John Le Carrè, se solo avesse avuto il tempo vitale, mi avrebbe fregato sul tempo, lavorando sopra il tema con uno dei suoi celebri romanzi.
Per quanto mi riguarda io ho invece appena fregato a tutti gli sceneggiatori e scrittori di rango, in tema di “Gialli/Noir” una trama di sicuro interesse e successo.
Sto raccontando in esclusiva per Voi amici di Autoprovecome è stata uccisa l’auto europea, e chi è stato il colpevole.
“Chiedi un autografo all’assassino”, dice Samuele Bersani in una sua canzone, mentre in un’altra recita “son disponibile e ottimista, europeista”. Bene, io Vi ci porto a casa dell’assassino, da perfetto europeista.
Il sicario è a Bruxelles e dal 1992 ad oggi si è reso protagonista di una serie di delitti efferati:
– ha ucciso la biodiversità industriale tipica del comparto auto europeo senza tutelare, come un vero e proprio prodotto o settore “DOC” la sopravvivenza e la crescita;
-ha ucciso il patrimonio simbolico dello stile europeo lasciando che Carrozzieri e Designer sconparissero come nuvole di fumo;
-ha ucciso Know How e produzione intellettuale azzerando sia il prestigio della formazione accademica europea sia la produzione di Brevetti ed R&D del Vecchio Continente;
-ha ucciso la stessa dinamica di rapporto personalizzato tra Dealer e potenziale Cliente soffocandola sotto il processo predefinito e standardizzato di vendita mediante sistemi finanziari strutturati;
-e, cosa ancora più colpevole, ha favorito lo sviluppo costitutivo di quella che oggi è la Nazione che vuole combattere: la Cina dell’Auto.
Bene, l’Europa è lo scenario romanzesco da cui parte questo nostro giallo. L’Europa di fine anni Ottanta. La dimensione semplicemente vincente dell’Automotive mondiale mentre la Cina era lontana con circa sei milioni di auto prodotte all’anno (e su licenza) il Vecchio Continente si era ritagliato un ruolo predominante a livello di pedigree sulla claudicante America ed aveva persino allungato le sue ramificazioni nel mondo in piena esplosione automobilistica: Nord Africa, Sud America, Asia.
C’era solo un problema all’orizzonte; il Giappone aveva colonizzato il mondo sul versante motociclistico e dopo aver asfaltato marchi europei e statunitensi nel mercato delle piccole auto oltreoceano, costituiva una minaccia seria per i confini commerciali del Vecchio Continente in vista degli Anni Novanta, non solo per il mercato comunitario ma anche nello sbocco temuto nei due nuovi mondi che si cominciavano ad aprire: Cina e Cortina di Ferro.
Estate 1989 quel miraggio dell’altro mondo
Probabilmente ai piani alti del Ponte di comando del Vecchio Continente i “Santoni” del mondo Automotive insieme ai riferimenti istituzionali della ancora “CEE” passavano in rassegna tutte le Agenzie Stampa provenienti da Piazza Tienan men da Giugno a Settembre del 1989 per poi dirottare il focus su Berlino e sull’ormai prossimo abbattimento del Muro.
Le domande che i CEO e i Capitani di Industria del mondo Auto europeo sottoponevano ai Responsabili Marketing, agli analisti ed ai Direttori Tecnici era fondamentalmente una: “Quale strategia per invadere i mercati di Cina ed ex???”
L’Occidente aveva appena aperto una nuova ala nell’Hangar dell’Auto mondiale, ed i nuovi mercati dell’Est e dell’Estremo Oriente erano da un lato una incognita e dall’altro una opportunità di espansione. L’Occidente monocentrico, tuttavia, che si era abituato a dominare nella parte di mondo che contava si era allo stesso modo abituato a parlarsi addosso, cercando in prima istanza di declinare verso i nuovi mercati le risposte commerciali necessarie e plausibili secondo un approccio “Top/Down” in base al quale era l’Occidente stesso a ritenere cosa fosse utile ed opportuno per “svezzare” mercati dove la domanda di auto poteva in teoria diventare esponenziale.
