Home Blog Pagina 4

Crisi dei chip: Volkswagen ferma la produzione

Il problema è legato alle interruzioni nella fornitura dei microchip Nexperia e interesserà lo stabilimento del gruppo tedesco situato a Wolfsburg.

Il settore automobilistico sta per affrontare una nuova crisi legata ai semiconduttori, per i quali, anche se prodotti in Europa, vengono utilizzati componenti provenienti dalla Cina. A causa del perdurare della disputa commerciale tra Stati Uniti e Cina, nel prossimo futuro sono previste interruzioni nella fornitura di microchip Nexperia a vari produttori. In particolare, come è emerso, i problemi hanno interessato il gruppo Volkswagen.

Come riporta la rivista britannica Autocar, a causa della prevista carenza di semiconduttori, Volkswagen intende sospendere temporaneamente la produzione della Golf nel suo stabilimento di Wolfsburg (Germania) a partire dal 29 ottobre 2025. Va notato che questo modello è uno dei più richiesti in Europa: secondo i dati di Jato Dynamics, nei primi otto mesi dell’anno in corso il modello è stato venduto sul mercato europeo in 129.220 esemplari (il 13% in meno rispetto al periodo gennaio-agosto 2024).

Secondo le ipotesi della rivista, la sospensione interesserà anche altri modelli del marchio che escono dalla catena di montaggio dello stesso stabilimento di Wolfsburg. In questo caso, verrà sospesa anche la produzione dei crossover Tiguan (125.608 unità vendute in Europa in otto mesi) e Tayron (29.894 unità), nonché del monovolume compatto Touran (17.487 unità).

ind.deutschonline.ru
PUBBLICITÀ

16+
Impara il tedesco con “Deutsch Online”. Da 0 a B2

Per il momento, il produttore tedesco non ha comunicato per quanto tempo sarà sospesa la produzione dei modelli Volkswagen elencati. Secondo quanto riferito, attualmente VW non dispone di un fornitore alternativo di microchip. L’azienda ha spiegato all’edizione britannica che l’uso preliminare di semiconduttori di altri fornitori richiederà lunghi test interni e certificazioni.

STOP ALLA PRODUZIONE

Non è escluso che in seguito saranno temporaneamente fermati anche i nastri trasportatori di altri stabilimenti Volkswagen: si tratta degli impianti situati a Emden, Hannover e Zwickau (Germania). Il fatto è che le scorte di microchip si stanno esaurendo e Nexperia ha comunicato al produttore tedesco che non sarà più in grado di garantire forniture a lungo termine.

Secondo Autocar, in preparazione alla sospensione della produzione, Volkswagen ha già avviato trattative con i funzionari tedeschi in merito all’utilizzo di un programma di sovvenzioni che consentirà di evitare licenziamenti di massa grazie all’impiego dei lavoratori in progetti a breve termine durante i periodi di inattività forzata.

Nuova Zeekr 7X 2026: il Restyling

Ecco la nuova Zeekr 7X rinnovata è stata presentata in Cina, a meno di un anno dalla sua prima apparizione. Il SUV elettrico presenta alcune piccole modifiche stilistiche che nascondono una revisione meccanica completa sotto la carrozzeria.

All’esterno, il paraurti anteriore è stato rinnovato e reso più aggressivo con prese d’aria angolari, simili a quelle della 007 GT wagon. Anche l’incavo della targa posteriore è stato spostato sul portellone, proprio sotto la barra dei fanali posteriori a tutta larghezza, e completato da un maggiore utilizzo del colore della carrozzeria sul paraurti posteriore. Le minigonne cromate su tutto il perimetro contribuiscono a conferire alla 7X un aspetto più elegante.

La caratteristica più riconoscibile della 7X, la cortina luminosa personalizzabile Stargate opzionale composta da 1.831 LED, continua a essere presente nella parte anteriore. Tuttavia, la striscia luminosa a tutta larghezza sottostante ora diventa blu quando si è in modalità di guida automatizzata, cosa che si ripete sugli specchietti retrovisori esterni e nelle luci del paraurti posteriore.

All’interno, la Zeekr 7X rimane invariata, fatta eccezione per le nuove opzioni di colore arancione e viola. Ciò significa che è ancora dotata di un display digitale da 13,02 pollici, un touchscreen mini-LED da 16 pollici per l’infotainment e alcune caratteristiche esclusive per la Cina, come il sedile posteriore reclinabile con poggiapiedi, funzione massaggio, tavolino ribaltabile e un altro touchscreen OLED da 13 pollici.

MOTORE E DATI TECNICI

Come accennato in precedenza, la Zeekr 7X adotta motori potenziati da 900 volt dalla 2026 001, con anche la versione a trazione posteriore con motore singolo potenziata in modo significativo a 503 CV (370 kW) e 535 Nm. Questo le consente di passare da zero a 100 km/h in tre decimi di secondo in meno, ovvero in 5,4 secondi, o in 5,1 secondi per la variante a lungo raggio. Optando per la 7X a trazione integrale con doppio motore, la potenza sale a 795 CV (585 kW), consentendole di completare lo sprint da 0 a 100 km/h in soli 2,98 secondi.

