoscere.

La differenza strategica, tecnica e culturale, in tema di auto, tra Romiti e Ghidella è sempre stata la stessa che potrei avere io sul Cricket rispetto ad un appassionato e tifoso seguace storico di questo Sport. Romiti voleva senza mezzi termini far uscire la Fiat dall’Automotive oppure far uscire la famiglia Agnelli dalla Fiat. Devo ancora capire.

Spero sia compresa la metafora: Romiti era uomo di alta Finanza, ospite e rappresentante del salotto buono di Mediobanca, potentissimo tessitore politico e – direi – appassionato collezionista di redazioni di Giornali, vista l’attenzione che dava alle partecipazioni nel controllo della Stampa nazionale. Ma dell’auto gli interessavano solo i sedili posteriori quando il suo Autista lo scortava con l’auto presidenziale. Con Romiti la Fiat si diletta di shopping alimentare ed assicurativo nei primi anni Novanta. Mentre la sberla che la Continental appioppa alla Pirelli, nella controscalata ostile al Marchio milanese per eccellenza, inizia a far capire che il vento è cambiato. Milano da bere finirà presto bevuta dalle inchieste di Tangentopoli. E Fiat, con la sua dirigenza, putroppo sarà spesso inquadrata dalle telecamere dei Palazzi di Giustizia. Ecco il vero “gap” di Romiti: non aver capito che intorno a Fiat andava ricostruito un orgoglio nazionale. Con lo shopping eterogeneo su alimentare, GDO ed Insurance; e la ricerca inutile della Qualità Totale Fiat finisce per essere superata commercialmente non solo dal colosso Volkswagen ma anche da “Outsiders” come Ford Europa, Renault e PSA.

Ma sul lato tecnico era ovviamente la percentuale conoscitiva e pratica dell’Ingegner Ghidella ad aver fatto “fiutare” l’aria che Cesarone non sapeva fiutare, perchè rispetto a Romiti Ghidella si dimostrò capacissimo di intellegere le cose della politica e della Società quando nel 1980 fu tra i promotori di una delle più importanti e simboliche azioni di controprotestaoperaia in tutta Europa: la famosa marcia dei Quarantamila.

Ghidella “azzecca” ed infila per il Gruppo Fiat tutta la serie di risultati aziendali, commerciali e sportivi che fanno di Fiat il fenomeno del decennio: evoluzione tecnologica, branding, progresso qualitativo e di aftersales, e soprattutto il trascinamento che lo sport portava sul mercato 

Insomma, per tornare alla narrazione, quando Ghidella esce di scena da Fiat, lascia a Romiti il primo Gruppo europeo, proprietario di ben nove Marchi e titolare della maggioranza simbolica del mercato del prestigio a quattro ruote con ben quattro Marchi Premium “ante litteram” (Alfa Romeo, Autobianchi, Lancia, Maserati), un pedigree sportivo di primato assoluto (con Lancia, Autobianchi, Abarth e Ferrari) una Griffe sportiva delle sole quattro che l’Europa poteva esprimere in quel periodo (Abarth aveva sul mercato la sola corrispondenza di MG, Cooper, AMG, Gordini) ed infine un Marchio di prestigio assoluto come Ferrari a cui si potevano contrapporre all’epoca solo tre realtà consolidate (Lamborghini, Porsche, Aston Martin) dentro una Galassia dove i competitor apparivano alla stessa velocità con cui scomparivano….

Detto questo, se Fiat era – da buon Marchio generalista – esposto alla variabilità di un mercato dove bastava che un concorrente azzeccasse in un intervallo temporale specifico uno o due modelli (e basta l’esperienza di Ford con Fiesta e Sierra, di Peugeot con 205  o di Opel tra fine anni Ottanta ed inizio anni Novanta) per prendere un + 5% sulla concorrenza; da parte di Ghidella la Fiat anni Novanta ereditava l’ottimo andamento di Lancia, la crescita di Alfa Romeo, lo status di Ferrari; e, certo, c’era da sistemare la posizione un poco complessa di ben tre marchi generalisti tra loro “quasi” concorrenti nella gamma popolare (soprattutto tra Innocenti e Fiat, visto che Autobianchi si era già deciso di farla confluire in Lancia dal 1987) oltre a saper gestire la ripresa di Maserati. Se volete che io Vi lasci alle cifre, guardate le performances europee di Fiat in Europa (ed in Italia prima degli incentivi rottamazione di Bersani) da quando è passata nelle mani di Romiti, Cantarella e Fresco, per capire di cosa stiamo parlando.

