Fu una “Guerra di Ottobre” a farlo nascere e prosperare, quando il prezzo della benzina saliva più veloce dei sacramenti dei poveri automobilisti davanti alla pompa del carburante e sembrava non esserci alternativa alcuna alle domeniche a piedi ed ai razionamenti. Fu “Lui” a tenere in movimento l’Europa, crescendo in pochi anni da “Zero” a quasi il 7% dell’immatricolato nel solo decennio ’70 (il primo della sua vita di servizio con gli automobilisti privati) per poi crescere a due cifre di decennio in decennio.
Quella “Guerra di Ottobre” si combatteva in Medio Oriente ed era denominata più universalmente “Guerra del Kippur”, conflitto scoppiato tra il 6 ed il 25 Ottobre tra una coalizione di eserciti arabi contro Israele.
Gli effetti discriminanti per il mercato auto furono pesanti: prezzi della benzina alla pompa raddoppiati e persino triplicati : con il conflitto arabo palestinese che aveva preso per gli attributi tutto il mondo con la crisi energetica, il Gasolio era diventata la risorsa primaria e più facilmente disponibile per supplire massicciamenteal consumo abituale di benzina, anche perché il costo di un litro di Gasolio era pari o prossimo alla metà del prezzo alla pompa di un litro di benzina
Eravamo vicini a mezzo secolo fa esatto, e come detto la fetta di mercato europea del Diesel nel trasorto privato poteva essere vicina al 3% (ma sono ottimista) con una progressione avviata soprattutto dal mondo delle Flotte, del commercio e degli Imprenditori che sono stati i primi ad avviare il ciclo di ricambio.
Ma si era al terzo o quarto anno di espansione di Gamma da parte dei Costruttori, ed in pratica le novità in tema di nuovi modelli a Gasolio fioccavano di anno in anno: dopo la “404” e “204” Peugeot lancia la “504” con un 2100 cc da 65 Cv, la Citroen equipaggia l’Ammiraglia “CX” con un 2200 D da 67 Cv nel 1975.
Persino la sportivissima Alfa Romeo nel 1977 deve dotare la “Giulia” di un Perkins 1700 cc a Gasolio, mentre Fiat risponde l’anno dopo con la “132” 2000 e 2500 Diesel.
Ford rimane un poco alla finestra, ma nel 1979 anche la “Granada” viene equipaggiata da due unità a Gasolio di matrice Peugeot : 1.900 cc. da 54 Cv e 2200 cc. da 63 Cv. Volvo invece rientra tra le “Premium” best seller nel 1979 proprio con le “244” e “245” che adottano il 6 cilindri Volkswagen da 2.4 lt. e 82 Cv.
Ed anche la prima “vittima” del Dieselgate – VW appunto – equipaggia per prima la “Golf” nel 1976 con il 1.5 lt. da 50 Cv, motore che poi entrerà nel cofano della più grande Passat nel 1978. La cugina “Audi 100” si doterà nel 1978 di un 2000 cc. da 70 Cv. Ed in Giappone? La prima Toyota Crown Diesel 1.500 cc. è addirittura del 1955; mentre Isuzu, un Player generalista globale, già nel 1986 conta 3 milioni di pezzi prodotti in tutto il mondo, ma l’invasione giapponese in Europa deve attendere ancora un poco, sotto il segno dei Pick Up e dei primi “SUV”. E deve ancora esplodere il filone delle Turbodiesel avviato dalla “604” TD nel 1978.
Perché un segno distintivo della diffusione estrema del gasolio nelle diverse linee di offerta di Gamma tra i diversi Costruttori è senza dubbio la proliferazione di Joint Ventures e consorzi produttivi tra diversi Marchi.
È questo che sostanzialmente ha portato la maggioranza delle motorizzazioni Diesel diffuse nei modelli di auto più venduti ad essere frutto di un consorzio tra diversi Costruttori oppure frutto di Joint Ventures anche prestigiose. Ed è per questo che per diversi anni il Diesel fu benedetto dai Costruttori europei: permetteva di contenere i costi di industrializzazione, beneficiava dei progressi tecnologici tipici del motore a benzina ma in più era preferito dagli automobilisti che ne apprezzavano solidità, prestazioni crescenti, tenuta sull’usato.
