L’ultima apparizione pubblica di Sergio Marchionne risale alla fine della Primavera del 2018, quando fu presentata la versione per i Carabinieri offerta da FCA della Jeep Renegade. Poi il dramma fisico e clinico del manager italo canadese ci ha portato via un vero protagonista del mondo dell’auto.
In quasi tre lustri di presidio anche mediatico del Gruppo Fiat (poi Fiat Chrysler Group, poi FCA)
Marchionne ha costruito un profilo che in pochi anni si è imposto all’Opinione pubblica per il modo, il tono e l’immagine stessa del Manager. Un modo diretto, personale, schietto ed un“understatement” visuale in cui risaltava lo stile “workers” ed il celebre pullover scuro, secondo diceria popolare indossato perché permetteva di mostrarsi distinto anche in eventi pubblici senza dover perdere tempo ad annodare e sfoggiare una inevitabile cravatta sotto la giacca.
Uno dei tanti racconti che si fanno e si sono fatti su di lui, perché Marchionne ha avuto la sorte di aver catalizzato le attenzioni di stakeholders ed opinionisti da ogni parte del globo proprio grazie alla sovraesposizione di questa sua figura personale.
Ricordiamo quel periodo? Il “faro” epocale di Fiat, cioè Gianni Agnelli, moriva nel 2003; ancora prima, tra il 1997 e la fine del vecchio millennio, scomparivano anche altri due “capisaldi” della dinastia: certo siamo ancora sconvolti dalle pieghe nascoste della sorte di Edoardo Agnelli nel 1999, ma collegati alla dinastia “determinante” per il destino di Fiat furono Giovanni Alberto Agnelli (presumibilmente il vero nome sul quale puntava l’Avvocato, pur essendone solo lo zio) che era figlio di Umberto Agnelli, a sua volta fratello di Gianni e deceduto nel 2004.
Il comparto Auto almeno in Europa era in una fase di crescita costante, grazie ad una diffusione sistematica e progressiva del credito al consumo sostenuta dalla forza dell’Euro rispetto alle altre valute: cosa che, una volta tanto, consentiva all’Unione di contrapporre ai prezzi denominati storicamente in Dollari di risorse energetiche e di materie prime una valuta forte al livello della moneta Statunitense; allo stesso tempo il Continente si avvantaggiava, dal lato dell’Industria dell’Auto, di una supplyChain a costi calmierati proveniente sempre più da Cina, Taiwan e Stati Membri nell’Unione dell’area dell’Ex Cortina di Ferro.
Nessuno sapeva all’epoca che nei due concetti esposti sopra (diffusione del credito delle captive Bank automobilistiche, e influenza della Supply Chain cinese nella catena di valore della componentistica e nell’aftersales) si nascondevano due dei quattro problemi che sono esplosi negli ultimi anni tra le mani dei legislatori di Bruxelles sul tema dell’Auto europea. Ma prima di elencare gli altri due problemi nel mazzetto, torniamo a Sergio Marchionne.
Marchionne, l’umanizzazione del mondo Auto europeo
All’esplodere della sua epopea pubblica e mediatica (quella del Ferragosto provinciale, quella della guerra frontale con Landini, quella del parafango della Panda sbattuto metaforicamente in faccia a Della Valle) quanti altri uomini o donne, nella Vostra memoria di osservatori del mondo Auto dell’epoca, sono emersi alla stregua di Sergio Marchionne come portabandiera individuali dei Marchi o Gruppi che presiedevano?
Io ne ricordo solo uno capace di ripetere il forte impatto mediatico globale: Ratan Tata, il manager indiano quasi contemporaneo a Marchionne, capace di imprimere al Marchio una svolta che ha introdotto sia quest’ultimo che l’industria automobilistica indiana – fino ad allora decisamente rimasta nel cono d’ombra dello scarso interesse globale – nel dibattito principale di settore.
Fu, quella di Mister Ratan, un vero e proprio sasso nello stagno della meccanicità commerciale ed industriale del mercato USA ed europeo invasati – ho detto già sopra – dal credo del credito a pioggia e nel caso dell’Europa dalla progressione inarrestabile del motore Diesel.