 

 

La Fiat che Ghidella porta in cima al mondo frana negli anni Novanta: i motivi?

E se qualcuno di Voi mi segnalasse che la Fiat di Romiti non aveva più il privilegio della iniezione di soldi pubblici della Cassa integrazione e neppure il muro rassicurante delle dogane e dei Dazi, a lui ricorderei che a Romiti era stata risparmiata negli anni Novanta, almeno, la piaga dei disordini sociali, della seconda crisi energetica di fine anni Settanta, il Terrorismo ed i sabotaggi e gli scioperi selvaggi degli anni di Ghidella. Senza contare che dal 1985 – dopo l’accordo del Plaza – la svalutazione competitiva della Lira era a favore di Ghidella molto meno evidente di quella che – ahimè – pure ci toccò con l’attacco speculativo allo SME. 

Quei quindici anni che passano dall’addio di Ghidellaall’arrivo di Sergio Marchionne al timone della Fiat sono anni di piena recessione per il Gruppo di Torino. Si chiudono Desio e Lambrate, si porta Lancia a risultati omepaticirispetto alle glorie di Thema, Delta e delle stagioni vincenti nello Sport, si rilancia Alfa Romeo usando a tutto spiano le piattaforme “turistiche” di Mirafiori. Il “cuore sportivo” del Biscione mette su pancetta, insomma. A livello internazionale ovviamente pesa sul nuovo management di Fiat la fine dell’ex URSS: le licenze con Lada, e con altre controllate nell’Europa dell’Est saltano come era saltata anni prima la licenza di Seat che il Governo spagnolo aveva liquidato a Fiat all’atto della completa nazionalizzazione del Marchio per la successiva cessione alla Volkswagen. Senza contare la fesseria della cessione dei diritti sul Common Rail.

A livello interno, al contrario, è giusto dire che la Fiat che si trova davanti Ghidella è una sorta di mitologico ircocervo: deriva dalla gloria sportiva di Lancia, Fiat e Ferrari negli anni Settanta. Ma dagli anni Settanta si porta dietro anche la peste della corrosione passante, delle lavorazioni a casaccio, del pregiudizio su qualità ed affidabilità.

Ma il vantaggio della Fiat, dal 1979, è in due condizioni particolarmente redditizie per il Gruppo di Corso Marconi: da un lato la frana dell’industria britannica, che dal 1980 alla fine del decennio produce in media un milione di vetture all’anno; e questo – checchè se ne dica – capitava ancora all’epoca in quello che era il terzo mercato europeo negli anni Settanta; la seconda forza che derivava alla Fiat dall’Italia era il progressivo consolidamento dell’Italia regina dello stile e del “fashion”; cosa che, nell’esplosione dei Mass Media e della fotografia, ha avuto il suo effetto.

Certamente, Ghidella è stato capace di intercettare ed organizzare perfettamente la targettizzazione di un Gruppo che lui stesso ha favorito nella crescita, nella espansione e nella internazionalizzazione: pensate alla capacità di articolare una Gamma che all’arrivo di Vittorio a Torino partiva dalla “Fiat 126”(Prima Serie e nuova serie “Steyr” con il motore a sogliola) per passare, in ordine, alla: “Autobianchi A112” (particolare, le due minicar di Mirafiori e Desio non condividevano nulla) sostituita dalla “Y10”; alla “127” e “Uno”; alla “Ritmo” dal cui pianale “Tipo 138” sono nate “Regata”, “Lancia Delta” e “Prisma”; per poi sostituire la “Ritmo” con la “Tipo” (da cui deriveranno Tempra e Lancia Dedra); per completare in alto di Gamma con “Lancia Thema” e Fiat “Croma” dal cui pianale “Tipo 4” derivano anche Saab 9000 e Alfa 164. Accennando ovviamente alla interazione che Fiat e Ghidella (per ovvia interazione di Gruppo) hanno fornito al Cavallino di Maranello per “Mondial”, “208 Turbo” (la prima stradale della Ferrari con il Turbo) oltre a “288 GTO”, “Testarossa”, ed infine “F40”; rimangono impressionanti le derivazioni in senso orizzontale che amplificano ciascun modello di Gamma nel corso della gestione di Ghidella in una estensione di allestimenti e versioni che né Fiat né Lancia avevano mai avuto nella loro storia; passando dalla “Y10 Turbo” fino alla “ThemaFerrari”, con in mezzo la grande intuizione del motore “F.I.R.E.” e l’ampliamento della gamma a Gasolio.

