Bruxelles, come tutte le altre realtà del mondo, si avvicina alla fine di questo 2025. Sarà tra una decina di settimane, certo, ma mai come di questi tempi è meglio essere tempestivi e preventivi.
Dopo l’ultimo crollo in Borsa incrociato con un preannuncio “elettrizzante” (quello della Ferrari che, data alla Stampa la notizia della prossima Full electric del Cavallino ha visto in 12 ore bruciata una quantità di denaro in Borsa che non si vedeva dal Crack Lehman) la dura realtà europea del rapporto tra Automotive e decarbonizzazione ci richiama all’allerta e deve per forza ritrovare un filo conduttore dentro una agenda davvero articolata e complessa.
Quando al Salone di Parigi di Ottobre 2022 Tavares e Luca De Meo (ancora in Renault) denunciavano l’aggravamento di costi in ricerca ed industrializzazione per adeguare motorizzazioni e piattaforme ai nuovi limiti dell’Euro 7 mentre la Commissione Europea su “Fit for 55” prefigurava la fine della produzione e commercializzazione dei motori endotermici alla data del 2035, si faceva spazio da una Germania – non ancora allo sbando come (pare) si vuole mostrare oggi – la proposta che sembra incardinare la svolta sulle politiche “green” dei prossimi anni dentro all’Unione:
la prerogativa di uno “step di revisione”, cristallizzato dal dispositivo del Regolamento 2023/851; secondo questo, nel corso del 2026 la Commissione, dovrà valutare sulla base delle relazioni biennali, un eventuale riesame dell’efficacia e dell’impatto in termini di sostenibilità sociale ed industriale, anche, gli obbiettivi del regolamento; e sulla base del riesame dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione contenente i risultati del riesame. Temi fondanti del riesame saranno in particolare i progressi compiuti nel conseguire gli obiettivi di riduzione contemplati all’articolo 1, paragrafo 5bis, (cioè l’obbiettivo di ridurre del 100% le emissioni dal 1° gennaio 2035) tenendo conto degli sviluppi tecnologici, anche per quanto riguarda le tecnologie ibride ricaricabili, e dell’importanza di una transizione economicamente sostenibile ed equa dal punto di vista sociale verso l’azzeramento delle emissioni.
Parola d’Ordine: Rivedere. Si, speriamo di non rivedere gli obbrobri politici degli anni scorsi
Prima di continuare la sintesi dei passaggi chiave della questione, cerchiamo di rendere chiaro il mutamento di panorama che soprattutto alle poltrone di Bruxelles si è appalesato in pieno contrasto tra la dimensione sociopolitica attuale e quella di solo tre anni fa.
All’epoca un rimbamBiden di ex Presidente degli Stati Uniti aveva semplicemente reso più ridicola e perniciosa la macchina da guerra elettrofila negli Stati Uniti, con effetti che l’Automotive statunitense continua a pagare; questo appoggio politico di una amministrazione che gli americani oggi fanno fatica persino a pensare di aver portato alla Casa Bianca quattro anni fa è evidentemente finito, o meglio è stato contraddetto da una figura guida ben diversa – quanto a opinione sulle auto elettriche – da Donald Trump. Che, calcando la mano, si è letteralmente espresso contro la politica Green dell’Europa (la decarbonizzazione è una truffa, sue testuali parole) ed ha questa estate letteralmente “schienato” la dolce e inerme Ursula sul campo da gioco della politica estera verso l’Ucraina e la politica di riarmo europea; e sul campo del commercio mondiale con i Dazi e l’asse di accordo commerciale USA/UE.
Dobbiamo ammettere che la Ursula Von der Layen che si è presentata da allora nel palcoscenico mediatico e pubblico come rappresentante primaria dell’Unione è una donna e una Presidente molto meno incisiva, bisbetica, e permetteteci di dire anche molto meno spocchiosa.
