Storia di Gunnar Nilsson il Campione buono che ha vinto per amore dei bambini

Il 20 Ottobre del 1978, Charing Cross Hospital di Londra. Si chiude la parte più dolorosa di una storia iniziata un anno prima, nello stesso Istituto, con l’inizio di un vero calvario per un ragazzo di appena trent’anni, neppure compiuti. 

Avrebbe festeggiato trenta anni pieni un mese dopo, il 20 Novembre.

Un Campione, sportivo, un Pilota della mitica Formula Uno. Un ragazzo che per quell’epoca veniva da un continente che era appena esploso a livello mondiale. La Penisola scandinava, ed in particolare la Svezia. Che negli anni Settanta voleva dire in contemporanea gli ABBA, Volvo e Saab, Bijorn Borg, e per la Formula Uno la stella luminosa di Ronnie Peterson.

Solo che quel ragazzo si era sudato ogni scalino della sua rampa personale che lo avrebbe portato per solo due Stagioni in Formula Uno. Quel ragazzo era Gunnar Nilsson. 

Non potevo giudicare una storia così, all’epoca. Avevo appena otto anni; e per giunta, forse solo in Italia, i temi che si associavano a questioni di coscienza, di riflessione profonda erano spesso estromessi dal canovaccio del racconto sportivo, se le due questioni erano legate. 

 

Nella cultura nazionalpopolare di un Paese martoriato dal rigurgito terrorista, dalle lotte sindacali ed operaie, dalla contestazione studentesca nel quadro della ridicola contrapposizione tra Pentapartito di Governo ed opposizione rossa, lo sport era per la modalità “panem et circences”, per provare a distrarre un popolo sfortunato e vittima di se’ stesso come quello italiano; e solo perché il dramma di Niki Lauda era esploso come la sua Ferrari in presa diretta il Primo Agosto ci si era dovuti ingarellare nel racconto di un altro ragazzo sfortunato alla soglia della estrema unzione. Per il resto, lo sport doveva far ridere e discutere gli appassionati ai tavolini di un Bar.

 

Sono però grato allo sport ed al mondo che ho amato per anni. L’auto racconta storie da Premio Nobel, a volte. 

Come la vicenda di Enzo Ferrari, che travolto dalla tragedia di suo figlio Alfredo affianca nel 1978 il Policlinico Universitario di Milano ed insieme al Prof. Guglielmo Scarlato fonda il “Centro Dino Ferrari” per l’attività di ricerca e diagnostica nel campo delle malattie muscolari, neurodegenerative e cerebrovascolari. 

C’è purtroppo tanta storia della Formula Uno o del mondo sportivo dei motori in generale che provoca giusto sgomento e ripulsa nelle persone che non provano passione per queste discipline. Roger Williamson bruciato vivo nella negligenza e violenza scenografica della TV in mondovisione; il povero commissario sudafricano falciato dallo scontro con Pryce, e la morte assurda di quest’ultimo. 

E tanto altro, ma poi accade che una storia maturata sempre in quel benedetto o maledetto mondo, in quel 1978, arriva per insegnare qualcosa a tutti. 

Un Pilota promettente in Formula Uno, svedese e di origini ricchissime. Un rampollo che come diversi altri decide di impegnarsi in traguardi diversi dall’Azienda di famiglia. 

Gunnar Axel Arvid Nilsson nasce ad Helsingborg in Svezia il 20 Novembre del 1948, e la sua ricca famiglia di immobiliaristi ha già deciso per lui un futuro da manager dell’azienda familiare. 

Terminati gli studi Gunnar impiega solo otto mesi per capire e far capire che contabilità e finanza non fanno per lui, che ha passione per le corse e per le auto. A dire la verità già un lutto lo  colpisce, quando nel 1964 il papà muore e lui, a 17 anni, deve per forza prendere le redini dell’impresa di famiglia. Ma come detto è una missione impossibile

 

Gunnar, dalla scrivania del Manager al vecchio furgone in giro per le piste d’Europa

Come in ogni storia che si rispetti in questo canovaccio (pensate alla storia anche di Niki Lauda) la famiglia nega al giovane persino gli spiccioli di un patrimonio familiare con cui Gunnar avrebbe potuto comprare per sé una intera Squadra Corse. Papà Arvid e mamma Elizabeth sono contrari fin da subito.

Oggi, da persona cresciuta, arrivo persino a capire. 

Tanti anni fa no, e dunque non vedevo di buon occhio le famiglie che ostacolavano la passione dei giovani talenti ; e soprattutto quelli europei, visto che per motivi edonistici e forse anche di più comodo riciclaggio di denaro, il Sudamerica non faceva altro che vedere nuove famiglie di latifondisti (od altro, vedi il caso di Ricardo Londono), allevatori e petrolieri riempire di dollari le valigette dei propri figli o nipoti piloti. 

