Era il 23 Gennaio 1989: un anziano uomo di affari, che nella Corea del Sud aveva praticamente compiuto ogni impresa degna di menzione in ogni settore industriale ed economico, attraversa il confine con la Corea del Nord. E’ sicuramente un idealista, alla luce dei rapporti che intercorrono tra le due Coree;
ma prima ancora di Tien an Men e della caduta del Muro di Berlino quell’uomo confida nella possibilità che le barriere una volta o l’altra possono cedere. E’ il primo Businessman del Sud Corea ad attrersare il confine con il Nord per parlare di affari
E lui vuole impegnarsi in un epocale intento di scambio e di apertura di nuove relazioni industriali con quella che un tempo fu la sua terra di origine. Torna a Seul con la promessa di trasformare Kumgang San (la Montagna di diamante” in un resort.
Quasi dieci anni dopo, quell’uomo ha 83 anni. Parte da Seul ed attraversa di nuovo il confine Militare che divide Nord da Sud. Ma stavolta, a Giugno del 1998, l’uomo porta con sé 500 mucche. Sarà il primo imprenditore privato della Corea del Sud a parlare con il Presidente Kim Jong Il, ma con quel gesto per di più si “affranca” da quel che aveva fatto circa 65 anni prima. Perché all’epoca, per fuggire a Seul in cerca di fortuna, aveva preso con sé una delle tre mucche di suo padre.
Non era un furto, ma una scelta per sopravvivere fuori da quel contesto che non gli prometteva nulla.
Nel viaggio quella mucca gli avrebbe dato ristoro e compagnia, ed una volta a Seul in caso di necessità l’avrebbe venduta.
Quel suo attraversamento simbolico a Nord voleva rendere alla sua terra di origine quel che lui aveva trafugato, ma con gli “interessi legali”. Ed ecco il perché di 500 mucche contro l’originaria singola; ma anche la metafora dell’evoluzione positiva.
Se quella mucca non ci fosse stata, sessantacinque anni prima, l’uomo non avrebbe fatto la fortuna che gli stava permettendo quel giorno di rendere 500 mucche contro una sola. Quell’uomo, realizzato forse l’ultimo punto fondamentale nella sua agenda, si spense poco dopo. Era il 2001 e il suo nome era diventato famoso in ogni angolo del mondo.
Potrebbe sembrare una di quelle favole e leggende del mondo asiatico di cui noi occidentali fatichiamo a capire la morale e l’insegnamento, ma è una vicenda reale accaduta a colui che in Corea è a sua volta è diventato una leggenda vivente al pari di Soichiro Honda in Giappone, o del nostro Enzo Ferrari.
Quell’uomo è Ju-Yung Chung – Fondatore e Chairman di Hyundai, parola che in lingua coreana significa “Tempo moderno”.
Nato esattamente 110 anni fa da una famiglia di poveri contadini, arrivato a Seul si adattò a tutto, con mille lavori. Un esempio? Entra al “Bockeung Rice Store” a Seul come fattorino. Il suo primo incarico, portare sulla bici ad un cliente un carico di riso e fagioli rossi. Piove a dirotto, Chung scivola su una pozza di foglie e fango a cade a terra, spezzando la sua bici e perdendo il carico: così passa le notti per imparare a portare sulla bicicletta due sacchi di riso in perfetto equilibrio.
Viene promosso alla contabilità del negozio dal titolare che alla fine, cercando un sostituto per aver raggiunto una età troppo avanzata, nomina proprio Chung, che trasforma quella attività nel “Kyungil Rice Store; ma la gioia è breve: era un attimo prima della seconda Guerra mondiale e Chung viene confiscato di tutto dall’esercito giapponese.
Dopo alcuni anni di fame vera, una volta che l’esercito americano aveva liberato Seul il nostro eroe apre una piccola officina per riparare mezzi militari ed i primi camion che iniziano a circolare per favorire il commercio e gli approvvigionamenti.
Purtroppo anche la “Art Service Garage” poco dopo l’apertura prese fuoco con dentro strumenti, macchinari e mezzi in riparazione. Un dramma, ma nonostante tutto la fiducia acquisita fino a quel momento da Chung gli permise di accendere prestiti per affrontare la situazione.
