Sergio Marchionne cosa c’azzecca con questa Italia?

La storia è sempre ingiusta con i paralleli e con i paragoni. Ma ci azzecca sempre con i corsi e ricorsi. Dopo la Fiat di Ghidella, entrato in crescendo nel 1978 dentro Fiat Auto per poi diventarne A.D. e proseguire con una carriera straordinaria in dieci anni, si era materializzato per Corso Marconi un quindicennio davvero plumbeo: si era iniziato con la guerra dei lunghi coltelli tra Vittorio e Cesare Romiti. 

A scatenare le dimissioni di Ghidella fu l’indagine interna promossa da Romiti sui Fornitori della Fiat con la “scusante” delle verifiche e del miglioramento di performances dei processi di Qualità Totale, per arrivare alla ipotesi (totalmente smentita e destituita di fondamento) che Ghidella“favorisse” alcuni fornitori rispetto ad altri per mera questione di rapporto personale. 

Questo in sintesi il “vulnus”. In verità alla data dell’inchiesta di Romiti l’ingegner Ghidella era davvero l’uomo più significativo e strategico del Gruppo di Torino, anche se ovviamente non era il più potente. Ghidella stava marciando a gran passo verso la realizzazione di un obbiettivo o, se volete, di un miraggio: fondere Fiat e Ford Europa per creare il colosso continentale e probabilmente la risorsa che avrebbe portato la Galassia dell’Ovale ad essere il primo Gruppo mondiale scavalcando l’allora Leader General Motors. Chiaro, parliamo di 35 anni fa, quando per dominare le classifiche “bastava” produrre quattro milioni di vetture ogni anno.

Romiti, dicono i maligni, ammonì Gianni Agnelli del pericolo di “svuotamento” strategico di Corso Marconi rispetto alla possibile sudditanza strategica di Detroit. Stranamente le solite “pippe” nazionaliste sul treno economico in piena corsa e sulla quinta potenza mondiale all’epoca non valevano più un tubo, visto che nessuno fece notare all’ex Kaiser romano che la Fiat gestita da Ghidellaera diventata primo Gruppo mondiale contro però un fenomeno in pieno progresso come Volkswagen che aveva cominciato a mordere la distanza con Torino.

La Fiat ereditata da Marchionne: dalle stelle alla palude  del “De-Motive” di Romiti

E senza contare che mentre Ford era all’epoca un raggruppamento davvero di “Commodity” di buon pregio (prima del 1989 in casa Ford l’unico “Brand” di lusso era la Lincoln, mentre Mercury e Ford stessa erano marchi generalisti) e che solo dopo il 1989 entra in casa la Jaguar (Aston Martin, Volvo e Land Rover aspetteranno ancora parecchio) ed inizia una sorta di “rally” commerciale della nuova Fiesta che davvero in Europa è best seller; mentre la Fiat che Ghidella avrebbe portato in dote probabilmente avrebbe preso la cosiddetta paga rispetto alla capacità costruttiva di Ford sulla Gamma generalista, ma avrebbe avuto il ruolo mediatico dominante che derivava dal possedere dentro la pancia nomi come Abarth, Alfa Romeo, Ferrari, Lancia, Maserati senza dimenticare tutto l’indotto gigantesco che Fiat e Ford avrebbero messo insieme sui mezzi pesanti, da Cantiere e per Agricoltura. 

Comunque, stoppata l’operazione Fiat/Ford (visto che annusata l’aria il povero Ghidella fece le valigie prima ancora che l’inchiesta interna sui Fornitori avviata da Romiti gli desse pienamente ragione) l’Ingegnere piemontese passò proprio in veste di consulente alla Ford dal 1989. Andate a vedere i risultati commerciali di quella Ford nel periodo di consulenza di un uomo (Ghidella) che amava dire che le auto non bastava saperle progettare ma occorreva saperle amare e conoscere.

La differenza strategica, tecnica e culturale, in tema di auto, tra Romiti e Ghidella è sempre stata la stessa che potrei avere io sul Cricket rispetto ad un appassionato e tifoso seguace storico di questo Sport. Romiti voleva senza mezzi termini far uscire la Fiat dall’Automotive oppure far uscire la famiglia Agnelli dalla Fiat. Devo ancora capire.

