Biofuel: l’Europa potrà sostenere davvero il Carburante sostenibile?

E’ inutile girarci intorno: se per il Petrolio la contabilità e la statistica su quanto ce ne rimane per usi civili ed industriali è sempre oggetto di un alone di mistero; per la parte “bio” di addizione ai carburanti fossili la risposta è semplicemente nella terra. 

Perché non c’è trucco, non c’è inganno: le cifre stavolta le recuperi sopra la terra e non sotto; a partire dalle superfici e dalla dislocazione delle superfici coltivabili mondiali e per continuare con tonnellate e/o metri cubi raccolti, per finire con il rimpiazzo costante e continuativo delle colture prelevate per la produzione energetica. In poche parole, quello che è difficile computare in termini di filiera lo si può fare con la materia prima vegetale.

E dunque ripartiamo da qui: Biofuel, cioè Benzina “Bio” e Biogasolio: 5, 10, 25, 85, 95 per cento di componente etilica (Bioetanolo) addizionabile o sostituibile per la benzina fossile; 7, 10 e quote maggiori per cento di esteri e materia oleosa da addizionare o sostituire per il Gasolio.

Sapete cosa significa? Ma soprattutto, sapete cosa significa per un uomo della strada come sono io, non certo laureato in Agraria o professionista in tema, cercare di orientarsi in cifre e contesti di cui si sa ancora pochissimo?

Per le Benzine “Bio” a base di Bioetanolo significa riscrivere la classica classifica delle “Big Countries” del Petrolio e rifare una ideale classifica dei massimi produttori di materia prima utilizzabile per produrre Bioetanolo di prima e seconda generazione; e per fare questa classifica basta semplicemente scrollare i motori di Ricerca del Web, anche grossolanamente, sul dato del 2023:

 

La superpotenza delle risorse agricole necessarie alla materia prima “Bioetanolo” diventa così il Brasile che con con circa 950 milioni di tonnellate tra Canna da Zucchero e Mais supera l’India che tra riso e Canna da Zucchero a sua volta tocca 700 milioni di tonnellate prodotte. 

 

E’ interessante segnalare la posizione del riso come materia per bioetanolo di seconda generazione (proveniente da scarti come la pula) a fianco della risorsa storica data da uva, canna da zucchero e mais, così elencati per “anzianità” storica di ricerca e brevetti. 

 

Ed è chiaro che la classificazione più importante riguarda il bioetanolo ricavabile in forma “diretta” dalla fermentazione degli zuccheri contenuti nei soggetti agricoli elencati sopra: tra questi mais e riso sono un poco la risorsa agricola “ponte” tra uva, canna, barbabietola e topinambur (materia prima “zuccherina” se permettete la semplificazione) e la derivazione del bioetanolodall’amido dentro cui ad esempio rientra in minima parte lo scarto delle patate, ad esempio.

Piccola parentesi sul fruttosio, ma anche su materia agricola a forte presenza di amido: il bioetanolo proviene da colture “principe” ma anche da “ibride” (patate, frutta e verdura con zuccheri appartenenti alla famiglia del fruttosio, ad esempio) che non rimangono inutilizzati per altri scopi energetici ma più spesso entrano nel ciclo di lavorazione dei residui vegetali di scarto per lavorazione, ad esempio, di biogas.

Rapida classificazione per non “perdersi” tra tanti e diversi “BIO”

Ripeto, perdonate la semplificazione spicciola ma o ne parliamo così o Vi rimandiamo ai trattati: l’ultimo filone che approfondiremo è quello del bioetanolo da Fruttosio che proprio per questo non si chiama esattamente così. Viene chiamato 2,5 DMF (Dimetilfurano) e deriva in modo espresso e rapido dalla disidratazione del fruttosio che invece, per essere convertito in bioetanolo, ha bisogno di essere fermentato da lieviti e dunque comporta tempi e costi maggiori rispetto alla lavorazione di saccarosio e glucosio. 

Elemento questo che rimane centrale nella gestione del ciclo produttivo del bioetanolo: quello che si ricava più direttamente e con meno costi è ok, tutto quello che richiede tempi e costi maggiori viene spesso dirottato in altre tipologie di produzione energetica. 