Il primo errore è stato proprio europeo: avvezzi a considerarci l’Eden motoristico mondiale, avevamo di primo impatto configurato Cina ed ex URSS come laboratorio creativo di un vecchio “populismo” motoristico ricopiato dallo schema costruito per motorizzare l’Europa post bellica.
Per questo ha toppato persino il divino Studio Porsche nel 1993 aderendo ad un bando promosso dal Governo cinese nel quale si proponeva a una ventina di Costruttori occidentali di definire una concept per il mercato popolare. Bando poi ritirato, ma nelle linee della C88 si trova un pauperismo talmente eccessivo da regalarci qualche dubbio, sulla reale capacità di allora in casa Porsche ed altri di aver compreso efficacemente la genesi del mercato cinese ed i suoi sviluppi. Avremmo capito troppo tardi che la Cina, a differenza di ex URSS e SudAmerica, non aveva alcuna intenzione di fare da incubatore per licenze produttive altrui: non era forse cinese il detto popolare “Offri un pesce ad un uomo tutti i giorni e lo avrai sfamato; insegnagli a pescare e sarà capace di sfamarsi da solo”. Bene, Pechino non aveva alcuna intenzione, a differenza di Governi compiacenti in Africa Centrale, in Sudamerica, o nell’ex blocco Socialista, di risolvere la mobilità di massa a breve termine con produzioni su licenza occidentali o con l’import massiccio di usato.
Il mercato auto cinese sarebbe diventato di massa solo e soprattutto con le risorse e l’affermazione dei Marchi auto nazionali.
Mercato cui in prospettiva volle rivolgersi anche la General Motors con la “EV1” anche se lo stesso modello 100% elettrico nasceva dalla nuova filosofia “Grunge” della società intellettuale e artistica statunitense influenzata dalla famosa Conferenza “Eco92” di Rio sul Clima.
Senza contare la toppa premeditata di tantissimi Dealers, Costruttori e Distributori europei che vedevano nell’ex Blocco socialista un deposito a cielo aperto per milioni di auto usate in uscita dai confini continentali.
Motivo per il quale sembrò la perfetta quadratura del cerchio amplificare la finanziarizzazione dell’acquisto di auto in Europa proprio per accelerare il ciclo di sostituzione tra nuovo acquisito ad Ovest ed Usato spedito ad Est. Questo sicuramente durante il breve termine.
Aumentare il ciclo del nuovo in Occidente per aumentare l’export di Usato nei nuovi mondi?
Non a caso la Ford in tutta fretta e con grande genio importa dagli USA in Gran Bretagna ed Italia (per prime) il sistema ideato da Eustace Wolfington, sistema che avrebbe nelle attese permesso una perfetta “Partita Doppia” commerciale; aumentare le vendite di nuovo in Europa e programmare la rivendita e l’export di Usato nell’ex URSS ed in Europa dell’Est.
Siamo ancora ad un passo dalle tempeste finanziarie che colpiscono dal 1992 SME, Italia e Gran Bretagna (mentre la Svezia motoristica si era indebolita già dalla fine degli anni Ottanta) ma soprattutto la Germania unita si dimostra commercialmente parlando un formidabile “tappo” nelle relazioni commerciali tra Costruttori europei e mercato dell’Est Europa.
La stessa Germania unita che con un Marco fortissimo comincia a fare shopping di Brand europei da metà anni Novanta. Nasce l’Unione Europea di Maastricht, nel segno della ricerca di un format unitario dell’industria auto Continentale.
Format da esportare in Cina ed ex URSS per contrapporsi al modello di auto simbolicamente americana da una parte e al modello di industria simbolicamente giapponese dall’altro. Il format viene da sé, perché Bruxelles decide surrettiziamente di “cedere” alla forza del Condòmino europeo con più millesimi nella nuova palazzina UE. Il simbolo europeo per eccellenza dell’auto da metà anni Novanta è il modello tedesco sia fuori che dentro l’Europa. Bruxelles inizia a diventare il Maggiordomo Automotive della Germania.