Spero sia compresa la metafora: Romiti era uomo di alta Finanza, ospite e rappresentante del salotto buono di Mediobanca, potentissimo tessitore politico e – direi – appassionato collezionista di redazioni di Giornali, vista l’attenzione che dava alle partecipazioni nel controllo della Stampa nazionale. Ma dell’auto gli interessavano solo i sedili posteriori quando il suo Autista lo scortava con l’auto presidenziale. Con Romiti la Fiat si diletta di shopping alimentare ed assicurativo nei primi anni Novanta. Mentre la sberla che la Continental appioppa alla Pirelli, nella controscalata ostile al Marchio milanese per eccellenza, inizia a far capire che il vento è cambiato. Milano da bere finirà presto bevuta dalle inchieste di Tangentopoli. E Fiat, con la sua dirigenza, putroppo sarà spesso inquadrata dalle telecamere dei Palazzi di Giustizia. Ecco il vero “gap” di Romiti: non aver capito che intorno a Fiat andava ricostruito un orgoglio nazionale. Con lo shopping eterogeneo su alimentare, GDO ed Insurance; e la ricerca inutile della Qualità Totale Fiat finisce per essere superata commercialmente non solo dal colosso Volkswagen ma anche da “Outsiders” come Ford Europa, Renault e PSA.

Ma sul lato tecnico era ovviamente la percentuale conoscitiva e pratica dell’Ingegner Ghidella ad aver fatto “fiutare” l’aria che Cesarone non sapeva fiutare, perchè rispetto a Romiti Ghidella si dimostrò capacissimo di intellegere le cose della politica e della Società quando nel 1980 fu tra i promotori di una delle più importanti e simboliche azioni di controprotestaoperaia in tutta Europa: la famosa marcia dei Quarantamila.

Ghidella “azzecca” ed infila per il Gruppo Fiat tutta la serie di risultati aziendali, commerciali e sportivi che fanno di Fiat il fenomeno del decennio: evoluzione tecnologica, branding, progresso qualitativo e di aftersales, e soprattutto il trascinamento che lo sport portava sul mercato 

Insomma, per tornare alla narrazione, quando Ghidella esce di scena da Fiat, lascia a Romiti il primo Gruppo europeo, proprietario di ben nove Marchi e titolare della maggioranza simbolica del mercato del prestigio a quattro ruote con ben quattro Marchi Premium “ante litteram” (Alfa Romeo, Autobianchi, Lancia, Maserati), un pedigree sportivo di primato assoluto (con Lancia, Autobianchi, Abarth e Ferrari) una Griffe sportiva delle sole quattro che l’Europa poteva esprimere in quel periodo (Abarth aveva sul mercato la sola corrispondenza di MG, Cooper, AMG, Gordini) ed infine un Marchio di prestigio assoluto come Ferrari a cui si potevano contrapporre all’epoca solo tre realtà consolidate (Lamborghini, Porsche, Aston Martin) dentro una Galassia dove i competitor apparivano alla stessa velocità con cui scomparivano….

Detto questo, se Fiat era – da buon Marchio generalista – esposto alla variabilità di un mercato dove bastava che un concorrente azzeccasse in un intervallo temporale specifico uno o due modelli (e basta l’esperienza di Ford con Fiesta e Sierra, di Peugeot con 205  o di Opel tra fine anni Ottanta ed inizio anni Novanta) per prendere un + 5% sulla concorrenza; da parte di Ghidella la Fiat anni Novanta ereditava l’ottimo andamento di Lancia, la crescita di Alfa Romeo, lo status di Ferrari; e, certo, c’era da sistemare la posizione un poco complessa di ben tre marchi generalisti tra loro “quasi” concorrenti nella gamma popolare (soprattutto tra Innocenti e Fiat, visto che Autobianchi si era già deciso di farla confluire in Lancia dal 1987) oltre a saper gestire la ripresa di Maserati. Se volete che io Vi lasci alle cifre, guardate le performances europee di Fiat in Europa (ed in Italia prima degli incentivi rottamazione di Bersani) da quando è passata nelle mani di Romiti, Cantarella e Fresco, per capire di cosa stiamo parlando.

 

 

La Fiat che Ghidella porta in cima al mondo frana negli anni Novanta: i motivi?