In questo quadro così schematico e prefabbricato (nonostante la presenza in Gamma dell’assortimento più completo possibile in tema sia di corpi vettura – monovolume, due volumi, due volumi e mezzo a tre e cinque porte, tre volumi, Station Wagon, SUV, PickUp, coupè, Roadster, Cabriolet, Berlinette a motore posteriore e centrale – che di motorizzazioni ed alimentazioni – 2,3,4,5,6,8,12 cilindri; Diesel, benzina, Gas, GPL; Turbo ed aspirato – ed infine di allestimenti e prezzi disponibili – solo per l’Italia, ad esempio, i listini netti scontati da bonus Rottamazioni e Loyalty partivano da poco più di 9.000,00 fino ad “infinito” -) tuttavia la maggioranza assoluta degli acquisti europei era sintetizzabile nel “layout” due Monovolume/Wagon/Due Volumi con motore Turbodiesel tra 1.3 e 2.0 litri. E non solo in Italia ma in tutta Europa.
Di fronte ad un mercato che tendeva alla omologazione, dunque, e dove i protagonisti erano i diversi Brand immateriali con la loro storia ed il loro simbolismo mediatico e pubblicitario (senza però l’affiancamento di figure individuali iconiche capaci di “trascinare” o personalizzare la Corporate Image pubblica e condivisa a livello globale) queste due personalità “antropomorfe” seppero ritagliarsi un vero e proprio “Branding” da inizio Millennio.
Parlo, ripeto, di Sergio Marchionne e di Ratan Tata: alternativi, antidivi, eretici a loro modo perché capaci di proiettare un modello ed una vocazione di Impresa non omologabili con il resto della concorrenza. Ratan Tata rappresentando il target popolare esotico fatto di automobili coerenti, lavoratrici ma in un certo senso “pittoresche” ed affascinanti per il loro essere diverse: Tata Indica ed Indigo, insieme a Safari e Telcoline sono state un iconico cazzotto nell’occhio contro la concorrenza più popolare rendendosi ereticamente piacevoli contro la presenza “Low Cost” di coreane e cinesi.
Mentre Sergio Marchionne (affiancato e talvolta sovrapposto all’altra personalità iconica “Premium” impersonificata da Luca di Montezemolo) seppe fin da subito rappresentare la radicalità italiana dell’Impresa intenzionata e caparbia nella volontà di superare le secche e tornare ad essere grande.
Marchionne in Europa, Ratan Tata in India: rivoluzioni discrete
Il fatto che Marchionne abbia voluto temerariamente rivestireanche il ruolo ed il profilo mediatico del “Pater familias” attraverso cui passava e veniva setacciato ogni filo conduttore delle strategie per il rilancio – senza dunque delegare fortemente un eventuale sostituto destinato a rappresentare nelle occasioni pubbliche extra istituzionali – è uno dei motivi per i quali il principale fautore del raggruppamento Fiat Chrysler Automobile (poi denominato FCA) si è saputo rendere anche il più capace e mirato interlocutore e referente di quello che senza dubbio è il primo grande ed importante progetto di raggruppamento industriale del nuovo Millennio, molto più del secondo evento automobilistico che sempre nella prima decade del Millennio ha conquistato l’attenzione di Opinionisti e Stakeholders di tutto il mondo: proprio quella acquisizione epocale di Jaguar e Land Rover – due capisaldi storici ed iconici dell’Automotive britannico – operata da Mister Ratan Tata.
Se ci pensate bene, le due operazioni sopra ricordate sono state tra le poche operazioni davvero importanti di M&A di inizio Millennio nel comparto Automotive: oltre a queste si possono annoverare l’acquisizione di Volvo da parte di Geely oppure di Saab da parte inizialmente di Spyker (con il flop che ne conseguì poco dopo…..), mentre in generale a partire dalla crisi di MG Rover il mondo Auto aveva – fino alle operazioni di Fiat con Chrysler e di Tata con JLR – assistito più a funzioni od a preannunci mortuari (Mercury in casa Ford, Hummer e Saab in casa GM) oppure di passaggi di mano o ristrutturazione di assetti societari che avevano scompaginato i profili corporate di tutti i Gruppi auto globali provenienti dalle grandi operazioni di riassetto degli anni Novanta.