Fuori dell’Europa ci dovevano invece pensare il “branding” tedesco e la forza finanziaria del Marco ad aprire le strade dei mercati internazionali. Ma è stato davvero così?
Dentro l’Europa serve poi qualcosa di più, perché con un mercato interno dove Italia e Gran Bretagna risultano fiaccate da crisi politiche e da speculazioni esterne e la Francia sembra in qualche modo lanciare occhiate interessate al SudAmerica ed al NordAfrica senza voler incombere in Europa, il solo modello sovrano tedesco potrebbe non bastare per frenare la vera insidia nell’Unione senza più barriere doganali.
Gli Step antiemissione come arma contro la concorrenza estera. Un vecchio film americano
E’ il Giappone che fin da quell’accordo Honda/ BritishLeyland del 1979 viene visto come vero invasore potenziale del feudo europeo e che con la moltiplicazione di Sedi europee in Gran Bretagna può serenamente svicolare in mezzo a dazi e contingentamenti.
Per contrastare l’ingresso dei giapponesi bravissimi e forse superiori nel motore a benzina sia a due che a quattro tempi occorre che l’Europa adotti un motore inattaccabile nel breve dal Sol Levante.
Et voilà ecco il Turbodiesel che ad inizio anni Novanta in Giappone è ancora un’isola inesplorata.
L’auto europea “Unitaria” anni Novanta diventa così simboleggiata dall’auto tedesca, Premium e turbo diesel. Ma non basta.
Per carità, non fraintendete; la presunta supremazia tedesca in campo Automotive è una bufala, semplicemente la Germania ha fatto tesoro tra gli anni 70 ed 80 della dura lezione post bellica ed ha tenuto a bada l’onda terroristica che ha colpito più duramente in quel periodo l’Europa mediterranea; mentre dal lato sindacale e del supporto pubblico va dato atto al Governo Federale di aver saputo sostenere l’industria tedesca come Dio comanda, al contrario della nazionalizzazione folle dell’industria inglese e del sistema “Fiat centrico” che il Governo italiano sosteneva e perseguiva.
Morale: la Germania ha tradotto su di sé la piattaforma di rinascita e sviluppo nata in Giappone: la gloria nazionale AT FIRST, e poi solo dopo la concorrenza magari feroce tra marchi nazionali.
Ma la Germania, e qui ammetto di dirlo con la mia serena antipatia anticrucchi e il sentimento antinazista che ho ereditato da mio nonno, non è il Giappone e non sarà mai il Giappone. E anche questo lo dico con l’affetto per il Giappone con il quale sono nato.
Ma la ciliegina sulla torta doveva arrivare con il “perfezionamento (ed inasprimento) delle Direttive CEE del 1970 e del 1991 sulle emissioni: perché dopo essere diventata un poco il Maggiordomo della grande aquila teutonica, l’Unione Europea diventa anche una pessima copiona di leggi antimercato. Una delle prime è la bufala degli Step antiemissione secondo una normativa copiata malissimo dal modello americano.
Sbeffeggiata da Soichiro Honda nel 1970, l’America pseudo ambientalista si era divertita per anni a far inciampare la concorrenza di importazione sull’inasprimento delle norme antiemissione.
Bastava un aumento anche leggero delle quote di import per consentire al Congresso di inasprire le norme e bloccare le importazioni con richieste di adeguamento sulle quali i Costruttori di Detroit ricavavano ampiamente deroghe ed eccezioni.
Un esempio di trust antimercato nel cuore della filosofia liberista? Certo, ma come scrivono i testi sacri di economia: “Fai quello che l’America dice, non quello che l’America fa”.
