Per la prima volta in oltre un decennio, i Veicoli a Nuova Energia (NEV) – che comprendono auto 100% elettriche, ibride plug-in e a celle a combustibile – sono stati esclusi dall’elenco delle industrie strategiche del 15° piano quinquennale cinese (2026-2030).
La decisione riflette un contesto di sovraccapacità produttiva e di guerra dei prezzi che ha messo in crisi la sostenibilità economica di molti costruttori locali. Dopo anni di sussidi miliardari e crescita esplosiva, il mercato interno appare saturo, spingendo Pechino a riorientare le priorità verso settori come tecnologia quantistica, bio-produzione, fusione nucleare ed idrogeno. Questo cambio di rotta non significa un abbandono totale della mobilità elettrica, ma piuttosto un ridimensionamento del suo ruolo strategico nazionale.
L’espansione verso l’Europa
Con il mercato domestico in stallo, i costruttori cinesi guardano con decisione all’Europa come sbocco naturale per l’eccesso di produzione. Già oggi la Cina è diventata il primo esportatore mondiale di automobili, e secondo analisi di settore fino a 5 milioni di veicoli cinesi potrebbero invadere il mercato europeo entro il 2025.
Questo scenario rischia di accentuare il cosiddetto “secondo China shock”, con marchi europei sempre più dipendenti da filiere controllate da Pechino e con margini di profitto in forte calo. La combinazione di prezzi aggressivi, integrazione verticale e accesso privilegiato alle materie prime critiche rende i costruttori cinesi particolarmente competitivi rispetto a Volkswagen, Stellantis, Renault e altri player storici.
Le sfide per l’automotive europeo
Per l’industria europea, la mossa cinese rappresenta una minaccia ma anche un’opportunità. Da un lato, l’arrivo massiccio di veicoli elettrici a basso costo rischia di erodere ulteriormente la produzione locale, già in calo del 42% in Italia nel 2024, e di mettere sotto pressione l’occupazione e la filiera industriale.
Dall’altro, la ritirata strategica di Pechino potrebbe aprire spazi per un rafforzamento delle politiche industriali europee, con incentivi mirati, dazi selettivi e investimenti in tecnologie alternative come l’idrogeno o le batterie di nuova generazione. La vera sfida per Bruxelles e per i costruttori sarà evitare una dipendenza strutturale dalla Cina, costruendo un ecosistema competitivo e sostenibile che sappia reggere l’urto della nuova fase della globalizzazione automobilistica.
Opportunità per l’automotive europeo
La scelta cinese di ridimensionare il ruolo strategico dei veicoli elettrici potrebbe aprire spazi inattesi per l’Europa. Se da un lato l’arrivo massiccio di modelli cinesi a basso costo rappresenta una minaccia, dall’altro la ritirata di Pechino dal sostegno prioritario ai NEV offre ai costruttori europei l’occasione di rafforzare la propria autonomia industriale.
Bruxelles potrebbe sfruttare questo momento per consolidare politiche di sostegno alla filiera locale, incentivando la produzione di batterie in Europa, accelerando la ricerca su tecnologie alternative (idrogeno, batterie allo stato solido, carburanti sintetici) e favorendo partnership intraeuropee. Inoltre, la crescente attenzione alla sostenibilità e alla qualità percepita del prodotto europeo potrebbe diventare un vantaggio competitivo distintivo rispetto a un’offerta cinese spesso focalizzata sul prezzo.Un altro aspetto positivo riguarda la possibilità di ridefinire la catena del valore: la dipendenza dalle materie prime e dai componenti cinesi resta elevata, ma la nuova fase potrebbe spingere l’Europa a diversificare fornitori, investire in riciclo e sviluppare un ecosistema più resiliente.
In questo scenario, i costruttori europei hanno l’opportunità di posizionarsi come leader non solo nella tecnologia, ma anche nella narrazione di un’auto “made in Europe” che unisce innovazione, sicurezza e identità culturale.
A questo punto mi sorgono spontanee tre domande fondamentali sulle quali mi farebbe piacere confrontarmi.