Quanto sopra, a maggior ragione, aveva reso sia Marchionne che Mister Tata due personaggi “positivi” perché segnati dalla immagine di saper essere, controcorrente alla maggior parte dei “tagliateste” usciti fuori dal Crack Lehman, dei Manager in grado di far “rinascere” qualcosa dalle loro ceneri. Provate a ricordare, come ho già chiesto poco sopra, il nome o la fisionomia dei CEO e dei Boss di altri Gruppi Auto dell’epoca: difficilmente ricorderete, in questo nuovo Millennio i riferimenti degli uomini e delle donne (eh si, donne: come la CEO di BMW e quella di GM, tanto per ricordare) che sono stati contemporanei di Tata e Marchionne.
Forse, forse, i più eruditi ricorderanno Adnan Mahindra: conterraneo di Ratan Tata, è il secondo Boss indiano che ha saputo “approfittare” del vento di centralità e presenza mediatica del “nuovo-vecchio mondo” indiano nel comparto Automotive globale ed occidentale. Insieme a Marchionne, Montezemolo, Tata, Adnan Mahindra è stato l’uomo “davanti” e non dietro al proprio Brand. Che grazie alla presenza pubblica e multimediale del suo Boss è cresciuto in poco tempo in tutto il mondo.
Se ricordate cosa ho detto prima, un elenco di quattro prerogative pregiudizievoli a mio avviso ha minato la crescita positiva e la salute del comparto auto europeo da inizio millennio:
I quattro peccati mortali dell’Automotive europeo, un peso al collo ancora oggi centralizzazione del profilo tecnologico e mediatico della Germania come modello di auto nella UE;
sovraesposizione della Supply Chain cinese nella catena di valore dell’aftersales;
diffusione ed esplosione incontrollata del credito gestito dalle captive Bank automobilistiche;
Iperdiffusione del Diesel nel mercato europeo e sua soppressione attraverso la rivoluzione elettrica.
Difficilmente troverete su altre piattaforme o su altre occasioni di dibattito la didascalia sopra riportata: a costo di rinnegare genitori, fede politica o calcistica, la maggior parte degli opinionisti di settore o non sa o fa finta di non sapere, avendo per anni conciliato una deriva autolesionista che parte da lontano.
Il primo “momento” – quello in cui l’Europa istituzionale ha investito l’Automotive tedesco del ruolo di portabandiera dell’Unione – è decisamente colpa di tutto il comparto Auto continentale che da inizio anni Novanta ha inteso cavalcare la globalizzazione e la delocalizzazione attraverso la composizione in Gruppi e strutture sovraterritoriali dove – all’epoca – essere europei, Statunitensi o persino lapponi non contava più nulla, ma contava essere obiqui (cioè dovunque uno straccio di mercato offrisse opportunità di vendita e di ramificazione di nuovi Business).
Alla disperata ricerca di un modus operandi valido ai quattro angoli del Globo, ai Brand ed ai Gruppi definibili “europei” non interessava più nulla onorare o difendere la radice territoriale: ebbene, in quel frangente non ricordo uomini capaci di “bucare” lo schermo e l’opinione pubblica per redarguire l’Unione sull’unico originario rischio che si prese trent’anni fa nel promuovere il “Monoprodotto” UE basato sull’auto tedesca Premium e turbodiesel.
