La storia di Triumph tra luci e ombre

Sto riepilogando e descrivendo la storia di una Regina, immersa nei vari e periodici “casini” di cui tuttavia si rende protagonista incolpevole la “Triumph”, dentro un periodo ed un sistema industriale che ha fatto diverse decine di altre vittime illustri.

Con tutto questo, però, la storia di Triumph (così come quella di “MG” e di altri Marchi prestigiosi che il passato ha tolto dal mercato reale) non è mai realmente tramontata, sebbene per come leggerete il suo epilogo di sofferenza sia cominciato molto tempo prima della sua chiusura. A segnare il destino della Triumph in senso letale è purtroppo colui che a medio termine salverà l’automotive britannico:

Sir Michael Edwardes che dentro “British Leyland” delinea il piano che porterà a termine: riduzione del Consiglio di Amministrazione, taglio complessivo di 180 dirigenti su 300, dimezzamento della forza lavoro e purtroppo la chiusura di diversi Stabilimenti che si trovano in rosso spaventoso a spese del bilancio pubblico. La più colpita inizialmente è proprio la Triumph.

 

Dentro la Leyland Edwardes “scatena” la sua squadra di fedelissimi tra i quali spicca, caso unico in Gran Bretagna, lo specialista psicologo Eric Jones: colui che, facendo “pelo e contropelo” ai manager che Edwardes incontra nei suoi nuovi incarichi, riesce regolarmente a tagliarli via o ad agevolarne dimissioni volontarie. 

E da metà Dicembre 1977, alla sua prima Conferenza Stampa Edwardes ha appena dichiarato guerra aperta ai sindacati con la prima occasione di linea dura a Febbraio 1978 – solo quattro mesi dopo la sua nomina – quando va diretto a Speke (Liverpool, dove si scioperava ad oltranza in modo ininterrotto da settimane) e dice chiaramente ai delegati : ” Aiutateci a risanare e torneremo a lavorare; continuate, e perderete l’intera Fabbrica“; e nonostante parliamo di due grandi Impianti della British Leylandnel Mersey (costruiti tra il 1961 ed il 1969,quindi recentissimi), ad Halewood – Woodened Avenue e Speke Hall Road, contro un Sindacato che non vuole mediare Edwardes fa chiudere lo Stabilimento: purtroppo questa mossa politicamente necessaria e vincente, lo vedremo, porta con sé due vittime, MG e Triumph, che vedono tagliate le linee produttive e riposizionata tutta la loro risorsa lavorativa e professionale negli altri Impianti del Gruppo. Vi basti sapere che la Triumph dal 1977 diventa – insieme alla MG – un semplice comparto della neonata Divisione “Jaguar / Rover / Triumph / MG”.

Edwardes è appena all’inizio della guerra contro i Sindacati, ed in termini tecnici e giuridici ha ragione: lo Stabilimento di Longbridge, il più importante della Gran Bretagna, e’ da anni una vera e propria città-Stato dell’ideologia più Comunista dell’Isola; qui viene distribuito solo il giornale politico Comunista “DailyWorker” poi divenuto “Morning Star“.

A Longbridge lo storico capo sindacale Dick Etheridge aveva passato il testimone ereditario a Derek Robinson o meglio, per tutti, “Red Robbo “, il fomentatore di ben 523 scioperi in tre anni, di sit-in e di ammutinamenti in fabbrica, ed il sindacalista più potente e temuto degli anni ’70: praticamente per colpa di Robinson le Fabbriche del Gruppo British Leyland da bn tre anni prima erano attive solo per 10 giorni al mese, e la cosa era ormai insostenibile.

Edwardes taglia le gambe a Triumph. Ma la colpa è dei Sindacati

“Purtroppo” per la Triumph (condannata in ogni caso dalla scellerata condotta Sindacale) il nuovo Boss Edwardes stravince contro Robinson: pur nelle avvisaglie del “Winter of Discontent” nel 1978 ha già recuperato le oltre 250.000 macchine perse l’anno prima per colpa degli scioperi. Risultato: Robinson viene cacciato via da Longbridge nel 1979: 14.000 lavoratori sono a favore dell’iniziativa, solo 600 votano contro. Missione compiuta, si ritorna a produrre. 

