Audi C Sport Concept e Jaguar Type 00: Concept opposti che si attraggono in un Flop?

Un tempo, “ai miei tempi”, quando un Costruttore presentava una Concept – ovvero un Prototipo di Stile – ne definiva il layout formale per trasmettere e segnalare all’intero mondo i nuovi traguardi e messaggi che avrebbero contrassegnato la mission di quel particolare Marchio sul mercato del futuro in arrivo. 

 

L’obbiettivo ovviamente non era neppure velato: inaugurare i nuovi elementi potenzialmente vincenti presso il gradimento del pubblico al fine di segnare una linea di demarcazione dalla concorrenza e costringerla a rincorrere. 

Tutto questo rappresentava e trasmetteva – fondamentalmente – un nuovo concept di auto.

Ovviamente non sempre il Concept, così definito e presentato al mondo, avrebbe poi trovato uno sbocco produttivo; anzi molte volte restava una sorta di spot pubblicitario tridimensionale che tuttavia, nella sua dimensione onirica, segnalava alcuni indizi traccianti del possibile percorso futuro del Marchio

Poteva essere il taglio del frontale, la sagomatura di fanali e dello stesso logo; poteva essere il disegno dei volumi della carrozzeria, il profilo dei cristalli; poteva essere infine l’indizio di una nuova architettura motoristica che inaugurava nuovi protocolli; o persino un prototipo idealizzato per le competizioni. 

Ad onor del vero, tutto l’effetto dirompente delle “news” legate al lancio di un nuovo concept si è mantenuto intatto fino alla fine degli anni Novanta. 

Da un lato la centralità dello scoop in mano al monopolio mediatico di TV e stampa manteneva la necessaria condizione di sorpresa fino ad un attimo prima del lancio ufficiale del prototipo accompagnato dalla kermesse del lancio. 


Su questo Vi basti ricordare l’esempio iconico di Ottobre 1955, quando nelle strade di Parigi in modo improvviso e senza alcun preavviso fu mostrata in mezzo al traffico mattutino delle vie cittadine la Citroen “DS” che si stava recando a diventare la madrina del Salone di Parigi appena aperto in quello stesso giorno. Fu un effetto clamoroso, nel quale i passanti e gli automobilisti del tutto ignari e non influenzati da “soffiate” o foto spia di alcun genere rimasero rapiti da una vista che ritenevano frutto di un miraggio. 

Pensate oggi come si potrebbe svolgere un evento simile, tra immagini o video rubati, ricostruzioni in computergrafica, e persino forum e Social pronti a generare milioni di contenuti preventivi e del tutto aleatori su ogni possibile segreto industriale in arrivo…

Altro elemento che ha favorito il fenomeno delle “concept” è stato lungo un trentennio tra la metà degli anni Settanta fino al 2005 la concorrenza di quattro fattori traccianti: 

la fame di stile e Design alimentata dalle nuove tecniche industriali, dai nuovi materiali e dalle nuove filosofie aerodinamiche necessarie soprattutto in chiave di risparmio energetico;

l’esplosione delle firme di stile, in particolare italiane, che hanno esposto al mondo intero i mille modi di concepire bellezza in un’auto;

-la globalizzazione che ha mescolato stili e scuole industriali in ogni mercato nazionale e continentale.

Infine, è esploso il fenomeno del “branding” del “Family feeling” e della “Corporate Image” che hanno imposto ad ogni Gruppo e Costruttore l’esigenza di definire un paradigma formale e stilistico in grado di essere distintivo e qualificante sul mercato rispetto alla concorrenza.

 

Ma tutto quel che sopra ho elencato sarebbe stato disperso o vanificato senza il requisito dello “scoop”, cioè dell’effetto sorpresa che ha permesso fino all’avvento del Web di poter preservare segreto e meraviglia degli osservatori, dei commentatori, degli appassionati di un particolare Marchio o modello di auto.

 

Certo dunque che il sipario attualmente sempre aperto sul mondo e la condivisione diffusa di news e “si dice” anche nel settore Automotive ha portato ad un cambio di best practices e di protocollo anche in tema di presentazione di Concept, che sono sempre di più state legate progressivamente alla presenza di Brand e Gruppi nella dimensione Social e del Web Marketing.