Già. L’Usato. Già: i progressi tecnologici del benzina. Ne parleremo più avanti, perché le cose hanno finito per non andare proprio così.
Una rivoluzione iniziata e finita in poco più di quarant’anni: da quel 1975 di primo “boom” delle motorizzazioni a Gasolio si è arrivati ad una seconda Guerra di Ottobre che però non è partita più dal Medio Oriente ma dalla “culla” dell’automotiveoccidentale.
Nell’Ottobre del 2015 le cannonate sono partite dagli Stati Uniti, con le conseguenze che conosciamo. Una Guerra di Ottobre ha acceso l’epopea del motore a Gasolio, ed una guerra di Ottobre dieci anni fa l’ha spenta.
La stella del Gasolio UE: da “zero” a settanta per cento in 40 anni, e quasi a zero in due lustri
O per meglio dire, ha messo nel congelatore una motorizzazione che a quella data del 2015 aveva toccato in alcuni mercati degli Stati Membri della UE una quota vendite del 70% !!! Eppure, continuo da scheggia impazzita a ripetere fuori dal coro dei tanti, forse troppi, Guru e grandi strateghi del dibattito pregiato che ad uccidere il Diesel nelle preferenze e nelle attitudini di acquisto degli europei non è stato il Dieselgate: i diretti fattori che hanno affossato dal Dieselgate in poi il motore a Gasolio sono da ricercare nella inquisizione dei vertici istituzionali e politici dentro la UE, unita alla curiosa e strumentale presa di distanza dei Manager dell’epoca (spero tutti mandati a fare altro, nel frattempo) che hanno prefigurato l’abbandono mai avvenuto dell’endotemico a Gasolio nella Gamma ed anzi rinnegato da quasi tutti i Costruttori con imbarazzanti dietro front.
Ma perché? In fondo i Clienti europei del 2015 erano in buona parte coloro che da inizio anni Novanta “assecondarono” il filone europeista del Diesel; erano cioè coloro che dall’avvento del Catalizzatore generalizzato e con la successione degli Stepantiemissione avevano aggiunto nella faretra del Turodieseleuropeo un’ulteriore e determinante freccia, quella ecologista.
Perché le altre frecce della praticità di uso, della affidabilità e della innovazione tecnologica c’erano già, a carico del Turbodiesel europeo. Che da inizio anni Novanta ha permesso ai Costruttori continentali di combattere con la concorrenza giapponese ed asiatica (la più pericolosa all’epoca) un’altra Guerra e non solo di Ottobre.
La guerra della immagine tecnologica che il Sol Levante, la Corea e pochi altri pericolosi avversari extraeuropei non poteva combattere ad armi pari sul puro Diesel, opponendo a questo punto l’Ibridazione da un lato o la guerra dei prezzi dall’altra oltre alla presenza di un Player di peso come Isuzu.
Quella guerra commerciale, con il muro ben solido all’import dall’Asia, l’Europa l’ha combattuta con i suoi Costruttori diventati progressivamente incombenti nell’industria del Gasolio, e con effetti ben evidenti: Una “Opel Rekord” 2.0 D del 1975 ha una potenza specifica di 27 Cavalli/Litro e un consumo di 9,3 litri di Gasolio per 100 chilometri nel ciclo cosiddetto “misto”; una “Volkswagen Golf” 2.0 TDI del 2015 ha una potenza specifica di 75 Cavalli/Litro – il triplo della Opel di 40 anni prima – e un consumo di 4,7 litri di Gasolio per 100 chilometri, la metà esatta. Per chi è interessato o mostra di volerci credere. Eppure qualcosa di questa strana esplosione tecnologica entra in pieno nelle premesse e nei nessi di causa del Dieselgate. Dopo il quale siamo arrivati, negli ultimi tempi, a quote di mercato dei motori a Gasolio mediamente del 9% in tutta la UE ma a risultati nazionali che in alcuni mercati nazionali scende clamorosamente a soglie minimali.
