La moda delle “Auto tutto volume”, è vero, nasce in America: per differenziare le “Carryall” (le future Pick up) nate per uso lavorativo, a battezzare le “Station Wagon” – cioè l’auto pensata per i pendolari e gli abitanti sub-urbani – ci pensò la Chevrolet proprio con la “Suburban”. Ma è nel Vecchio Continente che la saga delle “Estate” e “Shooting Brake” inglesi, delle “Break” francesi, delle “Familcar” tedesche e delle “Giardinette” italiane trova la sua espressione migliore dal lato della varietà di assortimento, della bellezza formale e della volumetria disponibile per persone e bagagli.
Ma, intanto, un breve excursus sulle terminologie: in America le “Station Wagon” nascono sulla base originaria di veicoli nati ad inizio del XX° Secolo come mezzi di trasporto a più posti predisposti dai gruppi di operai che, di territorio in territorio, venivano assunti e messi a lavorare nella estensione della rete ferroviaria: questa attività progressiva si insediava di tratta in tratta nelle aree disabitate del Paese, e dunque intorno alle future Stazioni si creavano avamposti rurali composti da operai, personale ferroviario, primi commercianti, medici; tutti con un’unica esigenza primaria, quella di andare e venire dalla zona di lavoro.
All’inizio furono carrozze a cavallo e biciclette, ma da un certo momento in poi sugli chassis incompleti dei primi Pick Up motorizzati la leggenda vuole che alcuni abili artigiani abbiano assemblato carrozzature volumetriche arredare con panche di legno prese direttamente dai vagoni. Quei mezzi squadrati, semplici, con l’interno simile a quello di un treno, presero facilmente il nome amichevole di “Station Wagon” (Vagoni di Stazione). Da allora, come detto, Chevrolet per prima annusò il Business ed armò i suoi avventurosi agenti di inizio Novecento con la prima “Suburban”.
L’ortodossia britannica per i termini tecnici diede vita invece a due definizioni specifiche : si chiamavano “Estate” le vere e proprie familiari di serie, quelle auto belle capienti per ospitare famiglia ed annessi e connessi per partire dalla città a raggiungere i rinomati “casali” della borghesia britannica nelle campagne; e con il termine “Shooting Brake” invece si distinguevano più realizzazioni speciali fatte ad uso di “Vip” e nobili, aumentando spazi e volumi preferibilmente di Coupè e vetture sportive, al fine di permettere ai fortunati proprietari di poter appoggiare nel ricavato volume posteriore le sacche da Golf, o l’armamentario da caccia con annessi segugi, senza sporcare i ricchi sedili in pelle anteriori…Il termine “Shooting Brake” infatti proveniva da delle voluminose carrozze a cavallo realizzate per i nobili che andavano a caccia in gruppo: “Shooting Brake” identifica proprio il “bosco di caccia”: e notare anche la “francesizzazione” del termine “Brake” in “Break”, cioè la denominazione universale di ogni familiare francese fino ad una trentina di anni fa.
Le “Estate” invece erano realizzazioni industriali rese ancora più facili da produrre e diffuse dopo che “Pressed Steel” (la Compagnia inglese erede delle nuove tecnologie americane sulla produzione di Chassis monoscocca stampati in luogo del pianale a longheroni e traverse) fece proliferare il sistema di stampaggio delle scocche, modo costruttivo che rendeva più facile diversi corpi vettura su uno stesso pianale.
L’Italia invece coniò un termine sul quale è nata una leggenda “macabra”: dopo l’acquisizione dei brevetti di “Carrozzeria funzionale” e della francese Clairalpax, che industrializzava la modifica delle carrozzerie di serie per farle diventare “a cassone”, ci fu un ploriferare di “autofunebri” e di autoambulanze disegnate anche da grandi Carrozzieri: retaggio dell’epoca signorile e baronale in cui nel giorno del rito funebre i ricchi amavano ordinare e ricevere carrozze oblunghe ricche di vetrature (per gli addobbi floreali) e di volume posteriore che si scontrava con un anteriore ridotto.
Di là a dopo la Guerra, quando dagli anni Cinquanta il boom della motorizzazione di massa rese molto interessanti per i lavoratori e per i nuclei familiari le vetture con grande baule, la tipica capacità “miniaturizzatrice” degli italiani fece proliferare – incredibile a dirsi – in un primo tempo la carrozzeria “Wagon” sulle piccole utilitarie. La fusione tra l’allusione popolare (a scopo canzonatorio e spiritoso) del famigerato “giardino” cimiteriale e le piccole dimensioni delle prime “wagon” in un Paese dove l’inglese non era ancora diffuso diede probabile origine al termine di “Giardinetta”; mentre, ad onore del vero, la Stampa specializzata cominciò presto a chiamare “Familiare” la versione “vagonata” delle auto di dimensioni e prestigio più elevato; e “Furgonate” le versioni adatte al lavoro ed al trasporto commerciale.