Una donna ed una politica che anche nella recente assise sullo stato dell’Unione ha proposto in modo molto più timido e amichevole decisioni e progetti anche legati all’Automotive (vedi la proposta di minicar BEV paneuropea); e forse una Leader davvero azzoppata dalla perdita di carisma internazionale.
E’ probabilmente più che un caso il fatto che da almeno un semestre l’Automotive europeo sia stretto da un quadrilatero di problemi pronti ad esplodere: la nuova panoramica del commercio mondiale dopo la stretta dei Dazi di Washington; la crisi di due modelli europei in economia e nell’Automotive (Germania e Francia); la nuova posizione dominante degli Stati Uniti che sta opponendo alla Unione una serie di “Contro-programmi” su Ucraina, decarbonizzazione, politiche energetiche, flussi commerciali mondiali; ed infine l’effetto “sponda” che il nuovo peso politico internazionale americano genera sui rapporti tra UE e mercati e continenti per noi commercialmente e finanziariamente fondamentali: Cina ed Asia, Sudamerica, Medio Oriente, Africa.
E questo cosa c’entra con lo Step di revisione voluto dai tedeschi nel 2026? Provo a spiegarlo
In primo luogo l’esercizio del “dubbio cosciente” da parte della Commissione di Bruxelles è anche l’effetto della serie di critiche e di opposizioni da parte di media, Stakeholder e Costruttori su una strategia “punitiva” della decarbonizzazione contro i motori endotermici, di fronte all’evidenza che a pagare lo scotto maggiore sono proprio i Costruttori europei ed il mondo dell’aftersales e della componentistica.
E sul punto è stato proprio il Paese più critico ed euroscettico, la Gran Bretagna, a menare le mani in forma più libera rispetto ad altre platee: il Financial Times lo scorso inverno ha documentato una ricerca della Associazione dei Suppliers Automotive europei (CLEPA) dove si lamenta la perdita nel Continente di oltre 30.000 posti di lavoro nella componentistica nell’anno 2024, con un saldo quinquennale di meno 60.000 posti dal 2020. E se non bastasse questo, è arrivata l’America a prenderci a sberle.
Dunque un cambio di paradigma che fa i conti non solo con la linea di opinione di Washington sull’elettrico ma anche con due ulteriori fattori: la dimensione endogena dell’Unione rispetto alle risorse necessarie alla rivoluzione elettrica; e poi del cambio di assetto nei rapporti tra Cina ed Europa, in particolare tra Cina e Germania.
Erano i primi anni post Crack Lehman, Vi ricordate? La Germania era salita tempestivamente fin dalla fine degli anni Novanta sul treno che portava alla Camera di Commercio di Pechino per avviare decine e decine di JV e partnership industriali. Ed alla data del 2018, crescendo progressivamente e con percentuali molto superiori alla media degli altri paesi europei, l’import tedesco in Cina era pari al 44% del valore di tutti i beni e servizi esportati verso il Paese del Dragone dalla intera UE. Ci siamo capiti?
Ed ovviamente per la Germania la parte del Leone la facevano l’Automotive, l’elettronica e ovviamente la meccanica in generale.Ma se dai 95 miliardi di Euro esportati dalla Germania verso la Cina siamo passati lo scorso anno a meno di 60, e’ evidente che tra Aquila e Dragone i rapporti si sono davvero congelati.
Sarà mica perché, rimasti buggerati soprattutto dallo Shadowbanking cinese – peggiorato dal Crack Lehman – e dalla bolla di veri e propri colossi come Evergrande, i tedeschi hanno ripiegato sulla più affidabile – nel lungo termine – area africana dove tuttavia la Cina aveva investito fior di miliardi di Dollari non certo per mera filantropia?
Boh, il tempo ce lo dirà: ma se nell’ultimo anno la Germania “Deutsch Elektrik Uber Alles” si è sentita in dovere di dichiarare: “Scusate, siamo stati dei fessi: ci siamo sbagliati, evviva evvival’endotermico, e quasi quasi ci rimettiamo di nuovo in tiro con il Diesel”, è evidente che la resa e il dietrofront non è solo quello tedesco sull’elettrico ma quello di Bruxelles sul profilo della Germania come Brand Ambassador dell’Unione in giro per il mondo.