Il Diesel ha espiato le sue colpe? Si, ma i suoi mandanti sono sempre al loro posto al sole
L’ho già scritto, diverse volte e non da ora: la crescita perpetua virtuosa del Gasolio da metà anni Novanta ha una piattaforma strategica di base in un protocollo informale e persino tacito tra Costruttori europei e nuove Istituzioni di Bruxelles dopo Maastricht: la necessità impellente di fare muro contro la temibilissima avanzata giapponese da fine anni Ottanta (che avendo strutturato le proprie basi operative in Europa non potevano più essere arginati con dazi e contingentamenti peraltro ormai del tutto fuori tema nel nuovo commercio mondiale) andava a dama come si dice con le nuove opportunità di espansione dell’industria continentale nei nuovi mercati che si aprivano in ex URSS ed in Cina. Questo portò da un lato ad una progressiva e continuata azione promozionale istituzionale che ha visto il Gasolio baluardo iniziale della lotta alle emissioni carboniose (nel motore Diesel sempre inferiori ai motori a benzina) promuovendo l’immagine non solo commerciale ma addirittura diplomatica del Gasolio “ecofriendly” interrotta da sporadiche iniziative comunitarie di ricerca finanziata (la più significativa che io ricordi è la “Flex Fuel” del 2006 proprio sulle benzine ad alto tasso di bioetanolo). Ricordate cosa abbiamo detto poco sopra? Il Diesel ha beneficiato della corsa all’innovazione tecnologica che per decenni aveva supportato il motore a benzina. Vero. Sono i tempi ed i modi di questa innovazione, ed i suoi effetti commerciali, ad aver condannato a morte il Diesel.
Ricordo sempre a tutti, approfittando ancora una volta della benevolenza degli amici di Autoprove.it, che un solo articolo, il primo e l’unico, ha denunciato questo già dieci anni fa allo scoppio pubblico del Dieselgate: all’epoca apparve su un’altra piattaforma, non solo perché ancora non conoscevo Autoprove ma perché in pochi altri ebbero il coraggio di pubblicarlo. Era la mia denuncia alla scempiaggine con cui i Costruttori avevano stabilito tra loro un caratteristico “Loosing Game” cioè quella sorta di gioco in cui le mosse che ciascun avversario prova a mettere in campo per far perdere l’avversario in realtà finiscono sempre più per indebolirlo, fino ad una eutanasia generale. In quell’Autunno del 2015 uscì un solo titolo che diceva chiaramente : ”il Diesel, quella volta, dovette morire affinchè non si uccidesse da solo” (Link cliccando qui). Ringrazio i ragazzi di queste pagine per consentirmi di linkare, visto che ricordare e conoscere i reali motivi del Dieselgate è una possibile opportunità per non ricascarci.
Certo, all’epoca avrei preferito che fossero gli stessi Costruttori a dire:”ragazzi, abbiamo sbagliato, rimedieremo” e non le Istituzioni europee a flagellare il dispositivo che la stessa Europa, mitologicamente divenuta Saturno che mangia il proprio figlio, aveva contribuito a far diventare popolare.
Chi ha ucciso per primo il Diesel? Non l’EPA, ma la Lehman Brothers
Ammettere le colpe dei Costruttori, in una sorta di catarsi salvifica, avrebbe costretto milioni di automobilisti offesi dal Dieselgate ad ammettere di essere stati correi e collusi con chi sbagliava: credere che un’auto che cresce la sua potenza del 300%, del 20% il suo peso e del 30% le sue prestazioni possa consumare la metà di una progenitrice di poche decine di anni fa non è da consumatori coscienti; è da aspiranti cornuti, che accettano il costante mal di testa strategico del rispettivo partner per non vedere la realtà.
Per esempio, è da veri cornuti del consumerismo attendere che fosse, nel 2014, una Istituzione terza come l’organizzazione europea “Transport & Environment (T&E) a segnalare la possibilità che i consumi dichiarati e testati nelle prove di omologazione NEDC (nato nel 1970) fossero inferiori fino al 30% rispetto a quelli reali. Ma a tutti noi andava bene così. Proprio come ai cornuti.
Ed avrei persino gradito che tra i miei eroi del passato (come coloro che di sana pianta avevano riportato a galla Costruttori, o che avevano inventato una nuova linea commerciale vincente di una nota ammiraglia svedese, o che al limite si erano inventati il monoprezzo su diversi modelli di Gamma) vi fosse chi si alzava a bacchettare le nuove generazioni. Ma purtroppo era impossibile: in parte perché tra i i miei vecchi eroi vi erano ormai o collusi e rinnegati, o perfetti rincoglioniti dall’età, o personaggi ormai scomparsi. E poi, ammettiamolo, per almeno due decenni di mercato dalla fine degli anni Ottanta alla vigilia del Crack Lehman i veri padroni del mercato auto non erano stati i Costruttori ma le rispettive Captive bank.