E se qualcuno di Voi mi segnalasse che la Fiat di Romiti non aveva più il privilegio della iniezione di soldi pubblici della Cassa integrazione e neppure il muro rassicurante delle dogane e dei Dazi, a lui ricorderei che a Romiti era stata risparmiata negli anni Novanta, almeno, la piaga dei disordini sociali, della seconda crisi energetica di fine anni Settanta, il Terrorismo ed i sabotaggi e gli scioperi selvaggi degli anni di Ghidella. Senza contare che dal 1985 – dopo l’accordo del Plaza – la svalutazione competitiva della Lira era a favore di Ghidella molto meno evidente di quella che – ahimè – pure ci toccò con l’attacco speculativo allo SME. 

Quei quindici anni che passano dall’addio di Ghidellaall’arrivo di Sergio Marchionne al timone della Fiat sono anni di piena recessione per il Gruppo di Torino. Si chiudono Desio e Lambrate, si porta Lancia a risultati omepaticirispetto alle glorie di Thema, Delta e delle stagioni vincenti nello Sport, si rilancia Alfa Romeo usando a tutto spiano le piattaforme “turistiche” di Mirafiori. Il “cuore sportivo” del Biscione mette su pancetta, insomma. A livello internazionale ovviamente pesa sul nuovo management di Fiat la fine dell’ex URSS: le licenze con Lada, e con altre controllate nell’Europa dell’Est saltano come era saltata anni prima la licenza di Seat che il Governo spagnolo aveva liquidato a Fiat all’atto della completa nazionalizzazione del Marchio per la successiva cessione alla Volkswagen. Senza contare la fesseria della cessione dei diritti sul Common Rail.

A livello interno, al contrario, è giusto dire che la Fiat che si trova davanti Ghidella è una sorta di mitologico ircocervo: deriva dalla gloria sportiva di Lancia, Fiat e Ferrari negli anni Settanta. Ma dagli anni Settanta si porta dietro anche la peste della corrosione passante, delle lavorazioni a casaccio, del pregiudizio su qualità ed affidabilità.

Ma il vantaggio della Fiat, dal 1979, è in due condizioni particolarmente redditizie per il Gruppo di Corso Marconi: da un lato la frana dell’industria britannica, che dal 1980 alla fine del decennio produce in media un milione di vetture all’anno; e questo – checchè se ne dica – capitava ancora all’epoca in quello che era il terzo mercato europeo negli anni Settanta; la seconda forza che derivava alla Fiat dall’Italia era il progressivo consolidamento dell’Italia regina dello stile e del “fashion”; cosa che, nell’esplosione dei Mass Media e della fotografia, ha avuto il suo effetto.

Certamente, Ghidella è stato capace di intercettare ed organizzare perfettamente la targettizzazione di un Gruppo che lui stesso ha favorito nella crescita, nella espansione e nella internazionalizzazione: pensate alla capacità di articolare una Gamma che all’arrivo di Vittorio a Torino partiva dalla “Fiat 126”(Prima Serie e nuova serie “Steyr” con il motore a sogliola) per passare, in ordine, alla: “Autobianchi A112” (particolare, le due minicar di Mirafiori e Desio non condividevano nulla) sostituita dalla “Y10”; alla “127” e “Uno”; alla “Ritmo” dal cui pianale “Tipo 138” sono nate “Regata”, “Lancia Delta” e “Prisma”; per poi sostituire la “Ritmo” con la “Tipo” (da cui deriveranno Tempra e Lancia Dedra); per completare in alto di Gamma con “Lancia Thema” e Fiat “Croma” dal cui pianale “Tipo 4” derivano anche Saab 9000 e Alfa 164. Accennando ovviamente alla interazione che Fiat e Ghidella (per ovvia interazione di Gruppo) hanno fornito al Cavallino di Maranello per “Mondial”, “208 Turbo” (la prima stradale della Ferrari con il Turbo) oltre a “288 GTO”, “Testarossa”, ed infine “F40”; rimangono impressionanti le derivazioni in senso orizzontale che amplificano ciascun modello di Gamma nel corso della gestione di Ghidella in una estensione di allestimenti e versioni che né Fiat né Lancia avevano mai avuto nella loro storia; passando dalla “Y10 Turbo” fino alla “ThemaFerrari”, con in mezzo la grande intuizione del motore “F.I.R.E.” e l’ampliamento della gamma a Gasolio.