Ma poi, mi sono persuaso che contare ogni anno, in quel periodo tra anni Sessanta e Settanta, l’esercito di giovani e meno giovani piloti da Corsa (in pista, in salita o nei Rally) che in tutto il Globo, dalle formule minori fino alla Categoria regina, era una impresa dolorosa per chi ne fosse stato direttamente coinvolto. Decine di appassionati ed avventurosi perivano ogni Domenica nel mondo, centinaia finivano all’Ospedale ogni fine settimana.

Rimasta solo mamma Elizabeth ed il primo fratello di Gunnar a gestire le sorti aziendali, il giovane ed Ingegnere Gunnar (nel frattempo si era laureato all’Università di Stoccolma) decide però di determinare la sua vita in modo diverso: a 24 anni, nel 1972, apre una piccola Ditta di trasporti, compra a rate un “Opel Blitz” a Gasolio usato, ci attacca un carrello per portare una vecchia Formel “Vee” (Formula Vee) insieme al suo “pseudosocio” (in realtà amico fraterno e meccanico): si tratta della finlandese RPB (Racing Plast Burtrask) motorizzata VW 1300, un “muletto” con cui Gunnar gira la penisola Scandinava nel campionato locale

L’anno successivo passa alla Formula Super Vee, all’appoggio di un team professionista ed alla Lola. 

 

Sempre comunque Monoposto usate, vecchie e da ricondizionare che Gunnar acquisiva a fine stagione quasi come rottamazioni, e rimetteva a posto facendo la classica fila ai mercatini improvvisati nei piazzali dei paddock dove squadre e piloti si scambiavano pezzi, gomme, utensili.

 

Finisce quinto in Classifica Super Vee, e qualcuno comincia a segnare il suo nome, soprattutto perché 

si toglie anche la soddisfazione di debuttare in Formula 2 con un bel quarto posto al Norisring-Trophäe al volante di una GRD-Ford 273 della scuderia di Pierre Robert.

 

Passa alla Formula 3 britannica, dove arriva nel 1974 da privato grazie ai premi della Super Vee ed ai nuovi Sponsor, fa davvero vedere di che pasta è fatto. 

 

La March non perde tempo, lo prende per la Stagione 1975 da ufficiale, lo ingaggia e finalmente libero da gestione ed oneri personali Gunnar vince alla grande la serie inglese della F3 di quell’anno rischiando il colpo grosso : corre in contemporanea la Formula Atlantic su una Chevron Ford e finisce secondo in classifica finale iridata.

Sta per finire l’Autunno di quel 1975 e Frank Williams, noto “Talent Scout” porta Gunnar su una monoposto di Formula Uno a Goodwood; non va benissimo, ma mentre si sta preparando per la prima Stagione dell’Europeo 1976 di Formula Due, lo svedese riceve una sorpresa inaspettata dal suo amico e concittadino Ronnie Peterson. 

Ronnie inizia la Stagione con la Lotus, con cui è sotto contratto, ma subito dopo – rimasto più convinto della maggiore competitività della March rispetto alla mediocre e deludente “Lotus 77” – parla con quest’ultima per un salto di Squadra. 

 

March convince allora Colin Chapman, a sua volta poco convinto di tenere Ronnie, a prendere ad ingaggio “zero” il giovane e promettente Gunnar, oltre alla ipotesi Bob Evans (buon pilota ma meno promettente dello svedese, ed infatti è rimasto una meteora vera) per una sostituzione sulla monoposto numero “6”.

 

Gunnar, il sogno si fa reale: Formula Uno e Lotus

Chapman testa Gunnar in poche manciate di minuti e si: è Ok, anzi – probabilmente – mantiene molto più di quel che promette. E da Monaco 1976 inizia per Nilsson il sogno Mondiale in F1 accanto a Mario Andretti. 

L’inizio non è dei migliori: la proverbiale robustezza delle monoposto di Chapman si svela in tutta la sua straordinaria fama quando a Long Beach Gunnar finisce ad alta velocità contro un muretto (presumibilmente per la rottura di una sospensione) tra Bridgestone Bent e Shoreline Drive. Gli effetti del botto il povero ragazzo li patirà per mesi sul collo. 

Tuttavia la Stagione 1976, famosa per tutt’altre sfide, si conclude con un risultato perlomeno ammissibile: su quindici Gare disputare con nove ritiri (a riprova della pochezza della “77” anche Mario Andretti è “out” otto volte in Stagione) arrivano quattro passaggi sotto la bandiera a scacchi di cui due Podi. Ed un decimo posto in Classifica Iridata, poco sotto il suo “capo” Andretti e soprattutto davanti al suo concittadino e “Senatore” Ronnie Peterson.