Così facendo siamo, tutti noi europei, caduti a piedi pari nella laguna progressivamente formatasi della concorrenza “imperfetta” che tutti gli OEM europei (che nel frattempo avevano traslocato centinaia di processi produttivi in Asia ed Est Europa) subirono dal mondo IAM soprattutto a partire dalla guerra contro gli accordi verticali iniziata dal Commissario Monti nel 2002: piattaforma regolamentare concettualmente perfetta sul versante dell’equilibrio concorrenziale a favore dei consumatori, commercialmente schizofrenica perché ha dato vita a una valanga di cause alla Corte Europea tra IAM ed OEM in battaglia tra loro sulla condivisione e disponibilità dei dati proprietari sensibili, ma industrialmente letale – nel lungo termine – contro gli OEM visto l’enorme vantaggio dal lato dei costi fissi vivi che il mondo IAM poteva controllare meglio proprio grazie all’insediamento in aree a basso costo industriale.
Ed anche là, forse, un referente “umano” avrebbe potuto e dovuto puntualizzare per tempo la deriva che negli anni si è venuta a creare in termini di vero e proprio squilibrio di forze in campo nell’aftermarket e nella componentistica. Tenuto bene in conto che solo un decennio prima del nuovo Millennio che ha dato così tante mazzate all’automotive europeo, un altro nome mitico delle quattro ruote (Lee Iacocca, Chrysler) stava chiudendo la sua epopea dorata come vero e proprio “Guru” del settore dopo aver rappresentato egli stesso un “Brand nel Brand”, cioè sostenendo con la propria faccia ed il carisma il passo stentato e gli alti e bassi di Chrysler, sempre meno “Big” tra le Big Three di Detroit.
Senza Supereroi USA, India ed Europa sono tornate in ombra, ed in Cina brilla la “Stella”
Ed anche qui, un chiaro richiamo storico: è proprio dall’uscita di scena, a metà anni Novanta, di Lee Iacocca come portavoce operativo del sogno americano a quattro ruote (insieme ad altri pezzi da 90 come Bob Lutz e Phil Caldwell in Ford) oltre che al flop manageriale e mediatico di Rick Wagoner in General Motorsche l’automotive statunitense è caduto in balia di sé stesso e dell’altalena umorale e strategica di Presidenti democratici o Repubblicani al potere a Washington. Questo, guarda caso, fino al boom mediatico e comunicativo di un nuovo uomo forte dell’auto Made in USA: Elon Musk, il cui carisma opportunamente pompato dai media di settore è riuscito persino a fungere da trampolino di lancio di una nuova immagine “Premium” del suo Marchio Tesla nel settore delle auto elettriche, oltre che a influire parecchio nella visione favorevole al mondo BEV di BarakObama.
E…Vi ricordate il nome dell’unico Manager capace di “metterci la faccia” in Europa nell’ammonire l’Opinione pubblica sui rischi della ossessione elettrica nell’Automotive? Esatto: Sergio Marchionne
Con buona pace di tutti i detrattori e dei fanatici delle Zero Emission, con la sua “realpolitik” schietta Marchionne non ha avuto alcun imbarazzo ad impersonificare il “moderato” che anche di fronte al bombardamento mediatico del Dieselgate ha confermato la linea prudente di tutta FCA sull’elettrico. La Stampa specializzata di settore ha poi messo in secondo piano le strategie del Gruppo su Biometano e sul versante brasiliano con i biocarburanti. Tutti temi che oggi anche i peggiori critici del Manager italocanadese sciorinano dalla loro bocca. Ecco: chiediamoci cosa sarebbe stato di FCA e di parte della filiera europea se non avesse beneficiato della “diga” razionale di Sergio.
E che anche in Europa si debba costruire o favorire la costruzione di una sorta di “EuroAmbassador” dell’Auto europea si può capire meglio riferendoci al buco nero previsionale e mediatico che il comparto ha subito dalla uscita di scena di Luca De Meo, fino all’estate scorsa onnipresente commentatore e opinion leader dell’associazione di categoria nei confronti di Bruxelles.
Sono ormai sei mesi che, uscito l’ex CEO di Renault, il mondo Auto continentale si muove senza un portabandiera. E sinceramente credo che Filosa, neo capo di Stellantis molto avversato nella fronda francese del Gruppo, abbia fin troppe castagne sul fuoco per mettersi a fare il portavoce di istanze europeiste rivolte al mondo intero.