Per quanto riguarda l’autonomia, il modello base continua a utilizzare una batteria Golden Brick al litio ferro fosfato da 75 kWh, anche se Zeekr ha liberato un po’ di autonomia extra a 620 km, sempre secondo il ciclo CLTC cinese, estremamente ottimistico. Le varianti a lungo raggio passano a un pacco batterie al nichel-manganese-cobalto (NMC) da 103 kWh per aumentare l’autonomia a 802 km con trazione posteriore e 715 km con trazione integrale.

La Zeekr 7X è sempre stata forte nella ricarica rapida DC e il modello base continua a offrire una ricarica “5,5C”, il che significa che accetta fino a 5,5 volte la capacità della batteria in ingresso di ricarica (circa 450 kW, come prima). Ciò significa che continuerà a ricaricarsi dal 10 all’80% in 10,5 minuti.

Per quanto riguarda i modelli a lungo raggio, che in precedenza erano i più svantaggiati in questo senso, la ricarica DC è stata potenziata a “6C” (circa 650 kW) grazie a una nuova architettura elettrica full-stack da 900 volt, che richiede solo dieci minuti per ricaricare dal 10 all’80% della carica.

Dal punto di vista della sicurezza, tutti i modelli sono ora dotati di serie della suite di assistenza alla guida G-Pilot H7 di Geely, alimentata dai più recenti chip Nvidia Drive Thor-U. Grazie ai sensori lidar presenti su tutto il veicolo, la 7X è in grado di offrire una guida altamente automatizzata da porta a porta e un sistema di assistenza al parcheggio remoto.

Opel Rekord 2.0 D: la nonna di tutte le stradiste compie mezzo secolo

Oggi, a dire quella parola chi ti sta intorno ti guarda con un senso di imbarazzo. 

Meno male, perché a dirla fino a cinque anni fa gli sguardi si facevano densi di raccapriccio e di commiserazione. 

Eppure non sembrava male, come parola, solo fino a un quarto di secolo fa quando per la prima volta l’Europa ribaltò la proporzione nell’immatricolato annuo tra auto a Gasolio ed auto ad altra alimentazione.

Eh già perché quella parola proibita ieri e tutto sommato appena riabilitata oggi è la parola “Diesel”.

Luca Goldoni, mai troppo rimpianto scrittore, saggista e brillante intellettuale arrivò a scriverci un pezzo memorabile, sul numero speciale de “Il Quadrifoglio” per l’anniversario dei 75 anni di Alfa Romeo: l’identikit perfetto del guidatore di Diesel, nonché perfetto Alfista. 

Ed io stesso molto più umilmente avrei voluto, senza avere il talento del grande Luca, scrivere un pezzo sulla occasione in cui – in un luogo indefinito dei miei viaggi – discutendo con Fabio, un povero decerebrato terrapiattista molto avanti con gli anni, mi sentii rispondere dallo stesso con ammirata saccenza: “Il Diesel può essere alimentato con tanti altri tipi di carburante e non solo con il Gasolio”.

E certo, coglione: servivi te per ricordarmelo. 

Herr Rudolf Diesel all’inizio del Novecento, aveva appositamente studiato un motore con ciclo di combustione a compressione dell’aria senza scintilla proprio per poter bruciare sostanze più oleose e meno volatili di quella che per l’epoca, con tantissima fantasia, potevamo chiamare “benzina” e che ovviamente non era tale. 

Da allora o meglio dalla scoperta di quella iniziale storia sul geniale Rudolf ed il motore a Gasolio, quando oltre trent’anni fa lo studiai tecnicamente molto meglio avendo raggiunto l’età per farlo, il Diesel divenne per me quasi un oggetto di culto. 

Era pur sempre un “figlio di un Dio minore” fino a metà anni Ottanta. Certo, un Dio minore che  intanto in meno di dieci anni dalla prima “sventagliata” di modelli destinati alla platea degli automobilisti privati aveva già sperimentato Turbo, Intercooler, prestazioni e carattere sportivo.

Ma restava comunque una soluzione tecnica per i cosidetti“stradisti” (Commercianti, Rappresentanti, Professionisti) che al motore Diesel associavano più spesso l’allestimento “Station Wagon” che a sua volta cominciò a proliferare nelle scelte di acquisto. 

Dicevo, poche righe sopra: nell’arco di dieci anni dall’inizio; ma di cosa? Beh, oggi ancora Vi stupireste a sentir dire che prima del 1973 la diffusione delle auto Diesel per trasporto privato segnavano forse al massimo una quota del 2% nel totale di immatricolato CEE annuo. Certo è una stima spanometrica ma non lontana dal vero. 

Prima del 1973 solo Peugeot e Mercedes avevano almeno più di un modello in Gamma alimentato a Gasolio. Perché a parte i Taxi londinesi, per il resto i grandi produttori continentali (appunto Peugeot e Perkins) oltre ai diversi Costruttori europei equipaggiavano diffusamente Furgoni e mezzi commerciali, agricoli e da cantiere (oltre a Truck e Bus). Ma nessuno prima del 1973 osava pensare a un uso e ad uno sviluppo del motore a Gasolio per le auto di tutti i giorni: troppo rumore, troppo fumo, poca potenza. 