Tornando alla nostra classifica di “Big Countries” per la produzione agricola di bioetanolo, il terzo Big Player diventa così la Cina che porta in dote quasi 600 milioni di tonnellate tra Mais, Canna da Zucchero, e riso ponendosi sopra gli Stati Uniti che mette dentro la sua produzione 2022/2023 circa 400 milioni di tonnellate di mais e Barbabietola da Zucchero, materia prima questa “canonica” per il Bioetanolo come l’uva ma con un importante “distinguo”: barbabietola e uva costituiscono l’asse etilico originario per l’Unione Europea ma, in primo luogo, sommando i milioni di tonnellate di tutti i Produttori Stati Membri dentro la UE per quel che riguarda Barbabietola da zucchero e uva non si arriverebbe neppure ad un terzo dei milioni di tonnellate composte di materia agricola che il solo Brasile avrebbe per il Bioetanolo; in secondo luogo parliamo, per il saccarosio (Barbabietola) come per l’uva di materia prima agricola che per la quasi totalità del prodotto alimentare principale viene consumata quasi interamente per il fabbrisogno della popolazione; e dunque utilizzabile solo per il reale scarto (potature e stralci per l’uva, foglie e melassa residuale per la barbabietola) che ovviamente dà luogo ad un distillato di bioetanolo piuttosto ridotto per tonnellata di scarto lavorato. 

Il miraggio “UVA”: ma quello che va nel serbatoio ci viene tolto di bocca

Chiaro ad esempio che, in tema di alcool e bioetanolo, l’uva è la materia prima per antonomasia. Ma in questo caso il dato interessante per il Biofuel non è l’uva in sé: troppo preziosa per il mondo alimentare, dove per la sua eccellenza consente ai dettaglianti una vendita che per l’alcool degustabile va ormai dai 6 ai 60 Euro per Litro di prezzo al pubblico; che è prodotto in quantità appena sufficienti per il mercato alimentare mondiale e che, infine, vede nelle “vinacce” di livello inferiore una predominanza nei sistemi di produzione ed elaborazione industriale sempre per l’alimentare. Dunque quel che può essere concepito come risorsa prima per il bioetanolo è al massimo la serie di scarti legati a potature, stralci e residui finali inservibili per l’alimentazione. E dunque ogni studio relativo all’uso industriale energifero di steli, bucce, semi, polpa avariata e residui di succo della produzione vinicola equivale ad una buona  notizia (ogni quintale di questo elenco di materia vegetale renderebbe fino a 30/40 litri di bioetanolo) ma anche ad una sorta di illusione: l’utilizzabilità e la rendita commerciale di questa materia per le primarie esigenze alimentari porterebbe da un lato ad una distrazione rispetto ad un canale fondamentale per la sopravvivenza e dall’altro comporterebbe una quotazione della materia prima molto alta.

Insomma, detto come sempre da uomo della strada: se consideriamo la produzione “nominale” di materia prima agricola trasformabile in “Bioetanolo” la nostra cara vecchia Unione Europea si pone al quinto posto dopo gli Stati Uniti, ma se andiamo a contare la produzione agricola realmente destinabile a Bioetanolo senza intaccare i volumi necessari all’uso sovrano ed irrinunciabile per alimentare e/o farmaceutico, la posizione della UE come produttore scivola molto più in basso. 

Parliamo, ripeto, non di Petrolio, che comunque la si voglia mettere è una risorsa che se non viene trasformata in energia serve per l’industria delle lavorazioni. Qui parliamo di materia agricola che da millenni viene usata per sfamare, cioè per una esigenza primaria; successivamente, all’alba dei tempi, ha fornito risorse per la trasformazione alimentare, farmaceutica, estetica; e che solo in un tempo relativamente recente rispetto alla sua storia viene vista come propellente. 

Parlare di mais, canna, ed altri come di materia energetica “sic et simpliciter” è sciocco. 

