Oggi, a dire quella parola chi ti sta intorno ti guarda con un senso di imbarazzo.
Meno male, perché a dirla fino a cinque anni fa gli sguardi si facevano densi di raccapriccio e di commiserazione.
Eppure non sembrava male, come parola, solo fino a un quarto di secolo fa quando per la prima volta l’Europa ribaltò la proporzione nell’immatricolato annuo tra auto a Gasolio ed auto ad altra alimentazione.
Eh già perché quella parola proibita ieri e tutto sommato appena riabilitata oggi è la parola “Diesel”.
Luca Goldoni, mai troppo rimpianto scrittore, saggista e brillante intellettuale arrivò a scriverci un pezzo memorabile, sul numero speciale de “Il Quadrifoglio” per l’anniversario dei 75 anni di Alfa Romeo: l’identikit perfetto del guidatore di Diesel, nonché perfetto Alfista.
Ed io stesso molto più umilmente avrei voluto, senza avere il talento del grande Luca, scrivere un pezzo sulla occasione in cui – in un luogo indefinito dei miei viaggi – discutendo con Fabio, un povero decerebrato terrapiattista molto avanti con gli anni, mi sentii rispondere dallo stesso con ammirata saccenza: “Il Diesel può essere alimentato con tanti altri tipi di carburante e non solo con il Gasolio”.
E certo, coglione: servivi te per ricordarmelo.
Herr Rudolf Diesel all’inizio del Novecento, aveva appositamente studiato un motore con ciclo di combustione a compressione dell’aria senza scintilla proprio per poter bruciare sostanze più oleose e meno volatili di quella che per l’epoca, con tantissima fantasia, potevamo chiamare “benzina” e che ovviamente non era tale.
Da allora o meglio dalla scoperta di quella iniziale storia sul geniale Rudolf ed il motore a Gasolio, quando oltre trent’anni fa lo studiai tecnicamente molto meglio avendo raggiunto l’età per farlo, il Diesel divenne per me quasi un oggetto di culto.
Era pur sempre un “figlio di un Dio minore” fino a metà anni Ottanta. Certo, un Dio minore che intanto in meno di dieci anni dalla prima “sventagliata” di modelli destinati alla platea degli automobilisti privati aveva già sperimentato Turbo, Intercooler, prestazioni e carattere sportivo.
Ma restava comunque una soluzione tecnica per i cosidetti“stradisti” (Commercianti, Rappresentanti, Professionisti) che al motore Diesel associavano più spesso l’allestimento “Station Wagon” che a sua volta cominciò a proliferare nelle scelte di acquisto.
Dicevo, poche righe sopra: nell’arco di dieci anni dall’inizio; ma di cosa? Beh, oggi ancora Vi stupireste a sentir dire che prima del 1973 la diffusione delle auto Diesel per trasporto privato segnavano forse al massimo una quota del 2% nel totale di immatricolato CEE annuo. Certo è una stima spanometrica ma non lontana dal vero.
Prima del 1973 solo Peugeot e Mercedes avevano almeno più di un modello in Gamma alimentato a Gasolio. Perché a parte i Taxi londinesi, per il resto i grandi produttori continentali (appunto Peugeot e Perkins) oltre ai diversi Costruttori europei equipaggiavano diffusamente Furgoni e mezzi commerciali, agricoli e da cantiere (oltre a Truck e Bus). Ma nessuno prima del 1973 osava pensare a un uso e ad uno sviluppo del motore a Gasolio per le auto di tutti i giorni: troppo rumore, troppo fumo, poca potenza.
Ma poi arriva la stretta petrolifera conseguente alla crisi del Kippur. Domeniche ecologiche, razionamento e prezzi alle stelle rendono gli spostamenti a benzina un privilegio per pochi ricconi mentre invece con azioni di supporto fiscale ed ovviamente grazie alla più facile e diffusa raffinazione, il Gasolio per autotrazione alla pompa finisce per costare meno della metà a parità di pieno. E’ per questo che in una visione di medio periodo in cui nessuno sa davvero quando la crisi avrà termine, gli automobilisti – soprattutto quelli più viaggiatori – si trovano a pagare costi mensili di benzina superiori alla rata di un mutuo per un appartamento al Centro cittadino.