Ma poi arriva la stretta petrolifera conseguente alla crisi del Kippur. Domeniche ecologiche, razionamento e prezzi alle stelle rendono gli spostamenti a benzina un privilegio per pochi ricconi mentre invece con azioni di supporto fiscale ed ovviamente grazie alla più facile e diffusa raffinazione, il Gasolio per autotrazione alla pompa finisce per costare meno della metà a parità di pieno. E’ per questo che in una visione di medio periodo in cui nessuno sa davvero quando la crisi avrà termine, gli automobilisti – soprattutto quelli più viaggiatori – si trovano a pagare costi mensili di benzina superiori alla rata di un mutuo per un appartamento al Centro cittadino.

L’ansia e la indeterminazione promuovono così nei desiderata dei Clienti la richiesta di soluzioni tecnologiche orientate al risparmio. E se per il GPL esiste una certa reticenza dell’automobilista medio europeo, all’epoca, per il Metano si verifica un interesse ed un desiderio alto ma una difficoltà funzionale ancora più alta. 

Il Diesel: da compagno di lavoro a risorsa per muoversi. Tutti

Siamo in un periodo tecnologico privo di elettronica, affinamento meccanico e diffusione di materie prime alternative. Dunque gli impianti a metano usuali per il periodo risentono delle pecche fisiologiche più fastidiose per l’automobilista: passaggio manuale da ciascuna delle due alimentazioni (benzina e metano), corrosione prematura di parti del motore, poca spinta ai bassi regimi, fenomeni di vapor lock nelle stagioni calde e problemi di avviamento durante l’inverno.

A questo punto le esperienze più continuative di Peugeot e Mercedes ed il rischio che questi due soli Marchi monopolizzino il mercato delle poche possibili alternative alla benzina spingono tutti i Costruttori europei a cercare soluzioni

In meno di cinque anni si moltiplica l’offerta sul mercato di versioni a Gasolio per combattere il costo della benzina.

Un esempio? Dopo la “403” e “204” Peugeot lancia la “504” con un 2100 cc da 65 Cv, la Citroen equipaggia l’Ammiraglia “CX” con un 2200 D da 67 Cv nel 1975. Persino la sportivissima Alfa Romeo nel 1977 deve dotare la “Giulia” di un Perkins 1700 cc a Gasolio, mentre Fiat risponde l’anno dopo con la “132” 2000 e 2500 Diesel. 

Ford rimane un poco alla finestra, ma nel 1979 anche la “Granada” viene equipaggiata da due unità a Gasolio di matrice Peugeot : 1.900 cc. da 54 Cv e 2200 cc. da 63 Cv. 

Volvo invece rientra tra le “Premium” best seller nel 1979 proprio con le “244” e “245” che adottano il 6 cilindri Volkswagen da 2.4 lt. e 82 Cv.

Ed anche la prima “vittima” del Dieselgate – VW appunto – equipaggia per prima la “Golf” nel 1976 con il 1.5 lt. da 50 Cv, motore che poi entrerà nel cofano della più grande Passat nel 1978. 

La cugina “Audi 100” si doterà nel 1978 di un 2000 cc. da 70 Cv

Ma in questa Agenda industriale si fa largo, fin da subito, un outsider che nel suo percorso sapra ritagliarsi un profilo inatteso di vero e proprio leader di mercato. Un Costruttore che dimostra, una volta tanto, che il successo è di chi sa osare.

Fino alla fine degli anni Sessanta i veri “Big Player” del motore a Gasolio in Europa, per quel che riguarda il settore del trasporto “leggero” sono solo tre:

Perkins – Ferguson che monopolizza il settore agricolo ma inizia a diffondersi su LCV ed occasionalmente equipaggerà appunto la Giulia Diesel del 1977 e, pensate, la SEAT 131;

Peugeot che con la “404” diventa la Regina d’Africa e il modello preferito per tutti coloro che svolgono attività di trasporto e cargo senza rinunciare alle forme di un’auto invece che di un furgoncino. Ma se ai piani alti la “404” è in fondo la vera Ammiraglia popolare europea, in “basso” Peugeot lancia la “204” che con il suo mini diesel da 1200 cc. diventa un po’ la mascotte dei piccoli commercianti ed artigiani e la compagna di viaggio delle giovani famiglie francesi;

dopo di che per censo, rango e status, nulla poteva scalfire l’immagine costruita devotamente da Mercedes con il motore a Gasolio: praticamente dalla W110 con la versione Diesel di inizio anni Sessanta, per proseguire con la ancora più iconica W114 (200 D e 220 D) il target delle Berlinone di rappresentanza a Gasolio nell’inizio anni Settanta era monopolizzato dalla Stella a tre punte.

Ecco perché, in questo panorama fa ancora più scalpore il vero e proprio “boom” di una Outsider di lusso. La Opel “Rekord D”.