Eppure Bruxelles quella piattaforma legislativa ambientale l’ha copiata malissimo, o meglio: l’ha implementata secondo le nuove dottrine europee del ciclo di sostituzione programmata indotte dai suoi Costruttori. Per il mercato interno, avere Step antiemissione nuovi prestabiliti alle date del 1992, 1997, 2000, 2005, 2009, 2016 significava incentivare surrettiziamente il consumatore europeo a cambiare auto almeno sei volte lungo 25 anni; dal lato della concorrenza e del rischio importazione era invece molto meno efficace il dispositivo europeo che quello un poco più emergenziale e schizofrenico degli Stati Uniti.
Arriva il DieselGate, il maggiordomo UE uccide il prodotto europeo di punta nel mondo
Stati Uniti che, non dimentichiamo, hanno confezionato la gogna mediatica internazionale sul DieselGate che ha definitivamente ucciso il miglior figlio motoristico d’Europa. Cioe’ il Diesel.
Diesel che l’UE ha volutamente spinto e propagandato proprio per formare quella sorta di “diga” simbolica tra la tecnologia europea fortissima ancora sul Gasolio e un Giappone che si sperava con questo di “blindare” data la sua scarsa tradizione sul sistema Diesel.
Il che, per pochi anni, ha persino centrato l’obbiettivo. Salvo poi vedere i Costruttori e Supplier giapponesi recuperare terreno grazie proprio alle sinergie con i Costruttori europei e comporre un assortimento di gamma in cui la quota di motori a Gasolio era proporzionale alla concorrenza. Il caso Isuzu e Toyota in questo sono didascalici.Sicuri però che il Diesel sia stato ucciso dal DieselGate? Esatto, chi ci segue sa che io considero la manfrina tra EPA e Volkswagen un palcoscenico geniale attraverso il quale porre per la seconda volta al mondo auto una “Causa di forza maggiore”.
La prima volta era stata nel 2007 con il Crack Lehman che ha permesso a tanti Costruttori di poter smentire liberamente se’stessi nelle valutazioni di Remarketing dei cicli di permuta garantita dai sistemi finanziari. Quella globalizzazione del sistema di Eustace Wolfington ha prodotto più danni della grandine in Europa, semplicemente perché l’Europa non è l’America. O forse solo perché il sistema del ciclo di sostituzione programmata nato da Eustace è passato dalla gestione diretta dei Dealer a quella molto più evangelica e dogmatica delle “Captive Bank”. O forse solo perché semplicemente dei folli allucinati Credit Manager sparsi tra Brand e Gruppi potevano minimamente pensare che la diffusione di massa del medesimo ciclo di sostituzione programmata non avrebbe portato ad un passo dal collasso del mercato. (P.S: per chi ha la memoria corta segnalo che l’AGCom italiano promosse una Indagine sul possibile cartello finanziario tra diverse Captive…..).
I Manager delle Captive Bank Automotive: gente da TSO a loro insaputa
Gran brutto mondo, quello delle Captive Automotive, rispetto al sistema bancario retail tradizionale: minori blocchi all’ingresso e alla selezione dei potenziali clienti finanziabili, un mondo di ABS e di prodotti finanziari derivati creati per finanziare la sempre maggiore esposizione creditizia del parco clienti auto. Risultato: una esplosione di NPL nelle casse delle Captive ed un rischio Default aumentato dalla costante svalutazione del Parco Auto usate circolante in Europa, frutto della scansione temporale e della cadenza degli Step antiemissione. In parole povere una vera e propria topica creata dal concorso di menti poco salubri sia a Bruxelles che nei piani alti delle Captive. Provvidenziale e molto meno catastrofico nel medio termine, da parte della finanza internazionale, scatenare un minidefault su un ambito finanziario immobiliare ipergarantito da corrispettivo a garanzia (gli immobili mutuati) e soggetto in percentuale minima anche in America al regime dei finanziamenti subprime che nel settore Automotive americano ed europeo erano molto più ingenti.
