Ducati Paso: Rivoluzione integrale di un’Italia che tutti invidiavano

Era talmente bella che fin dall’inizio gli si perdonò persino una “forzatura” storica, una sorta di “arzigologo simbolico” attraverso il quale fu presentata al mondo lasciandolo di stucco: “Lei” era dedicata a Renzo Pasolini, l’eroe indomabile delle due ruote che, se fosse rimasto ancora in vita tra noi, avrebbe avuto 48 anni e forse l’avrebbe forse persino guidata, quella prima donna. 

Eppure la sua breve ma luminosa carriera Renzo (deceduto a soli 25 anni, nel 1973) l’ha incorniciata con Aermacchi, Benelli ed H-D Aermacchi (cioè la ristrutturazione aziendale e di Brand decisa dalla Harley Davidson per rilanciare il Marchio in Europa sia in strada che nelle Gare); ma se avesse mai pur corso con le Ducati, questo potrebbe essere al massimo avvenuto negli esordi di Renzo fuori dalle Gare di Cross cui si era dedicato in primissima istanza; e dunque fuori dalla ribalta mondiale.

Dunque, perché “PASO”??? Cosa simboleggiava questo richiamo che, tra l’altro, sfuggì totalmente e colpevolmente alla “vera” casa agonistica di Pasolini, cioè la Benelli?

Perché se è vero che il divorzio tra Renzo e il Marchio di Pesaro fece scalpore nel 1970, è anche vero che gli ultimi veri guizzi di gloria nelle Gare di Velocità arrivano alla Benelli grazie a Pasolini.

 

Ebbene, l’occasione persa dalla Benelli non sfuggì di sicuro a due volponi commerciali e della comunicazione come i fratelli Castiglioni: loro, titolari della Cagiva (appena entrata nel controllo diretto di casa Ducati) e per questo virtuali eredi della tradizione e del percorso storico di Harley Davidson – Aermacchi (che Giovanni Castiglioni rileva dentro il suo Gruppo di produzione di minuteria metallica) della quale avevano dal 1978 rivoluzionato immagine e target sportivi e commerciali, avevano anche ereditato il pedigree sportivo e dinastico di quell’ azzardo organizzativo e tecnico che fu HD- Aermacchi in pista e che portò all’unico Titolo Iridato di Walter Villa ottenuto quasi da privato di lusso. 

In quella Aermacchi (poi HD- Aermacchi) il mitico Paso fu più una sorta di eroico e volenteroso Start-upper che non un Campione beneficiato da una vera e propria organizzazione di Squadra.

Ducati Paso: Tributo a Renzo dal Marchio che forse lo aveva solo sfiorato

Infatti nelle sole tre Stagioni iniziate da Renzo per il Marchio italoamericano la sperimentazione del  motore a Due Tempi nelle cilindrate 250 e 350 porta il nostro eroe riminese  a brillare solo nel 1972: Vice Campione del mondo nella Classe 250, ad un solo punticino di distacco dal suo avversario elettivo Jarno Saarinen ed una fila di piazzamenti migliori del finnico che permettono a Paso di tenere il sogno iridato aperto fino all’ultimo; 

mentre in Classe 350 la superiorità tecnica di Yamaha (sempre con Saarinen, Vice Campione di Classe) e la invincibilità ancora inossidabile del binomio Ago-MV Agusta (Campione del Mondo anche quell’anno) sono il muro con cui Pasolini combatte portando però la sua Aermacchi dove forse neppure il management contava di arrivare. 

 

Ebbene, forse per un tardivo e postumo tributo al sacrificio ed alla leggenda del più grande simbolo del motociclismo sportivo degli anni Sessanta dopo Agostini; o più facilmente per una corsa all’ultimo traguardo possibile prima che la stessa Benelli si rendesse conto della pessima svista e della mancanza di cui si era fino a quel momento resa responsabile, i fratelli Castiglioni decidono alla fine del 1985 di presentare “Lei”: la Paso. 

Un boom, una cosa mai vista, un vero e proprio altare alla bellezza motoristica per milioni di motociclisti ed appassionati. 