La storia di questa famiglia di comode e popolari “Berlinone” sposa fedelmente l’evoluzione della ricostruzione industriale post bellica di tutta la Germania, in cui Opel “beneficia” dell’appartenenza al colosso General Motors, che da Detroit in modo sostanzioso “assiste” la ripresa produttiva degli impianti tedeschi. Tuttavia è chiaro che il “focus” commerciale fino a buona parte degli anni Cinquanta del mercato auto tedesco deve per forza lasciare nel cassetto sogni troppo pretenziosi legati al settore “Ammiraglie” ed i continui voli nel baratro di BMW con le famose “Baroque Angels” è là a dimostrare che finchè è necessario occorre volare bassi. 

Opel manda su strada, come sua Berlina di rappresentanza, la vecchia e superata “Olympia” praticamente invariata dal 1937 fino alla fine del 1952. Poi, una moderata fase di ripresa e speranza porta alla nascita di “Olympia Rekord” del 1953. Una grande e comoda Berlina che finalmente rilancia Opel nel mercato delle grandi, sebbene nasce sullo chassis a scocca portante della Olympia rivisto abbondantemente; e la revisione globale porta anche alla commercializzazione di una nuova versione Caravan. 

Per questo, visto che il pezzo forte della fase industriale della nuova “Olympia Rekord” è una piattaforma “stra- ammortizzata” lungo 15 anni, il prezzo concorrenziale e l’affidabilità collaudata della parte meccanica compiono il miracolo di raggiungere quasi seicentomila pezzi lungo quattro anni, con la riconquista anche dei mercati esteri. Alla Olympia Rekord segue la Rekord P1 ma la vera consacrazione di mercato è prima con la serie P2 che porta finalmente Opel nel novero riconosciuto dei Marchi degni di attenzione nel settore delle berline di rappresentanza. 

Rekord C: l’evoluzione della specie sfonda finalmente nel mercato mondiale

E dopo due nuove versioni successive di assestamento (Rekord A e Rekord B, che lungo solo quattro anni di vita servono più che altro per “assestare” le nuove famiglie di motori e cambi che via via Opel comincia a mettere in produzione) finalmente Rekord C diventa un relativo “Crack” di mercato. Linea americaneggiante, versioni ed allestimenti in mezzo mondo (Australia e Sud Africa persino, oltre alle versioni inglesi di Vauxhall) lungo solo cinque anni dal 1966 al 1971 vende quasi un milione e trecentomila pezzi distribuiti lungo una collezione di motorizzazioni, versioni ed allestimenti da far impallidire la concorrenza. Cilindrate a quattro e sei cilindri da 1.500 cc. fino a 2,2 litri; 3, 4 porte, Cabrio e Caravan e persino una rarissima versione Pick Up. 

Addirittura della Rekord C gli appassionati sportivi ricordano una speciale versione sportiva, la “Balck Widow”, 180 cavalli e un giovanissimo Niki Lauda al volante.

E soprattutto parte con la Rekord C l’imparentamento in alto con la serie “Commodore” che rappresenta la versione elitaria sportiva e ricchissima nella dotazione. Insomma con la “C” inizia davvero la saga mondiale di Rekord che prosegue con la generazione “D”.

Questa, infulcrata nel disegno azzeccatissimo di Charles Jordan detto “Chuck” (il Capo del Design di Cadillac per 15 anni) era un modello che portava in Europa almeno tre caratteri vincenti su stile e tecnica:

una linea aerodinamica senza eccessi barocchi che contraddistinguevano le concorrenti Ammiraglie dell’epoca, ma soprattutto una linea grintosa per mascherare volumi molto abbondanti: 4,60 mt. di lunghezza e un metro e settanta di larghezza erano numeri da Limousine all’epoca, ma con misure di un pelo inferiori alla generazione “C” la nuova Rekord appare molto più leggera, snella e dunque più accattivante della concorrenza di settore; ed in fondo quella linea della Rekord D, con linee tese ma pulite e senza le esagerazioni inglesi edamericane è un po’ il trionfo del Design Center europeo che per la prima volta si esprime senza vincoli e condizionamenti di Detroit cavalcando in pieno la nuova frontiera 

La sua piattaforma è tra l’altro vincente e collaudata, nata sul pianale della “C” aggiornato per assetto e sicurezza: nuove zone di deformazione passiva della scocca, ruote indipendenti davanti ma con i quadrilateri più un nuovo ponte rigido con barra Panhard per gestire la trazione posteriore. 

I motori a benzina che partivano dal popolare 1700 cc da 66 cavalli ad 83 cavalli seguirono con un pretenzioso (per l’epoca) due litri a carburatore da quasi 100 cavalli.

Ma come detto, la crisi energetica iniziò a mordere, “costringendo” Opel a ricorrere per la prima volta nella storia delle sue auto al motore Diesel. Detto chiaramente, solo per le auto: perché il vecchio Van “Blitz” come il successivo Bedford aveva già un Diesel di origine – guarda caso – Peugeot, da 2112 cc. e 67 cavalli. 