Quella piccola struttura che riparte a Cho-Dong Jung – gu (Seul) nel 1946 in un’area gigantesca di 650 Km quadrati (una infinità, in effetti) concessa dal Governo militare degli Stati Uniti di presidio in Corea diventa “Hyundai Motor Service”. Il primo atto della leggenda. Purtroppo arriva la guerra tra le due Coree, e nel 1950 Chung ripara a Busan. Diventa però un fornitore e costruttore di fiducia dell’esercito americano e delle forze dell’ONU che si insediano a Seul dopo la liberazione. Perché la storia di Chung è legata a doppio filo con il destino della Corea.
Da allora Chung estende la sua mano su tutti i principali settori industriali a partire da Cantieristica navale ed edile, perché ricostruzione e commercio mondiale post bellico sono i due settori più importanti in una Corea dove l’auto privata può serenamente attendere.
Perlomeno fino alla fine degli anni Sessanta quando l’esigenza di mobilità nazionale in Corea sposta sempre più interesse sulle auto al posto delle piccole moto, facendo della Corea anche un punto di esportazione in aree del Pacifico circostanti. Chung stringe un accordo di licenza con Ford Motor Company e fonda Hyundai Motor Company nel 1967. L’anno successivo viene completato lo stabilimento di Ulsan, che negli anni diventa uno dei più grandi impianti integrati per la produzione di auto.
Ma soprattutto Chung impartisce una lezione imparata alla perfezione dai cinesi ma ignorata purtroppo dall’industria occidentale: la catena del valore della filiera produttiva integra l’elemento discriminante per la globalizzazione, cioè la logistica. Hyundai è una delle prime Car Company a dotarsi di cargo navali e di convogli ferroviari di proprietà.
Ed è questo uno dei segreti del successo che porta Hyundai ai quattro angoli del globo.
Chung JuYung, il Deus ex Machina di Hyundai
Mi piace ricordare che Chung, nel 1977, crea la Fondazione Asan: Ente senza scopo di lucro nata per servizi di assistenza medica e sociale (cure ospedaliere, recupero, reintroduzione nel mondo del lavoro, Borse di Studio e supporti all’alfabetizzazione di base per bambini ed adulti.
Ha fornito medicine moderne alle popolazioni rurali affette da dolore e malattia a causa della mancanza di ospedali nelle vicinanze, assistenza agli anziani e alle persone ai margini della società e borse di studio a giovani a cui è stato negato l’accesso all’istruzione per motivi economici.
Inoltre, studiosi impegnati nel miglioramento della società umana sono stati sostenuti con fondi per la ricerca. Dalla sua biografia ufficiale mi piace ricordare una frase: “Un uomo di successo è semplicemente colui che ha fatto buon uso del capitale che gli è stato fornito in modo equo, e che cerca di fare del suo meglio credendo in sé stesso”.
Certo, Chung doveva avere qualcosa di alieno al suo interno, perché si è reso protagonista di record unici nella storia.
Come quello dell’appalto navale del 1971 dove ottenne un prestito di 100 milioni di Dollari da una banca inglese cui aveva detto di avere già pronto un cantiere a Mipo Bay per realizzare navi. In realtà non aveva ne’ Cantiere né navi e dunque si rese protagonista della prima realizzazione parallela in contemporanea della nascita sia del cantiere nautico che delle prime due petroliere varate al suo interno, in meno di due anni.
Un record unico ed imbattuto. Senza contare che senza Chung probabilmente la Corea del Sud non avrebbe avuto le Olimpiadi del 1988.
Ma perché ho fatto questo prologo? Perché senza questo prologo la celebrazione dell’anniversario di un’auto famosissima resterebbe quello che è, un anniversario. Mentre invece ad essere festeggiata è una vera e propria creatura voluta da Chung per cambiare il destino della sua azienda e quello di tutta la Corea. Che tra il 1963 ed il 1979 vive anche una parentesi dittatoriale con Park Chung Hee. Che cerca di materializzare il “mantra” di quell’epoca di crisi energetica e sociale: autosufficienza.
