Lancia Montecarlo Turbo: quell’Asso di Spade puntate verso Maranello

Avevo dieci anni, davanti alla vetrina del giocattolaio. 

L’enfasi verso “Big Jim” aveva fatalmente lasciato il posto a quella per le “macchinine”, in un periodo in cui tra l’altro la TV aveva iniziato il suo bravo “bombardamento” mediatico imprimendo a tutti i possibili target di pubblico una irrefrenabile voglia di “quattroruote” fosse essa fisica per i maggiorenni oppure “virtuale” per i più piccoli. 

Ebbene, di fronte alla vetrina dove dentro le canoniche “urne” di cartone colorato contornato da plastica trasparente si mostrava la meraviglia di auto in scala perfette, rifinite, curate in ogni dettaglio, il “rosso” prevalente di chiara impronta Ferrari giocava sottilmente a condizionare le scelte di massa; ma quelle degli altri, non le mie. 

Io non conoscevo ancora il sedicente motto del Drake, all’epoca: “Chiedi ad un bambino di disegnare un’auto da corsa e lui la disegnerà Rossa”; ma anche l’avessi conosciuto in quel momento avrei fatto “marameo” alla volta del sacro Grande Vecchio. 

La mia scelta, tra l’altro “Low Cost” visto che costava poche diverse “mille Lire” in meno di una qualsiasi Ferrari modellino, era ricaduta sulla mia beniamina: una automobilina che mi ricordava l’altra di due, all’epoca; quella che come Lei, in scala e condizioni reali, sputava fuoco dallo scarico ad ogni piè sospinto. 

Ed era in questo caso la Ford Capri Zakspeed Turbo che vedevo sempre nelle trasmissioni di settore in TV. 

E l’altra che per fortuna era abbastanza facile ritrovare tra le immagini dietro il teleschermo era la mia scelta di quel giorno davanti al giocattolaio. 

“Lei”, cioè la mia beniamina in scala, era la Lancia Montecarlo Turbo, ma ad essere didascalici dovrei chiamarla “Lancia Beta Montecarlo Turbo Martini Gruppo 5”. 

Con tanto di foto impressa sulla confezione di cartone per stigmatizzare la uguaglianza con il  modello reale, Lei era la concretizzazione del mio sogno: la guardavo per ore, rigirandola tra le mani, fissando il suo gioco di luci ed ombre sotto la luce di una finestra o di una lampada artificiale.

Ed avevo tutti i motivi per ammirarla. La mano e la matita che l’aveva disegnata affinchè avesse il miglior rapporto amichevole con il vento era una mano dentro al celebre Marchio Pininfarina.

Così come la originale “Beta Montecarlo” stradale fu opera del tratto speciale di Paolo Martin, ed all’epoca in cui la comprai in scala come giocattolo, la Montecarlo Turbo “vera” era già ed ancora una vera e propria icona stilistica, meccanica e sportiva, ma soprattutto agonistica. 

Non sapevo, non avevo ancora il concetto per capire quanto quella Lancia facesse davvero paura. Anni dopo, ed ora, sono pronto a raccontarVela anche in alcuni nessi e connessi che spero Vi piacerà leggere e condividere. 

E magari, con un giusto grado di ragionevole complottismo che, a differenza di quello più squallido di matrice politica, ci aiuta a capire tanta parte della storia dell’auto. E se mi passate l’esempio didascalico di “Davide contro Golia”, spero apprezzerete che pur di difendere e sostenere la mia beniamina contro il “Santuario Rosso” di Monte Maranello, ho voluto enfatizzare un ruolo della “Montecarlo” poco noto e analizzato: quello di elegante e sarcastica “sassata” del Gruppo Fiat contro il “Golia” in sella al Cavallino Rampante.

Partiamo intanto dalla “genesi” della Lancia Montecarlo, e prima di tutto dalla vicenda di Lancia.