Eppure la differenza tra il motore da oltre 2100 cc del “Blitz” (Peugeot Indenor XDP 4.90) e il 2067 cc della Opel Rekord D è in un mondo di piccoli particolari. Soprattutto perché il motore Peugeot era un vero mulo da carico, mentre il Diesel scelto e sviluppato da Opel (Codice 21D) viene testato su un prototipo da record di velocità basato sulla GT, seppure con sovralimentazione. 

18 Record internazionali e due record mondiali presso il Centro Prove di Dudehhofen sono il risultato del 2100 cc turbodiesel da 95 cv. sul prototipo guidato da Giorgio Pianta, Paul Frere, SylviaÍsterberg, Henri Greder, Marie Claude Beaumont e Jochen Springer

Successivamente, nella fine degli anni Settanta arriva la serie della Rekord successiva, ed il motore 2.3 TD

In cinque anni la Rekord Diesel, in un mercato che davvero quotava “zero”, riesce a produrre 41.000 unità. Sembra poco, ma il Parco circolante europeo partiva davvero da quote decimali.

Eppure non è la Rekord da 2,1 lt. A Gasolio che compie mezzo secolo, ma è la versione che dalla fine del 1974 entra in Italia per assecondare il dispositivo fiscale che Opel Italia (all’epoca su Via Laurentina a Roma) aveva giustamente segnalato a Russelheim e per il quale le auto sopra anche di una inezia ai 2000 cc. pagavano un’IVA al 38%. Dunque Opel lancia proprio per noi il motore da 1998 cc, quattro cilindri e 55 Cv. Un gesto di attenzione per un mercato nazionale una volta “top” in Europa. Ma erano davvero altri tempi. 

Dopodiche’ la dinastia della Rekord e della sorella maggiore Senator si ferma, per dare spazio alla nuova Omega. Di Rekord“D” a gasolio si potrebbero raccontare fiumi di racconti e ricordi ma la cosa che mi piace ricordare è la nuova via comunicativa e promozionale che Opel inaugurò battezzando per la prima volta il concetto “Value for Money” anche per il mondo Diesel: lo slogan “Un giorno la Opel Rekord Diesel non ti sarà costata nemmeno una lira”. Geniale.

Riccardo Bellumori

BUD sfida il Giappone con la sua KeiCar

Ogni tanto, una casa automobilistica decide di gettarsi nella tana del leone. Il colosso cinese BYD sta facendo proprio questo, sfidando il Giappone in uno dei suoi settori automobilistici più competitivi.

Ogni tanto, una casa automobilistica decide di gettarsi nella tana del leone. Il colosso cinese BYD sta facendo proprio questo, sfidando il Giappone in uno dei suoi settori automobilistici più competitivi.

E non lo fa con un’auto dalle prestazioni audaci o un SUV di lusso, ma con qualcosa di molto più modesto e simbolico: una kei car, la minuscola automobile che è stata una presenza fissa sulle strade giapponesi dal dopoguerra.

L’azienda ha appena pubblicato un teaser della sua prima kei car elettrica, progettata appositamente per il segmento delle microcar, regolamentato in modo unico in Giappone. La piccola EV debutterà, probabilmente in versione di serie, alla fine di questo mese al Motor Show di Tokyo.

A giudicare dal profilo laterale, la nuova city car di BYD riprende le classiche proporzioni squadrate delle Kei. Questo modello ha sbalzi corti, una linea del tetto alta e ruote agli angoli estremi per massimizzare lo spazio dell’abitacolo.

LA SFIDA DI BYD

Le foto spia che circolano sui social media cinesi indicano che avrà porte posteriori scorrevoli, aumentando ulteriormente la sua praticità. All’interno, è dotata di un quadro strumenti digitale flottante, uno schermo di infotainment più grande e doppi montanti anteriori per una migliore visibilità.
Le prime indicazioni suggeriscono che la mini BYD avrà una batteria da 20 kWh con un’autonomia di circa 180 km (ciclo di omologazione WLTC). Probabilmente sarà dotata di una pompa di calore per garantire maggiore comfort ed efficienza e dovrebbe supportare una ricarica rapida fino a 100 kW.

Secondo gli standard americani, queste cifre potrebbero sembrare modeste, ma sono adeguate per questa classe e dimensione di auto in Giappone. Il prezzo dovrebbe partire da circa 2,5 milioni di yen (circa 17.000 dollari), posizionandosi al di sotto di rivali come la Nissan Sakura e la Mitsubishi eK X EV, senza contare gli incentivi.

BYD ha già venduto alcune migliaia di auto in Giappone, ma questa è un’incursione molto diversa. Si tratta di un’auto costruita appositamente per il mercato giapponese. Poiché il segmento Kei è unico in Giappone, è dominato dai prodotti nazionali.

Un concorrente straniero nel settore dei veicoli elettrici, in particolare dalla Cina, rappresenta un passo strategico importante. Potrebbe essere paragonabile all’introduzione da parte di BYD di un concorrente della Cadillac Escalade in America (al diavolo i dazi) per 40.000 dollari.

La nuova BYD metterà alla prova l’interesse dei consumatori giapponesi per le auto di fabbricazione cinese. Farà anche luce sul successo che possono avere le ambizioni globali di BYD. Non ci aspettiamo di vedere questo modello in altri mercati, e non arriverà nemmeno in Giappone fino al 2026. Detto questo, si tratta di uno sviluppo affascinante.

