Il titolo e fonte sono di per sé stessi allarmanti: la fonte è un sito denominato “NPL Confidential”, che si descrive ed è segnalato (in senso positivo) nelle diverse recensioni come “Piattaforma indipendente che fornisce giorno dopo giorno contenuti specializzati curati da un team esperto di giornalisti finanziari di buona reputazione”.
Il titolo in Rete, pubblicato appena dieci giorni fa, è decisamente preoccupante: “ La prossima crisi dei “Prestiti Subprime” arriverà dalle automobili”. E non termina, questo titolo, con un punto interrogativo. E’ una affermazione perentoria.
A poco meno di venti anni dalla esplosione del “SubprimeGate” (gli americani non lo chiamano così ma essendo un problema nato e cresciuto nella sola America non vedo perché i “Gate” laggiù dovrebbero essere solo quelli di provenienza estera) lo scandalo dei prestiti non garantiti nel settore immobiliare – che in verità a me è sempre apparso come un “preavviso” per una eventualmente più drammatica bolla creditizia già allora nel settore Auto – sembra avere ancora, ai giorni nostri, un seguito molto serio nel mondo delle quattro ruote a Stelle e Strisce.
Si trattò all’epoca di uno dei fallimenti più epocali per una Banca d’Affari: il 15 Settembre del 2008 Lehman Brothers invocava la protezione dal fallimento ex Chapter 11. Non vi riuscì a causa di una sovraesposizione debitoria causata dal crollo della marea di derivati che l’Istituto aveva in pancia indicizzati al mercato dei finanziamenti Subprime.
Il crollo di Lehman si legò all’epoca a quello di Fannie Mae (gergalizzazione di F.N.M.A. – Federal National MortgageAssociation), una Banca pubblica che dal 1999 – sotto la spinta “welfare oriented” di Clinton – aveva aumentato l’erogazione di Mutui a Clienti con basso titolo di merito creditizio; e di FreddieMac, altro soprannome di un Istituto Bancario a sua volta affondato dalla crisi delle insolvenze. Freddie Mae – rimasta pubblica – si è ristabilita al punto da essere diventata due anni fa la più grande azienda degli Stati Uniti e la quarta più grande del mondo, aveva cominciato tuttavia il suo crollo quando al crescere delle insolvenze dei mutuatari Subprime si era sommata la cessione di credit default swap (CDS) sugli stessi mutui, moltiplicando l’esposizione debitoria della Banca.
In quel frangente le Banche raccoglitrici sono state un veicolo di propagazione altissima di “contagio”.
Il successivo Crack Lehman è stato il segno di questo “contagio” legato alla pioggia di cartolarizzazioni (ABS ed MBS) e di emissione di derivati per la raccolta di liquidità. Fu risparmiata solo la “AIG” (American International Group fondato da Cornelius Vander Star nel 1919 a Shangai) forse perché nel 2007 era stata eletta come sesta più grande società dalla rivista Forbes, solo un anno prima della sua quasi-bancarotta. Il governo americano decise così di farsi carico del salvataggio utilizzando fino a 182 miliardi in cambio del 92% delle azioni.
L’epicentro del disastro finanziario per la compagnia è stato un ufficio situato a Londra che negli ultimi anni ’90 ha iniziato a negoziare massicciamente CDS che a causa del crollo degli MBS (Mortgage Backerd Securities, cioè Asset finanziari garantiti da mutui ipotecari) a causa delle insolvenze sono schizzati alle stelle.La crisi Subprime USA, va anche ammesso, parte dalla combinazione tossica di tre fattori: bolla del credito, sommata alla bolla immobiliare all’epoca in corso in America ed infine la politica monetaria della FED che durante il mandato di Clinton e Bush Jr. fu particolarmente larga di manica dalla fine degli anni Novanta. Bene, questo il quadro di quasi venti anni fa: ed oggi?