Anni Settanta: Lancia e la “rivoluzione sottile” di Corso Marconi

Quando Lancia viene acquisita nel 1969 da Gianni Agnelli dalla gestione della famiglia Pesenti (al valore simbolico di una Lira, perché soffocata dai debiti) non era la prima volta che l’Avvocato incrociava il suo destino con il Marchio di Borgo San Paolo e di Chivasso. 

 

La Lancia guidata da Carlo Pesenti dal 1956 al 1969 aveva nel frattempo proposto in Gamma solo tre modelli oltre la pre-esistente produzione ultra-decennale: si trattava di Flaminia, Flavia, e Fulvia. Linee classiche e retrò, pochi pezzi costruiti a mano, ed una unica Best seller, la Fulvia Coupè. 

A sua volta Pesenti aveva rilevato, probabilmente previo accordo sottobanco con Fiat, la Lancia nel 1956 a seguito di una debacle finanziaria e commerciale in cui la famiglia Lancia aveva dovuto imbattersi per mantenere qualità, prestigio e canoni originari come definiti dal patriarca Vincenzo.

 

In quella occasione si era verificato però un davvero curioso e prestigioso “triangolo”: da un lato il Reparto Corse di Borgo San Paolo che rischiava (secondo voci abbastanza credibili) di finire acquisito dalla Mercedes che aveva da pochissimo partorito la decisione di ritirarsi dalle competizioni più tragica del periodo dopo la strage di Le Mans; e che probabilmente voleva “puntellare” con il Marchio Lancia – qualora acquisito – non solo una presenza agonistica mantenuta anche con il vecchio staff tedesco ma che commercialmente pensava forse di dare vita ad un Marchio di prestigio parallelo a quello Daimler Mercedes dopo aver acquisito anche il Marchio DKW Auto Union che già Mercedes aveva ricondotto ad una produzione molto entry level (e che poi avrebbe ceduto nella seconda metà degli anni Sessanta a Volkswagen).

Insomma, queste voci ben informate disegnarono all’epoca del 1955 uno scenario per il quale la Lancia sarebbe potuta entrare nella “galassia” di quello che era all’epoca senza tema di smentita il Marchio auto più forte e solido della Germania ancora postbellica: queste voci si azzeccano perfettamente con la “strana” mossa di Fiat e di (ancora) Vittorio Valletta ben suggerito da Gianni Agnelli: un finanziamento quinquennale offerto proprio dall’Avvocato ad Enzo Ferrari, per acquisire nel 1955 da parte della Casa di Maranello il materiale ed i diritti della Squadra Corse Lancia. 

Fiat avrebbe dunque accordato a Ferrari quel finanziamento per acquistare la Squadra Corse prevalentemente per superare l’interessamento dichiarato sulla stessa da parte di Mercedes. 

Una eventuale acquisizione da parte di Stoccarda della divisione torinese avrebbe ben presto prefigurato un nuovo concorrente estero per Corso Marconi, e dunque il gioco valeva la candela. 

Che poi questo possa più o meno aver creato il ponte per far arrivare anche il Cavallino Rampante dentro Fiat dal 1969, è un discorso relativo. Fatto sta che in quello stesso 1969 la Fiat acquista anche Lancia. 

Da qui riparto con il racconto cronologico e scalare, perché nel frattempo dopo i miliardi più una Lira spesi per acquisire il 49% di Ferrari e tutta la Lancia, Agnelli non sembra averne abbastanza di shopping compulsivo: compra dalla Michelin il 49% di quote della Citroen che nel frattempo ha a sua volta appena rilevato il 60% della Maserati. 

Dunque, indirettamente, per il 49% anche la Fiat è titolare di Maserati, e questo non è solo un discorso simbolico e metaforico. Ad un certo punto del racconto Vi mostrerò perché.

Cosa si trova di fronte il management di Corso Marconi acquisendo Lancia? 