In Germania, a mia memoria, il termine “Familcar” con cui fu inaugurata la serie originaria delle Volkswagen da metà anni Sessanta (e che divenne un vero simbolo con la famiglia delle Passat) rappresentava più un simbolo autoprodotto da Wolfburgche non una sigla condivisa. Tuttavia in Germania le prime Wagon di grande serie arrivano con i Marchi legati ai Gruppi americani (Opel e Ford) e dunque il termine si diffonde prima che in altri paesi.
Curioso notare che le prime “mini wagon” nacquero dal Dopoguerra proprio in Germania, grazie alla diffusione della versione tedesca delle “Bubble Car”, anche se a livello di industrializzazione di serie la famosa “Bianchina Giardinetta” si può dire l’antesignana delle “miniWagon” popolari.
Un aneddoto invece che lega la genialità italiana ad una icona “multivolume” europea leggendaria: la “Volvo” in effetti si distingue per aver rappresentato una iconizzazione vera e propria delle Station Wagon in Europa, dentro una epopea in cui la Svezia si era ritagliata lungo un buon quindicennio un ruolo di protagonista “Premium” (all’epoca si chiamava “lusso” ed andava bene così) con Saab e Volvo: la prima fortemente ancorata alla formula della carrozzeria “Sedan” o tutt’al più “hatchback” dalla “99” in poi dopo aver iniziato la carriera automobilistica con i due Volumi (ad eccezione della “95” che in effetti era una sorta di Shooting Brake), mentre Volvo si era ritagliata un posto d’onore nel mondo auto con la – di nuovo – Shooting Brake “P1800”. Tuttavia dagli anni Settanta la serie “200” trovava la sua vera esplosione con il corpo vettura Wagon.
In realtà però la stessa Volvo limitava parecchio nelle presentazioni ufficiali ed istituzionali questo termine rivolto più ad una destinazione lavorativa dei modelli concorrenti, mentre il marchio svedese intendeva con la serie “200” ed ancora di più dalla Serie “700” proporre un concetto molto più signorile e prestigioso della sua versione familiare. L’occasione in verità non venne da Stoccolma, ma da Roma. Infatti la filiale italiana della Volvo, nel 1991, si trova a fare i conti con un crollo di ordini della storica ed ormai vecchia “200” che tra l’altro viene ormai diffusa in Europa praticamente solo in versione Wagon.
Il Marketing italiano, a questo punto, si inventa un colpo di genio: ordina dalla Svezia un contingente di “200” Turbodiesel full optional, particolarmente curate da vendere a professionisti e Flotte oltre che ai Clienti tradizionali.
Ma solo per l’Italia Volvo concede alla filiale del Belpaese di denominare questa serie limitata “Polar”, per consentire ai Dealer dello Stivale di rendere di nuovo appetibile la classica e vecchia Wagon promuovendola come una serie speciale appositamente pensata per il nostro mercato: pezzi forti di questa offerta destinata alla sola “200” Wagon sono ovviamente il prestigio del Marchio, la solidità e proverbiale comodità dell’auto, ed infine un ottimo rapporto dotazione / prezzo anche in virtù di una speciale campagna “Loyalty” che consente alla Volvo Italia di scontare in modo speciale il “nuovo” e di permutare con vantaggio pezzi usati che sono ancora richiestissimi sul mercato dell’epoca.
Il risultato, che si pensava potesse essere discreto, si rivelò invece un vero e proprio “Boom”: gli ordini si moltiplicarono e in tantissimi proprietari di altri Marchi consegnarono il loro usato per salire su una nuova Volvo “Polar” a condizioni irripetibili.
A quel punto anche la Casamadre svedese, attestando un successo di mercato fuori dalle più rosee aspettative, decise di celebrare il nostro colpo di genio concedendo a tutta la Gamma Wagon del mondo, per un certo periodo, l’estensione di questa sigla iconica che pochi anni dopo sarà superata da un’altra ancora più straordinaria. La Sigla “T5” Wagon associata ai trionfi dell’Euroturismo.