Effetto più invasivo di tutto questo è stato il progressivo abbandono, in Occidente, del fenomeno dei Saloni dell’Autosempre più disertati dai Players di settore, contro il fiorire di occasioni e location di eventi decisamente eterogenei.

E poi, da una quindicina di anni, è esploso il fenomeno “Gran Turismo Vision” che ha dato il via ad un filone del quale, lo dico sinceramente, io non ho mai compreso la reale ragionevolezza o sensatezza anche in relazione agli investimenti e costi che si devono affrontare per definire una propria icona dentro l’ambiente di quello che definire “videogioco” di fronte ai cultori porta alla immediata scomunica. 

Sempre da una quindicina di anni l’evoluzione formale e pratica dei prototipi di auto future si è incrociata con il nuovo verbo dell’ecomobilità elettrica, con effetti che hanno modificato radicalmente la costruzione delle linee di una nuova concept car: le nuove piattaforme elettriche somigliano davvero tanto alle vecchie strutture telaistiche fatte con pianale a longheroni ed elementi trasversali sulle quali il carrozziere di turno andava a costruire una carrozzeria che fondamentalmente non aveva quasi alcuna funzione portante; 

ecco, le nuove strutture BEV sono concettualmente simili come articolazione della struttura solida, e con la possibilità di abbondare nelle materie plastiche come base costruttiva alternativa a metalli e leghe (necessari sulle piattaforme endotermiche per contrastare forze inerziali rotative, vibrazioni e calore di esercizio); e soprattutto potendo soprassedere sulla esigenza di “bucare” le superfici per far entrare e scorrere aria di alimentazione e raffreddamento, i Designer delle auto 100% elettriche possono facilmente spaziare con la fantasia e con la razionalità. 

Mentre, a mio avviso, nella nuova e cosiddetta “rivoluzione elettrica” mi pare che si sia abbondato soprattutto di razionalità e pauperismo e molto poco di fantasia.

Chiariamo subito un fatto: da appassionato di Design e persona che abita nel mezzo secolo della propria età io sono sostanzialmente un romantico dello stile automobilistico vissuto e conosciuto con l’ausilio di fogli di formato minimo A2 con carboncini, colori, gessetti e pastelli; per poi arrivare alle rappresentazioni in “Real Scale” ed ai millimetrici piani di forma per i modellisti.

Nessuna abiura della modernità e della tecnologia ma per me il Design parte dal foglio bianco e dalla mano libera con CAD e CAM a supporto della formalizzazione e della miglior rappresentazione industriale del prodotto finito e tridimensionale.

E soprattutto, nel mio immaginario, le Concept più iconiche ed eterne sono quelle che hanno saputo proiettare al futuro tutte le qualità vincenti intrinseche ed esteriori non solo di un modello ma di tutto il Marchio titolare del Concept in presentazione mondiale.E quando questo è avvenuto, non è stato solo per merito del Designer impegnato a concepire il prototipo ma di tutta l’organizzazione del Brand o del Gruppo titolare del prototipo stesso.

Eppure, nel giro di solo sei mesi circa sono uscite due Concept (da parte di due Marchi accumunati solo dall’appartenenza al settore Premium) che contemporaneamente sono riuscite in un improbabile record:

​-riescono a richiamare l’una verso l’altra elementi stilistici, funzionali e commerciali che accumunano i due prototipi oltre ogni ragionevole dubbio;

-mi sollevano le stesse progressive ed irrefrenabili perplessità sulla ragionevolezza (ormai) e sulla reale esigenza e vantaggio di presentare Concept – da parte dei Costruttori – senza il necessario corredo di mission e di valori che il Marchio intende perseguire con il nuovo profilo di linea produttiva anticipata dal Concept.

Prototipi elettrici e Concept: o si cambia paradigma o si fa brutta figura.