Perché, Voi Vi chiederete, continuo a parlare di Vittorio Ghidella? Per avviare il ragionamento ed il ricordo dell’Italia e della Fiat negli anni Novanta, del Gruppo che passa da Ghidella al nuovo filone governativo e di controllo; come è stato possibile in meno di un quindicennio far sprofondare il Gruppo Fiat nel buio di un decennio in cui si è perso il prestigio del “Branding” con il quale invece crescevano i Marchi tedeschi e francesi? Come e perché è stato possibile cedere ai tedeschi il brevetto di quel Common Rail che avrebbe dominato il mercato auto europeo? Come si è potuto relegare Lancia ed Alfa a ranghi e volumi commerciali da Marchi di Serie B? Semplice, perché la Fiat di Romiti/Cantarella/Fresco non ha saputo gestire un aspetto che aveva “graziato” la Fiat dal Dopoguerra fino ad allora: l’internazionalizzazione e l’arrivo in Europa ed Italia di concorrenza giapponese, coreana, internazionale. Mentre in generale Fiat continua a proporre auto decisamente più qualitative del decennio precedente (questo va pure ammesso) ma destinate al profilo del Cliente nazionale; in pieno controsenso rispetto a tutti gli altri Costruttori concorrenti esteri che al contrario disegnano ed immaginano le proprie nuove Gamme per il mercato internazionale. 

Ed infatti una delle topiche della Fiat di Cantarella e Fresco è l’essere stata una delle ultime Case Costruttrici europee ad entrare in Cina, con una JV nel 1999 con Nanjing . Infatti nel primo “boom” di mercato cinese del 2002, VW vende già 500.000 veicoli mentre la Fiat vende soltanto 22.000 unità tra Palio e Siena. Vero è che all’epoca Fiat aveva molto più interesse al Sudamerica, con lo Stabilimento di Betim aperto nel 1976 e la ricerca sull’Etanolo. Nel decennio Novanta Fiat arriva a vendere quasi quattro milioni di unità, e non è un risultato da poco in Brasile. Certo, pensare che l’emblema della globalizzazione di Fiat negli anni Novanta sia stata la “Tipo 178” (Palio) fa abbastanza senso. Anche perché persino “quella” Fiat (quella che con Romiti aveva fatto guerra a Ghidella per il programma di fusione con Ford) si presenta al citofono di un Gruppo americano: la General Motors. 

Solo che a differenza della Fiat di Ghidella che nel 1989 avrebbe trattato da leader europea, la Fiat del povero Paolo Fresco e del ben più deficitario Paolo Cantarella (A.D. del Gruppo dal 1990 al 2002: l’uomo nel suo Curriculum in Rete scrive di aver dato grande impulso allo sviluppo internazionale con nuovi insediamenti in Cina – Fiat buona ultima in questo tra le Case europee – in India – auguri – ma che dovrebbe aggiungere di essere stato l’uomo che invece che dare impulso alla “Lucciola” da cui nacque la best seller “Daewoo Matiz” si è reso protagonista del grande colpo di mercato della Multipla…..); i due, insomma (Cantarella & Fresco) concordano con General Motors uno scambio azionario “alla pari” (GM prese il 20% di Fiat al controvalore di solo il 5,1% del capitale azionario degli americani scambiato verso Corso Marconi) per una alleanza legata a poche architetture tecniche e commerciali.

Quel carezzevole cappio di General Motors su Fiat che Marchionne tagliò come Alessandro Magno

Nelle sue memorie raccolte in diverse interviste pubbliche sul Web (tra cui una intervista al Corriere della Sera di Pier Luigi Vercesi) Paolo Fresco ci dice cose che, venti anni dopo, sono fondamentali:

​-Il rapporto tra Fresco e Cantarella era critico, con Cantarella che sembrava voler isolare Fresco nei suoi ruoli dal resto dell’Azienda;

-Fresco propose a Gianni Agnelli di vendere Fiat, e l’Avvocato rispose che avrebbe potuto (o dovuto?) farlo dopo la sua morte. A quel punto, dopo un tentativo di accordo con Daimler (che poi diede vita alla Joint con Chrysler) arrivò l’opzione di General Motors con l’accordo del Marzo 2000: quota di controllo del 20% immutabile fino al 2009 per poi facoltà di esercizio del diritto di acquisto del restante 80% di Fiat Auto. 