Perché, Voi Vi chiederete, continuo a parlare di Vittorio Ghidella? Per avviare il ragionamento ed il ricordo dell’Italia e della Fiat negli anni Novanta, del Gruppo che passa da Ghidella al nuovo filone governativo e di controllo; come è stato possibile in meno di un quindicennio far sprofondare il Gruppo Fiat nel buio di un decennio in cui si è perso il prestigio del “Branding” con il quale invece crescevano i Marchi tedeschi e francesi? Come e perché è stato possibile cedere ai tedeschi il brevetto di quel Common Rail che avrebbe dominato il mercato auto europeo? Come si è potuto relegare Lancia ed Alfa a ranghi e volumi commerciali da Marchi di Serie B? Semplice, perché la Fiat di Romiti/Cantarella/Fresco non ha saputo gestire un aspetto che aveva “graziato” la Fiat dal Dopoguerra fino ad allora: l’internazionalizzazione e l’arrivo in Europa ed Italia di concorrenza giapponese, coreana, internazionale. Mentre in generale Fiat continua a proporre auto decisamente più qualitative del decennio precedente (questo va pure ammesso) ma destinate al profilo del Cliente nazionale; in pieno controsenso rispetto a tutti gli altri Costruttori concorrenti esteri che al contrario disegnano ed immaginano le proprie nuove Gamme per il mercato internazionale. 

Ed infatti una delle topiche della Fiat di Cantarella e Fresco è l’essere stata una delle ultime Case Costruttrici europee ad entrare in Cina, con una JV nel 1999 con Nanjing . Infatti nel primo “boom” di mercato cinese del 2002, VW vende già 500.000 veicoli mentre la Fiat vende soltanto 22.000 unità tra Palio e Siena. Vero è che all’epoca Fiat aveva molto più interesse al Sudamerica, con lo Stabilimento di Betim aperto nel 1976 e la ricerca sull’Etanolo. Nel decennio Novanta Fiat arriva a vendere quasi quattro milioni di unità, e non è un risultato da poco in Brasile. Certo, pensare che l’emblema della globalizzazione di Fiat negli anni Novanta sia stata la “Tipo 178” (Palio) fa abbastanza senso. Anche perché persino “quella” Fiat (quella che con Romiti aveva fatto guerra a Ghidella per il programma di fusione con Ford) si presenta al citofono di un Gruppo americano: la General Motors. 

Solo che a differenza della Fiat di Ghidella che nel 1989 avrebbe trattato da leader europea, la Fiat del povero Paolo Fresco e del ben più deficitario Paolo Cantarella (A.D. del Gruppo dal 1990 al 2002: l’uomo nel suo Curriculum in Rete scrive di aver dato grande impulso allo sviluppo internazionale con nuovi insediamenti in Cina – Fiat buona ultima in questo tra le Case europee – in India – auguri – ma che dovrebbe aggiungere di essere stato l’uomo che invece che dare impulso alla “Lucciola” da cui nacque la best seller “Daewoo Matiz” si è reso protagonista del grande colpo di mercato della Multipla…..); i due, insomma (Cantarella & Fresco) concordano con General Motors uno scambio azionario “alla pari” (GM prese il 20% di Fiat al controvalore di solo il 5,1% del capitale azionario degli americani scambiato verso Corso Marconi) per una alleanza legata a poche architetture tecniche e commerciali.

Quel carezzevole cappio di General Motors su Fiat che Marchionne tagliò come Alessandro Magno

Nelle sue memorie raccolte in diverse interviste pubbliche sul Web (tra cui una intervista al Corriere della Sera di Pier Luigi Vercesi) Paolo Fresco ci dice cose che, venti anni dopo, sono fondamentali:

​-Il rapporto tra Fresco e Cantarella era critico, con Cantarella che sembrava voler isolare Fresco nei suoi ruoli dal resto dell’Azienda;

-Fresco propose a Gianni Agnelli di vendere Fiat, e l’Avvocato rispose che avrebbe potuto (o dovuto?) farlo dopo la sua morte. A quel punto, dopo un tentativo di accordo con Daimler (che poi diede vita alla Joint con Chrysler) arrivò l’opzione di General Motors con l’accordo del Marzo 2000: quota di controllo del 20% immutabile fino al 2009 per poi facoltà di esercizio del diritto di acquisto del restante 80% di Fiat Auto. 