Partirei proprio da qui, per recensire dal mio punto di vista e secondo il mio personale gradimento due Concept che – per il prestigio dei Marchi che rappresentano e per le novità che portano con sé – rasentano a mio avviso il paradosso nel quale si è tuffato con tutte le scarpe il pensiero classico dell’Automotive scontrandosi con il nuovo paradigma Zero Emission. Perché le due concept a confronto – Jaguar Type 00 ed Audi C Sport Concept – pur appartenendo a Brand diversi (Jaguar ed Audi), pur rappresentando mission e simboli diversi (Type 00 vorrebbe fare da apripista ad una ridefinizione totale del Brand Jaguar, mentre C Sport Concept vuole al contrario consolidare – proiettandoli nel futuro – i valori ed i must tipici della Casa dei quattro anelli anche nella dimensione elettrica) in fondo sembrano uniti da almeno tre prerogative comuni e fondamentali: 

-entrambi i concept vogliono sommare sulla loro ricerca formale i simboli iconici caratteristici nel futuro non solo dei singoli modelli che deriveranno dai Concept ma dei rispettivi Marchi Jaguar ed Audi;

-entrambi i Concept vogliono presentare i rispettivi Marchi “uscendo” dal cono di luce riflessa che il target Premium ha fino ad oggi consegnato loro nel settore endotermico, e per costruire un nuovo linguaggio esteriore ed un nuovo livello di simboli e di iconografie più incline alla razionalità essenziale della tecnologia e del pensiero BEV, entrambi i concept lavorano di fino sul frontale, sulla riduzione all’osso di cromature e di elementi sportivi puri, e si propongono quasi come dei monoliti in cui la consecutività e la simbiosi tra linee e superfici di forma deve poter trasmettere il lusso della razionalità e la razionalità dentro al lusso. 

 

Ok, mi verrebbe da dire: lusso e razionalità. Ma per rappresentare o perseguire cosa? Cosa differenzierebbe nella rispettiva indole di coupè due porte più portellone di profilo “Sport Luxury” o “Sport Premium” le due Concept full Electric che si contrappongono a distanza di sei mesi l’una dall’altra? 

Merceologicamente nulla: sono entrambe Coupè sportive apparentemente “2+2” – una un poco più generosa dell’altra in dimensioni – che al limite potranno differire (una volta eventualmente prodotte in serie) per il carattere dinamico specifico dato da trazione (Due o quattro ruote motrici) e caratteristiche prestazionali. Ma entrambe mettono lusso e sportività nella loro struttura concettuale.

“Storicamente” la Jaguar Type 00 di Jerry McGovern (tutt’altro che uno sbarbatello, a 69 anni e diverse decadi a disposizione di Jaguar e Land Rover) riprende il cofano anteriore lungo, i fari stilizzati e le pinne posteriori laterali al finto lunotto della XJS, mentre la coda rifà vistosamente il verso alla “E-Type”.

Dal lato dei richiami storici la Audi C Concept di Massimo Frascella (a sua volta un maturo Designer di 54 anni) si rifà ad una ramificazione di elementi storici ed iconici dalle Auto Union esaltate nella netta demarcazione del copriradiatore verticale e non più quadrato; alla Audi “Rosemeyer” per il finto lunotto posteriore che richiama a sua volta la Jaguar Type 00 da cui Audi C Conceptriprende il taglio verticale del bordo posteriore del vetro laterale; per finire con la volumetria ed i relativi rapporti che rielaborano al futuro la Audi “TT”. E’ come se Frascella avesse ridisegnato tutto questo non su un foglio di carta piano ma “scatolato”. E’ tutto delimitato da tagli e spigoli, il lavoro del Designer.

Tutto questo elenco, chiaramente derivante da un pedigree storico endotermico, rivisto e corretto in salsa “BEV”. E qui cominciano le note dolenti che mi spingono ad articolare questo mio pezzo.

Jaguar Type 00: canone inverso di Audi C Concept, identico percorso alternativo”?

Abbiamo scritto su questo spazio, quasi un anno fa, che la campagna mediatica di JLR sullo stop alla produzione di auto endotermiche in tutto il 2025 per rilanciare una nuova Gamma BEV di prestigio nel 2026 è stata un colpo di genio: ha ridondato per due settimane e GRATIS, su tutti i media del mondo, una notizia in fondo marginale che è stata furbescamente travisata per preannuncio di un possibile default del Marchio Jaguar. 

Marchio che, nelle ultime serie statistiche commerciali, segna davvero un marcato crollo di vendite e preferenze rispetto alla cugina Land Rover, per motivi che forse non investono solo il permanere della linea endotermica. Ormai da anni chi compra Jaguar si trova di fronte ad un percorso a pipistrello in cui il Marchio di Sir Lyons ha vestito i panni prima delle Ammiraglie classiche ed impettite, poi delle sportive impertinenti ed ultimamente delle “SUV Crossover” ispirate al percorso di AstonMartin e Bentley, ma “in piccolissimo”. 