Ecco, non c’è prospettiva migliore di questa per partire a ricordare l’opera titanica di Sergio Marchionne dal 2003 al 2018. Sergio si trovò di fronte una Fiat in prospettiva di acquisto da parte del Primo Gruppo americano ed all’epoca ancora il terzo al mondo dopo Volkswagen e Toyota nel confronto con un Gruppo Fiat che si trovava molto dietro. 

In base all’accordo Fiat non poteva modificare la sua quota dell’ 80% per il primo anno di validità dell’accordo, mentre Gm non poteva modificare il suo 20% per nove anni. Nel frattempo il CdA Fiat del 10 Dicembre 2001 (il primo dopo le Torri Gemelle, si guardino i Verbali pubblicati) prevede nel biennio 2002/2004 un piano di rilancio per tagliare 35 miliardi di Euro di debiti e una posizione finanziaria netta negativa per 7,5 miliardi. E a chi rinfaccia a Marchionne la mano pesante su tagli e cessioni, basterebbe rileggere gli stessi verbali che indicano chiaramente l’obbiettivo di cessione di Magneti Marelli, Teksid con la chiusura di 18 impianti ed un taglio di seimila addetti nelle controllate estere, e poi lo scioglimento dell’accordo con GM del 2005.

Per poter sciogliere l’accordo che avrebbe probabilmente portato General Motors, nel 2009, a rendersi inadempiente per effetto della quasi bancarotta che avrebbe costretto Detroit a rifiutare l’eventuale invito di Fiat all’acquisto (ma quel che accadde con il Crack Lehman era ovviamente imprevedibile) il buon Sergio giocò una carta da esperto pokerista: nel 2004 invitò GM a formalizzare una offerta per l’acquisto di Fiat che, a causa del debito e delle performances di Corso Marconi era decisamente a buon mercato. Ma GM rimanò al mittente la proposta. 

Marchionne a questo punto si spinse a giocare d’azzardo. Invocando il diritto di pretendere l’esercizio dell’opzione obbligatoria da parte degli americani, propose al contrario una azione di recesso bilaterale con un accordo per il riacquisto da parte di Fiat del 20% del pacchetto azionario detenuto da GM; ad un patto molto furbo: il versamento di 2 miliardi di Euro a favore di Fiat. GM accettò suo malgrado e così Marchionne sciolse l’accordo e poi si dedicò all’acquisto a prezzo di favore di Chrysler. Storia questa più nota. 

Avete capito il trait d’union tra Ghidella e Marchionne, cioè due uomini diversissimi tra loro? La capacità di disegnare e realizzare quel che ancora non c’è e metterlo in pratica. 

 

Ecco l’uomo che ha restituito un volto ed una individualità ad un Marchio auto, nel momento in cui questo stesso non fu più riconoscibile. Ecco perché dopo il buco di quindici anni di Romiti e Cantarella arriva con Marchionne una idea di Fiat che torni grande nell’Automotive.

Un nuovo Iacocca? Beh, negli anni ’70, la Chrysler, rischiava il tracollo e Iacocca riusci’ sapientemente a tenere in piedi conservandola a ridosso degli altri due colossi USA, GM e Ford.

Lee come Sergio : Un uomo solo contro tutti

La capacità di Iacocca fu quella di saper rappresentare la Chrysler sostituendone il “Marchio” con la sua faccia da Capitano di Industria vincente. E nei primi anni del nuovo Millennio chi ricordate più spesso come nomi nell’Automotive? Ve li ricordo io: Elon Musk, AdnanMahindra, Ratan Tata e Sergio Marchionne.

Se per Iacocca il problema principale era la crisi energetica e la fine di un modello costruttivo americano globale, il vero nemico di Marchionne fu il “NON Brand” FIAT a confronto con i rampanti Brands tedeschi. Per questo fu Marchionne a diventare il Brand di Fiat.