Un tributo, da parte di un Marchio (la Ducati di Borgo Panigale) che Renzo forse mai aveva davvero guidato professionalmente ma che era ormai entrata nel Gruppo che ha ereditato HD Aermacchisolo cinque anni dopo la tragica scomparsa di Renzo Pasolini avvenuta – come tutti i rilievi tendono a confermare – per colpa del grippaggio del suo motore. Certo, già i più esperti lettori tra Voi segnaleranno una co-cittadinanza prestigiosa tra Renzo “Paso” ed un Deus ex machina della protagonista di questa storia. Ci arriveremo…

Insomma, una sciarada storico – simbolica mica da poco, vero?

Ma come era entrata la Ducati nel Gruppo Cagiva? Ed anzi, perché non partire proprio dalla sintesi storica del Gruppo Cagiva? 

Quando i fratelli Castiglioni rilevano le attività, i capannoni e le sedi, ed il mercato di Harley Davidson e di Aermacchi(praticamente sulla via di un decreto di fallimento da fine 1977) ridenominando con “Cagiva” la produzione uscente, la situazione della ex gestione italo americana acquisita dai due fratelli varesini sembra la copia carbone di quello che solo pochi mesi dopo, a fine 1979, si configurerà a carico della stessa Cagiva nella cessione a Carlo Talamo dei diritti commerciali e di importazione delle Harley Davidson americane. 

Fondamentalmente bastò a Carlo Talamo mutare e trasformare la percezione presso il pubblico potenziale della stessa Gamma di maxi-Cruiser bicilindriche, venduta fino a pochi mesi prima dai Castiglioni, per cominciare a crescere commercialmente in modo esponenziale. 

Accadde lo stesso, pochi mesi prima, alla HD Aermacchi ceduta e ridenominata in Cagiva: mantenendo la stessa Gamma di moto da 125, 250 e 350 cc, lavorando semplicemente di comunicazione pubblicitaria e di variazione di scelte cromatiche e di poche differenze in accessoristica e optionals, fondamentalmente Cagiva riuscì a vendere le collaudate e popolari “SS-T” aggiunte della serie offroad “SX-T” in numeri fino ad allora sconosciuti rendendo desiderabili anche dagli adolescenti modelli che prima erano spesso nel cono d’ombra generato nella concorrenza nazionale da Gilera, Benelli, Laverda; e nella concorrenza internazionale dalle Honda di Atessa e soprattutto dalla Suzuki.

C’era tuttavia una differenza di fondo tra la gestione Harley Davidson nella Aermacchi e quella di Cagiva in nome proprio: Cagiva seppe da subito approfittare della grande posizione di vantaggio che la famigerata legge “De Tomaso” forniva ai produttori nazionali, imponendo ai listini delle moto estere importate sotto alla cilindrata limite dei 380 cc. una Super-Iva del 38% come dazio doganale.

In parole povere, mentre Harley Davidson si concentrò sulla produzione e vendita di modelli di nicchia, i Castiglioni “strapparono” alla offerta concorrente di Aprilia, Gilera, Laverda, Malanca, Moto Morini, Benelli, Moto Guzzi e persino di Ducati una fetta importante di domanda di Clienti che evidentemente non trovavano nei maxi listini delle giapponesi una risposta percorribile.

E’ questo, insieme al glamour estetico e mediatico, che porta modelli come la “SST125” (ridenominata “Aletta Oro” oppure “Electra Glide”con avviamento elettrico), o come la “SST 350 Aletta Verde ed altre a fare numeri inimmaginabili all’atto del quasi fallimento della Aermacchi. 

Così facendo, e dopo la “Aletta Rossa” 125 best seller per anni nelle classifiche di vendita dei sedicenni, il cashflow e la notorietà industriale di Cagiva cresce al punto da permettere ai Castiglioni il nuovo miracolo di Schiranna: allargare il focus commerciale al mercato “over 350”.

Farlo per molti era una pazzia, ma nella concezione finanziaria estrema che ha guidato fin dai primi anni la Cagiva nel comparto moto c’era anche molta passione per le moto, colpo d’occhio, fiuto commerciale, capacità di discernimento e grande dote predittiva: l’esempio di Ducati in questo è puramente didascalico.