E non lo fa con un’auto dalle prestazioni audaci o un SUV di lusso, ma con qualcosa di molto più modesto e simbolico: una kei car, la minuscola automobile che è stata una presenza fissa sulle strade giapponesi dal dopoguerra.

L’azienda ha appena pubblicato un teaser della sua prima kei car elettrica, progettata appositamente per il segmento delle microcar, regolamentato in modo unico in Giappone. La piccola EV debutterà, probabilmente in versione di serie, alla fine di questo mese al Motor Show di Tokyo.

A giudicare dal profilo laterale, la nuova city car di BYD riprende le classiche proporzioni squadrate delle Kei. Questo modello ha sbalzi corti, una linea del tetto alta e ruote agli angoli estremi per massimizzare lo spazio dell’abitacolo.

Le foto spia che circolano sui social media cinesi indicano che avrà porte posteriori scorrevoli, aumentando ulteriormente la sua praticità. All’interno, è dotata di un quadro strumenti digitale flottante, uno schermo di infotainment più grande e doppi montanti anteriori per una migliore visibilità.

Secondo gli standard europei , queste cifre potrebbero sembrare modeste, ma sono adeguate per questa classe e dimensione di auto in Giappone. Il prezzo dovrebbe partire da circa 2,5 milioni di yen (circa 17.000 dollari), posizionandosi al di sotto di rivali come la Nissan Sakura e la Mitsubishi eK X EV, senza contare gli incentivi.

BYD ha già venduto alcune migliaia di auto in Giappone, ma questa è un’incursione molto diversa. Si tratta di un’auto costruita appositamente per il mercato giapponese. Poiché il segmento Kei è unico in Giappone, è dominato dai prodotti nazionali.

Un concorrente straniero nel settore dei veicoli elettrici, in particolare dalla Cina, rappresenta un passo strategico importante. Potrebbe essere paragonabile all’introduzione da parte di BYD di un concorrente della Cadillac Escalade in America (al diavolo i dazi) per 40.000 dollari.

La nuova BYD metterà alla prova l’interesse dei consumatori giapponesi per le auto di fabbricazione cinese. Farà anche luce sul successo che possono avere le ambizioni globali di BYD. Non ci aspettiamo di vedere questo modello in altri mercati, e non arriverà nemmeno in Giappone fino al 2026. Detto questo, si tratta di uno sviluppo affascinante.

Nuovo Porsche Macan GTS 2026: Anteprima

La famiglia Porsche Macan accoglie una nuova e attesa variante. Fa il suo ingresso in scena la nuova Porsche Macan GTS: il primo Macan GTS elettrico della storia. Una vera e propria belva su quattro ruote che porta delle sigle con una reputazione speciale tra gli appassionati e i fan di Porsche sin dalla 904 Carrera GTS del 1963. Dopo oltre mezzo secolo, le sigle GTS fanno ora la loro comparsa su un SUV elettrico.

Si tratta della quinta variante della Porsche Macan Electric, che si distingue per il design, la tecnologia e, soprattutto, per il sistema di propulsione elettrico che raggiunge i 420 kW (571 CV). Inoltre, come ci si aspetterebbe, offre un’ampia autonomia che consente di affrontare lunghi viaggi senza preoccuparsi del livello di carica della batteria.

Basta dare un’occhiata alle immagini che accompagnano l’articolo per cogliere i tratti distintivi del nuovo Macan GTS elettrico. Sfoggia un look chiaramente differenziato dal resto della gamma. Il design presenta numerosi elementi verniciati in nero nella parte anteriore, sui lati e sul retro. Colpiscono in particolare i fari Matrix LED oscurati e i contorni esterni delle griglie delle prese d’aria, questi ultimi con un profilo marcato.

STILE AFFILATO

Il Porsche Macan GTS è il primo modello della famiglia Macan a integrare il nuovo pacchetto Sport Design che, a partire dall’inizio del 2026, sarà esteso alle altre versioni. Include nuovi paraurti anteriori e posteriori, che nella variante GTS presentano un design specifico. Anche le minigonne laterali sono state ridisegnate. A proposito, monta cerchi in lega da 21 pollici in grigio antracite, con la possibilità di optare per cerchi RS Spyder Design da 22 pollici.

Concludendo il tour esterno nella parte posteriore, spiccano le modanature nere e un pronunciato pannello diffusore. Anche i gruppi ottici posteriori sono oscurati. Inoltre, con il nuovo Macan GTS si aggiungono tre nuovi colori carrozzeria al catalogo: rosso Crayón, rosso Carmín e blu Lugano.

INNOVAZIONI FUORI E DENTRO

Passando all’interno, il nuovo Macan GTS elettrico avvolge immediatamente in un ambiente tecnologico, lussuoso, moderno e sportivo. Per mantenere la continuità con l’aspetto sportivo dell’esterno, l’abitacolo presenta rivestimenti in Race-Tex abbinati a elementi in pelle liscia nera. Questo tessuto è presente sul volante sportivo GT, sui braccioli della console centrale, sulla plancia e sui pannelli porta. I sedili sportivi con regolazioni elettriche presentano una sezione centrale anch’essa rivestita in Race-Tex.