Con il Remarketing che diventava, nel sistema di Wolfington, elemento centrale nella marginalità complessiva del pacchetto finanziario, la ghigliottina degli stepantiemissione scalari gererano una svalutazione sistematica indotta nei modelli vecchi permutati contro una costruzione predefinita di valori residui futuri che, anno per anno, Dealer e Costruttori “rimpinzano” sempre di più soprattutto per “diluire” la quota di TAEG in costante e irrefrenabile aumento a causa dell’inclusione nelle Rate del finanziamento di una serie di servizi accessori (Manutenzione, pneumatici, Assicurazioni) che pesano sempre più sul totale del pacchetto finanziato. Risultato: Valori futuri sempre più generosi, Usato sempre più svalutato, margini del Remarketing sempre più erosi, Taeg in costante aumento un po’ dappertutto. E’ il classico cane che si morde la coda.
In parole povere: nel sistema Wolfington mutuato per il mercato europeo anni ’90 e nel Nuovo Millennio la quota di remunerazione data dal plusvalore di permuta dell’auto soggetta a Valore Residuo predefinito comincia ad azzerarsi, soprattutto perché detto Valore predefinito inizia a crescere in percentuale ciclo dopo ciclo per rendere il sistema rateale ed il costo iniziale del contratto di finanziamento più competitivo rispetto alla concorrenza. E’ qui che inizia il Default del mercato auto drogato dal credito a pioggia.
Il Remarketing: il punto debole del Wolfingtonall’europea
Anni fa io ho conosciuto uno di questi onorevoli trombati ex funzionari di una Captive Bank con la quale, purtuttavia, avevo collaborato vendendo le “sue” auto. Il suo nome era Mauro T ma dietro la sua formale e futile eleganza il tipo nascondeva qualche novena di problemi mentali, esistenziali e persino ormonali residuo delle esperienze lancinanti per tanti poveri “funzionari” dal punto di vista personale della vita nelle Captive. Per tutti loro, per tanti cosidetti “Manager “ delle Captive, porto un segno di silenzioso rispetto. Non è facile ammettere di esserne stato parte, per molti di loro. Sono a loro modo degli invalidi del lavoro. Peccato, ripeto, che la evangelizzazione stupida delle Captive abbia fatto parecchi danni al mercato auto.
Il “monoprodotto” Diesel europeo, la soia che ha desertificato il mercato auto
Il problema, o meglio il “corto circuito” nel sistema di Wolfington? La trasformazione del mercato auto europeo nel monoprodotto Diesel accompagnato dalla guerra dei Listini e degli incentivi.
Di anno in anno, a partire dalla fine degli anni Novanta, il boom del Common rail e la tentazione protezionistica della UE porta il Diesel a superare in quota maggioritaria i volumi di vendita del benzina; i Costruttori, coadiuvati dal ciclo di sostituzione del nuovo modello finanziario, si sfidano lungo un rally esasperante di aggiornamenti tecnologici per il quale ogni gradino di nuovo progresso di un costruttore viene superato, anche a chiacchiere, da un progresso ulteriore e superiore del concorrente di turno e così via secondo un pingpong apparentemente irrefrenabile.
E’ per questo che, lungo solo vent’anni tra il 1995 ed il 2015 i Diesel incontrano le quattro valvole per cilindro, il turbo a geometria variabile, la pop-off, gli iniettori piezoelettrici, i sei e gli otto cilindri e quanto altro (mentre il comparto a benzina aveva impiegato mezzo secolo per lo stesso percorso); è per questo che a chiacchiere un generico motore due litri quattro cilindri turbodiesel del 1993 sviluppa 90 cavalli e consuma 7 litri in media per 100 Km, potendosi permettere invece di dichiarare nel 2013 150 cavalli e tuttavia solo quattro litri e mezzo di gasolio nel ciclo combinato di 100 chilometri.
L’evoluzione del Diesel europeo: bruciare le tappe, bruciare i listini. Per bruciare i margini
Le chiacchiere le svela il Dieselgate, a quanto pare. Le bufale sulle emissioni fittizie si sposano necessariamente a quelle sui consumi e sulle prestazioni fittizie. La verità è che la guerra sui listini e sull’aggiornamento tecnologico sta ammazzando i Costruttori e sta tuttavia viziando i potenziali clienti a pretendere sempre di più e sempre meglio a sempre meno. E nel frattempo il credito facile è finito.