Station Wagon: Boom dagli anni Sessanta, crisi con le prime “Monovolume”
Le “wagon” si diffondono con una certa lentezza in Europa dagli anni Sessanta, nonostante i Costruttori moltiplichino le offerte di questo corpo vettura: il cliente popolare tuttavia si indirizza verso le più accessibili “giardinette” per la famiglia, che mano a mano diventeranno le “2 Volumi” utilitarie; mentre chi ha più disponibilità si lega al concetto di lusso tradizionale delle “Sedan” classiche affiancando l’uso e la proprietà dei “Van” ovvero furgonati per esigenza lavorativa.
Fatica ad esplodere come negli USA la moda delle Wagon per la famiglia, poiché a parte l’Inghilterra con le “Estate”, le “Familiari” italiane e le “Break” francesi si legano ad una visione operaia del loro uso.
Deve però esplodere la moda del turismo d’altura e dei grandi Tour nazionali ed in Europa per dare alla “Wagon” una dignita’“trendy”: siamo ancora negli anni Sessanta ed al famigerato “Bulli” la nuova cultura giovanile e popolare apre le porte a questo tipo di corpo vettura scelto per la sua capacità socializzatrice. Vere “icone” contrapposte si sfidano sul campo in diversi segmenti di mercato: Saab “95” che finisce persino sulle strade calde dei Rally mondiali, la “DS” Citroen che contrasta con la geometrica formalità di Fiat, Opel, Ford; mentre Peugeot solidarizza con operai e commercianti ai quali fornisce “Break” di vocazione lavorativa.
La mazzata del 1973 con la crisi energetica dà alla Wagon invece un ruolo salvifico: per il ceto medio fa coincidere nella disponibilità ristretta di molti la capacità di rappresentare ed unire il “furgoncino” da lavoro con l’utilitaria da passeggio; per le famiglie rappresenta un vero e proprio indice di risparmio nella accoppiata “Diesel + Wagon” che prende piede dalla crisi del Kippur; e per i professionisti ed i Manager aziendali la possibilità di viaggiare a Gasolio senza impoverire le casse dell’Impresa si sposa ad un nuovo lusso e prestigio: la “Familiare ammiraglia” con Clima, Radio, sedili in tessuto pregiato, barre portapacchi cromate e una comodità da prima classe.
Siamo alla seconda metà degli anni Settanta ed il mercato ha già proiettato le regine del futuro prossimo, con l’esplosione di “Wagon” in quasi tutti i Marchi Costruttori presenti in Occidente. Diciamo per dovere e affetto, in questa fase è il Gruppo Fiat a fare da vero e proprio Benchmark. Appare sul mercato europeo con una compilation di “tutto volume”: dalla minimal “500 Giardiniera” alla “127” e “128” Panorama che fondono le qualità di Shooting Brake a tre porte con la funzionalità delle furgonate. C’è poi “131 Panorama” che aggredisce il fronte di mercato più combattuto in Europa con una “Crossover” a metà tra Segmento “C” (Peugeot “304”/”305”; Citroen “GS”; Renault “18”) e Segmento “D” (Peugeot “504”/”505”, Volkswagen “Passat”, Ford “Granada”, Opel “Rekord”); ma nel resto del Gruppo c’è anche Lancia con la prima “CoupèWagon” di grande serie a tre porte che si contrappone alle uniche due alternative Wagon 2 porte e baule del tempo, cioè la “Ford Taunus” e la “Alfasud”.
In alto, quasi al vertice del Pedigree, il mercato europeo in quel fine anni Settanta propone ancora il Top di classe con la Gamma Mercedes W123, la Serie “200” di Volvo, la “CX Break”; e persino il Giappone invia le sue prime apripista con Subaru, Toyota e Nissan.
Boom anni Ottanta, Sublimazione anni Novanta e nuovo millennio è di MPV e Monovolume
Gli anni Ottanta sono e restano un vero palcoscenico di rango, ma non tanto per la varietà, l’assortimento od il livello di accessori ed allestimento (perché su quel versante credo che il massimo dell’industria europea si raggiunge nel decennio successivo) ma quanto per il peso dell’investimento industriale affrontato dai Costruttori europei: nonostante le cosiddette “Piattaforme comuni” siano ancora un bel sogno, la progressione del motore a Gasolio nelle preferenze dei consumatori e l’ideale appaiamento con le possibilità “Multiutility” delle Wagon portano quasi tutti i Costruttori a presentare versioni tuttovolume per le loro “Sedan” e persino per le Due Volumi.