Chung JuYung nel 1967 recepisce il “vento” favorevole della motorizzazione di massa in gran parte del mondo e decide di aprire una nuova pagina del suo Vedemecum industriale: nasce Hyundai Motor Company, con un accordo davvero eroico con Ford: praticamente dalla Gran Bretagna vengono inviati corpi vettura della Ford Cortina MkII smembrati così da figurare come vetture CKD (Completely Knocked Down) cioè veicoli importati come incidentati e dunque soggetti ad assemblaggio nel paese di destinazione.
Una pratica che porta il vantaggio di sgravi fiscali e di esenzione dal contingentamento delle quote di importazione, ma che soprattutto permette a Hyundai di “fare pratica” durante la prima fase di vita dello Stabilimento di Ulsan che, come nella tradizione di Chung, viene realizzato a tempo di record: e dopo la Cortina viene il tempo della Ford Granada Mark II. In poco tempo la produzione di sole 50 auto al mese nel 1968 arriva a oltre 20 al giorno nel 1974.
La grande decisione: Hyundai diventa Costruttore “autonomo”
Nel frattempo il “logo” Hyundai che campeggia a fianco dei simboli originari di Ford viene conformato nella versione più elementare della “serie” evolutiva che seguirà: “H” e “D” unite in due grandi lettere quasi in rilievo.
Ma nel 1974, complice anche la crisi della filiera mondiale dell’auto per effetto della crisi energetica, e la posizione privilegiata della Corea nella disponibilità di risorse energetiche; ma visto che la vocazione da potenza industriale esportatrice risente del crollo della domanda internazionale, le riflessioni di JuYung Chung derivano dalla analisi congiunturale: il modello industriale della Corea di inizio anni Settanta privilegia l’export di prodotti finiti ma arriva il boom delle produzioni elettroniche e della cantieristica, dove la Corea diventa uno dei maggiori player mondiali (e la Hyundai dentro la Corea); dunque è arrivato il momento de “la va o la spacca”.
Per giunta l’EPB (Economic Planning Board) nato in seno al Governo Park Chung, decide di invitare tutte e quattro le Case attive in Corea del Sud (Hyundai, Kia, Daewoo, SsangYong) a presentare piani dettagliati per la nascita della prima auto “all Korean” entro il 1975, pena restrizioni nei sussidi e nelle politiche di sostegno.
E proprio per masticare meglio le nuove filosofie del mercato globale Chung ha l’umiltà di chiamare in Hyundai un uomo che di Automotive ha vissuto da anni.
Quello che per molti anni viene definito da Forbes il nono uomo più ricco del mondo non si imbarazza a voler imparare qualcosa di nuovo chiamando un vero genio del comparto Automotive.
E’ George Turnbull, che arriva da Austin Morris, la componente più forte di BMC che a sua volta è stato fino a fine anni Sessanta il Gruppo europeo più forte del Continente.
Chung delega nella misura massima il potere a Turnbull ma questi si merita tutto lo spazio di fiducia fornitogli perché trasforma una realtà ancora patriarcale e artigianale in un OEM globale e all’avanguardia.
Questo grazie al fatto che Turnbull chiama da BMC anche alcuni Manager straordinari come Kenneth Barnett (carrozzeria), John Simpson ed Edward Chapman (produzione), John Crosthwaite (telaio), Peter Slater (sviluppo).
Non solo Chung: il “Dream Team” inglese per il successo di “Pony”
A questo punto il problema è dare alla nuova proposta Hyndai le giuste coordinate generali di costruzione. E qui viene fuori il miracolo: la base concettuale è quella della Morris Marina, la prima sfida di Turnbull e del suo Staff dentro Austin Morris; ma lo è solo per la idealizzazione del “format” commerciale da mettere sul mercato, cioè una berlina media intorno ai quattro metri, quattro porte due volumi, in grado di soddisfare esigenze di mobilità familiare e professionale.
Tutta da inventare la base di riferimento. Ford Cortina, per misure e passo, è eccessiva, anche se da lei deriva il pianale della successiva Hyundai Stellar, ma questa è altra cosa.
Curioso però il fatto che a disegnare Morris Marina e Ford Cortina II sia la stessa mano, quella di
Roy Haynes.