Con il DieselGate però si porta a termine una accurata e provvidenziale “ibernazione” del motore a Gasolio. Perché come diciamo da anni “Il diesel doveva morire nel 2015 affinchè non si uccidesse da solo”. Infatti, solo dieci anni dopo, il “mea culpa” dei Costruttori perfettamente sincronizzato sta riportando nei listini il caro vecchio vituperato motore a Gasolio. E Parigi e Bruxelles mute.
Non solo per la guerra tra OEM su listini ed aggiornamento tecnologico: il monoprodotto continentale Diesel nel Vecchio Continente porta un nuovo fronte di guerra perso anticipatamente dai Costruttori OEM. L’aftermarket ed il confronto con gli IAM.
L’idea geniale di Mario Monti: Consumatori ed OEM al palo, Indipendenti sempre più ricchi
Dominio dello IAM aftermarket. Devo ancora capire se il Professor Mario Monti sia stata la persona giusta al posto giusto nel momento sbagliato, o se viceversa abbia reso lui stesso con il suo proprio operato quei posti e quei momenti sempre assolutamente sbagliati. Un esempio è con il famoso “Regolamento” del 2002 sugli accordi verticali, quando fu Commissario europeo alla Concorrenza.
Da un lato una vera e propria summa di concetti innovativi sul piano del rispetto della concorrenza, dall’altro lato una sorta di istigazione alla fuga da parte dei Suppliers europei in cerca – presso Asia ed Est Europa – di siti molto meno costosi in termini di spese di produzione e lavoro a danno però della piena occupazione continentale; ed inoltre, alla luce della serie di controversie e di interpretazioni dubbie persino della Corte Europea di Strasburgo, il famoso Regolamento Monti è apparso venti anni dopo più un modo per complicate la vita del settore dell’Autoriparazione e delle pratiche commerciali piuttosto che un supporto al diritto di scelta del Cliente.
Fatto sta che, proiettato tutto questo scenario nel sistema commerciale di vendita di auto Diesel nel mercato auto europeo tra metà anni Novanta e DieselGate, la supremazia del mondo IAM sugli OEM e la slavina finanziaria subita da questi ultimi nel settore autoriparazione ha raggiunto negli anni valori preoccupanti. Ed in questo, almeno su questo, il Dieselgate ha apportato una condizione di provvidenziale tregua nello stillicidio autolesionista in corso tra i Costruttori.
Domandiamoci, oggi: senza il Dieselgate, se la guerra dei listini e degli extrasconti fosse continuata imperterrita dal 2015 ad oggi; e se tutto questo fosse avvenuto senza il supporto del credito a pioggia, cosa sarebbe accaduto?
Semplicemente che nel confronto tra Costruttori OEM qualche Brand ci avrebbe rimesso le penne; contemporaneamente nella continuità della guerra tra i listini il comparto Usato non sarebbe cresciuto come ora quasi a surroga dell’acquisto di un nuovo; però l’attenzione all’architettura “Core” da parte degli europei avrebbe di certo mostrato il fianco rispetto alla progressione Ibrida ed elettrica sia del Giappone sia dell’Asia, con una pioggia da parte di quest’ultima anche di motorizzazioni Bifuel a prezzi di listino più abbordabili. In fondo le ultime due righe della mia ipotesi sono a tutt’oggi rispettate; cambia solo la prima riga, perché alla fine l’Europa ha dismesso temporaneamente il Diesel, avendo già a suo tempo messo in minoranza il motore a benzina. Resta il fatto che senza l’allarmismo imperante verso l’invasore cinese in Europa e senza la ripresa forte dell’Usato la presenza di Bifuel GPL e di Ibride entry levelda parte asiatica avrebbe già operato danni pesanti nei fatturati dei Brand.