Ma in questo senso Michael Edwardes comincia a puntare i piedi sulle strategie industriali e commerciali sulla base della sua personale visione di mercato, e qui cominciano luci ed ombre del suo percorso di risanamento.

Perché Edwardes è uomo tipicamente da “Break Even Point” :tutto quello che si può produrre è soltanto quello che in un rangedefinito di tempi e volumi riesce a remunerare il suo ciclo produttivo; al di fuori di questo sarebbe stato meglio per Michael – tuttavia – avviare una tavola rotonda con il settore del Motorsport e dell’artigianato meccanico di pregio.

Per cui, è vero, in 5 anni di presidenza di “BL” Edwardes ottiene la nomina della “Rover SD1” come “Auto dell’Anno 1977”, oltre al rilancio e la valorizzazione di Jaguar, alla nuova “Austin Metro“, ai programmi per nuove vetture ed una nuova immagine dell’Automotive britannico contro la concorrenza; consegue inoltre un progetto di collaborazione con il colosso giapponese Honda per una linea di nuovi modelli in Joint ventures; ed ottenendo dal Governo i fondi necessari all’innovazione dell’Impianto di Longbridge (che i Sindacati mai erano riusciti ad ottenere), si guadagna il titolo di salvatore del sistema auto.

Durante la presidenza Edwardes – però – la Gran Bretagna dell’auto “Industriale” perde il treno delle competizioni internazionali che per contro cominciano ad indirizzare il mercato con le protagoniste dei Rallyes, dell’Europeo Turismo, delle Gare di velocità su strada: è anche con i Rallyes ed il Turismo che marchi generalisti come Fiat, Opel, Renault, Citroen e Peugeot Talbot salgono i primi gradini della notorietà globale soprattutto grazie ai Media. Così’ anche l’Union Jack va nel congelatore per quasi un lustro prima che ad opera di pochi appassionati come Tom Walkinshaw si possano rivedere Marchi “British” sul tetto del mondo.

Di questo atteggiamento pagano le spese peggiori proprio MG e Triumph, anche di fronte alla sperimentazione di nuove frontiere produttive del tutto strampalate e sempre frutto della genialità impropria di Edwardes: Vi basta ricordare la “pacchianata” della “MGB Aston” del 1979, tentativo per unire le due realtà imprenditoriali Aston Martin ed MG nell’Impianto di Abington; oppure dell’incontro tra Edwardes e John De Lorean che si propose per rivitalizzare e far ripartire la Triumph nel famoso Impianto di Dunmurry in Irlanda: sappiamo molto bene purtroppo che piega presero poi le cose in questo ambito.

Ma come si chiudono “i giochi” per la povera Triumph? Con l’arrivo del Governo Thatcher: Ottobre 1979, la “Lady di Ferro” non vuole saperne di spendere ancora soldi pubblici, ed allora il Chief Executive di British Leyland Ray Horrocks apre una pista in Giappone con la Honda (che iniziò ad esportare veicoli in Gran Bretagna subito dopo l’apertura del suo ufficio vendite a Chiswick a Londra nel 1965) alla quale si offre la possibilità di produrre auto in territorio europeo dove negli anni ’70 la stessa Japan Automobile Manufacturers Association (JAMA) aveva dovuto attivare una serie di “Voluntary RestraintArrangements” (VRA) alle importazioni di autoveicoli giapponesi nel Regno Unito.

Il Primo incontro negli USA ad Ottobre 1978 nella sede Honda al 100 West Alondra, in Gardena con la Triumph (che aveva una propria storica rappresentanza commerciale in Bush Street a San Francisco); ed il 26 Dicembre 1979 al Centro Direzionale “HayoamaBuilding” di Minato (Tokyo) il Presidente Honda Kawashima e Michael Edwardes e firmano un accordo rivoluzionario, prospetticamente di 15 anni per la condivisione di tecnologia e sviluppo congiunto della prima auto giapponese prodotta su suolo comunitario (l’Alfa “A.R.N.A.” arriverà due anni dopo).