Oggi, o meglio circa due mesi fa, succede che un grande Dealer di auto usate (e le dimensioni dei “grandi rivenditori” di Usato in America non sono propriamente come quelle di un Automercato sulla Via Salaria a Roma) si è nel tempo “arricchito” di sempre più numerosi Clienti che, per motivi di rischio creditizio, hanno avuto in questo Dealer l’estrema sponda per acquistare un’auto attraverso un finanziamento non garantito da asset oppure da cauzioni o fidejussioni.
In pratica la “Tricolor Holding” (questo il nome del Rivenditore) ha esteso il suo portafogli Clienti a soggetti con un merito creditizio basso, bassissimo. Questa la definizione bancaria. Attenzione però: ho detto “Dealer” ma la definizione è in parte sbagliata, perché la realtà esatta è più preoccupante: Tricarico Holding ha in realtà accettato da un corposo Network di Rivenditori affiliati una mole di ordini di acquisto di auto usate ponendosi più correttamente nella posizione di “Terzo garante” con una azione di “cartolarizzazione” dei crediti incerti andando a reperire sul mercato compratori per questa ennesima ondata di finanziamenti “Subprime”.
In verità la fine di Tricolor apre uno scenario improvviso, una sorta di faro acceso a livello di opinione pubblica mondiale poiché:
-Dopo la ferita ancora aperta del crack Lehman Brothers la parola “Subprime” fa venire ancora gli incubi;
– Una nuova eventuale crisi del credito avrebbe effetti devastanti perché impatterebbe in un mercato molto più povero e più chiuso di quello pre-2007;
– quel che è peggio, è che il fallimento Tricolor ha aperto il sipario su altri due casi precedenti su cui l’opinione pubblica era rimasta distratta;
– Last but not Least, a quanto ammontano in generale, ad oggi, i crediti “spazzatura” ? e l’insieme del credito Subprime in essere negli USA per il settore Automotive, a quanto ammonta in erogazione di nuovi ABS (Asset Backed Securities) ?
Cosa è accaduto a Tricolor Holding ovvero Tricolor Acceptancecon sede nel Delaware? Il gruppo (specializzato negli anni con la intermediazione e vendita auto e crediti alla vasta comunità ispanica – generalmente economicamente precaria – molto radicata nel sud Ovest degli Stati Uniti) sovrintendeva a 65 rivenditori in sei Stati lo scorso 10 Settembre ha presentato istanza di fallimento presso la sede del Texas del Tribunale fallimentare.
Il 12 Settembre ovviamente S&P ha comunicato di aver emesso rating negativo su sei classi di titoli garantiti dai crediti automobilistici del Tricolor Auto Securitization TAST 2025-2. Ma per Tricolor la questione potrebbe farsi più pesante: il dubbio è che per ottenere più liquidità Tricolor abbia gonfiato il portafoglio delle attività (o meglio dei crediti sottoscritti) duplicando i contratti di vendita di auto.
Prima di questo un Partner finanziario di Tricolor, la Fifth Third Bank, aveva denunciato la stessa Holding per una frode legata ad un maxi prestito di 200 milioni di Dollari, seguita da altre due Banche (Zions Bancorporation e Western Alliance). Non propriamente noccioline, ed il primo problema è stata la immediata piccola frana a Wall Street sui titoli legati alla finanza subprime, per seguire con appunto il faro acceso sul particolare settore creditizio: la CNN ha commissionato una propria ricerca ed ha lanciato la notizia un poco più ferale: il 6,5% di debitori per prestiti subprime diventerà un c.d. “cattivo pagatore” entro la fine di quest’anno anche a causa del costo supplementare caricato sulle rate di maxi interessi che sono gli stessi che come rendimenti ingolosiscono gli investitori che comprano i crediti cartolarizzati.