Quello che va bene alla Fiat, va bene all’Italia

Marchionne, che ha ripreso il filo perso da Fiat dall’inizio degli Anni ’90 (quando l’Italia dell’auto ha perso alcuni treni decisivi) ed ha fatto “annusare” di nuovo a Corso Marconiuna leadership simbolica che recuperava quella persa contro Volkswagen e persino Renault sul mercato europeo; FCA è diventata un Gruppo internazionale ed è cresciuta mentreparadossalmente il mondo Auto arretrava a causa dello shock finanziario americano, superando il gap di mercato e di immagine che la gestione cantarellian-romitiana aveva generato proprio nel periodo in cui sul mercato, mediaticamente, vinceva il concetto di “corporate” e di “Branding”.

 

“Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”, diceva Gianni Agnelli. Peccato che questo detto fosse interpretato benissimo da Vittorio Ghidella e molto meno bene dal Gruppo dirigente che aveva fatto gran parte di quel che nel decennio degli anni Novanta taglierà ben bene le palle proprio a Fiat ed all’Italia. Lo dimostra, guarda caso, il sorpasso che in Europa ed in casa la Fiat aveva subìto persino dalle cenerentole coreane.

In pratica, dei pilastri Fiat, IRI, De Tomaso e Piaggio ne era rimasto solo uno. Casa FIAT. E con la morte di Gianni Agnelli nel 2003 la Fiat ha cristallizzato una “spersonalizzazione” che alla fine incise su tutta l’immagine del “Made in Italy” automobilistico. E a tutto questo Marchionne ha rimediato in primo luogo divenendo lui stesso, per primo, un “Brand” : Sergio Marchionne ha di fatto – come Iacocca – “impersonificato” il Gruppo di cui era a capo.

Sergio. Un uomo solo al comando. Come Lee Iacocca.

Con il suo maglione, il suo modo schietto e molto “popolare” ed i suoi modi taglienti con la sua alternatività, Marchionne è uno dei pochissimi uomini la cui notorietà è ricordata superando a volte quella del brand Auto di cui sono divenuti la guida.

Nel 2004 Marchionne viene nominato AD del Gruppo Fiat. Da allora ha collezionato Cariche ed incarichi per traghettare una delle realtà industriali europee più radicate in una immagine nazionale e familiare verso un modello di “brand” internazionale, globale e moderno. Ha trovato davanti a sé politici inetti che lo hanno deriso o criticato su scelte sulle quali l’Italia, nel vero senso della parola, ha “campato”. Ha trovato sindacati che si sono comportati con lui come se fossimo negli anni Settanta. Ha trovato parte della Stampa schierata pregiudizialmente contro. Perché?

Non vorrei accennare a cose che su tutti i Media stranieri si trovano in quantità, riguardo alla acquisizione di Chrysler ed alla nascita del nuovo Gruppo FCA: una narrazione lusinghiera, altro che qui da noi. Ma soprattutto Marchionne ha “intitolato” con la sua persona una nuova era di relazioni industriali e di Gestione di Azienda in Italia. Le sue “entrate a gamba tesa” nei commenti politici e nel confronto duro con il sindacato, oppure nelle parentesi polemiche con altri Big del Made in Italy, si legano alla storia dell’uomo uscito meno peggio di altri dalla crisi globale del 2007, e che nello stesso tempo ha sdoganato i concetti e le modalità un po’ criptate e paludate tipici del mondo Auto arrivando dove sembrava impossibile : cavalcare la filosofia del branding e della qualità totale e superare dei “gap” tra FIAT e la concorrenza che pochi pensavano potesse essere recuperato solo 10 anni fa senza cavalcare concetti un poco farlocchi (auto elettriche in primis) che invece hanno riempito la bocca di molti altri C.E.O.

In tutto questo, rimane un solo piccolo cruccio per i sentimentali come me. Che nella sua azione di rinnovamento Marchionne non sia riuscito a riportare in auge un Marchio storico come la Lancia. Difficile che, senza di lui, qualcun altro ci possa ormai riuscire. Ma in questo suo essere perfettamente adatto al suo ruolo, combattendo più in casa che fuori, la mia domanda rimane: cosa ci faceva e come ci è capitato Sergio Marchionne in questa strana forma di Italia che l’attualità ci consegna?