A parte la residuale e marginale “Lancia 2000” erede della già vecchia Flavia (e tuttavia avviata al ciclo produttivo in fase a tal punto avanzata prima del passaggio a Fiat da rendere più conveniente produrla per un lustro che non bocciarla) la Gamma obsoleta di Fulvia e Flaminia viene passo passo smantellata se non per la “Coupè” Fulvia effettivamente ancora vendutissima e soprattutto vincente nei Rally. Fiat dirotta nel vero senso della parola la futura Gamma Lancia nell’alveo dell’accordo con Citroen.

 

Lancia Beta deriva dallo chassis della Citroen “GS” senza però sospensioni idropneumatiche; allo stesso modo viene aperto un filone progettuale comune per una futura ammiraglia congiunta tra Lancia ed il doppio Chevron (Cx e Gamma Berlina). 

Da un lato questo indirizza abbastanza seriamente lo sviluppo di linea identificativa di Gamma: alla data del 1972, tanto per fare un esempio, con tutta la possibile buona volontà industriale la Lancia sotto egida Fiat produce ancora un minestrone in Gamma: Fulvia Berlina (runout), Fulvia Coupè, Lancia Beta Berlina, Lancia “2000”, e si trova ancora a Listino la “Flaminia”;

tuttavia ha già mostrato una bella sventagliata di muscoli con il prototipo “Stratos Zero” di Bertone subito cooptato da Cesare Fiorio e pian piano “convertito” nel corpo vettura della Lancia Stratos HF disegnata da Marcello Gandini;

Ma nonostante le dicerie, la scelta di motorizzare a priori la Stratos con il motore “Dino V6”non è davvero un passaggio storico reale, poiché la Lancia – attraverso il suo A.D. PierUgo Gobbato – ha ancora fino al 1972 avanzato lasciata aperta una opzione alternativa poco nota ma a ben vedere molto discriminante. 

L’idea passeggera è quella di adottare il V6 Maserati da 2700 cc. disegnato da Giulio Alfieri e tutto sommato al livello ottimo del Dino V6 che nel frattempo è rimasto in parecchie decine di unità nei magazzini di Corso Marconi perché il percorso commerciale della Fiat Dino si è insabbiato per colpa della crisi energetica, dei costi di gestione altissimi per il classico cliente Fiat e per la improvvisa “strambata” che lo stesso Enzo Ferrari ha deciso di dare alla linea produttiva delle creature stradali di Maranello: dunque, con tutto l’onore e la reverenza per il Cavallino Sacro, la scelta del “V6” Dino Ferrari ha anche tanto il sapore dell’economia (termine assurdo, lo capisco) di scala. Ma senza alcun imprimatur sacrale al riguardo, né tantomeno senza impuntature o questioni da risolvere.

Ma nonostante la base dell’accordo tra gentiluomini, per il quale l’Avvocato lascia ad Enzo la assoluta e sacra autonomia gestionale sul programma sportivo (che Fiat paga a piè di lista) avendo in cambio Mirafiori il diritto di co-gestire la politica commerciale stradale, il Grande Vecchio continua a fare fondamentalmente di testa sua: improvvisamente, per ragioni che solo l’Onnipotente potrebbe tradurre, il Cavallino dal 1973 toglie dalla sua Gamma il motore V6 e cancella il Marchio “Dino Ferrari” (che delineava la produzione Entry Level del marchio, come desiderato dal figlio Dino) per passare ad una motorizzazione di base fatta da un V8 da 3 litri (successivamente anche da 2000 cc.) ed un modello/Gamma denominato“GT4 Dino”.

Prima o poi questo sta per diventare un problema prima tra il CdAdi Fiat, poi tra gli Azionisti; e alla fine diventerà un problema anche per Gianni Agnelli. Anche perché sta galoppando la crisi energetica che rende diversi Marchi “opulenti” più un problema che una risorsa. E la Ferrari non sfugge a questo destino.

Lancia: Regina dei Rally, torna in Pista: “sgarro” a Maranello?

Quando si racconta una epopea con il dispositivo del “passaparola” Omerico, si rischia di propinare per decenni la stessa piccola bufala. Nel rapporto tra Fiat e Ferrari l’unico idillio cinematografico era tra il Feudatario Gianni ed il “Vecchio Druido” Enzo. 