La Germania, molto semplicemente, ha toppato.
La decarbonizzazione europea che non è più la Germania a dettare agli altri
E l’Europa tutta con lei. Ed ora il fronte di tensione “sottotraccia” la politica di Bruxelles comincia ad intravederlo con gli USA: per effetto dei dazi americani e della politica protezionista avviata dalla stessa Unione contro gli aiuti di Stato alle imprese esportatrici nel Continente, il “rosso” commerciale nei confronti della Cina si è acuito, ed è il momento di tornare a proteggere il mercato interno dal lato della concorrenza estera ma anche lavorando per risanare Società ed Industria in piena crisi.
Su questo ogni Paese, ogni Associazione di Costruttori, Assemblatori, Suppliers e Stakeholders diversi parlano a Bruxelles con la stessa lingua: “SI” alla neutralità tecnologica, “SI” a maggiori spiragli a favore delle alimentazioni alternative, “SI” alla revisione della marcia forzata e “NO” alla tagliola endotermica al 2035; anche perché, ai ritmi con cui fino ad oggi si è diffusa la presenza delle BEV da dieci anni di propaganda favorevole anche nei periodi in cui per contro contro l’endotermico sono partite le contraeree mediatiche e politiche, è chiaro che la fine dell’endotermico al 2035 porterebbe a due sole conseguenze opposte: o alla fine dei consumi sul mercato Automotive; oppure alla esigenza di approvvigionarsi presso l’unico mercato in grado di coprire ogni tipo di domanda.
Cioè la Cina. E mi pare inutile approfondire ulteriormente il pericolo di ciascuno di questi due scenari opposti, così come mi pare sensato fin qui spiegare le questioni in ballo senza la prosa buonista o pleonastica di buona parte dei mass media e dei commentatori “filogovernativi” verso Bruxelles.
La questione, dal Primo Gennaio 2026, sarà quella dunque di riprogrammare e rimodulare la corsa alla decarbonizzazioneeuropea secondo un quadro di mercato interno che proietta questi scenari:
-Una impercorribilità della abolizione totale dell’endotermico dal 2035;
-Un potenziale ritorno al vantaggio dell’approvvigionamento fossile per il plausibile calo dei prezzi di Gas e Petrolio anche e soprattutto per la previsione di un alleggerimento dei fronti di guerra in MedioOriente e sul fronte russo-ucraino;
-Un effetto shock della guerra dei dazi sul commercio mondiale con un ritorno all’approvvigionamento autarchico;
-Una stagnazione economica ed industriale del Vecchio Continente ancora per diverso tempo;
-La reale esigenza che la riduzione del Footprint generale deve essere su tutta la filiera produttiva dell’industria dell’Auto europea: produzione, end of life, postvendita, logistica.
Con prospettive del genere è difficile che la Commissione possa ritenere che il percorso verso la decarbonizzazione declinato fino perlomeno a tre anni fa sia socialmente sostenibile e sopportabile economicamente per la massa degli europei. Motivi sufficienti dunque per rivedere gli obbiettivi dell’Art.1, paragrafo 5 bis del Regolamento 2023/851; e per stabilire una nuova Road map in cui la composizione del Parco circolante europeo nel medio termine non vedrà quote preponderanti di BEV, in cui la presenza di Hybrid crescerà progressivamente ma da cui azzerare il motore endotermico puro è un sogno e basta.
Ed ecco perché, dalla Revisione del 2026 potrebbe uscire dal mazzo la serie di carte al momento in mano all’industria europea per un processo di decarbonizzazione decisamente “Low Profil” ma anche più concreto e meno campato in aria: tra processo di controllo della “end of life” e da recupero e rigenerazione si può ricavare parecchio in termini di decarbonizzazione, così come dalla revisione dei processi industriali; e così come si può imparare parecchio dalla lezione brasiliana in tema di carburanti alternativi. Che, senza più la pressione velleitaria e inconcludente della Germania, non possono più essere solo gli attualmente inarrivabili “e-fuels” a base di Idrogeno ma devono per forza ricomprendere nella loro azione – su Hybrid ed endotermici – anche i famigerati Biocarburanti, per diverso tempo rimasti in ombra coperti dal miraggio degli e-fuels – fatti di carburante fossile con addizione di componenti vegetali.