Il 26 Dicembre del 1979, al Centro Direzionale “HayoamaBuilding” di Minato (Tokyo), il Presidente Honda Kawashima e Michael Edwardes di Britsh Leyland firmano un accordo rivoluzionario di 15 anni per la condivisione di tecnologia e sviluppo congiunto della prima auto giapponese prodotta su suolo comunitario (l’Alfa “A.R.N.A.” arriverà due anni dopo): sta nascendo il progetto di catena di montaggio in Inghilterra superando il vecchio schema del “Knocked Down” attraverso il quale in Europa le auto giapponesi potevano al limite arrivare in Kit assemblati in terra europea. La mossa è politicamente geniale ma commercialmente spuntata, visto che Mike Carver, capo della “Business Strategy” della BL, deve rassegnarsi purtroppo a “subire” la “Honda Ballade” come modello sul quale realizzare l’accordo: questa in effetti era una berlina poco azzeccata per il Vecchio Continente;

tuttavia era l’unica in Gamma Honda che i giapponesi avrebbero lasciato distribuire in tutta Europa ai britannici, ed avrebbe aperto ad una prospettiva di ulteriori sviluppi futuri, oltre che essere nel momento contingente del 1979 già una piccola manna dal cielo: permette infatti alla British Leyland di rianimare gli impianti di Cowley e Gaydon (Ex RAF, appena riconvertito con Pista di Prova, Galleria del vento e Centro sviluppo Progetti) con una produzione su licenza (rimarchiata Triumph Acclaim) a soli 100 USD di Royalty per auto prodotta.

Le note positive sono solo per i Bilanci, come detto: la base “Ballade” non è destinata a diventare una best seller europea (men che meno nel DNA della Triumph) e purtroppo l’azione di Edwardes è una mannaia per la storia e l’eccellenza industriale del Regno Unito; chiudono 19 Impianti su 55, tra i quali Abingdon e Canley (MG), Solihul ed appunto Speke (Triumph), mentre rimangono Cowley, Browns Lane e Coventry. A fare le spese delle “lacrime e sangue” sono in primis “Vanden Plas” ed “MG” che da produttori diventano o ritornano semplici “Griffe” di personalizzazione di modelli speciali mentre già Riley, Wolseley, Alvis, e praticamente la Morris erano finite di esistere; ma la vittima sacrificale di Edwardes (e credo di poter dire che poteva essere evitato) è la Triumph, perchè la “Acclaim” sarà sia una delle poche “Triumph” a quattro porte della storia, che anche l’ultima Triumph a quattro ruote.

Ironia della sorte, per mano della “Acclaim” (oggettivamente una delle “Triumph” più affidabili e qualitative della storia di questo Costruttore) sta per morire uno dei Marchi più gloriosi in Gran Bretagna, la Triumph: la divisione moto era stata affiancata dalla produzione auto dal 1923 (un secolo pieno solo un anno fa…) con l’acquisizione delle linee della Dawson Car, e da qui parte una generazione di auto leggendarie, ma anche un carosello di problematiche finanziarie e di crisi periodiche.

Su tutto però la “Triumph” significa il segno lasciato sul territorio e sulla gente che ha incrociato la sua storia: HolbrookLane, Speke, Canley, Coventry, sono solo alcune delle località che il passaggio industriale e culturale di Triumph ha trasformato profondamente; e persino Coventry ha scritto la sua toponomastica insieme al Marchio: Spitfire Close vicino alla Stazione ferroviaria di Canley; Herald Avenue vicino al Centro Congressi “Standard Triumph”; Dolomite Avenue vicino alla Riserva naturale ed al “Cycle Speedway”; ed infine Toledo Close con il vicino Village Hotel.