E per una personalità così’ efficacemente e straordinariamente allucinata quale era quella dell’Avvocato, l’unico sempre padrone di sé e capace di trasformare in vantaggio anche eccessi al limite dell’animalesco, le note spese mostruose indirizzate alla contabilità di Corso Marconi per l’attività agonistica del Cavallino apparivano un segno di lusso e di aristocratica distinzione solo per un abitante di Villar Perosa, che nel frattempo rimpolpava il suo autoparco personale con diverse Ferrari speciali; per CdA ed azionisti di Fiat – soprattutto nel pieno della crisi energetica – i conti della Rossa erano un abominio. 

Il segno di questa lenta ma inesorabile breccia di Porta Pia sulla Via Emilia si manifesta da subito: dal 1969 i Presidenti di Ferrari SEFAC sono al 99% uomini cari a Fiat. Ma possibile che al debutto della Lancia Montecarlo nel Mondiale Sport Prototipi la situazione tra Ferrari e Gruppo Fiat fosse già a livello ferri corti? 

Forse di più: l’arrivo a Maranello di Luca Cordero di Montezemolo dal 1973 è chiaramente un segno “bonario” da Corso Marconi di “televigilanza” del modello di gestione monocratico del Drake che se ne fregava altamente dei ruoli e delle cariche, soprattutto dopo la famosa “cacciata” dei Dirigenti nel 1961. 

Chiarito a Mirafiori che l’Orco buono della Via Emilia era fondamentalmente inconciliabile con i dettami e le cosiddette “Policy” in vigore nel Gruppo Fiat, si materializza e si incammina verso il comando l’uomo della vera svolta: Vittorio Ghidella. 

Nessuna biografia Vi potrà mai dire espressamente cosa muovesse davvero questo ottimo Manager ed Ingegnere nei confronti Maranello. Beninteso, come tutti i Dirigenti autorevoli e molto ben preparati sul proprio lavoro, l’Ingegnere di Vercelli non amava certo le schegge impazzite monocratiche ed autocentrate. 

La diffidenza non era certo sull’uomo Enzo – da tutti e anche dal sottoscritto considerato uno dei primi trenta grandissimi e sovrumani geni dell’Automotive mondiale da un secolo e mezzo ad oggi – ma sulla natura poco domabile e troppo individualista del patron della Ferrari dentro il Gruppo Fiat.

Enzo era un machiavellico Guru di una organizzazione volutamente tenuta e gestita con profilo da Bottega da altissimo artigianato ancora alla seconda metà degli anni Settanta (pur disponendo di Factory, laboratori, Centri Calcolo, Pista prova privata a Fiorano, Fonderia personale).

Ghidella era al contrario un vero Illuminista della moderna Impresa Automobilistica globale. Ovvio che tra i due la unità di vedute era al più sugli sprazzi e sui particolari che non su scenari e panoramiche complesse. 

E poi, come storia insegna, Vittorio Ghidella era di sicuro un autodichiarato ed appassionato cultore ed ammiratore di Lancia, ma in primo luogo era un uomo “Corporate” con precisi doveri verso CdA e mercato azionario; oltre che uomo capace di leggere nella contabilità quando il bilancio tra costi e rendimento di un Asset era sbilanciato troppo verso la prima voce minimizzando il vantaggio ed il valore nominale del Marchio dentro al Gruppo. 

Con questo modulo di analisi ed approccio al mercato lo stesso Ghidella (che per inciso ho sempre stra – adorato) ha per esempio compiuto la leggerezza di fondere Autobianchi con Lancia portando di fatto Desio all’oblio. 

Lancia Montecarlo Turbo: creatura “predittiva” di Vittorio Ghidella oltre che di Fiorio?

Ma qui siamo ben oltre le epoche del racconto che voglio fare: torniamo a Vittorio Ghidella che sale la scala del potere dentro Fiat. 