Ducati, il colpo da maestro contro i “tozzi di pane” dell’Avvocato Agnelli

In Italia nei primi anni Ottanta lo shopping “autoctono” di stampo automotive era abbastanza semplice: se eri un Gruppo privato, ti bastava comprare quel che era ancora pubblico ed era rimasto in vita. Poi, se ti chiamavi FIAT, tutti i tuoi acquisti erano sempre “Low Cost”……

Detto tra noi, alla Cagiva forse il colpaccio più agognato (l’acquisto di MV Agusta moto dallo Stato) era saltato per solo pochi mesi in un incrocio temporale mancato: da una parte la Cagiva acquisiva Harely Davidson Aermacchi e dall’altra l’EFIMstatale chiudeva per sempre il ramo motociclistico della MV Agusta, forse in questo modo rimandando di un buon decennio un passo storico come fu quello della rifondazione di MV.

Ma sotto il controllo statale dell’EFIM era rimasta la Ducati, ceduta nel 1978 alla VM Motori di Cento, e da questa ceduta al Gruppo Cagiva nel 1985. Ma prima di questo passaggio c’è una Joint  Ventures rimasta storica : la Cagiva, solo poco più di un lustro dalla sua nascita “formale” ha già bruciato le tappe nel settore delle piccole e medie cilindrate; nello stesso tempo si è presentata nell’agonismo a due ruote comprendendo a “macchia di Leopardo” un poco tutte le categorie : SXT 125 corre nei Rally Raid e nelle Gare di Regolarità, inizia il motocross ma soprattutto fa scalpore il debutto di una “Frankenstein Cagiva” al Motomondiale Classe 500 fino dalla seconda metà del 1978.

Era già il momento per l’Elefantino di Varese di tentare il colpo gobbo: entrare nel circolo ristretto delle “Maxi” dove i giapponesi avevano già fatto diverse vittime. Ovviamente, come detto, dalla sua la Cagiva aveva solo tanta incoscienza, parecchi denari e una capacità unica e straordinaria del fattore “moltiplicatore” della comunicazione e delle strategie di Marketing: è quella dote rara di saper immaginare quello che non esiste, che andrà a ruba presso i consumatori potenziali e che, soprattutto, si può ricavare combinando tra loro elementi che già esistono senza bisogno di creare nulla di davvero nuovo.

E così il primo Giugno del 1983 Cagiva bussa alla porta di EFIM per proporre un accordo ottimo sotto tutti i punti di vista riguardante una Ducati che all’epoca era lontana parente di quella attuale. Ducati aveva praticamente dato fondo a tutte le sue risorse per dare vita alla serie di motori ad “L” Pantah, con la 500 XL del 1979, da cui erano derivate le altre due cilindrate chiave della gamma commerciale in chiave “Pantah” appunto, cioè 350 e 600. Il Top era dato dalla motorizzazione 900 in configurazione “oldblock” con distribuzione ad alberini e coppie coniche montata su due modelli: la “Darmah” e la “MHR 900”.

I volumi di vendita sono però ridicoli, per un Marchio che dal momento in cui De Tomaso ha acquisito Moto Guzzi e Benelli grazie alla GEPI ha strappato al Marchio di Borgo Panigale anche le forniture pubbliche e militari. 

La proposta di Cagiva suona come musica nelle orecchie di EFIM: i Castiglioni si fanno carico di acquistare lotti di motori, telai e accessoristica fondamentale, persino cerchi, dischi e pinze freno della gamma Ducati classicamente “XL” ovvero “TL”; eppure non si tratta di una produzione su licenza, nonostante le apparenze. 

Cagiva ha in effetti nella manica l’asso vincente, e non ha assolutamente bisogno di Ducati su questo.

E’ il suo centro stile che finora per i fratelli Castiglioni ha creato le “cover” della originaria Gamma HD Aermacchi: sono i fantastici creativi che disegnano e configurano l’unica piccolissima cosa che aveva fino a quel momento tagliato le gambe alla pur eccezionale serie Pantah “XL” (quella sportiva) che sopravviveva soprattutto grazie agli acquisti dei Piloti privati che correvano in Pista o in Salita; ma la serie “TL” cioè turistica, era una sorta di desaparecida a Bologna: troppo poco comoda e versatile per essere stradista, troppo poco aggraziata e protettiva esteticamente per essere confortevole. 