Il motivo è semplicemente nel fatto che invece che allargare il perimetro delle sinergie industriali per una nuova linea di berline, Ammiraglie e vetturette o Copuè sportive; per ridurre costi ed ammortamenti Jaguar ha finito per condividere con Land Rover esclusivamente le piattaforme dei SUV “medi”; e dopo anni di preannunci su eventuali superAmmiraglie Jaguar costruite sui corpi vettura di Range Rover Sport o addirittura su quello della ricchissima “Velar”. Solo veline di Agenzia, senza alcun costrutto. Jaguar è finita per proporre come sua Ammiraglia di pregio, in un segmento di mercato dove si è imposta e costruita una immagine, una quattro porte con motore 2 litri quattro cilindri. Punto. Questo è il perno della crisi di identità e di immagine del Marchio di Coventry.

Da questo a passare al tam tam mediatico che per due settimane ha fatto di Jaguar il Brand più dibattuto nelle cronache Automotive è stato un colpo di genio. Da questo, a non capire che quella finestra mediatica mondiale aperta sul Giaguaro avrebbe amplificato e travisato ogni minima dichiarazione o programmazione, è stato all’opposto un colpo da dilettanti.

Con la “Woke Revolution” ed il minimalismo New Age il management Jaguar si è tirato dietro il disappunto mondiale, senza che a tutt’oggi nessuno abbia davvero capito cosa cercassero ‘sti grandi e nuovi geni della comunicazione di TataJag. Mentre tuttavia, con la minaccia di buttare alle ortiche il patrimonio storico del Marchio, lo stesso Management si è assicurato il gentile disprezzo di milioni di veri appassionati nel mondo. 

Nulla è perduto, lentamente e con molto silenzio Jaguar cerca di far posare la nuvola di sabbia sul fondo, mentre proseguono i collaudi del muletto stradale della “Type 00” (e già c’è chi è pronto a giurare che dietro il camoufage della carrozzeria non ci sia solo la piattaforma elettrica della futura BEV ma anche i suoni chiari di un endotermico…); ma certo che tra Dicembre e Febbraio la crisi più nera è stata ad un passo dal seppellire definitivamente Jaguar. Che al momento, e per almeno un altro semestre, non è un Marchio industriale Auto ma ancora una categoria dello spirito. 

Soprattutto è rimasto solo idealizzato il rapporto tra “storie” e radici del Marchio: il restyling del Logo in chiave “smart” ha scandalizzato mezzo mondo per il rischio evidente di snaturare e proletarizzare quello che uno dei simboli mondiali storici del prestigio a quattro ruote.

Vero certamente che sotto la gestione Ford l’effetto “Commodity di lusso” è stato persino più devastante di quello avuto sotto l’egida British Leyland; ma se si è disposti a tollerare un eventuale affiancamento di una Gamma smart a quella di prestigio canonico, il superamento delle radici tradizionali di Jaguar verso un trasloco totale verso il mondo delle Commodities elettriche non è concettualmente ammissibile e rappresenterebbe una idiozia nei programmi industriali del prossimo futuro, soprattutto in chiave “Heritage” della gamma di auto storiche e di servizi connessi.

Dunque, anche qui l’effetto simmetria con la programmazione di Audi sembra fissare un iconico gemellaggio con Jaguar, perché anche Ingolstadt ha voluto inquadrare la nuova Joint Venture con i cinesi per la produzione in loco di BEV con un cambio di logo, di Branding e di targettizzazione; ma facendo questo non ha coinvolto il Marchio storico rimasto tale in Occidente, Sudamerica e resto del mondo: dunque perché anche Jaguar non dovrebbe percorrere un “doppio binario” mantenendo nei mercati classici il proprio Branding e promuovendo l’immagine “smart” in India, Cina ed Asia?

Come vedete, tuttavia, il corpo del dibattito e delle lamentele verso Jaguar lambisce appena il Concept “Type 00” mentre al contrario investe tutto il percorso potenziale di rivoluzione identitaria. Perché fin quando non sarà chiaro cosa vuole essere Jaguar da grande il concept Type 00 sarà una sorta di ibrido intangibile. Al di là della linea o del segmento di mercato.