Arrivato in Fiat dall’esperienza nella fabbrica paterna di accessori Auto, pur giovane ingegnere aveva raccolto le sfide e le missioni che progressivamente il Gruppo gli impartiva. 

Il momento d’oro fu però a partire dalla “Marcia dei Quarantamila” del 1980: un vero piccolo terremoto che contribuì a cambiare l’approccio dei Media e dell’opinione pubblica sulle motivazioni e sulle ragioni della lotta operaia fuori e dentro le fabbriche.

 

Se per quanto tale la Marcia dei Quarantamila sortì effetti che fecero breccia nell’opinione pubblica, l’immagine stessa di Ghidella (ottimo tecnico, brava persona e soprattutto originario di quella appartenenza e fisionomia sufficientemente popolare in grado di familiarizzare con le maestranze) dovette apparire forse all’Avvocato Agnelli similare a quella del mitico Michael Edwardes che, in Gran Bretagna, riuscì gradualmente ad avere ragione di un vero e proprio marasma sociale e industriale che stava portando l’Automotive inglese nel baratro. 

 

Dunque Ghidella scalò rapidamente le vette del potere diventando a fine anni Settanta il Capo della divisione Auto di tutto il Gruppo Fiat, con dunque autorità e potere decisionale su Fiat, Lancia, Autobianchi, e ovviamente Ferrari.

L’impronta del “guru” Vittorio si vide gradatamente nella ricerca di un “family feeling” che dando attenzione ai trend commerciali più graditi al pubblico e senza venire travolti dai costi, portò rapidamente a ristrutturare la Gamma di Fiat, Autobianchi e Lancia secondo un paradigma che evitasse a tutti i costi una concorrenza interna. 

Ma è soprattutto verso il Marchio di Chivasso che la mano di Fiat rende il miracolo di vederla passare dal grigiore della gestione Pesenti fino al 1969 alla condizione di Marchio europeo di maggior effervescenza e crescita sul mercato nazionale ed europeo. 

La Lancia che Pesenti cede a Fiat produce nel 1973 73.000 vetture; nel 1979 ne produce quasi otto volte in più. La Lancia che vive dentro il Gruppo Fiat in cui Ghidella è già un Leader sforna tra il 1975 ed il 1980 cinque nuovi modelli. Inutile aggiungere altre parole, il Marchio di Chivasso diventa di colpo uno dei più dinamici, innovativi e graditi in tutta Europa, e con un management assolutamente incline ai diktat illuminati di Vittorio Ghidella. Tutto questo, tuttavia, mi autorizza a ipotizzare la rotta di collisione cercata e voluta tra Vittorio e…Maranello.??

Siamo sinceri: la “prossemica” è la disciplina che descrive e inquadra il sentimento o l’approccio tra individui mediante l’analisi posturale e dei messaggi non verbali lanciati dal nostro corpo. E’ di tutta evidenza che la “prossemica” che Ghidella adotta dalla fine degli anni Settanta è in primo luogo collimante con gli umori di parte del CdA e dell’azionariato Fiat, per come Ve l’ho descritti più sopra. Ma con questo, al di là della sottileprovocazione, non intendo avvalorare che vi fosse, tra Ghidella e Ferrari, un aperto “Mezzogiorno di fuoco”. Questo no; basta però essere (noi contemporanei) qui alla data del 2025 capaci di sintetizzare ed allineare secondo fattor comune gli eventi discriminanti dalla metà del 1975 fino di sicuro alla famigerata “Ferrari 408 del 1987 per farsi una idea non troppo difforme dalla realtà.

Quando la “Stratos” inanella risultati record grazie anche al motore Dino Ferrari è la Fiat a preparare una staffetta con la Fiat “131 Abarth. E nel comparto dei Rally, a parte il ruolo ritagliato specificatamente nel “Gruppo 1” per la stravincente Autobianchi A112 Abarth, la staffetta elettiva della Galassia torinese poteva essere solo tra Fiat e Lancia.