L’ansia e la indeterminazione promuovono così nei desiderata dei Clienti la richiesta di soluzioni tecnologiche orientate al risparmio. E se per il GPL esiste una certa reticenza dell’automobilista medio europeo, all’epoca, per il Metano si verifica un interesse ed un desiderio alto ma una difficoltà funzionale ancora più alta.
Il Diesel: da compagno di lavoro a risorsa per muoversi. Tutti
Siamo in un periodo tecnologico privo di elettronica, affinamento meccanico e diffusione di materie prime alternative. Dunque gli impianti a metano usuali per il periodo risentono delle pecche fisiologiche più fastidiose per l’automobilista: passaggio manuale da ciascuna delle due alimentazioni (benzina e metano), corrosione prematura di parti del motore, poca spinta ai bassi regimi, fenomeni di vapor lock nelle stagioni calde e problemi di avviamento durante l’inverno.
A questo punto le esperienze più continuative di Peugeot e Mercedes ed il rischio che questi due soli Marchi monopolizzino il mercato delle poche possibili alternative alla benzina spingono tutti i Costruttori europei a cercare soluzioni
In meno di cinque anni si moltiplica l’offerta sul mercato di versioni a Gasolio per combattere il costo della benzina.
Un esempio? Dopo la “403” e “204” Peugeot lancia la “504” con un 2100 cc da 65 Cv, la Citroen equipaggia l’Ammiraglia “CX” con un 2200 D da 67 Cv nel 1975. Persino la sportivissima Alfa Romeo nel 1977 deve dotare la “Giulia” di un Perkins 1700 cc a Gasolio, mentre Fiat risponde l’anno dopo con la “132” 2000 e 2500 Diesel.
Ford rimane un poco alla finestra, ma nel 1979 anche la “Granada” viene equipaggiata da due unità a Gasolio di matrice Peugeot : 1.900 cc. da 54 Cv e 2200 cc. da 63 Cv.
Volvo invece rientra tra le “Premium” best seller nel 1979 proprio con le “244” e “245” che adottano il 6 cilindri Volkswagen da 2.4 lt. e 82 Cv.
Ed anche la prima “vittima” del Dieselgate – VW appunto – equipaggia per prima la “Golf” nel 1976 con il 1.5 lt. da 50 Cv, motore che poi entrerà nel cofano della più grande Passat nel 1978.
La cugina “Audi 100” si doterà nel 1978 di un 2000 cc. da 70 Cv
Ma in questa Agenda industriale si fa largo, fin da subito, un outsider che nel suo percorso sapra ritagliarsi un profilo inatteso di vero e proprio leader di mercato. Un Costruttore che dimostra, una volta tanto, che il successo è di chi sa osare.
Fino alla fine degli anni Sessanta i veri “Big Player” del motore a Gasolio in Europa, per quel che riguarda il settore del trasporto “leggero” sono solo tre:
Perkins – Ferguson che monopolizza il settore agricolo ma inizia a diffondersi su LCV ed occasionalmente equipaggerà appunto la Giulia Diesel del 1977 e, pensate, la SEAT 131;
Peugeot che con la “404” diventa la Regina d’Africa e il modello preferito per tutti coloro che svolgono attività di trasporto e cargo senza rinunciare alle forme di un’auto invece che di un furgoncino. Ma se ai piani alti la “404” è in fondo la vera Ammiraglia popolare europea, in “basso” Peugeot lancia la “204” che con il suo mini diesel da 1200 cc. diventa un po’ la mascotte dei piccoli commercianti ed artigiani e la compagna di viaggio delle giovani famiglie francesi;
dopo di che per censo, rango e status, nulla poteva scalfire l’immagine costruita devotamente da Mercedes con il motore a Gasolio: praticamente dalla W110 con la versione Diesel di inizio anni Sessanta, per proseguire con la ancora più iconica W114 (200 D e 220 D) il target delle Berlinone di rappresentanza a Gasolio nell’inizio anni Settanta era monopolizzato dalla Stella a tre punte.