Faccio prima ad elencare i Marchi che dentro la “CEE” sono temporaneamente estranei alla nuova moda delle Wagon negli anni Ottanta: sono solo Autobianchi, Innocenti, Saab, Seat e Jaguar nella fascia altissima. Tutti gli altri Marchi esplodono con un corredo di Wagon che segnano un’epoca. E indicando solo le realizzazioni che sono originate negli anni Ottanta, troviamo ben diciotto proposte:
Alfa Romeo con la serie “Sportwagon” sulla “33”, Audi (“100 Avant”), Austin (“Montego”), BMW (Serie “3” Touring”) Citroen (“BX”, “XM”), Fiat (“Regata”), Ford (“Escort”, “Sierra”), Lancia (“Thema”), Mercedes (“W124”), Opel (“Kadett”, “Rekord”), Renault (“21”), Volkswagen (“Polo”, “Passat”), Volvo (“740”, “760”). Eppure tutto questo sfoggio, rispetto al successivo decennio, non si avvale della estensione di piattaforme che dal 1990 – tanto per intenderci – permetterà ad ogni Costruttore di crescere nella propria Gamma condividendo con altri Marchi chassis e catene di montaggio (motivo per il quale con l’ingresso di Ford anche Mazda amplierà con 323 e 626 la sua offerta, Seat e Skoda faranno lo stesso grazie a Volkswagen e persino Innocenti vedrà con la “Elba” il rebranding della “Duna Wagon”); e dunque immaginate quanto sacrificio economico hanno affrontato i Costruttori nel decennio 1980. Mentre la proliferazione di pianali in comune per la maggior parte dei Costruttori negli anni Novanta anticipa un altro Boom del nuovo Millennio: quello delle Monovolume, che il più delle volte nascono su pianali rielaborati di allestimenti Wagon dentro i diversi Costruttori.
Eppure, anche se la condivisione dei pianali moltiplica i corpi vettura (due, due e mezzo, tre volumi, Wagon, Monovolume, Coupè) la versatilità “simbolica” delle Due volumi e delle Wagon segna un solco rispetto all’ormai marginale target dei Clienti affezionati alla configurazione “Sedan”; mentre le monovolumeed MPV esaltano i potenziali acquirenti nella altezza da terra della seduta e nella piena sfruttabilità del volume totale interno grazie ai sedili asportabili. Eppure il mercato non si ferma a questo: occorre una nuova “fusion” ed una nuova contestualizzazione “dimensionale” che prende corpo soprattutto dopo la prima decade del nuovo Millennio.
E siamo nei tempi davvero recenti, e da questo punto della storia la Vostra memoria è buona testimone del progressivo e inesorabile declino della presenza di Station Wagon, o meglio: della sublimazione del corpo vettura Wagon nella nuova corrente commerciale dei “SUV” e “Maxi Suv”, che in effetti nelle nuove versioni e proposte di Gamma presentano un dettaglio comune a tutte: il volume di coda e il vano di carico decisamente sovrabbondante con un taglio piuttosto verticale del portellone oppure, nelle dinamiche lineari dove la fiancata posteriore “risale” riducendo la luce dei cristalli posteriori, l’accenno diagonale del lunotto non riesce a contrastare la prominenza verticale e massiccia della coda. Tutto questo, ovviamente, è destinato ad evolvere nelle scelte del consumatore medio, ma le avvisaglie si vedono già ora: gli ultimi dati relativi alle vendite globali nel 2023 indicano che la loro domanda è aumentata, nonostante il continuo aumento dei volumi dei SUV; eppure in Europa e negli USA ritorna la forma volumetrica classica della “Station Wagon”, e la quota di mercato molto lentamente risale.
Sarà per una affezione dura a morire, sarà per la spersonalizzazione potenziale ed inesorabile del “monoprodotto” SUV; o forse molto più semplicemente perché la presunta rivoluzione BEV in Europa si mostra ancora lontana da venire; ed allora perché forzare con chassis rialzati e dimensionati per ricevere la dotazione di batterie idonee per le BEV ma sovrabbondanti per Ibride ed Endotermiche?
E, aggiungiamo, il fascino “retrò” di qualcosa di cui si è persa la vista per tanto tempo può tornare propizio per il ritorno di fiamma verso un format stilistico e volumetrico molto apprezzato per la maggior parte dei potenziali clienti europei.
Senza dimenticare che su quella forma di “Station Wagon” i Designer europei ed italiani in particolare hanno saputo realizzare dei veri e propri gioielli di stile inarrivabile dalla concorrenza asiatica. Insomma, un ritorno alla preferenza delle “Wagon all’europea” potrebbe anche essere segnato da quella eccellenza stilistica e formale che, in questo frangente di mercato, tornerebbe molto utile per “blindare” dalla concorrenza asiatica.
Riccardo Bellumori