Ecco, non c’è prospettiva migliore di questa per partire a ricordare l’opera titanica di Sergio Marchionne dal 2003 al 2018. Sergio si trovò di fronte una Fiat in prospettiva di acquisto da parte del Primo Gruppo americano ed all’epoca ancora il terzo al mondo dopo Volkswagen e Toyota nel confronto con un Gruppo Fiat che si trovava molto dietro. 

In base all’accordo Fiat non poteva modificare la sua quota dell’ 80% per il primo anno di validità dell’accordo, mentre Gm non poteva modificare il suo 20% per nove anni. Nel frattempo il CdA Fiat del 10 Dicembre 2001 (il primo dopo le Torri Gemelle, si guardino i Verbali pubblicati) prevede nel biennio 2002/2004 un piano di rilancio per tagliare 35 miliardi di Euro di debiti e una posizione finanziaria netta negativa per 7,5 miliardi. E a chi rinfaccia a Marchionne la mano pesante su tagli e cessioni, basterebbe rileggere gli stessi verbali che indicano chiaramente l’obbiettivo di cessione di Magneti Marelli, Teksid con la chiusura di 18 impianti ed un taglio di seimila addetti nelle controllate estere, e poi lo scioglimento dell’accordo con GM del 2005.

Per poter sciogliere l’accordo che avrebbe probabilmente portato General Motors, nel 2009, a rendersi inadempiente per effetto della quasi bancarotta che avrebbe costretto Detroit a rifiutare l’eventuale invito di Fiat all’acquisto (ma quel che accadde con il Crack Lehman era ovviamente imprevedibile) il buon Sergio giocò una carta da esperto pokerista: nel 2004 invitò GM a formalizzare una offerta per l’acquisto di Fiat che, a causa del debito e delle performances di Corso Marconi era decisamente a buon mercato. Ma GM rimanò al mittente la proposta. 

Marchionne a questo punto si spinse a giocare d’azzardo. Invocando il diritto di pretendere l’esercizio dell’opzione obbligatoria da parte degli americani, propose al contrario una azione di recesso bilaterale con un accordo per il riacquisto da parte di Fiat del 20% del pacchetto azionario detenuto da GM; ad un patto molto furbo: il versamento di 2 miliardi di Euro a favore di Fiat. GM accettò suo malgrado e così Marchionne sciolse l’accordo e poi si dedicò all’acquisto a prezzo di favore di Chrysler. Storia questa più nota. 

Avete capito il trait d’union tra Ghidella e Marchionne, cioè due uomini diversissimi tra loro? La capacità di disegnare e realizzare quel che ancora non c’è e metterlo in pratica. 

 

Ecco l’uomo che ha restituito un volto ed una individualità ad un Marchio auto, nel momento in cui questo stesso non fu più riconoscibile. Ecco perché dopo il buco di quindici anni di Romiti e Cantarella arriva con Marchionne una idea di Fiat che torni grande nell’Automotive.

Un nuovo Iacocca? Beh, negli anni ’70, la Chrysler, rischiava il tracollo e Iacocca riusci’ sapientemente a tenere in piedi conservandola a ridosso degli altri due colossi USA, GM e Ford.

Lee come Sergio : Un uomo solo contro tutti

La capacità di Iacocca fu quella di saper rappresentare la Chrysler sostituendone il “Marchio” con la sua faccia da Capitano di Industria vincente. E nei primi anni del nuovo Millennio chi ricordate più spesso come nomi nell’Automotive? Ve li ricordo io: Elon Musk, AdnanMahindra, Ratan Tata e Sergio Marchionne.

Se per Iacocca il problema principale era la crisi energetica e la fine di un modello costruttivo americano globale, il vero nemico di Marchionne fu il “NON Brand” FIAT a confronto con i rampanti Brands tedeschi. Per questo fu Marchionne a diventare il Brand di Fiat.

