La Lancia Rally 037 che si prepara alla Stagione 1983 sembra davvero, per i contemporanei, la trasposizione agonistica del “miracolo italiano” anni 80. Nessuna vettura da Rally poteva assomigliarle in quell’epoca, e tuttavia dentro quella “037” si confondeva il fascino lineare di una italiana, la razionalità eccellente e spartana delle tedesche, la fantasia eccentrica delle francesi, la classe prestigiosa e nobile delle inglesi. Ed infine la miniaturizzazione ipertecnologica che iniziava a rendere il Giappone una superpotenza automobilistica.
Lancia Rally 037 era fin dal suo esordio una World Car, una sorta di cartolina turistica del tempo da cui si mostravano le istantanee del meglio della tradizione motoristica internazionale.
E forse era proprio questo il senso della “037” così come si mostrò al mondo fin dal suo debutto globale, tra l’altro purtroppo funestato dall’incidente di Attilio Bettega al Tour de Corse 1982.
Da un lato la voglia di Chivasso di lanciare nell’ambiente la propria interpretazione ideale del nuovo Gruppo B estremizzandone le affinità con il vecchio Gruppo 5: in questo Lancia riesce ad essere in effetti la prima vera Gruppo B del nuovo sistema regolamentare in quel 1982 in cui intorno alla Lancia tutti gli altri Costruttori non avevano fatto altro che prorogare le vecchie Gruppo 4 o al massimo approfittare delle nuove parametrazioni peso/cubatura con cui le Gruppo B erano avvantaggiate rispetto alle originarie Gruppo 4, per “riomologare” nel nuovo Gruppo modelli aggiornati di dettaglio.
Per questo anche a livello pubblicitario e mediatico l’immagine della 037 è contemporaneamente l’immagine di tutto il Marchio Lancia: perché ne esalta i canoni e principi simbolici sul mercato.
Se Lancia è sinonimo di eleganza, 037 risalta per la sua immagine da prototipo sartoriale nobile; se la griglia anteriore del “family feeling” fatto da griglia e scudo sono ormai il must commerciale per identificare i modelli sul mercato, quel frontale cesellato dalla serie “Beta Coupè” mette in risalto la griglia copriradiatore e lo scudo Lancia come vessillo bene in vista; ma quello che a mio avviso è ancora più sorprendente nella – tutto sommato – breve vita agonistica della 037 (solo tre stagioni mondiali complete e due molto parziali, con l’ultimo Rally mondiale 1986 al Safari) è che riesce subito a far innamorare “lancisti” e non lancisti attraverso le sue linee da first lady contro una coreografia dove, sappiamo, svetta la figura da drago sputafuoco dell’Audi Quattro. In questo, un piccolo inciso: Renault 5 Turbo Gruppo 4/B e Lancia Rally 037 sono unite da un sottile filo che le unisce fin dalla nascita. Sono tra le poche architetture destinate ai Rally che rispondono più alle regole del Gruppo 5 che non del vecchio Gruppo 4. Cioè la capacità creativa di costruire una vettura totalmente nuova e estranea al concetto della berlina di serie da cui deriva il prototipo da Gara, rispettandone tuttavia l’elemento cruciale di identità simbolica e commerciale: la cellula abitacolo e la linea frontale di affinità con i valori del Marchio. Intorno a questi due elementi traccianti tutto viene stravolto. Ma se nella “037” del 1982 il prodotto finale è di sicuro definito per affinità con le nuove regole del Gruppo B, che univa i vecchi Gruppi 3,4,5 e di cui Lancia “acchiappa” tutto quel che si può spendere del Gruppo 5, nella Renault 5 Turbo il concetto sublimato da Marcello Gandini non era così alla portata, e definisce in modo ulteriore il genio del nostro Designer. Sviluppare e trasformare la base della Alpine 5 ricevuta dalla Renault stravolgendola fino a quel punto creando – simbolicamente – la prima Gruppo 5 tradotta in Gruppo 4 per i Rally è stato un lavoro che solo lui avrebbe potuto fare regalando a Renault, dopo la serie “Gordini” e le Alpine il doppio traguardo di una identità propria in ambito rally internazionali e di profeta del Turbo (….dopo la Saab) nei Rally.
Fatto questo inciso, per dovere di passione sportiva, chi ha vissuto la Rally 037 nella sua contemporaneità si ricorda che – come per la Stratos – esistevano due dimensioni di queste berlinette straordinarie:
-La dimensione “reale” o statica, nella quale se Vi capita di imbatterVi ancora oggi credo avrete le stesse suggestioni di allora: sia la Stratos che la “037” dal vivo tradiscono tutte le percezioni o impressioni di impatto che si possono derivare dalle immagini o dai Video; questo perché sono straordinariamente minute, ridotte, tascabili. Sembra incredibile che nel loro involucro possano contenere motore/cambio/serbatoi e persino l’abitacolo per due persone;
-la dimensione fotografica e televisiva dove al contrario questi due mostri da Gara sembrano sempre due giganti dell’asfalto o dello sterrato per via di quelle traiettorie in controsterzo e delle nuvole di polvere sollevate.