Le analisi condotte da Autoprove durante diversi articoli precedenti ci permette chiaramente di dire che a confronto di anche solo dieci anni fa il settore Usato italiano ha “accolto” almeno un milione di Clienti retail usciti dall’acquisto del nuovo. Forse sono coloro che prima o poi si rivolgeranno ad una proposta cinese “entry level”?
Questo è un “tarlo” che preoccupa davvero i Costruttori europei, se proiettiamo la situazione nazionale in tutto il Vecchio Continente.
La Cartolarizzazione dell’asset “Diesel” da parte UE e il sogno di un BEV germanico
Ma a questo punto, il Maggiordomo di Bruxelles cosa c’entra??? Diciamo che siamo già al periodo appena seguente al DieselGate. E diciamo che da questo momento inizia il vero tracollo dell’industria Automotive europea; nel senso che siamo ancora nella fase in cui i Gruppi Auto europei potrebbero serenamente ribaltare le sorti sul campo di battaglia, ma potenzialmente si rendono ancora di più soggetti alla rappresaglia cinese ed internazionale sul mercato.
Avete presente quel Ministero italiano, non ancora caduto in disgrazia, che per raggranellare liquidità e risparmiare cartolarizza e cede i suoi asset (uffici, patrimoni, attrezzature, etc..) ad un interlocutore finanziario che gli compra tutto, lo liquida e poi però gli riaffitta tutto quel che un tempo era già del Ministero (chiedendo in cambio, gradualmente, tutti i soldi liquidati a titolo di canoni)????
Si, esattamente, un esempio sono i famigerati grattacieli ex Ministero dell’Economia all’Eur, con tutte le vicende e le cronache connesse.
Bene, Bruxelles si è comportata praticamente allo stesso modo: tra poco prima e poco dopo il DieselGate ha semplicemente “cartolarizzato” alla concorrenza cinese il patrimonio ed il Know How tutto europeo sulla tecnologia Diesel sulla quale eravamo leader mondiali; “cartolarizzare” in realtà in questo caso si è tradotto in “congelare” il Diesel, ma tanto è bastato per mostrare al consumatore europeo quanto i Costruttori europei fossero indietro terribilmente su architetture di mobilità alternative. Anche perseguire la demonizzazione del Diesel sull’altare della mobilità ecologica BEV è stata una cartolarizzazione idiota verso l’avversario che si è visto letteralmente regalare da parte dell’Europa tutti i gagliardetti unici che avevano costituito per tre decenni il Must continentale in tema automotive. Il maggiordomo di Bruxelles si è però visto di nuovo nell’adesione (nella definizione embrionale del “format” europeo in chiave elettrica) al miraggio ancora vivo ed imperante di una presunta superiorità tedesca in grado di rappresentare di nuovo il fronte europeo contro la concorrenza.
Peccato, come ho ben rappresentato attraverso gli articoli su Autoprove, che da dopo il Dieselgate il trend di investimenti e di partnership tra Costruttori tedeschi e cinesi ed il conseguente volume di immatricolato si siano entrambi progressivamente ridotti.
In parole povere, in una dinamica esplosa chiaramente poco dopo il Lockdown, la Cina aveva silentemente deciso di avere le forze dentro sé stessa per tentare la motorizzazione di massa nel suo mercato e per aggredire ugualmente il mercato europeo.
I dati parlano chiaro: le Joint Ventures europee e tedesche in Cina cambiano forma, si sciolgono e si ricompongono sotto altra forma, ma nel frattempo dal 2023 la Cina vede un crollo delle importazioni di auto europee ed un “Boom” di export dalla Grande Muraglia all’europa.
Perché dico che la UE ha cartolarizzato il Diesel ed il Branding europeo sul motore Diesel? Perché nel frattempo qui da noi costi delle risorse energetiche esplodevano togliendo spazio a benzina e GNL, e con il Diesel tagliato fuori e la assenza percorribile di e-fuel e di biocarburanti è stato quasi inevitabile arroccare la produzione europea sull’Ibrido sul quale però era davvero difficile opporre o ricostruire un percorso di Branding.