Ecco perché, in questo panorama fa ancora più scalpore il vero e proprio “boom” di una Outsider di lusso. La Opel “Rekord D”.
La storia di questa famiglia di comode e popolari “Berlinone” sposa fedelmente l’evoluzione della ricostruzione industriale post bellica di tutta la Germania, in cui Opel “beneficia” dell’appartenenza al colosso General Motors, che da Detroit in modo sostanzioso “assiste” la ripresa produttiva degli impianti tedeschi. Tuttavia è chiaro che il “focus” commerciale fino a buona parte degli anni Cinquanta del mercato auto tedesco deve per forza lasciare nel cassetto sogni troppo pretenziosi legati al settore “Ammiraglie” ed i continui voli nel baratro di BMW con le famose “Baroque Angels” è là a dimostrare che finchè è necessario occorre volare bassi.
Opel manda su strada, come sua Berlina di rappresentanza, la vecchia e superata “Olympia” praticamente invariata dal 1937 fino alla fine del 1952. Poi, una moderata fase di ripresa e speranza porta alla nascita di “Olympia Rekord” del 1953. Una grande e comoda Berlina che finalmente rilancia Opel nel mercato delle grandi, sebbene nasce sullo chassis a scocca portante della Olympia rivisto abbondantemente; e la revisione globale porta anche alla commercializzazione di una nuova versione Caravan.
Per questo, visto che il pezzo forte della fase industriale della nuova “Olympia Rekord” è una piattaforma “stra- ammortizzata” lungo 15 anni, il prezzo concorrenziale e l’affidabilità collaudata della parte meccanica compiono il miracolo di raggiungere quasi seicentomila pezzi lungo quattro anni, con la riconquista anche dei mercati esteri. Alla Olympia Rekord segue la Rekord P1 ma la vera consacrazione di mercato è prima con la serie P2 che porta finalmente Opel nel novero riconosciuto dei Marchi degni di attenzione nel settore delle berline di rappresentanza.
Rekord C: l’evoluzione della specie sfonda finalmente nel mercato mondiale
E dopo due nuove versioni successive di assestamento (Rekord A e Rekord B, che lungo solo quattro anni di vita servono più che altro per “assestare” le nuove famiglie di motori e cambi che via via Opel comincia a mettere in produzione) finalmente Rekord C diventa un relativo “Crack” di mercato. Linea americaneggiante, versioni ed allestimenti in mezzo mondo (Australia e Sud Africa persino, oltre alle versioni inglesi di Vauxhall) lungo solo cinque anni dal 1966 al 1971 vende quasi un milione e trecentomila pezzi distribuiti lungo una collezione di motorizzazioni, versioni ed allestimenti da far impallidire la concorrenza. Cilindrate a quattro e sei cilindri da 1.500 cc. fino a 2,2 litri; 3, 4 porte, Cabrio e Caravan e persino una rarissima versione Pick Up.
Addirittura della Rekord C gli appassionati sportivi ricordano una speciale versione sportiva, la “Balck Widow”, 180 cavalli e un giovanissimo Niki Lauda al volante.
E soprattutto parte con la Rekord C l’imparentamento in alto con la serie “Commodore” che rappresenta la versione elitaria sportiva e ricchissima nella dotazione. Insomma con la “C” inizia davvero la saga mondiale di Rekord che prosegue con la generazione “D”.