Lancia Rally 037: la prima vincente, fotogenica ed antropomorfa
A differenza della “Stratos” tuttavia, la “037” aveva quel qualcosa di “antropomorfo” che alla Stratos mancava: chiariamo, non che la Stratos non fosse mozzafiato e onirica. Ma se provate a chiudere e gli occhi e ricostruire mentalmente la Stratos io credo che anche a Voi come a me si pone in primo piano tutta la vettura, in qualunque sua vista.
La magia di Gandini talmente straordinaria, da aver reso la Stratos HF come un monolite proveniente dallo spazio, porta alla memoria selettiva dell’osservatore tutto l’insieme strutturale dell’auto quasi fosse un corpo unico indivisibile.
Invece, provate a fare altrettanto con la “037” e prima di arrivare al “volume finale” complessivo la vostra memoria verrà facilmente intrappolata in una coppia di fari anteriore, o nello spoiler posteriore, o nello scudo frontale, o altro. Insomma, in questo si può identificare la teoria dell’”antropomorfismo” della 037 che ha affascinato tanti.
Certo, dalla sua la piccola Lancia aveva una linea che sembrava senza tempo.
Ed in parte era vero. Se comprendiamo la catena evolutiva più estesa della genesi della 037 a partire dal famoso protocollo di progetto “X1/8” assegnato dalla Fiat a Pininfarina per una berlinetta a motore posteriore centrale, la trama era partita dal 1969.
Per poi approdare al progetto Pininfarina Abarth “SE030” iscritto al Giro d’Italia automobilistico del 1974. Ovviamente tutto approda nella Lancia Beta Montecarlo del 1975 ed alla sua estensione Montecarlo Turbo Gruppo 5 avviata come progetto nel 1977.
A quel punto Pininfarina ed Abarth, nuovamente, ripartono dalla cellula abitacolo centrale della Beta Montecarlo scelta però in allestimento “Targa” ovvero “Spider” con tettuccio superiore asportabile.
Sembra un aspetto puramente marginale ma dimostra l’attenzione che fin dai minimi particolari si vuole dare in Lancia alla cura generale di estetica, ergonomia, aerodinamica e volumetria generale.
Il tettuccio viene sagomato a mo’ degli stilemi Zagato del “Dual Bubbles” per garantire alla testa del pilota sormontata dal casco di avere spazio in altezza per muoversi e non battere sul tetto anche in fase di salto su dossi, buche, etc…
Ma l’attenzione alla dimensione “comfort” si individua anche per particolari come il mini “snorkel” posto alla sommita’ centrale del vetro anteriore e dedicato alla aerazione e ventilazione dell’abitacolo.
Ma la cellula centrale (con parabrezza e montanti) è effettivamente della Beta Montecarlo, incastonata all’interno da una gabbia in tubolare e davanti e dietro alla quale partono due tralicci che sostengono davanti anche attacchi ed ammortizzatori dei bracci di sospensione; e che dietro racchiudono motore e cambio.
Siamo dunque così arrivati al famoso progetto “SE 030”, progetto congiunto tra Fiat, Abarth e Pininfarina con la Dallara incaricata di costruire il prototipo nel settembre del 1980, poco dopo che il progetto aveva ricevuto il via libera dai vertici di Torino, con la finalità di studiare anzitempo la possibile sostituta della “131 Abarth”. Dallara disponeva già delle attrezzature utilizzate per costruire la Beta Montecarlo Turbo Gruppo 5 e tra l’altro il motore era già stato previsto come dotato del sistema di iniezione meccanica Kugelfischer e del compressore volumetrico Abarth tipo Roots.
Altra peculiarità chiesta da subito, motore longitudinale in modo che le lunghe sospensioni a quadrilatero avessero spazio a sufficienza e il cambio fosse facilmente accessibile e sostituibilein appena 12 minuti; e poi lubrificazione a carter secco, appositamente progettata da Abarth per garantire una pressione dell’olio costante in tutte le condizioni, e per consentire il montaggio del motore notevolmente più in basso nel telaio, migliorando così il baricentro.
Una cura del genere fin dal prototipo del 1980 poteva trovare solo un accurato lavoro di affinamento aerodinamico e formale per passare dal prototipo SE037 al layout finale della Lancia Rally 037 presentata nel 1982 al Salone dell’Automobile di Torino: la collaborazione tra il marchio Lancia, la celebre casa di design Pininfarina, il costruttore di telai Dallara e il preparatore Abarth porta alla luce una vettura da rally straordinaria. Ancora oggi, questa vettura evoca ricordi indelebili nei piloti che l’hanno domata e nei tanti appassionati che affollavano i bordi delle strade del Rally di Sanremo.