La Stagione 1977, in cui Gunnar viene confermato alla Lotus, tuttavia, più che una auspicabile passerella verso la categoria “Top” è una vera e propria altalena. Arriva la quasi rivoluzionaria “78” che introduce l’effetto suolo, e dunque l’armamentario a disposizione di Lotus sale di grado. 

Eppure in Prova Gunnar – seppure da secondo Pilota vive una oggettiva limitazione nelle prelazioni del materiale migliore – non riesce a sfruttare quelle potenzialità velocistiche della “78” che portano il capitano Andretti a collezionare sette “Pole” e ben dodici partenze tra prima e seconda fila. 

Senza dubbio è una Stagione “strana” per il nostro giovane eroe svedese, che sembra ancorato tra la quinta e la ottava fila (10 partenze complessive) ed una sola in prima fila.

 

Così come l’altalena si ripete in Gara; ma soprattutto la intera Stagione, separabile in due veri e propri “tronconi” pare la triste metafora della vicenda personale di Gunnar. Che, certo, viene trattato da vera e propria Seconda guida. 

 

Al primo Gran Premio di Stagione 1977, dopo essersi qualificato decimo in quinta fila deve rinunciare alla partenza: Mario Andretti ha distrutto la sua “78” nel Warm Up ed il muletto è la “77”, per capirci. Dunque Gunnar deve “pacificamente” cedere la sua monoposto al compagno capitano.

Con tutto ciò la prima mezza Stagione di Nilsson è dignitosa nel primo quarto (due quinti posti ed un ritiro) ma arriva la sorpresa della vittoria nel pazzo Gran Premio del Belgio. 

 

Insomma, è fatta, possiamo pensare tutti: anche Gunnar è sdoganato, e vedrai che la seconda metà del 1977 sarà meno avara della prima. 

 

Ed infatti arrivano un quarto posto ed un bel podio. Ma poi arrivano ben sette ritiri di fila, e molti di questi sembrano derivare stranamente da imprudenze, disattenzioni, o veri e propri errori marchiani. 

 

Come in Svezia dove per un “lungo” in frenata durante una fase di sorpasso rovina il musetto contro Depailler; o come in Olanda dove sempre in un ingarellamento con Reutemann cerca il sorpasso impossibile e finisce fuori. 

E poi un altro incidente al Glen. Colin Chapman non tollera granchè tutto questo, e il rapporto con Gunnar si interrompe alla fine del Gran Premio del Giappone, il 23 Ottobre del 1977. 

 

L’ultima volta nella quale Gunnar siede su una monoposto di Formula Uno

 

Insomma, cosa sta accadendo al ragazzo? A quanto si ricorda e si repiloga nelle tracce storiche, una sorta di malessere, un dolore sempre più frequente e importante nella zona inguinale: 

peccato che come tutti i Piloti di Monoposto dell’epoca dolori, risentimenti e lividi fossero il companatico obbligato dietro ogni sessione o turno di Gara alla guida di veri luoghi di tortura per fisico e muscoli. 

I dolori, la disattenzione, la notizia drammatica

La particolare struttura delle cinture “inguinali”, a sua volta, potrebbe aver “travisato” nella considerazione del Pilota quel malessere, quel dolore imputandolo al particolare aggancio in mezzo alle gambe.

 

Di certo si arriva al controllo ed alla anamnesi medica fuori tempo massimo, anche data la giovane età. Quando le analisi cliniche diagnosticano il tumore nel corpo di Gunnar si sono già diffuse le metastasi. 

Siamo nel tardo Autunno del 1977, e il luogo è lo stesso del sipario per l’ultima scena: Charing Cross Hospital di Londra, dove il repentino crollo fisico di Gunnar è parallelo al bombardamento radioterapeutico cui viene sottoposto: pallido, con 35 chili in meno e completamente privo di capelli, sopracciglia; e tuttavia il suo occhio calmo e il sorriso timido appena accennato in lui ci sono sempre.

 

Nilsson chiude il rapporto con la Lotus e si eclissa dal mondo pubblico fino a Primavera del 1978, quando invece che annunciare la sua nuova Squadra rivela al mondo la sua odissea. 