Per la prima volta nel Macan Electric, il pacchetto GTS opzionale consente di coordinare i colori esterni con quelli dell’abitacolo. È disponibile in rosso Carmín, grigio Pizarra o blu Lugano. Da notare anche le sigle GTS, presenti sui sedili e sul volante. Anche il display centrale del quadro strumenti digitale mostra le sigle GTS come elemento distintivo.

Essendo un veicolo elettrico, tutta l’attenzione è rivolta al sistema di propulsione. Il “cuore” di questa belva su ruote è una batteria agli ioni di litio da 100 kWh. L’unità di potenza eroga ben 380 kW (516 CV), che salgono a 420 kW (571 CV) grazie alla funzione overboost e al sistema Launch Control. La coppia massima è di 955 Nm.

Beneficia del sistema elettronico di trazione integrale Porsche Total Management e dispone di un blocco differenziale posteriore. Può accelerare da 0 a 100 km/h in 3,8 secondi e raggiunge una velocità massima (limitata elettronicamente) di 250 km/h. Per passare da 0 a 200 km/h bastano 13,3 secondi. L’autonomia del Macan GTS è di 586 chilometri secondo il ciclo WLTP.

I tempi di ricarica variano in base alla presa elettrica utilizzata. Tuttavia, con una potenza di ricarica massima di 270 kW, bastano solo 21 minuti per passare dal 10 all’80% di carica.

Tra gli equipaggiamenti di serie figura il pacchetto Sport Chrono, ampliato per includere la modalità Track, già nota sulla Porsche Taycan. Una modalità di guida che prepara il veicolo per una guida altamente sportiva.

Quando arriverà sul mercato? Il nuovo Macan GTS elettrico è già disponibile presso i concessionari spagnoli. Porsche ha aperto il libro degli ordini per questa variante sportiva, il cui prezzo di partenza supera la soglia dei 100.000 €. Le prime unità arriveranno nei concessionari nel primo semestre del 2026.

Nuova Hyundai i20 2025: Anteprima Rendering

Si prevede che la novità del marchio coreano sarà presentata nella seconda metà del 2026 e che le vendite inizieranno nel 2027.

Hyundai produce il suo modello compatto denominato i20 dal 2008. Nel corso degli anni, questa vettura ha cambiato generazione un paio di volte. La hatchback dell’attuale terza generazione, destinata al mercato europeo, è stata presentata nel 2020 e ha subito un restyling programmato nel maggio 2023. Secondo i dati di Jato Dynamics, ad oggi il modello occupa il terzo posto nella lista delle auto più vendute del marchio in Europa (dopo Tucson e Kona): nei primi otto mesi del 2025 i concessionari hanno venduto 47.285 unità (il 10% in meno rispetto al periodo gennaio-agosto dello scorso anno).
Attualmente l’azienda sta sviluppando la nuova generazione della hatchback Hyundai i20. Secondo i dati preliminari, questa cinque porte sarà presentata nella seconda metà del 2026 e le vendite sul mercato europeo inizieranno nel 2027. In precedenza si ipotizzava che l’attuale modello sarebbe stato sostituito da un’analoga versione completamente elettrica, in grado di competere con la futura Volkswagen ID. Polo. Tuttavia, Hyundai non sembra essere impressionata dalle attuali vendite delle auto elettriche, quindi la nuova i20 avrà probabilmente un motore a combustione interna sotto il cofano.

L’azienda coreana mantiene ancora segreto l’esterno della prossima Hyundai i20 hatchback, ma il designer dell’edizione spagnola di Motor.es ha preparato la sua versione del potenziale aspetto della novità. A giudicare dall’immagine, la parte anteriore dell’auto potrebbe essere seriamente “ridisegnata”: presenta delle scanalature appena percettibili sul cofano, sul bordo del quale è posizionato il logo, e una griglia del radiatore trapezoidale con grandi celle di forma complessa.

IL DESIGN AFFILATO

Nell’auto del rendering, i fari anteriori dalla forma insolita hanno tre luci di marcia a LED, mentre i fari sono collegati tra loro da una sottile striscia luminosa che attraversa tutta la larghezza della parte anteriore. Nella parte inferiore del paraurti anteriore è posizionata una presa d’aria allungata orizzontalmente con un disegno simile a quello della griglia del radiatore (separate da una barra con spazio per il fissaggio della targa).
L’artista ha anche disegnato per la futura novità un kit car kit in plastica non verniciata lungo il perimetro della carrozzeria (compresi i rivestimenti dei passaruota), montanti del tetto neri, un’antenna “pinna di squalo” dello stesso colore, maniglie tradizionali delle portiere, specchietti esterni normali con ripetitori degli indicatori di direzione e cerchi bicolore. Probabilmente, i fanali sono collegati tra loro da una sottile linea luminosa che attraversa tutta la larghezza della parte posteriore.