Per risparmiare e per “approfittare” di Know How di terzi utile per partire con il piede giusto, il pragmatico Turnbull si affida a Mitsubishi; questo, rispetto a nomi altisonanti come General Motors, Chrysler, la stessa Ford (che poi poco dopo presentò la Fiesta), potrebbe apparire un nome azzardato per una Joint.
Eppure se cercate nei motori di ricerca vedrete anche negli anni Settanta una bella rete di Joint Ventures che un marchio apparentemente piccolo poteva mettere in opera. La scelta per la base telaio, motore/Cambio/Trasmissione) deriva dalla Mitsubishi Lancer “Fiore” A 70 dalla quale la Hyundai Pony prende in perfetta identità:
-I motori 4G36 (da 1238 cc. e 54 cavalli) e 4G33 (da 1439 cc e 67 cavalli); ed arrivò dopo anche un 1600 cc;
-Le misure di passo, lunghezza ed altezza identiche : 2,34 metri per ciascuna il passo e lunghezza di 3,97 metri; altezza per entrambe 1 metro e 36;
Differiscono, ma appare fin troppo chiaro che questa è l’eccezione alla regola, le misure di larghezza massima senza specchietti. Perché parliamo di 1,52 metri per la più “esile” mitsubishi e di 1,55 (3 centimetri in più) per la Pony.
Inoltre per la nuova media Hyundai viene ripreso praticamente invariato il ponte posteriore Mitsubishi ma con balestre prese dalla Cortina così come l’anteriore dove si adottò il sistema Mc Pherson ripreso da Ford. Un collage dettato dalla esigenza di avere materiale collaudato e di risparmiare, oltre che di potenziare la capacità “homemade” di Hyundai.
La grande perizia di Turnbull si vede però nella visione di insieme del processo industriale. Associato con Pressed Steel Fisher di Cowley, Turnbull fa progettare a questa il sistema di presse e macchine per stampare lo chassis e le parti di carrozzeria, fornendo così tutto il Know How di cui la Hyundai allora ancora era priva.
In poco tempo Hyundai diventa una organizzazione leader per capacità di lavoro, per dotazione tecnica ed infrastrutturale e per dati economico finanziari.
La firma di Giugiaro Italdesign. E la “Pony” diventa subito leggenda
Eppure non crediate che non vi sia stata l’occasione anche per Turnbull e compagnia di imparare qualcosa. Lui ed il suo Staff fondamentalmente erano usciti dall’ambiente industriale tossico della Gran Bretagna, quello che Vi ho fatto leggere su un pezzo di tre anni fa dedicato a Michael Edwardes.
Per dei dirigenti usciti da un ambiente in cui i lavoratori sabotavano gli impianti che davano loro lavoro, trovare tanto spirito di sacrificio e tanto rispetto era quasi incredibile.
Fino a qui siamo arrivati, per celebrare la Hyundai Pony, parlando più delle peculiarità del mondo coreano, delle prerogative di Chung, vero: ma è il modulo di narrazione di Autoprove, e se avete coraggio provate a dire di aver letto finora quello che avreste trovato anche su altre piattaforme…..Ma non si può raccontare il fenomeno “Hyundai Pony” sempre secondo il canovaccio dozzinale che alla fine fa passare tutto come fosse un miracolo spuntato dalla matita di Giorgetto Giugiaro nato chissà come. Perché non è così; ed è ridicolo che testate anche importanti ripetano storie ed aneddoti puerili.
Io mi ricordo di aver battibeccato con Riviste e opinionisti offesi solo perché affermavo da tempo che “Pony2 1975 fosse ispirata a Morrin Marina, bastava dare un’occhiata alle immagini messe in raffronto tra le due auto. Ma mi sono davvero sorpreso nell’appurare a distanza di anni che Turnbull fosse stato prima di approdare in Hyundai il promotore proprio della Marina; ma in generale ho sempre stigmatizzato lo scarso approfondimento che su un fenomeno mondiale come Pony i Media di settore hanno fatto. E certo Pony è una delle pagine più coinvolgenti e rosee per la Hyundai, che purtroppo nel seguito attraversa momenti drammatici. La fine degli anni Ottanta, l’arrivo dei Novanta e la nuova frontiera della telematica e di Internet portano Player coreani come LG e Samsung ad esplodere, contro una Hyundai che appare quasi come antagonista e retrograda. Lo stesso Chung paga un crollo di immagine rispetto alla contrapposizione con personaggi più “smart” e più mediatici.