Quello che va bene alla Fiat, va bene all’Italia

Marchionne, che ha ripreso il filo perso da Fiat dall’inizio degli Anni ’90 (quando l’Italia dell’auto ha perso alcuni treni decisivi) ed ha fatto “annusare” di nuovo a Corso Marconiuna leadership simbolica che recuperava quella persa contro Volkswagen e persino Renault sul mercato europeo; FCA è diventata un Gruppo internazionale ed è cresciuta mentreparadossalmente il mondo Auto arretrava a causa dello shock finanziario americano, superando il gap di mercato e di immagine che la gestione cantarellian-romitiana aveva generato proprio nel periodo in cui sul mercato, mediaticamente, vinceva il concetto di “corporate” e di “Branding”.

 

“Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”, diceva Gianni Agnelli. Peccato che questo detto fosse interpretato benissimo da Vittorio Ghidella e molto meno bene dal Gruppo dirigente che aveva fatto gran parte di quel che nel decennio degli anni Novanta taglierà ben bene le palle proprio a Fiat ed all’Italia. Lo dimostra, guarda caso, il sorpasso che in Europa ed in casa la Fiat aveva subìto persino dalle cenerentole coreane.

In pratica, dei pilastri Fiat, IRI, De Tomaso e Piaggio ne era rimasto solo uno. Casa FIAT. E con la morte di Gianni Agnelli nel 2003 la Fiat ha cristallizzato una “spersonalizzazione” che alla fine incise su tutta l’immagine del “Made in Italy” automobilistico. E a tutto questo Marchionne ha rimediato in primo luogo divenendo lui stesso, per primo, un “Brand” : Sergio Marchionne ha di fatto – come Iacocca – “impersonificato” il Gruppo di cui era a capo.

Sergio. Un uomo solo al comando. Come Lee Iacocca.

Con il suo maglione, il suo modo schietto e molto “popolare” ed i suoi modi taglienti con la sua alternatività, Marchionne è uno dei pochissimi uomini la cui notorietà è ricordata superando a volte quella del brand Auto di cui sono divenuti la guida.

Nel 2004 Marchionne viene nominato AD del Gruppo Fiat. Da allora ha collezionato Cariche ed incarichi per traghettare una delle realtà industriali europee più radicate in una immagine nazionale e familiare verso un modello di “brand” internazionale, globale e moderno. Ha trovato davanti a sé politici inetti che lo hanno deriso o criticato su scelte sulle quali l’Italia, nel vero senso della parola, ha “campato”. Ha trovato sindacati che si sono comportati con lui come se fossimo negli anni Settanta. Ha trovato parte della Stampa schierata pregiudizialmente contro. Perché?

Non vorrei accennare a cose che su tutti i Media stranieri si trovano in quantità, riguardo alla acquisizione di Chrysler ed alla nascita del nuovo Gruppo FCA: una narrazione lusinghiera, altro che qui da noi. Ma soprattutto Marchionne ha “intitolato” con la sua persona una nuova era di relazioni industriali e di Gestione di Azienda in Italia. Le sue “entrate a gamba tesa” nei commenti politici e nel confronto duro con il sindacato, oppure nelle parentesi polemiche con altri Big del Made in Italy, si legano alla storia dell’uomo uscito meno peggio di altri dalla crisi globale del 2007, e che nello stesso tempo ha sdoganato i concetti e le modalità un po’ criptate e paludate tipici del mondo Auto arrivando dove sembrava impossibile : cavalcare la filosofia del branding e della qualità totale e superare dei “gap” tra FIAT e la concorrenza che pochi pensavano potesse essere recuperato solo 10 anni fa senza cavalcare concetti un poco farlocchi (auto elettriche in primis) che invece hanno riempito la bocca di molti altri C.E.O.

In tutto questo, rimane un solo piccolo cruccio per i sentimentali come me. Che nella sua azione di rinnovamento Marchionne non sia riuscito a riportare in auge un Marchio storico come la Lancia. Difficile che, senza di lui, qualcun altro ci possa ormai riuscire. Ma in questo suo essere perfettamente adatto al suo ruolo, combattendo più in casa che fuori, la mia domanda rimane: cosa ci faceva e come ci è capitato Sergio Marchionne in questa strana forma di Italia che l’attualità ci consegna?

Riccardo Bellumori

RELATED ARTICLES

LEGGI ANCHE