Quella è roba la cui eccedenza pura, quando c’è e non viene stoccata per il futuro, è comunque limitata per il mondo dei trasporti. Quella che serve per sfamarci se arriva alla canna di una pistola erogatrice ci viene tolta di bocca, o viceversa. Dunque per capire la reale disponibilità di materia prima per Bioetanolodobbiamo calcolare gli scarti ed i surplus di materia nobile.

Corte dei Conti europea: il “Bio” sostenibile rischia di non autosostenersi

Ecco un aspetto discriminante del tema “Biofuel” con Bioetanolo: la determinazione della dipendenza dall’estero di Bruxelles rispetto all’import necessario di materia prima vegetale su cui pesa, appunto, uno dei pareri non proprio entusiasti e propositivi della Corte dei Conti europea nel 2023. Torniamoci un attimo: quell’anno la Corte dei Conti lancia un “Warning” per la “sostenibilità” di un sistema di alimentazione con Biofuel in Europa, ma fa quasi sorridere una delle motivazioni alla base del giudizio dei togati europei: a pesare è anche una “assenza di prospettiva a lungo termine” che incide sulla sicurezza degli investimenti. 

Il danno oltre la beffa o la beffa per dissimulare il danno? In pratica la Corte dei Conti ha espresso a Bruxelles il dubbio che la incertezza e la precarietà programmatica – causata sempre da Bruxelles – sul futuro del motore endotermico possa impedire investimenti ed ammortamenti nella misura necessaria alla apertura che sempre  Bruxelles ha definito finalmente sulla inclusione dei Biofuels nel piano di Revisione 2026. Semplice, no? 

Bruxelles intende spingere su qualcosa che, per propria confusione strategica, mette a rischio di sviluppo. Geni veri, nelle istituzioni europee.

Dunque sul versante sostenibilità generale la Corte segnala la assenza di una prospettiva a lungo termine che incide negativamente sulla sicurezza degli investimenti; mentre per gli altri gradi di sostenibilità (ambientale, risorsa prima, economica) la Corte tocca gli aspetti della gestione delle Biomasse, i costi elevati di addizione della sostanza vegetale, ed ovviamente il problema chiave: il reale “peso” dei biocarburanti nella riduzione della CO2.

Come ricordato più volte, il programma incentivante dell’Unione verso i Biofuel parte dalla iniziativa pioniera del 2006 “Flexi-Fuel” e per il periodo 2014-2020 Bruxelles ha stanziato 430 milioni per progetti di ricerca. 

L’allarme della Corte parte però dallo stato dell’arte della diffusione dei Biofuels nell’aviazione europea: sebbene la nuova normativa ReFuelEU Aviation del 2023 abbia fissato una soglia base per i carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF) al 6 % per il 2030 al lordo dei Biofuels, al momento tuttavia la capacità di produzione potenziale nell’UE raggiunge a malapena un decimo di quella cifra. 

Circa i benefici dei biocarburanti sulla riduzione degli inquinanti, la Corte esprime diversi dubbi sull’effetto potenzialmente negativo delle colture eventualmente massive per i Biofuels sulla biodiversità agricola necessaria anche alla risposta della domanda alimentare. 

Senza contare la dipendenza da paesi extra UE che aumenterebbe in conseguenza dell’aumento della domanda. Timore fondato, visto che la stessa Bruxelles che ha dichiarato guerra all’endotermico è la medesima che ha detto “si” al Biofuel che rischia di rimanere al palo per colpa ancora di quella Bruxelles che in tema “bio” si è anche accorta in un recente studio (Outlook 2018-2030) che il destino delle aree coltivabili nella UE è di contrazione e riduzione di almeno due milioni di ettari. Niente male per tutto quello che, bioetanolo compreso, deriva dalla coltivazione.

Insomma, è peggio per la UE dipendere dall’estero per il petrolio inquinante o per il Bioetanolo “ecologico”? A Voi la risposta, ed ovviamente con questo “focus” casareccio sul Bioetanolo abbiamo chiarito (o almeno speriamo) l’aspetto delle benzine “Bio”. Alla prossima, per approfondire – se volete – il tema ancora più complesso del Biodiesel.

Riccardo Bellumori

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