Ma ecco che all’orizzonte si muovono due pedine simbolo di una plausibile ed elegante guerra di nervi sottotraccia Cosa accade?

Accade che alla fine del 1976, a Fiorano, viene immortalata a girare sulla Pista di Prova una assai “strana” Ferrari: è una 308 GTB, la Berlinetta due posti nata come “entry level” al mondo stradale delle Ferrari in sostituzione della precedente serie “GT4” di Bertone: per entrambe è identico il motore 3 litri 8 cilindri aspirato posteriore centrale, solo che per la “GTB” lo schema è di solo due posti e non 2+2 come sulla GT4; disegno di linee di Pininfarina, la “308” è ovviamente affine nella sua architettura alla omologazione per il Gruppo “4” (come peraltro la “Stratos”); quella “308” è allestita e tarata per un uso rallystico, e come tale ha chassis irrobustito, carrozzeria alleggerita e priva di qualunque orpello inutile alla causa e si mostra tuttavia con due bei fanaloni tondi alloggiati nella griglia inferiore anteriore, dettaglio iconico dell’utilizzo rallystico dei tempi.

E’ predisposta, allestita e messa in Pista per correre nel Gruppo 4? 

La risposta banale è “si”, e del resto la cosa è nel DNA principe della Ferrari, dunque la cosa non dovrebbe meravigliare.

Ebbene, nella presentazione della Berlinetta Gruppo 4, nel tono di malizia e di intelligenza fine contadina del Drake, le informazioni spiegano che quella “308 GTB” Gruppo 4 (come si legge a caratteri cubitali, in stile “Excusatio non petita”) è stata allestita, preparata e fornita dal Reparto Assistenza Clienti e non dal Reparto Corse (fin troppo oberato di lavoro con la F.1); ed infatti la GTB Rally Gruppo 4 non prevede un impegno diretto della Ferrari nei Rally ma sarà ceduta a Squadre terze come ad esempio l’importatore francese Charles Pozzi. 

 

Che chiaramente, è sottinteso nella nota, la utilizzeranno come minimo nell’Europeo, se non addirittura nel Mondiale Rally, dove prima o dopo si beccherà o con la Stratos uscente o con la “131 Abarth” per il primato di Gruppo 4.

 

A questo punto, cosa avrebbe spinto la Ferrari a dichiarare con puntiglio che il Reparto Corse era di fatto estraneo alla realizzazione e messa a punto della 308 GTB Gr.4? 

Beh: se pensiamo alla sagacia e fine maestria del celebre addetto Stampa della Ferrari all’epoca, Franco Gozzi, viene naturale immaginare il machiavellismo: forse era davvero vigente, e non solo simbolico, quel presunto agreement tra Fiat e Ferrari che inpegnava Maranello a non avviare azioni direttamente antagoniste alla compagine sportiva del Gruppo Fiat al di fuori della Formula Uno? Vox Populi, Coram Dei, si dice….. Ma, Vi chiederete giustamente, dov’è finita la protagonista della storia? Dove è rimasta la “Lancia Beta Montecarlo”?

 

Beta “Montecarlo”: la prima stradale Lancia di sempre a motore posteriore centrale

La figura di Gianni Agnelli offre una opportunità più unica che rara di narrare storie vere: poterle articolare, quando l’Avvocato ne fa parte, di quel certo non so che di ambiente cinematografico e fiabesco. Capita dunque che nel 1969 Agnelli si rechi in visita alla Bertone di Grugliasco; qui vede tra le tante “maquette” statiche quella della famigerata “A112 Runabout” barchetta a motore posteriore centrale disegnata da Marcello Gandini. Detto fatto, Agnelli si “invaghisce” della creatura e ne compra il Copyright ed il Layout. Non che contemporaneamente non fosse già arrivata a Casa Fiat una proposta di Berlinetta sportiva a motore centrale: il Centro Stile di Autobianchi, animato e supervisionato dal genio immenso di Pio Manzù, la “G31” addirittura precedente al 1969. Cosa spingeva tuttavia l’Avvocato verso una nicchia di mercato davvero esclusiva e poco popolare? Da un lato la contingenza della crisi socioeconomica e culturale (nella quale la criticità energetica, la contestazione giovanile e le tensioni operaie stanno pregiudicando l’immagine del “lusso” un po’ in tutta Europa) spinge diversi Marchi prestigiosi a raschiare il barile; dall’altra la sempre maggiore facilità industriale di produzione di serie consente a tanti “generalisti” di aprire linee di Gamma inusuali e speciali. 