Riccardo Bellumori

Nuovo iCar V27: Anteprima totale

A Dubai è stata presentata per la prima volta la nuova SUV del marchio Chery.

Il modello è un ibrido sequenziale. Secondo le informazioni preliminari, sarà disponibile con trazione posteriore o integrale. La novità potrebbe arrivare in Russia il prossimo anno.

Un paio di anni fa, Chery ha lanciato in Cina un marchio chiamato iCar. Nel paese d’origine, la gamma comprende attualmente i crossover elettrici compatti iCar 03 e iCar V23. Il marchio è presente anche sui mercati di esportazione, ma in alcuni paesi è conosciuto come iCAUR. Secondo dati non ufficiali, il cambio di nome è stato necessario per evitare problemi con la società Apple, che sembra essere stata la prima a registrare il nome iCar. La casa madre Chery si è impegnata attivamente nella promozione del proprio marchio all’estero. Pertanto, la prima presentazione del nuovo modello non è avvenuta in Cina, ma a Dubai: nei giorni scorsi è stato presentato il crossover di punta iCAUR V27. Tuttavia, si prevede che il mercato di debutto per la novità sarà la Cina, dove il SUV apparirà già come iCar V27.
Nei comunicati ufficiali, la iCar/iCAUR V27 viene definita un fuoristrada, ma, secondo i dati preliminari, si tratta comunque di un crossover con carrozzeria portante. Come gli altri modelli del marchio secondario Chery, il modello di punta ha un aspetto brutale.

Il V27 ha paraurti imponenti, coperture massicce sui passaruota, fari rettangolari con anelli LED integrati per le luci di marcia, blocchi verticali dei fanali posteriori e portellone posteriore apribile con ruota di scorta. Sul tetto sono presenti due sezioni longitudinali in vetro. Nel complesso, l’aspetto esteriore dell’iCAR V27 ricorda sia la Land Rover Defender che l’attuale Toyota Land Cruiser Prado.

Secondo il sito web globale del marchio iCAR, la lunghezza del V27 è di 5045 mm (probabilmente tenendo conto della ruota di scorta esterna), la larghezza è di 1976 mm e l’altezza è di 1894 mm. Il passo è di 2900 mm.

LO STILE UNICO

Il produttore non ha ancora mostrato gli interni. Tuttavia, alcuni esemplari di prova sono già stati fotografati dai paparazzi. All’interno dell’iCAR V27 si trovano uno schermo integrato nel cruscotto e un gigantesco tablet multimediale separato, sotto il quale sono presenti una serie di tasti fisici. Sul tunnel centrale sono posizionati due spazi per la ricarica wireless, una manopola (probabilmente responsabile del controllo di varie funzioni) e una coppia di portabicchieri scoperti.

L’iCAR V27 è un ibrido seriale. È stato annunciato che il propulsore comprende un motore turbo a benzina da 1,5 litri (che funziona in modalità generatore).

Tuttavia, non ci sono ancora informazioni sulle componenti elettriche. I media specializzati cinesi scrivono che il crossover sarà disponibile con trazione posteriore o integrale e che la potenza complessiva della versione a trazione integrale sarà di 455 CV.
In Cina l’ibrido sarà lanciato entro la fine dell’anno.

E nel 2026 il marchio iCAR entrerà ufficialmente anche nel mercato italiano: anche da noi arriverà il crossover di punta V27.

Il quarto stop anteriore riduce gli incidenti

Sono passati quasi 40 anni da quando gli Stati Uniti hanno reso obbligatoria la terza luce di stop posteriore, una modifica che ha evitato migliaia di incidenti e senza dubbio salvato anche molte vite. Ma ora i ricercatori sostengono che il tasso di incidenti potrebbe essere ridotto ulteriormente con una misura ancora più audace: installare luci di stop anteriori.

Le luci dei freni anteriori sono state suggerite in passato, in base alla teoria che forniscono una segnalazione chiara delle azioni di un’auto in avvicinamento agli altri utenti della strada. Ciò potrebbe ridurre le possibilità che i conducenti escano dagli incroci interpretando erroneamente le intenzioni di un conducente in avvicinamento.