Il 7 ottobre 1983, esattamente 40 anni fa, la Lancia Rally 037 conquista il titolo mondiale costruttori.Tra i piloti che contribuiscono a questo straordinario successo vi sono leggende come Markku Alén, Walter Röhrl, Attilio Bettega e un giovane Miki Biasion. Ma soprattutto c’è il gigante organizzativo di HF e di Cesare Fiorio. E per questo, spero che il mio ricordo della epopea 037 faccia risaltare degli elementi che ripristinino la realtà delle cose ben oltre un film che ho criticato fin dal suo preannuncio di lavorazione in fieri. Parlo ovviamente del film di Scamarcio sulla famigerata sfida Lancia / Audi, in cui il marchio di Chivasso viene dipinto come un piccolo e gracile “Davide” contro il titanico ed invincibile Golia di Ingolstadt, la Audi.
Posto che, dicendo in piena legittimità di dirlo, ritengo Scamarcio uno scarsissimo professionista cinematografico ed attore sia davanti che dietro alla macchina da presa;
premesso che il delitto di lesa Maestà alla Stagione di Rally 1983 è stata nel voler riprodurre tutto in scatola di montaggio con scenari finti, paesaggi ricostruiti, auto di cartapesta e tanto di Stuntman per replicare una delle Stagioni più testimoniate ancora oggi da milioni di foto e video tra Web, Archivi e repertori pubblici;
posto che il valore storico e simbolico di quella Stagione rallystica 1983 è (ma si tratta di una mia opinione) molto inferiore ad esempio alla Stagione precedente dove per un soffio avrebbe potuto vincere il Titolo Piloti Michelle Mouton, con tutto il corredo di simbologia e didascalia possibile…
Riccardo Scamarcio a ripetizioni di Motorsport?
Detto tutto questo, dipingere il confronto tra “quella” Lancia del 1983 con quella Audi 1983 come il duello tra Davide e Golia, “RI-dimensionando” tutto al livello in cui oggi si trovano anche nel confronto tra loro i due marchi mi sembra sintomo di analfabetismo sportivo sul settore specifico del Motorsport e di pressapochismo, degno di chi non si è neppure degnato di fare un po’ di ricerca storica. Partiamo dal principio: nel 1983 che iniziava, sapete quante Stagioni mondiali aveva già svolto l’Audi (inteso come Team)? Solo due. Sapete quante Stagioni “mondiali/Internazionali” aveva sulle spalle il Team Lancia HF (lasciando perdere le presenze del Campionato Europeo)?
Nove Stagioni dal 1970 fino al 1979. E lo Staff “HF” in aggiunta aveva comunque anche assistito la Squadra Fiat nel periodo di staffetta” tra Lancia e Mirafiori. Inutile anche solo puntualizzare i Titoli variamente vinti fino al 1983 da Chivasso contro gli allori di Ingostaldt conseguiti fino allo stesso anno. Se parliamo di numeri assoluti, le cifre sono chiare e reperibili sul Web: Ingolstadt produceva fino al 1982 al massimo 50.000 auto e Chivasso (Lancia) oltre tre volte tanto.
Le Squadre? Neppure a confrontarle. Ottimo Staff in Audi, ma la Lancia era nella peggiore delle ipotesi quella che aveva portato al trionfo Fulvia, Stratos e persino in parte la 131 Abarth.
Da tutto questo, anche, parte la grande impresa (tale resta, ci mancherebbe) del pieno Titolo mondiale Costruttori e di quello che sarebbe potuto essere il Titolo Mondiale Piloti nel 1983.
Il resto, senza dubbio, parte anche da una fragilità endemica che la “Quattro” patì fin proprio alla soglia di quella Stagione, senza dimenticare che la tecnica della “037” non era certo pizza e fichi.
E non per sminuire, ma sapete contro chi si dovette battere la Squadra Lancia nel 1983 oltre che contro l’Audi? Contro la Opel che stava surrogando la Opel Ascona Gruppo 4/B con la Manta Gruppo B; contro la Renault che riproponeva in Gruppo B la “5 Turbo”, contro la Nissan che fece debuttare una classicissima e troppo ingombrante “240 S”, oppure contro Toyota/Subaru/Mitsubishi a presenza parziale nella Stagione? Oppure con la assenza “pesante” di Ford, che sarebbe tornata l’anno dopo, e della Peugeot che fino a buona parte di quel 1983 era stata tenuta lontana dallo sviluppo della “205 Turbo 16”?
La Lancia Rally 037 non fu mai un Davide contro un presunto Golia nel 1983, ma certo dalla Stagione successiva si trovò davvero circondata. La mancanza della trazione integrale e di una motorizzazione adatta a girare sui 400 cavalli almeno avrebbe tagliato parecchio le gambe alla principessa snella e piccante vestita Martini. E sarebbe stato tempo di cambiare, certo.
Ma definire la “037” pregiudizialmente svantaggiata rispetto all’Audi in quel 1983 è stata davvero una barzelletta che spero in questo mio racconto di aver superato.
Riccardo Bellumori