2026: dall’onirico “Efuel” all’ambizioso “Biofuel”? Quali limiti per l’Europa?
E se tutto questo è nei programmi della Commissione e ad un orizzonte di solo un anno e mezzo dalla fine del 2026, due cose sono evidenti ed in contrapposizione tra loro a meno che lo step di revisione non sia rimandato al futuro: o si arriverà al superamento della sola opzione “efuel” per inefficacia del provvedimento (visto che al momento non esiste alcuna via – esente dal contributo pubblico europeo per ridurre il prezzo alla pompa – che possa far immaginare un prezzo alla portata della massa; e che anche la potenziale quantità producibile al momento nelle strutture che hanno iniziato a lavorare su questo è omeopatica rispetto al consumo richiesto oggi nel mondo con i combustibili fossili); oppure la revisione prevista per il 2026 porterà ad un ennesimo stallo normativo a Bruxelles con rimando a tempi indefiniti.Insomma, per farla breve: un altro miraggio o delirio di (im)potenza dell’Automotive tedesco che solo fino a tre anni fa declinava le sue meravigliose e inesorabili sorti con l’E-fuelmagnificando gli impianti promossi da Porsche in Cile (a Punta Arenas) che alla data odierna ci è sconosciuto nei risultati e nei volumi produttivi; a meno di non voler considerare tuono una mera puzzetta post prandiale, i numeri a noi noti rilanciati dal Web parlano ad oggi di 130.000 litri di e-fuel all’anno (e 350 tonnellate di e-metanolo, secondo noi più interessante come tema…) con previsione (o ipotesi??) di medie pari a 55 milioni di litri entro la fine del decennio in corso e proiezione di 550 milioni di litri dal prossimo decennio.
Già, ma si diceva anche dieci anni fa che la Germania sarebbe diventata un colosso dell’Industria elettrica mondiale. Invece, nisba. In fondo, il problema storico dei tedeschi da Weimar in poi è la corrispondenza tra proclami e conquiste reali. Sempre là il problema. Peccato che sui proclami più impegnativi la Nazione dell’Aquila finisca spesso per portare rogna soprattutto ai vicini di Continente.
E piu’ in generale la questione dell’approvvigionamento e della piena distribuzione degli e-fuel al momento rimane davvero sulla carta: andate a vedere la lista degli impianti censiti dalla Associazione di categoria “efuel alliance nella loro webpage(Link) per intuire quanta poca parte di domanda potenziale (in termini di benzina fossile ordinaria) potrebbe intercettare la produzione mondiale attuale di e-fuel.
Di cui solo si conosce la proiezione di prezzo più favorevole “sparata” in varie piattaforme fino ad almeno lo scorso anno, con una quotazione variabile da 4 a 10 Euro al litro, ma come ripeto parliamo di mere proiezioni, ed al momento stime plausibili e correttive al ribasso non se ne conoscono.
Dunque, in attesa che il candidato efuel si ripresenti per gli esami di riparazione più “attrezzato” la soluzione dei carburanti sintetici a base di Idrogeno resta oggi sicuramente la più efficace e radicale in tema di emissioni; ma resta anche talmente relegata su numeri ridotti da essere alla fine ben poco influente nel breve termine sul processo di decarbonizzazione necessario a conseguire risultati tangibili.
Dunque, rimando a tempi migliori in attesa che BEV da un lato e opzione Hybrid con endotermico alimentato ad efuel diano come somma grandi numeri degni di essere presi in considerazione?