Della Triumph rimangono le carriere prettamente agonistiche delle più “orecchiabili” tra le vetture prodotte da questo Marchio: perché il suo pedigree agonistico è stato da subito di rango, e dunque viene più facile rievocare le più conosciute in Gamma: TR4, TR5, TR6 e “Dolomite Sprint”. Fino ad arrivare alla “TR7 rimasta per diverso tempo quasi unica esponente inglese nel Motorspost internazionale (Rally e Pista) tra fine anni ’70 ed inizio ’80.

La Triumph TR7 (acronimo di Triumph Roadster 7) è l’ultima Triumph in tutti i sensi: l’ultima prodotta prima del “declassamento” del Marchio a semplice Divisione speciale della British Leyland; l’ultima “Homemade” prima dell’avvio della “Acclaim”; l’ultima sportiva del Marchio e l’ultima a rappresentarlo nel Motorsport. Insomma, per la piccola berlinetta nata nel 1975 e tramontata nel 1981 si tratta di una bella eredità.

Passata dalle linee produttive di Liverpool a quelle di Coventry e Solihull per la fine serie, debutta prima negli USA (dove è vendutissima) e poi in Europa dove tra l’altro deve sostituire contemporaneamente MGB e Triumph TR6.

Disegnata da Harris Mann taglia decisamente i ponti con linee ed allestimenti tradizionali del Marchio, ma non con la meccanica ereditata dalla Dolomite compresi (!!!!!!) i tamburi posteriori…Per gli USA fu allestita una variante con l’8 Cilindri 3,5 lt. della “SD1”; le due motorizzazioni furono omologate per il Gruppo 4 nei Rallyes dove appunto scesero in campo la “TR7 2.0” e poi la “TR7 V8”.

Certo, sarebbe da chiedere al geniale Edwardes come mai la economicissima e pratica “Acclaim” è stata prodotta in solo 250.000 esemplari in due anni e mezzo (contro una previsione di almeno il doppio) mentre la cara, costosa, difficile “TR7” è stata comunque prodotta in oltre 150.000 pezzi in cinque anni. Per la cronaca la Roadster costava in versione “base” 2.0 quasi due volte la Acclaim; e per di più la sua vita ha dovuto scontare il braccio di ferro Edwardes / Sindacati con la chiusura di Speke a Maggio del 1978.

Segno appunto della scarsa visione del manager sudafricano su un mercato che – forse – avrebbe regalato alla Triumph più di una soddisfazione. Invece quaranta anni fa, nel 1983, si chiude l’ultimo anno “intero” di vita e produzione per il Marchio che British Leyland, insieme alla Morris, chiude per sempre nel 1984. La Honda diventa il Partner tecnologico prevalente del successivo apparato Austin Rover dove la sola MG figura ancora come semplice “Griffe” sportiva anche nella operazione “MG Metro” Gruppo B che manda in pensione le “TR7” Gruppo 4.

Dalla fine degli anni ’80, con l’effervescenza del mercato “Premium” ed il previsto allargamento ad Est, si rincorrono le proposte di rinascita e rilancio di questo Marchio: tra le diverse idee ne ricordo alcune passate in sordina come quella di una cordata anglo americana interessata ad allestire delle piccole GT con motore Cosworth, o dell’interesse del nostro Carlo Talamo che impegnato nella nuova avventura delle Triumph a due ruote aveva valutato anche l’impegno sulle quattro ruote. Ma nulla di fatto, ed i diritti sul Marchio acquisito dalla BMW sono “dormienti” dal 1994, segno che prima o poi qualcosa si potrà muovere come nel caso della MG, ma di certo senza più la nota di fascino che quelle vecchie Triumph TR5, TR6, TR7 e Dolomite Sprint oltre alla piccola Spitfire sapevano evocare; come si è perso il sentimento tipicamente “old England” dell’idolo locale Tony Pond che sposa la causa della “TR7” portandola fino all’estremo e che sulla piccola Roadster è stato affiancato da nomi illustri come Eklund, Therier, Simo Lampinen. Quarti di nobiltà ormai scomparsi.

 

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