Ah, per inciso e per pura coincidenza: anche la iniziale ribalta indiana si è improvvisamente adombrata dal momento in cui, dal 2012, la figura di Ratan Tata si è staccata dalla gestione diretta del Gruppo e dell’automotive nazionale. E il ruolo del suo naturale “ricambio”, Adnan Mahindra, è stato molto più soffuso sebbene più presente a livello Social: ma se al Boss Mahindra si deve una visione davvero multilevel ed ipertecnologica della riorganizzazione del suo Gruppo (con l’inciampo nella gestione catastrofica di Ssangyong, anche….) al vecchio Ratan – il “Gianni Agnelli di New Dahli” come fu soprannominato – si deve il classico profilo patronale molto più “masticabile” in Occidente ed un peso mediatico che finchè è durato ha colpito parecchio la fantasia.
E se non bastasse tutto questo a convincere i più suscettibili o rassegnati, basterebbe ricordare l’esplosione mediatica globale che attualmente stanno rivestendo i capitali umani di BYD, il colosso cinese che più e meglio di ogni altro si sta muovendo nel mondo. Dal nostro Alfredo Altavilla – Special Advisor – per arrivare alla punta di diamante di Stella Li. Dal suo nome, orecchiabilissimo, alla sua persona sempre cortese e sorridente, al suo guanto di velluto che copre un pugno di ferro. Il Vice Presidente esecutivo di “Build Your Dream” ne è in realtà la incarnazione reale a livello comunicativo, una perfetta macchina mediatica che fa coincidere leadership pragmatica verso il suo gruppo ma allo stesso tempo visione globale di tutto l’automotive cinese che, sebbene non palesemente, sta beneficiando della azione mediatica di Stella.
Il “nostro” Supereroe. Il nostro “EU Car Ambassador”: Luca Cordero di Montezemolo
Dunque, Vi chiederete, per ridare slancio ad una ipotetica “Vision” europea del comparto Auto continentale non ci bastano i CEO o i portavoce di Stellantis, Renault, BMW, Daimler, Volkswagen (e solo per citare i Gruppi più euro-iconici)? No, Ok. Allora non basterebbe tirar fuori dai cassetti della politica a Bruxelles uno dei tanti prepensionati in grado di rappresentare diplomaticamente il comparto? Beh, rispondeteVi da soli: dopo la carne di porco che le Istituzioni europee hanno saputo fare dell’intero mondo auto continentale, quanto sarebbe credibile nel mondo un esponente di quegli ambienti? Sarebbe come mettere a capo della Amministrazione di un Condominio colui che avesse provato a dargli fuoco…
No, per poter dialogare “vis a vis” con il nuovo fronte cinese, per concertare un nuovo corso di relazioni anche con gli USA, e per coalizzare e catalizzare tutto il settore auto europeo verso una sorta di “Manifesto”, occorre un uomo che provenga – Curriculum alla mano – dalla migliore aristocrazia automobilistica che possiamo annoverare in Europa. Un “Cancelliere di Ferro” in stile Otto Von Bismark, per intenderci. Senza conseguenze – per fortuna – sanguinarie. Un uomo capace, visionario, leader mediatico e da sempre appassionato di auto “belle” e protagonista, con l’esperienza diretta, della realizzazione di sogni. Come ad esempio l’epopea Ferrari e Schumi in F1 e la rinascita di Maserati.Il nostro candidato ideale, cioè il nome che Autoprove.it lancerebbe in un ipotetico ballottaggio, ha un solo nome. Luca Cordero di Montezemolo.
Per noi è Lui l’ideale “Supereroe” del comparto auto continentale.Lui, il grande manager bolognese, di certo non sa che lo abbiamo candidato a ruolo di Ambassador del nuovo “Made in Europe” automobilistico. Temiamo però che a non volerne sapere saranno le istituzioni di riferimento dell’Unione: Istutuzioni e stakeholdersche tuttavia, senza un leader carismatico di Categoria, continueranno ad accompagnare l’auto europea verso il declino.