Questa, infulcrata nel disegno azzeccatissimo di Charles Jordan detto “Chuck” (il Capo del Design di Cadillac per 15 anni) era un modello che portava in Europa almeno tre caratteri vincenti su stile e tecnica:
una linea aerodinamica senza eccessi barocchi che contraddistinguevano le concorrenti Ammiraglie dell’epoca, ma soprattutto una linea grintosa per mascherare volumi molto abbondanti: 4,60 mt. di lunghezza e un metro e settanta di larghezza erano numeri da Limousine all’epoca, ma con misure di un pelo inferiori alla generazione “C” la nuova Rekord appare molto più leggera, snella e dunque più accattivante della concorrenza di settore; ed in fondo quella linea della Rekord D, con linee tese ma pulite e senza le esagerazioni inglesi edamericane è un po’ il trionfo del Design Center europeo che per la prima volta si esprime senza vincoli e condizionamenti di Detroit cavalcando in pieno la nuova frontiera
La sua piattaforma è tra l’altro vincente e collaudata, nata sul pianale della “C” aggiornato per assetto e sicurezza: nuove zone di deformazione passiva della scocca, ruote indipendenti davanti ma con i quadrilateri più un nuovo ponte rigido con barra Panhard per gestire la trazione posteriore.
I motori a benzina che partivano dal popolare 1700 cc da 66 cavalli ad 83 cavalli seguirono con un pretenzioso (per l’epoca) due litri a carburatore da quasi 100 cavalli.
Ma come detto, la crisi energetica iniziò a mordere, “costringendo” Opel a ricorrere per la prima volta nella storia delle sue auto al motore Diesel. Detto chiaramente, solo per le auto: perché il vecchio Van “Blitz” come il successivo Bedford aveva già un Diesel di origine – guarda caso – Peugeot, da 2112 cc. e 67 cavalli.
Eppure la differenza tra il motore da oltre 2100 cc del “Blitz” (Peugeot Indenor XDP 4.90) e il 2067 cc della Opel Rekord D è in un mondo di piccoli particolari. Soprattutto perché il motore Peugeot era un vero mulo da carico, mentre il Diesel scelto e sviluppato da Opel (Codice 21D) viene testato su un prototipo da record di velocità basato sulla GT, seppure con sovralimentazione.
18 Record internazionali e due record mondiali presso il Centro Prove di Dudehhofen sono il risultato del 2100 cc turbodiesel da 95 cv. sul prototipo guidato da Giorgio Pianta, Paul Frere, SylviaÍsterberg, Henri Greder, Marie Claude Beaumont e Jochen Springer
Successivamente, nella fine degli anni Settanta arriva la serie della Rekord successiva, ed il motore 2.3 TD.
In cinque anni la Rekord Diesel, in un mercato che davvero quotava “zero”, riesce a produrre 41.000 unità. Sembra poco, ma il Parco circolante europeo partiva davvero da quote decimali.
Eppure non è la Rekord da 2,1 lt. A Gasolio che compie mezzo secolo, ma è la versione che dalla fine del 1974 entra in Italia per assecondare il dispositivo fiscale che Opel Italia (all’epoca su Via Laurentina a Roma) aveva giustamente segnalato a Russelheim e per il quale le auto sopra anche di una inezia ai 2000 cc. pagavano un’IVA al 38%. Dunque Opel lancia proprio per noi il motore da 1998 cc, quattro cilindri e 55 Cv. Un gesto di attenzione per un mercato nazionale una volta “top” in Europa. Ma erano davvero altri tempi.
Dopodiche’ la dinastia della Rekord e della sorella maggiore Senator si ferma, per dare spazio alla nuova Omega. Di Rekord“D” a gasolio si potrebbero raccontare fiumi di racconti e ricordi ma la cosa che mi piace ricordare è la nuova via comunicativa e promozionale che Opel inaugurò battezzando per la prima volta il concetto “Value for Money” anche per il mondo Diesel: lo slogan “Un giorno la Opel Rekord Diesel non ti sarà costata nemmeno una lira”. Geniale.
Riccardo Bellumori