Spiace solo pensare che dalla  morte di Ratan Tata il management del Marchio sia davvero allo sbaraglio, e che nessuno abbia pensato per il rilancio di Jaguar ad una sorta di commissariamento straordinario tramite un Pool di professionisti veri e collaudati in chiave di Marketing e di strategie di Branding. Quello che è davvero un fatto insperato, tuttavia, è che nessuno in casa Jaguar avrebbe mai pensato che una sponda verso “Type 00” potesse provenire da…..Audi C Concept. Vi spiego perché.

Audi C Concept, tra fratello “coltello “ di Jaguar Type 00 e segnali di fumo verso il futuro?

Cosa è Gruppo Volkswagen? E’ una dimensione globale Automotive dove coabitano quattro Marchi “Premium” di prestigio scalare (dal Top alla base Bentley, Audi, Volkswagen e Skoda), quattro Brand tra Sport  ed Hyper (anche qui, dal Top alla “base” – ma chiamarla così è ridicolo….. – Bugatti, Lamborghini, Porsche, Cupra), ed una firma di stile come Italdesign in fase di “spin off” dal Gruppo.

Cosa è Audi dentro Volkswagen? È la rapprentante del Target Premium Executive, più prestigiosa di Volkswagen, meno “commodity” di Skoda, meno spiccatamente sportiva di Cupra, con il preciso compito di rompere le scatole sul mercato del prestigio a mezza Mercedes e tre quarti di BMW, oltre a fare da inutile benchmark per Honda, DS, Genesis Hyundai, Lexus. 

Dentro questo faldone metaforico della sua mente l’ottimo Designer Massimo Frascella, Chief Creative Officer di Audi, deve aver messo ordine nella concezione della “C Concept”. Frascella èstato chiamato a ridefinire la filosofia del design realizzando un concept che fosse letteralmente “il veicolo” di quella nuova filosofia che in Azienda chiamano Radical Next.

Concept C, è dunque la apripista, una Coupè roadster elettrica nata quasi venti anni dopo Tesla Roadster: un concetto foriero di diversi altri nuovi modelli derivati, presentata al Portrait di Milanonel distretto del Design e del Fashion dove abbiamo già recensito GAC e dove anche altri Marchi e Gruppi asiatici ed indiani stanno buttando un occhio. 

E buttando un occhio sulla C Concept il sottoscritto non ha trovato clamorosa la “linearità” monolitica o la frugalità essenziale delle linee dove – come in un mantra ormai ripetuto in tutte le salse – nulla è superfluo e tutto il necessario diventa elemento distintivo.

Trovatemi una concept di Design (da quando è stata resa nota la storiella di Giorgetto Giugiaro che quasi mezzo secolo tolse la sua firma su un progetto per un Marchio giapponese colpevole di aver aggiunto un inutile modanatura laterale sul disegno originale) dove sia celebrato il superfluo. 

Altro refrain sembrerebbe essere il recupero delle radici storiche; ma qui, se posso, invece che portare altre sette pagine di testo per spiegare come anche questo concetto sia abusato, punto diretto al curioso gemellaggio semantico che unisce a mio avviso la “Type00” alla C Concept di Frascella; che, curiosamente, pur essendo una “new entry” nella popolarità di Audi non è stato quasi mai raccontato, nelle ore successive alla presentazione della C Concept, come proveniente, curioso destino, proprio dalla Land Rover di quel Gruppo JLR da cui ha preso le mosse la Type 00.

Un anno fa ANSA pubblicò la notizia secondo cui Massimo Frascella aveva lasciato JLR, e secondo Jerry McGovern con cui l’italiano lavorava spalla a spalla Frascella lo aveva fatto per perseguire nuove opportunita. 

L’arrivo di Frascella in Land Rover nel 2011 era avvenuto in piena era di Ratan Tata, e dopo otto anni l’italiano era prima Head of Design Land Rover e poi di tutti i Brand inclusa Jaguar. 