La formula magica con cui i diversi Costruttori aumentarono in solo 40 anni fino al 300% le prestazioni motoristiche del Dieselera di per sé letale: adottare nello stesso lasso di tempo, freneticamente, le innovazioni (iniettore singolo indiretto, Turbo, 4 valvole per cilindro, iniettore multiplo, iniezione diretta, Intercooler, turbine a geometria variabile, filtri antiparticolato, controlli elettronici, iniettori piezoelettrici, iniezione a pompa rotativa, iniettore pompa, common rail) che per il motore a benzina, proporzionalmente, arrivarono in grande serie nel lasso di almeno un secolo.
Ottenere tutto questo solo ed esclusivamente grazie alla leva finanziaria fu un suicidio annunciato, fomentato e coperto dalla informazione di settore che – ne sono certo – per questo sarà stata ampiamente gratificata…….Ed è per questo che, finalmente, la seconda vittima del Dieselgate oltre al Gasolio è l’informazione di settore. Pagine di carta straccia con rilievi, test, recensioni, propaganda.
Tutta una solenne bufala, una montatura per sostenere artificialmente un mercato che oggi è ridotto in macerie fumanti come quelle redazioni “gloriose” che per fortuna rimangono in stato comatoso.
Peccato solo per alcuni “Don Chisciotte” a loro modo ridicoli e pedanti che cercano tuttora di riuscire fuori dalle pieghe del Web come analisti, pseudo-Guru di opinione e sempre, costantemente, fuori luogo. Per fortuna rimangono perlopiù inascoltati.
Sono quelli, per darVi una traccia, che per giustificare il crollo del mercato auto accusano sempre e solo l’elettrico, anche quello che non c’è. E che non sanno fare i conti con quello che, senza timore di smentita, è il decalogo delle bestialità che ho elencato appena sopra.
“Abbiamo sbagliato noi, caro Consumatore”: la confessione che avrebbe salvato il Diesel
A questo si contrappose la guerra dei listini per contrastare anche la politica tariffaria della concorrenza asiatica e giapponese; a questo si aggiunse la corsa al rinnovo programmato del parco auto usato, con formule finanziarie che scaricavano sull’interesse composto la riduzione dei margini derivanti dalla vendita diretta dell’auto. Tutto bene, se non fosse per tre ghigliottine che prima o poi avrebbero atteso i Costruttori europei al varco:
1) la nuova politica comunitaria sugli accordi verticali (tipici) del settore auto, quella serie di corollari normativi denominati “Legge Monti” che di colpo aveva esposto i Costruttori ad una guerra sanguinaria e ad una perdita di margini contro il mondo “Indipendente” che gli stessi Costruttori avevano foraggiato espandendo linee produttive della componentistica nei paesi a basso costo industriale;
2) La rapida e preordinata obsolescenza accelerata del Parco auto circolante in Europa, causata dalla sequenza degli Stepantiemissione, che lo rendeva inappetibile al consumatore di seconda mano, impediva a Dealer e Costruttori di perseguire margini di rivendita, ma che non aveva – come invece contrariamente auspicato dal mondo industriale europeo – avuto il desiderato effetto di assorbimento nei nuovi mercati (soprattutto quello dell’Est Europa) dove tra nuovi insediamenti produttivi a basso costo e instabilità delle diverse aree geopolitiche il “gravame” dell’usato prodotto ed inviato dalla UE rimaneva nel gozzo dei Dealer continentali;
3) La perdita progressiva di margini sia sul venduto del corpo vettura sia molto più pericolosamente sul versante aftersalesper effetto della concorrenza del mondo IAM;
4) L’aumento esponenziale del rischio finanziario generato dalla maggiore esposizione creditizia, dalla crescita di strumenti derivati a sostegno della liquidità, ed ovviamente la svalutazione imposta del Parco Auto incapace di garantire l’esposizione ed il rischio finanziario crescente.