Nuovo Toyota Land Cruiser FJ 2025: Anteprima

Con perfetto tempismo, Toyota ha svelato il Land Cruiser FJ in vista del Japan Mobility Show (JMS) che si terrà alla fine del mese. Costruito sulla stessa piattaforma IMV (Innovative International Multi-purpose Vehicle) del pick-up Hilux, questo fuoristrada entry-level mira a offrire l’esperienza Land Cruiser a un nuovo pubblico, con il suffisso “FJ” – che fa riferimento al classico FJ40 e al retrò FJ Cruiser – che sta per “Freedom & Joy” (libertà e gioia).

L’accessibilità economica è garantita dalle dimensioni contenute. Il passo ridotto di 2.580 mm dell’FJ significa che utilizza il telaio a longheroni super corto dell’economico Hilux Champ, anche se è leggermente più lungo (4.575 mm) e molto più largo (1.855 mm) e alto (1.960 mm, il che lo rende il più alto dei veicoli basati su IMV).

Il design massiccio sia all’interno che all’esterno riprende in modo sorprendente il DNA del Champ, sebbene con un livello di raffinatezza naturalmente più elevato. Ciò è particolarmente evidente nella mascherina frontale ottagonale, che ospita il logo Toyota e le luci diurne a forma di C, con luci rotonde retrò opzionali. La fascia è inserita in una sezione smussata che ricorda un dado.

IL MODELLO ESTREMO

Questo motivo continua nella caratteristica carrozzeria rettangolare che presenta una linea dei finestrini a gradini e spessi montanti posteriori a forma di C, che incorniciano il portellone posteriore anch’esso ottagonale con apertura laterale che ospita la ruota di scorta esterna. Completano il look i robusti parafanghi e paraurti in plastica nera, questi ultimi suddivisi in sezioni che consentono di sostituire solo le parti danneggiate, in modo simile all’approccio adottato dalla GR Yaris e dalla Corolla rinnovate.

All’interno, il cruscotto a strati e i pannelli delle portiere piatti della FJ ricordano ancora una volta quelli della Champ, probabilmente realizzati con materiali più pregiati. Ci sono anche alcuni elementi della Land Cruiser Prado, tra cui il volante a tre razze dal design angolare, il pannello di visualizzazione simile a una tomba che ospita il touchscreen e il display digitale degli strumenti (probabilmente le stesse unità da 12,3 pollici), i comandi digitali dell’aria condizionata e la leva del cambio più nuova e piatta.

A differenza della sorella Fortuner, la FJ è una cinque posti pura; si differenzia anche dalla Champ per la dotazione del pacchetto Toyota Safety Sense di assistenza alla guida. Il bagagliaio è dotato di pannelli MOLLE (Modular Lightweight Load-carrying Equipment) in stile US Army per il fissaggio di attrezzature da esterno, utili per il campeggio.

Alla natura più economica della FJ si aggiungono le caratteristiche meccaniche, con la FJ che riprende il suo sistema di trazione integrale part-time più semplice (completo di marcia ridotta e manopola selezionabile dall’utente) dalla Hilux. L’auto beneficia anche di una maggiore rigidità della carrozzeria e di rinforzi aggiuntivi sotto il pianale per migliorare la maneggevolezza, e Toyota afferma che è stata sottoposta a numerosi test fuoristrada per garantirne l’affidabilità, la durata e le prestazioni. L’articolazione delle ruote è dichiarata pari a quella dell’hardcore Land Cruiser 70.

Un’area in cui la Toyta FJ delude è sotto il cofano, dove si trovano il motore a benzina a quattro cilindri aspirato 2TR-FE da 2,7 litri e il cambio automatico a sei marce della Fortuner, che producono solo 163 CV e 246 Nm di coppia. Tuttavia, questo è specifico per il mercato giapponese ed è possibile che altri mercati offriranno i turbodiesel più potenti della Hilux.

Sebbene Toyota affermi che la FJ sia unica sul mercato, la sua rivale più ovvia è la Suzuki Jimny a cinque porte; si spera che l’utilizzo dell’Hilux come base significhi che la FJ sarà notevolmente più economica. L’auto è stata probabilmente creata anche in risposta all’ondata di SUV cinesi che stanno entrando nei mercati dell’ASEAN, molti dei quali utilizzano la Land Cruiser FJ40 (e, per estensione, la FJ Cruiser) come “ispirazione creativa”.

Sebbene la casa automobilistica non abbia confermato dove verrà costruita la FJ, la sua base IMV significa che, come riportato in precedenza, sarà quasi certamente costruita in Thailandia. Ciò aumenta la possibilità che venga offerta in Italia, il che la renderebbe la prima LC disponibile attraverso canali ufficiali da decenni, forse anche assemblata localmente in CKD sulla stessa linea della Hilux. Tuttavia, ci vorrà probabilmente un po’ di tempo, dato che anche il Giappone avrà l’auto solo a metà del 2026.

Prova su strada Tesla Model 3 Long Range RWD 2025

Se dovessi scegliere di acquistare una Tesla la mia Tesla sarebbe esattamente così (rosso a parte).
In questo video vi racconto la prova su strada della Tesla Model 3 Long Range RWD 2025.