Se nel 2026 la soluzione della Commissione Europea e della politica di Bruxelles fosse un ennesimo giro da gioco dell’oca (si riparte dal via) noi riteniamo che il Vecchio continente sarebbe oggetto di satira e frecciate politiche ben peggiori di quelle che lo attraversano oggi
Se al contrario l’azione di decarbonizzazione deve essere più concreta, tempestiva, per quanto vista al ribasso e con una road map europea molto più lunga di quella perentoria e velleitaria che porta ancora oggi alle tre date canoniche del 2030, 2035, e 2055;beh, allora il listino del Pret a porter energetico della vecchia Europa può parlare da subito con tre voci distinte: GNL e Biogas, Biodiesel, Etanolo e Metanolo per benzine fossili commerciali.
Come ben sanno i nostri fedelissimi, Autoprove non è una piattaforma evangelizzata o “corruttibile”: descriviamo il mondo commerciale e tecnologico del comparto Auto senza seguire correnti, e cercando di spiegare ai pochi fortunati che ci seguono che questo mondo non funziona a correnti o mode, semplicemente.
Purtroppo il nostro modulo informativo e divulgativo non è così diffuso come spereremmo. Detto questo, da tempo affermiamo che l’Europa governata dalla politica “New Age” di Bruxelles fa un poco la figura imbarazzante della trattoria romana tipica a Porta Capena (Roma) che improvvisamente si dà al Tofu ed alle alghe per motivi universalmente salutistici. Ottiene ovviamente una hola di ammirazione sui Social ma fondamentalmente finirà per fallire, perché ha intrapreso un percorso estraneo alle sue radici e ha contemporaneamente sputtanato la sua tradizione.
La assenza di difesa da parte di Bruxelles del suo prodotto alternativo “didascalico” alla benzina (il Gas naturale) ha affossato anche il comparto di eccellenza del Biogas ottenuto da scarti organici e RSU, e non ha solo portato i Costruttori europei ad azzerare la disponibilità in Gamma di prodotto originariamente predisposto a Gas.
Per questo un anno fa eravamo ad Ecomondo ad intervistare i player di settore del Biometano e del GNL.
Per quanto riguarda un nostro vecchio pallino, cioè il biocarburante (benzine e Gasolio addizionati di componente etilica ed agricola) abbiamo più volte in questi anni tenuto alto il livello di attenzione, e per spiegare meglio questo ultimo Post conviene solo che io Vi ricordi il Link del pezzo che denuncia anzitempo un rischio per gli automobilisti europei:
e che cioè per amplificare e valutare il risultato di massa della eventuale adozione di Benzina “E” con percentuale superiore al 25% di componente etilica e di Gasolio “B” con componente superiore al 10% si possa arrivare ad una stretta nel breve termine dei combustibili fossili commerciali per sperimentare quote maggiori di componenti agricole.
Il problema? Secondo studi diversi e tutti di un certo spessore, a seconda dell’incremento percentuale di quota vegetale di benzina e Gasolio la percentuale di parco auto circolante condannato a problemi certi e anche molto seri rischia, soprattutto per la parte più vecchia, di diventare molto ampia. E questo porterà una larga fetta di automobilisti europei a dover adottare soluzioni tecniche di backup (centraline di middleware, sensori, nuovi impianti di iniezione, etc..) che oggi, scelte liberamente, hanno un costo popolare; e che una volta imposti da nuove normative diventeranno irragiungibili. Insomma, liberare l’Europa dal Carbon Footprint continuerà, anche con l’allungamento di vita dell’endotermico, a costare parecchio agli europei. E su questo punto la cosa, a noi di Autoprove, comincia un poco a puzzare di fregatura.
Ma su questo Vi lasciamo ad un pezzo che abbiamo per tempo pubblicato ( Link) per confermare – se ve ne fosse ancora bisogno – che forse Autoprove ha di nuovo visto lungo ( Link).
Anche sull’alcool che il sottoscritto, a differenza di chi siede a Bruxelles, apprezza per tutt’altri motivi.
Riccardo Bellumori