 

Senza alcun imbarazzo, sentendo di voler fare di sè una vetrina “vivente” (per quanto possibile) del dramma e della battaglia contro il cancro, Gunnar si presenta anche di nuovo, per la prima volta, davanti a pubblico e Tv in estate dentro un ambiente di Formula Uno. Siamo in Gran Bretagna, e la vetrina del debutto di Gilles Villeneuve con la McLaren o della rivoluzionaria Renault Turbo sembrano due eventi da vernissage rispetto alla sensazione di dolore e di umanità che quel ragazzo ormai spettro di sé stesso evoca nella sua camicia bianca di lino, quei suoi jeans neri, e un paio di occhiali da sole calcati su occhi che non ce la fanno a sopportare la troppa luce.

 

La parola “cancro” è forse peggiore della parola “guerra” nella mente delle persone, all’epoca in cui ogni media di informazione pubblica che annuncia la morte di un personaggio noto per questo male terribile in realtà lo fa senza mai neppure preannunciarne l’inizio del calvario. 

 

Perché di fronte a questa battaglia che nessuno riesce a vincere, già la notizia di essere colpiti da un tumore genera imbarazzo, pena, terrore. 

 

Per questo la stoffa del campione e del combattente il nostro Gunnar la svela proprio mostrando sé stesso. Annuncia di voler combattere, di voler tornare a correre, alimenta la speranza che il tumore non sia sempre e solo un “loosing game”.

Gunnar, campione dei bambini. L’ultima battaglia è per loro

E’ quello della foto, le terapie lo hanno devastato, e non si imbarazza a farlo vedere. Parla più spesso con il suo amico e connazionale Ronnie Peterson. 

Ai microfono Gunnar dichiara di sentirsi meglio e di voler tornare in pista presto, anche se sa forse di dire una bugia. Dice soprattutto anche una frase che resta nel cuore: ‘’vedere questi bambini che, come me, devono vivere questo dramma e devono sostenere queste cure molto forti, mi provoca una angoscia peggiore del dolore che provo…’’ 

 

Con queste parole matura la decisione di lanciare una raccolta di fondi per promuovere sia la ricerca contro il cancro, sia l’apertura di un centro per il trattamento dei malati. 

 

Il mondo risponde, davvero. Ci sono gli ABBA, c’è Borg, ci sono le istituzioni svedesi e persino il Comitato Organizzatore dei Premi Nobel sono nella fila eletta e commovente per gli aiuti; e Gunnar li sollecita e li coordina con telefonate fiume, con Fax e lettere ai giornali. Tutto dentro quel suo triste ufficio di una stanza di Ospedale.

 

Purtroppo a Settembre 1978 il destino maledetto non fa sconti: muore il suo amico Ronnie, il 12 Settembre, ed ai funerali Gunnar esprime non più solo dolore, ma abbandono. 

 

Morto l’amico, l’ultimo raggio di luce muore dentro di lui. 

 

Poche settimane dopo la tragedia di Ronnie, Nilsson scivola in un loop fisico disastroso, ma la verità che fu rivelata mesi dopo fu davvero in grado di commuovere il mondo. 

Sapendo di non avere speranze, da dopo la morte di Peterson il povero Gunnar decide autonomamente di sospendere ogni terapia farmacologica e soprattutto antidolorifica e palliativa. 

Perchè sono terapie che lo lasciano in stato di sonnolenza e confusione per tutto il giorno. Invece Gunnar non vuole dormire. Ha bisogno di tutte le sue ultime ore per promuovere la fondazione di un Polo di ricerca, appunto, e deve sensibilizzare tutto il mondo. 

 

Dentro a dolori allucinanti scrive lettere a giornali, Governi, amici e Vip anche sconosciuti. Vuole che tutti partecipino ad un vero e proprio muro contro il cancro. 

Il sogno di Gunnar Nilsson prenderà vita nel 1979, ma senza di lui. Come dopo di lui, che forse avrà visto dal cielo tutto questo, si materializzano alcune operazioni straordinarie: ad esempio il “Gunnar Nilsson Trophy”, tenuto otto mesi dopo la sua scomparsa a Donnington Park e partecipato da tutti i principali Campioni del volante. In quella Gara vinta da Alan Jones sulla Williams FW07, la Fondazione Gunnar Nilsson raccoglie 2 milioni e mezzo di Sterline per dotare il Charing Cross Hospital di un acceleratore lineare da usare nella radioterapia. Altro ricordo tipicamente nazionale di cui andar fieri  noi italiani è stato l’impegno di Autosprint nel promuovere una raccolta di fondi per la Campagna Antitumori “Gunnar Nilsson”.

Gunnar muore il 20 Ottobre del 1978 nell’ospedale di Charing Cross, a Londra. Ma spero che, nell’ultimo pensiero, sia nata in lui la consapevolezza di aver vinto la Gara più importante, quella per i bambini a cui voleva salvare la vita. E quella Gara, la più importante di tutte, l’ha vinta.

Riccardo Bellumori

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