Anche per Fiat, come per diversi Costruttori americani e per la Volkswagen, sembra arrivato dunque il momento per una bella “riverniciata” di immagine. Ma l’idea di una linea sportiva – “light e giovanile – di sportive a motore posteriore centrale non sembra a sua volta una piccola “spina” nel fianco della produzione “entry level” del Cavallino Rampante ? 

Sia come sia, nel 1972 Gianni Agnelli decide di rimpiazzare la “850 Coupè/Spider” con un prodotto davvero innovativo: commissiona alla Bertone di Gandini (già impegnato per tutto il Gruppo nel disegno di Ferrari serie GT4 e della Stratos) il progetto denominato “X1/9” con motore posteriore “Lampredi 1300 cc.” della Fiat 128. 

Dentro a questo progetto, in una staffetta anche qui elettiva con Pininfarina (l’altro Carrozziere ormai iconico a Torino) assegna a quest’ultima la commessa per un completamento di Gamma nella cilindrata ipotetica più alta tra i due litri e mezzo ed “over”, a quattro o sei cilindri: espressa dimostrazione della volontà dello specifico Marchio Fiat di poter abitare il mondo delle sportive di alto rango con una offerta relativamente popolare; eppure nel taglio alto quel progetto commissionato alla Pininfarina e denominato proprio “X1/8 pare confezionato proprio per rompere le scatole alla gamma “di accesso” al mondo Ferrari. 

Tra le dicerie si fa strada anche l’ipotesi di un protocollo di intesa saltato tra Gianni ed Enzo per traghettare di fatto la “griffe” Dino Ferrari e stamparla in accompagnamento a linee di prodotto esclusivo in casa Fiat (un poco come fa nel periodo la Ghia per Ford, la Gordini per Renault), e proprio per una sorta di “ri-equilibri” tra pezzi diversi di uno stesso Gruppo, una delle ipotesi commerciali “vociferate” parlava di “X1/9 Abarth” Fiat e di “X1/8 Dino” Fiat.

Fate caso alla denominazione numerata dei due progetti, non a caso: il protocollo interno rilasciato per Pininfarina è perlomeno contestuale o un poco precedente rispetto alla “X1/9” assegnata a Bertone. Non ci vuole un genio a capirlo, ed evidentemente anche nel caso della “X1/8” ci doveva essere già in Layout di protocollo generale una ipotesi discriminante di architettura del motore. Che potesse essere un “V6” non ci vuole tutto ‘sto genio per ipotizzarlo. Quali “V6” aveva a disposizione Fiat per eventualmente equipaggiare una futura stradale basata sul progetto “X1/8”? Ovvio, il Dino Ferrari.

Su questa ipotesi e diceria, venuto a mancare il supporto della eventuale griffe “Dino Ferrari” a disposizione di Fiat, sembro per un attimo che proprio il piccolo Tuner austriaco fosse il beneficiario iniziale di quella “X1/8” che prendeva corpo dentro Pininfarina; una sportiva due posti secchi “dura, pura” ed economica che diventa un modello concreto in purezza e ignoranza quando dal bozzolo della “X1/8” Work in Progress arriva il prototipo da Gara “Fiat Abarth 030” con motore V6 della Fiat 130 elaborato dallo staff del mitico Karl fino a quasi 3500 cc. e 285 Cv.