L’Armageddon di tutto questo non fu il Dieselgate ma il Crack Lehman che di fatto tagliò le gambe alla iperproduzione di strumenti derivati (ABS in particolare) e di cartolarizzazioni per sostenere la domanda di credito. Dal 2008 la partita tra mondo della domanda e dell’offerta ripartiva da una palla al centro ma non dallo Zero a Zero: a carico dei Costruttori c’era una massa di crediti sospesi che andava riassorbita, con una prospettiva di margini “ZERO” su corpi vettura venduti e permute da riacquisire in assetto contrattuale di Buy Back. Era l’eredità del credito facile, riversato tutto su una quota di mercato del motore Diesel ormai lanciata oltre il 60% delle vendite annuali.
Era facile capire chi sarebbe stato sacrificato, sull’altare della sopravvivenza residuale dei Costruttori, per poter resettare tutto e ripartire. Uccidere il Diesel per gravi crimini contro l’Ambiente; fomentare una inutile campagna sull’elettrico per ricostruire la scaletta del valore commerciale auto e far risalire senza farsene accorgere i listini, ed infine adottare la nuova risorsa del “MildHybrid” come arma di confusione di massa. Tutto registrato, tutto scritto esplicitamente da Autoprove da anni, a mia firma. E l’esempio è in un altro “Click” QUI. Andate a leggere, e magari corroborare tutto con questo Link.
Per dieci anni, da Ottobre 2015, i Costruttori hanno chiuso dentro appositi cassetti le possibili linee di evoluzione del motore a Gasolio. Lo hanno fatto perché l’unica via di ripartenza possibile, nell’attesa che il polverone del Dieselgate si placasse, era nella “Decrescita” felice. Altro indizio segnalato sempre e solo da Autoprove.it con questo Link che rimanda ad una sola mia curiosità: perché solo dopo dieci anni sono ripresi i filoni di ricerca per Biodiesel e soprattutto per l’HVO? Perché improvvisamente al potenziale consumatore si propongono potenziali linee evolutive che vanno dal Dual Fuel (immissione di Gas e/o GPL nel gasolio di alimentazione) al ritorno delle architetture Ibride ed Extender Range, fino alla linea appunto de Gasoli “Bio”? Come mai viene fuori che metanolo, Idrogeno, olii vegetali, scarti organici, insomma tutto può servire alla causa del nuovo Diesel?
Perché dopo quasi almeno otto anni di silenzio i Costruttori tornano oggi a dire “Beh, si: l’idea di rimettere in piedi linee produttive di motori a Gasolio non è così assurda”?
Perche dieci anni dopo quella “Golf TDI 2.0” del Dieselgate che in termini di prestazioni avrebbe umiliato al semaforo una Ferrari Testarossa, il termine di paragone e di transazione del “nuovo “ Diesel non è più la eccellenza prestazionale ma la sostenibilita’: sostenibilità dell’acquisto, della manutenzione, della rivendita, dei consumi e dell’ecologia.
Tutti più buoni, ma tutti molto più moderati. E soprattutto, tutti molto più preoccupati di prima che per l’Industria dell’auto non vi sia scampo a seguire la via dell’Oriente. Non sarà con l’elettrico che l’Industria europea vincerà la mossa sullo scacchiere contro Cina, Asia, e forse un giorno India ed Africa. La guerra si vince con il rimedio della nonna.
Il nuovo Diesel appunto: quello che gli americani disdegnano (ormai il Dieselgate ha tagliato le palle anche a loro, in termini industriali), quello che i giapponesi masticano ancora a fatica, quello che l’Asia sembra aver a priori messo in soffitta per seguire altre strade. Il diesel che ha visto la sola Europa dominante per quasi mezzo secolo. E forse pure Ursula se ne è accorta, e lascerà fare: la donna politica secondo me più bella ed elegante nel panorama mondiale, ma poco adatta al suo ruolo, sta rapidamente riducendo le trappole anti-endotermico, anche per salvare la sua Germania.
Ce ne accorgeremo anche noi: la piattaforma più sostenibile della “nuova” era del Diesel europeo sarà semplicemente la riedizione “mascherata” di soluzioni tecniche che abbiamo già visto e che colpevolmente abbiamo cestinato per essere fatti cornuti dallo pseudo progresso. Anche noi consumatori europei dobbiamo espiare, e tra decine di anni ci renderemo conto di star pagando solo di più quello che, costandoci meno, avevamo mandato al macero. Lo abbiamo sempre fatto.
Riccardo Bellumori