Ora un team dell’Istituto per la sicurezza dei veicoli della TU Graz, in Austria, afferma di avere i dati per dimostrare questa teoria. Ha analizzato 200 incidenti reali, ricostruendoli con simulazioni al computer, e ha assegnato un tempo di reazione più rapido ai conducenti che avrebbero potuto vedere una luce di stop anteriore se fosse stata installata.

INNOVAZIONE SMART

L’analisi ha rivelato che l’aggiunta di una luce di stop anteriore avrebbe potuto ridurre il numero di collisioni dal 7,5 al 17%, a seconda della rapidità di reazione dei conducenti in ciascuno scenario simulato. E anche se una luce supplementare non avrebbe potuto prevenire tutti gli incidenti, in fino a un quarto degli scenari ha ridotto la velocità d’impatto, contribuendo a ridurre il numero e la gravità delle lesioni ipotetiche.

Tuttavia, in circa un terzo degli incidenti ricostruiti, i ricercatori hanno scoperto che i conducenti non sarebbero stati in grado di vedere una luce di stop anteriore e, di conseguenza, suggeriscono che le luci di stop dovrebbero essere incorporate anche sul lato dei nuovi veicoli.
A differenza di altri progressi in materia di sicurezza, come i paraurti a trampolino degli anni ’70 in America o i primi airbag, poco estetici, l’installazione di luci dei freni anteriori e laterali non rappresenterebbe una grande sfida per le case automobilistiche e non avrebbe alcun impatto sull’estetica. Ma potrebbe fare una grande differenza in termini di sicurezza.

I ricercatori di Graz fanno riferimento a un precedente studio condotto in Slovacchia che non ha fornito dati sulla riduzione degli incidenti, ma ha dimostrato che i conducenti hanno trovato questa tecnologia utile e facile da comprendere.

Un totale di 3.072 auto sono state dotate di luci di stop anteriori per un periodo compreso tra sei e undici mesi; la maggior parte dei conducenti intervistati ha riportato esperienze positive al termine del test e il 75% si è detto favorevole all’introduzione delle luci anteriori sulle auto nuove.

BMW M3 CS Touring da record al Nurburgring

La BMW M3 CS Touring 2025 è ora la station wagon più veloce sul circuito del Nurburgring, con un tempo di 7:29.49 che batte il record di 7:35.06 stabilito nel 2022 dalla sua sorella non CS. Si aggiunge così alla serie di tempi impressionanti sul Ring detenuti dalle sue sorelle M, tra cui la M4 CSL con 7:18.137, la M4 CS con 7:21.989 e la M3 CS con 7:28.76.

Presentata a gennaio, la M3 CS Touring ha un motore 3.0 litri biturbo a sei cilindri in linea da 550 CV/650 Nm, un cambio M Steptronic a otto rapporti, trazione integrale e differenziale posteriore Active M. Accelera da 0 a 100 km/h in 3,5 secondi e raggiunge una velocità massima di 300 km/h.

Un supporto motore appositamente progettato con molle più rigide crea un collegamento rigido tra il propulsore e la struttura del veicolo, mentre gli scarichi specifici M con valvole a controllo elettrico, un silenziatore posteriore in titanio e quattro terminali di scarico nero opaco sottolineano la sua destinazione d’uso e la sua presenza.

LA SPORTIVA DA PISTA

Sono stati ottimizzati il sistema DSC della super station wagon, la modalità M Dynamic, gli ammortizzatori adattivi M a controllo elettronico, lo sterzo M Servotronic e il sistema frenante integrato, e se lo si desidera è possibile trasmettere tutta la potenza alle ruote posteriori.

Di serie sono i freni M Compound con pinze rosse o nere; è possibile pagare un supplemento per i freni in carbonio-ceramica con pinze rosse o oro opaco. I cerchi sono da 19 pollici all’anteriore e da 20 pollici al posteriore. La plastica rinforzata con fibra di carbonio (CFRP) è presente nel cofano, nello splitter anteriore, nelle prese d’aria anteriori, nelle calotte degli specchietti, nel diffusore posteriore, nelle palette del cambio, nei rivestimenti interni e nella console centrale.

All’interno troverete sedili avvolgenti M Carbon in pelle Merino con poggiatesta integrati che presentano un badge “CS” illuminato, un volante in Alcantara con indicatore rosso a ore 12, un badge “CS” rosso sulla console centrale, cinture di sicurezza M e, ovviamente, funzioni specifiche M come M Drift Analyser e M Laptimer.