Interessi e rendimenti che per effetto di questo fallimento pregiudizievole dovranno per forza salire- per rendere i conseguenti “ABS” interessanti da sottoscrivere, con un probabile effetto boomerang sugli incagli nel prossimo futuro. Gli analisti si difendono: ”l’attuale mercato Subprime è comunque piccolo rispetto al settore globale dei finanziamenti auto”; sarà vero, ma nel frattempo anche la platea ed i volumi di credito auto erogato si è ridotta rispetto a prima del 2007….E sulla attitudine degli investitori ad acquisire ABS indicizzati su Crediti Subprime, occorre capire se dopo il 2007 è davvero rimasta uguale.
Ma appena aperta la persiana sul default di Tricolor e sul buffo da 200 milioni di Dollari, ecco rimbalzarne un altro: si tratta del famigerato “Chapter Eleven” (ricordate il caso Hertz?) invocato dalla PrimaLend Capital Partners di Plano (Texas) insieme a due affiliate per ottenere in pratica un regime giuridico di protezione dal fallimento, e dunque poter procedere alla ristrutturazione dei debiti attraverso cessioni, tagli e politiche di contenimento dei costi: parliamo in questo caso di debiti che superano le diverse centinaia di milioni di Dollari.
Ma non basta: acceso il faro su Tricolor e PrimaLend, ecco aggiungersi la frana di First Brand del Michigan. E First Brand Group non è certo un pesce piccolo della Componentistica auto americana: nel corso degli ultimi anni ha percorso una politica di espansione ed acquisizione di diversi Suppliers del settore auto: tra il 2018 e lo scorso anno questo gli è costato 4 miliardi di Dollari finanziati con strumenti di rischio. A fine Settembre come in un effetto Domino anche First Brand ha dichiarato Bancarotta. E’ finita così la “scorribanda” dell’Indo-americano Patrick James che in quindici anni ha creato un Gruppo da 26.000 dipendenti e che vede il suo sogno affondare per un “buco” di 2 miliardi di Dollari.
Tre casi, un unico allarme: quale è la gravità del “buco”? Qui la mia decenza e onorabilità mi impone di fermarmi: definire e declinare le classificazioni e diverse categorie di debiti e passività non è alla mia portata, e spero a breve di poter articolare un confronto con figure professionali ad hoc per inquadrare la questione in modo adeguato.
Di certo la tripla frana unita alle analisi di peggioramento delle condotte dei debitori, ma il tutto unito ad un periodo critico dell’auto sia in America che nel mondo occidentale, non fa tutto questo che aggravare gli allarmi. Gli Stati Uniti dell’Auto rischiano di chiudere l’anno con quattro problemi in pancia: uno è l’aumento immediato dei costi delle materie prime, dei semilavorati e delle parti di ricambio (ennesima idiozia di una Amministrazione Trump alla canna del Gas dal lato politico e del consenso, tassare le componenti associate alle auto con dazi diversi da quelli applicati alle auto…….) che i Costruttori, gli Autoriparatori ed i Suppliers statunitensi si sono trovati a pagare prima che – chissà quando – una nuova Supply Chain (magari tra USA ed India) possa rimpiazzare i canali classici di fornitura; a seguire la riduzione generalizzata dei margini ed il calo delle vendite del nuovo per finire con la possibile “bolla”legata al ritorno sul mercato dell’Usato di BEV sottoscritte in Leasing e Noleggio in piena era di incentivi del Governo Biden.
E dove si trova il centro del problema? Nelle cartolarizzazioni, negli ABS (Asset Backed Securities): infatti la trasformazione di crediti subprime in Asset Backed Securities avviene tramite la cartolarizzazione: i crediti vengono impacchettati, ceduti a una società veicolo (Special Purpose Vehicle – SPV) e trasformati in titoli negoziabili che vengono poi venduti agli investitori. In questo modo, l’istituzione originaria riceve liquidità immediata e scarica il rischio associato a quei crediti. In parole povere con le cartolarizzazioni si costruisce una nuova opportunità ad un rischio e si trasforma in possibile valore una esposizione anche molto forte di un creditore. Ne abbiamo già parlato, continueremo a parlarne. Per ora la vera notizia è che la parola “Subprime” è tornata a far paura.
Riccardo Bellumori