Ma il vero crollo di Chung avviene per “colpa” della politica: forse capendo che la situazione favorevole in Corea dalla fine degli anni Ottanta sta per finire decide di scendere in campo alle elezioni presidenziali del 1992 ma fallisce e con questo si inimica la maggior parte del fronte politico che lo vede non più come faro dell’industria coreana ma come avversario: risultato, maggior favore ai concorrenti diretti di Hyundai, minore accesso al credito e fine della “protezione” governativa. E poi arriva la crisi di Internet e il dramma delle tigri di carta asiatiche che trascina nel gorgo anche Hyundai. Ecco perché Pony è anche un momento che dentro il Marchio coreano resta didascalico.
Pony è stata la prima auto coreana ad essere esportata in mezzo mondo e la capostipite di una dinastia di modelli in casa Hyundai. Trascurare che questo fosse il frutto di uno Staff eccezionale, e non di un solo uomo, è sempre stato un errore.
A capo di questo Staff c’era George Henry Turnbull, classe 1926, che prima di entrare in Hyndai per rivoluzionarla in solo quattro anni (ed uscirne a fine 1977) era stato Vice Direttore Generale di British Leyland, il raggruppamento più grande d’Europa fino a metà anni Settanta.
Mentre resta ad onore del gran Capo Ju Yung Chung l’idea rivoluzionaria di decidere il nome della prima “homemade” Hyundai attraverso un concorso popolare nel quale il nome “Pony” arrivò in mezzo ad una scelta di decine di altre migliaia.
Lui, Mister Chung, del resto l’aveva fino a quel momento soprannominata in lingua nativa “Kukmincha”, cioè auto del popolo.
Chiaro segnale del destino e della importanza storica che lui stesso dava a quella media vettura di esordio.
Questo tuttavia non deve trascurare l’apporto di Italdesign e di Giugiaro, che infatti vorrei descrivere “last but not least”. La Pony appare al Salone di Torino del 1974, ed è già una bella anteprima. Ma quello che colpisce è l’idea geniale concordata tra Hyundai e Giugiaro in quello stesso Salone: generare una immagine simbolica del nuovo Player di mercato che butta un occhio fortemente alle esportazioni internazionali. E che dunque deve trasmettere una immagine globale di se’ per “contestualizzarsi” e per restare nella attenzione generale.
Per questo nasce “Hyundai Coupè Concept” fortemente ispirata al prototipo Italdesign di Audi “Asso di Picche” che si dice avesse colpito profondamente ed affascinato il Patron di Hyundai.
Fuor di metafora e per essere concreti, anche qui la narrativa un poco leggendaria va un poco smussata: è fin troppo ovvio che a promuovere l’incontro professionale tra Italdesign e Hyundai fu quello straordinario Staff inglese, mentre è molto probabile che l’idea della Concept iconografica sia un ulteriore mossa geniale di Giugiaro.
Che partecipando all’esordio di “Pony” contribuisce alla nascita di un piccolo fenomeno. Da metà anni Settanta Hyundai percorre un trend di crescita fenomenale anche se arriva in Europa solo tra fine anni Settanta ed inizio decennio successivo.
Nel frattempo, “Pony” cresce e passa alla implementazione di Gamma con le versioni Pick Up, Station Wagon e persino a 3 porte.
E se “Hyundai Prima” compie più o meno mezzo secolo adesso, sono quaranta anni esatti da una ulteriore pietra miliare nella storia del Marchio: nel 1985 si raggiunge il milione di “Pony” prodotte ed esce di scena la prima serie. Arriva “Pony Excel” a trazione anteriore e si consacra il mito in casa ed in Europa.
Ma non basta. Nasce “HMA – Hyundai Motor America”, la filiale per gli States e dal 1986 “Pony Excel” sbarca (prima auto coreana a farlo) negli USA dove diventa per un intero lustro la vettura di importazione più venduta nel suo target di mercato.
Ed il mito da allora non si è più fermato.
Riccardo Bellumori



 
                                    