Le misure fondamentali di questa “030” che partecipa al Giro d’Italia del 1974 (arrivando seconda ad un passo dalla Lancia Stratos gruppo 5 Turbo) sono in effetti quasi identiche a quelle della futura “Lancia Beta Montecarlo”: passo 2,30 metri, larghezza massima intorno ai 160 cm, lunghezza totale intorno ai quattro metri.

Dubbi, insomma, che una futura versione commerciale della “X1/8” potesse dotarsi in prima istanza del “V6” Dino Ferrari da 2400 cc. senza dover “rigirare” il progetto alla Abarth? 

 

Nessuna scritta sulla pietra, ma neppure scandalo per averloipotizzato: eppure, guarda caso, quando Pininfarina indirizza gli Chassis definitivi della “X1/8” a Corso Marche alla Abarth, su queste scocche sono presenti i loghi dello Scorpione e non di Fiat o Lancia; e guarda caso la “Fiat Abarth SE030” del 1974 monta quel “V6” Lampredi sul quale tuttavia non è proprio una passeggiata arrivare a quei 285 CV: le misure fondamentali di alesaggio e corsa sono ritoccate (si passa dalle misura di mm. 102 x 66 mm. nel 3200 cc e 102 x 71 mm. nel 3500 cc. per il Giro d’Italia; lavorazione profonda delle testate, nuovo collettore…) per poi riassumere tutto dall’ottimo e preparato Giorgio Pianta che sotto sotto boccia il progetto per la eccessiva pesantezza del motore e per i consumi spaventosi. 

 

Da questo il programma “X1/8” arriverà ad una sorta di “bivio”: viene “stornato” dalla “disponibilità” di Abarth che per un periodo molto lungo della sua storia diventerà quella “griffe “ sportiva di arricchimento speciale della Gamma commerciale Fiat ed Autobianchi, e che dal progetto interno “SE031” inizia a configurare la futura “131 Abarth”; e dall’altro lato il progetto viene ridenominato “X1/20” e finalmente, da quel 1974, diventa un modello prossimo nel Marchio Lancia con in dotazione un motore quattro cilindri “Bialbero Lampredi” da 2000 cc e “solo” 120 Cavalli (segnalo che ai tempi il 2.0 litri Alfetta toccava i 136 Cv…) per non stressare troppo sul versante sportivo un Marchio “borghese” come Lancia sul lato commerciale.

Vero è che a questo punto dentro il Marchio di Chivasso iniziano a moltiplicarsi le proposte “eversive” (la stessa Beta Berlina, prima Due Volumi di serie del Dopoguerra in casa Lancia; la Stratos ed ora la “Montecarlo”) capaci di fare da “Crossover” tra diversi Segmenti di mercato. E’ davvero tutto casuale?

Certo, la crisi energetica; certo, la fisionomia futura del Gruppo Fiat in relazione alla Gamma auto e viceversa: ma ad un certo punto il progetto “X1/8” viene “ri-rubricato” in “X1/20” ed assegnato a Lancia, quello che chiameremmo oggi un “Brand Premium” così come oggi potremmo considerare Ferrari; ed il fatto che il progetto “traccheggi” ben tre anni prima di trovare una dimensione produttiva finale fa ben capire il livello di prudenza “diplomatica” e strategica si sia dovuto affrontare a Mirafiori ed il sottile gioco di incastri.

E, guarda caso, per presentare al mondo la “Montecarlo” si attende la data del 1975 che vede uscire contemporaneamente in forma pubblica sia la “Lancia” (al Salone di Ginevra) che la nuova Ferrari “308 GTB” (Salone di Parigi e Londra) che in questo caso butta alle ortiche tutti i paradigmi impartiti da Torino a Maranello sulla serie “GT4”. Anche questo un caso? Beh, amici, attendiamo la prossima puntata per condividere gli aspetti che secondo me portano la Lancia Beta Montecarlo ad essere una “spada” puntata alle terga di Enzo. (Fine Prima Puntata)

Riccardo Bellumori

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