Curiosamente Frascella, che è stato un profeta del linguaggio “minimal” in JLR e dal cui punto di osservazione e creazione deriva quella “Velar” che in fondo è l’ultimo sogno di Ratan Tata prima della sua lunga malattia, ha lasciato il Gruppo indobritannico poche settimane prima della morte dell’unico vero Guru in casa Tata. 

Quella essenzialità  – tuttavia – che a parte l’inutile e fin troppo scontata venerazione mediatica dei soliti quattro giornalisti di settore, dei cosiddetti Opinion makers e dei commentatori tenuti sempre in frigo perché ogni tanto fa comodo registrarne i pareri, sconta una serie non indifferente di critiche mosse su Social e Web verso quella C Concept di Frascella. Secondo me.

Commenti negativi a cui mi associo in pieno : se non vi fosse la leccata di fondoschiena costante della ormai fossile e ridicola Stampa amica (del resto, chi se le scorda le migliaia di chilometri su comode berline Demo per la Stampa ai bei tempi, cari giornalisti??) e se i cronisti di settore fossero scelti sulla competenza storica che non hanno più e sul buon gusto che non hanno mai avuto, forse la somma dei commenti a carico del pur ottimo Frascella sarebbe giustamente negativa. 

 

Perché la C Concept non è una Concept filosofica, è al massimo una “Icon Car” fatta velocemente ottima per le pubblicità, per le rassegne mediatiche, per fare audience un poco come la “Aztec” Italdesign del 1988. 

E non mi pare così originale come si scrive nella Stampa e nei Social amici degli Anelli.

L’elenco di particolari, angoli, giochi di luci ed ombre, sagomature e volumetrie che costituiscono la “C Concept” formano nella mia visione un bel  mix di “Deja Vu’” minimalista. 

Ma non saprei quanto tecnologico, perché al di là dell’involucro di Design la C Concept non sembra una promoter ma bensì una ennesima schiava della tecnologia elettrica. 

 

E lo dimostra con i classici e ormai futili ruotoni lunari, con i parafanghi bombati non si capisce a quale fine, lo dimostra infine con quella ridicola palpebra di plexiglass trasparente ad impermeabilizzare la griglia copriradiatore centrale sotto la quale ti aspetti di leggere in minuscolo “Non esporre all’aria aperta. Don’t open Here”.

Curioso anche in questo il frontale a bocca di pesce martello con quelle enormi ferotorie davanti ai parafanghi anteriori. Anche qui una bella domanda: dove deve andare tutta quell’aria in ingresso?????

Dentro quella “C Concept” c’è davvero troppo, per poter dire di non averlo già visto da qualche parte. Ed al di là dei gusti (a me pare bruttissima, ma de gustibus appunto) posso dire che riconosco a Mc Govern di aver avuto il coraggio di osare di più. Curioso, che proprio la C Concept a mio avviso sia un fenomeno di richiamo e di esaltazione proprio per la Jaguar Type 00. 

Perché potrebbe, dopo mesi di ludibrio al quale la concept britannica è stata esposta, sollevare quel buon senso con cui poter riflettere:

1) Se Audi ha cambiato filosofia ed immagine di Brand in Estremo Oriente, perché non dovrebbe poterlo fare anche Jaguar?

2) Se C Concept è così contigua con Type 00 e se la C Concept è venerata, perché per principio aristotelico non dovrebbe accadere prima o poi lo stesso con Type 00?

3) Se Type 00 e C Concept, alla fine, non fossero altro che una ennesima ed univoca celebrazione del pensiero unico elettrico vestito solo da mani diverse, a cosa servirebbero ormai più le cosiddette Concept di cara vecchia memoria? 

 

Ai posteri l’ardua sentenza: se Type 00 crescerà nei gradimenti, se tra un po’ di tempo C Concept mostrerà la naturale obsolescenza che temo mostrerà, e se Jaguar metterà una pezza alla degenerazione mediatica e simbolica della campagna di immagine di fine 2024 (visto che al momento anche Audi in casa tedesca non sta passando un momento industriale d’oro….) allora avrò avuto ragione.

E se no, al contrario dei giornalisti a tifo comandato verso i Quattro Anelli, mi assumerò la mia dose di imbarazzo per aver previsto il contrario di quel che è accaduto.

Così è se Vi pare. Ma nel frattempo….Cara Audi…..Aridacce la “Avus”…

Riccardo Bellumori

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