Mobility Provider, o come volete chiamarli: chi li ha più visti?
E quindi? E quindi abbiamo avuto una Terra di Mezzo durata un po’ troppo nella nostra Europa, Terra di Mezzo dove si concentravano solo gli oltranzisti del BEV; i Testimoni di Geowatt e dove i Costruttori europei hanno cercato di intortarci un poco le idee con la famigerata epopea dei “Mobility Provider”, figure mitologiche create un po’ alla carlona per proiettare la dimensione “4.0” del Brand: ADAS, Guida Autonoma, Sharing, Pooling, Connettività globale e visite guidate ai Musei e cagnolini portati a passeggio la sera.
Su questo nuovo versante mediatico Bruxelles, un poco come il caro vecchio Enrico Montesano con la romantica nonnina inglese de “Com’è pittoresco” si trovò praticamente a fare da spalla e da promoter istituzionale con messaggi e approccio pubblico di vero entusiasmo all’idea che i Brand europei diventassero……diventassero…..già! Che cosa? Nulla, a parte un minestrone di alleanze e sinergie con Internet Companies, Società di Renting, e poco altro.
Se si fosse dovuto inventare un sistema per “insabbiare” ancora ulteriormente la immagine classica del Brand all’europea, quello del “Mobility Provider” è stato un tentativo perfetto. A tal punto che la supercazzola globale ha visto solo fino ad un attimo prima del Lockdown prodigare e promettere 5G, Security policy di livello, ed un assetto territoriale dei nuovi futuribili “Mobility Provider “ in grado di rendere la mobilità totale alla portata di tutti. E’ bastato lo starnuto di un pipistrello in Cina, con il Covid, per far sgonfiare da sé questa Olimpiade delle fregnacce. Improvvisamente dal Lockdown concetti come eccesso di IoT in giro e crisi dei semiconduttori ha ricondotto i Brand, bravi bravi, lessi lessi, a provare a tornare Brand. Punto e basta.
Eppure anche in questo caso il teatro di Bruxelles è stato allo stesso tempo assassino e Maggiordomo: assassino perche’ invece di cooperare per favorire il recupero mediatico e commerciale dei Brand europei, o promuovere una legittima e sensata campagna di M&A tra operatori continentali ha semplicemente tirato la volata ad un ennesimo salto nel buio.
Maggiordomo perché stavolta l’interesse di Bruxelles (da qui il richiamo ad una politica seria, se fosse stata fatta, per spingere i Marchi a fondersi e ristrutturarsi per aumentare massa critica rispetto alla concorrenza asiatica) nel promuovere i Mobility Providers è stata squisitamente finanziaria: la figura dei Mobility Providers si sposava perfettamente con una matrice “green” della loro missione e con l’apparentamento con i famigerati “Green Bond” escogitati dalla BCE.
Segno della strategia analogamente idiota di Bruxelles è nella brusca frenata e della slavina dei Green Bond tra fine 2023 e primo semestre 2024 con una raccolta di fondi green scesa a livelli preoccupantemente bassi.
L’attualità: UE orfana della Germania in cerca di una identità
Ed arriviamo ad oggi: da una parte della staccionata una Cina che appare legata e simmetrica tra programma di elettrificazione, supporto governativo e presenza mediatica e commerciale dei Brand cinesi anche sul fronte dell’Export in netta crescita; dall’altro lato una Commissione, una Unione ed una Capitale simbolica dell’Europa che sono complessivamente in stato confusionale tra evoluzione normativa al palo, scadenze fuori controllo e mercato auto in rosso costante.
L’Assassino ha fatto il suo dovere, e come nei romanzi che si rispettano, è stato a suo modo un Maggiordomo. Spiace dire questo da cittadino europeista, federalista, spinelliano. Che si rende conto che di Spinelli si è fatta larga diffusione a Bruxelles, ma non per gli stessi fini che avrei sperato.
Riccardo Bellumori