In verità i Castiglioni, come sempre didascalici e (forse) già abbastanza “dogmatici” e ricercati, non si erano avventurati da soli in questo nuovo programma di business: in particolare Gianfranco si era messo già in contatto con la riminese “Bimota”-cioè il sinonimo dell’eccellenza progettuale e manifatturiera motociclistica in Italia e forse già allora nel mondo – per lo studio di una stradale sportiva da 500/600 cc spinta dal “Pantah”. Il layout finale tuttavia non convince, forse anche perché alla Cagiva si rendono definitivamente conto che il telaio di serie della Gamma bolognese è già di per sé perfetto ed adattabile con pochi ritocchi. 

In effetti lavorando sullo stesso telaio di serie con poche modifiche agli attacchi laterali a flangetta ed al telaietto posteriore reggisella, e usando solo una forcella anteriore diversa con lo stesso  manubrio della TL la Cagiva riesce in un miracolo: guardate di fronte, di retro, di lato, e di sopra una “TL”, una “XL”/”SL” ed una “Alazzurra”: Vi sembrerà difficile ammettere che le tre moto abbiano più del solo motore in comune. Detto tra noi, il progetto commissionato e dunque pagato da Cagiva a Bimota lascia un piccolo segno nel Layout finale della Alazzurramade in Varese: visto di profilo, il prototipo Bimota ha sicuramente suggerito alla Cagiva la forma del cupolino, una certa linea del serbatoio soprattutto per la sagomatura dell’attacco con la sommità anteriore della sella, anche se qui gli esempi della produzione giapponese non mancavano. 

La “Alazzurra” è un boom di vendite ma soprattutto su una categoria che Ducati aveva da tempo ceduto a Morini, Guzzi, Benelli. La Classe 350, quella dei diciottenni. 

Per il successo dei “maturi” occorre attendere ancora sette/otto mesi. 

 

Per intanto la “Alazzurra” nonostante le dicerie e le romanze, NON segna un record: in molti insistono a dire che nella Classe over 350 è la prima “Ibrida” a due ruote in Italia (cioè motore di un Marchio e modello finale marchiato da un altro Brand); in effetti la primogenitura nel mercato motociclistico “moderno” spetta alla Italjet 900, motorizzata Triumph a metà anni Sessanta. 

Ma portate pazienza solo un attimo, per vedere al Salone di Milano di Autunno 1984 il vero “Record”: la prima motorizzazione Ducati di grossa cilindrata (350 e 650) su una Enduro, e la prima esperienza di sempre per un motore Ducati alla Parigi Dakar del 1985. 

Nasce “Elefant” 350/650 e il mondo dell’Enduro deve fare i conti con due vere best seller. 

Stravenduta sia in versione civile che per scopi militari, sia in Italia che nel resto d’Europa, la “Elefant” porta anche l’Italia sul tetto del mondo della Categoria “Maxi Enduro” in cui, incredibilmente, era rappresentata dalla sola Moto Morini con la “Camel 500”  
Il primato incrollabile di “XL” Honda e di “XT” Yamaha è messo davvero a dura prova. E dopo l’esperienza Cagiva anche Aprilia, Gilera, e persino Moto Guzzi danno vita a proprie Enduro da 600 cc. in su. Insomma, l’Italia s’è “ri” desta nel mondo a due ruote proprio grazie a Cagiva che dimostra “Yes, We Can”.

Il sogno di Massimo Tamburini che riparte “dopo” ed oltre Bimota.

Ma c’è ancora un piccolo passo da portare a termine prima di far entrare Ducati dentro la “dimensione” Cagiva, esattamente quaranta anni fa 

Si trattava in estrema sintesi di “ricondurre a fattore comune” un universo di esemplari, prototipi, modelli, staff sportivi, concetti agonistici che anche solo dentro un semplice e breve lustro dalla nascita delle prime serie “Pantah 500” aveva già portato diversi Preparatori e telaisti da un lato e moltissime Squadre private più o meno organizzate a diffondere le Ducati da Gara in giro per l’Italia e l’Europa.

Di solito in questo tipo di discorso si porta sempre l’esempio didascalico di “NCR” dei mitici Rino Caracchi e Giorgio Nepoti, ma ci sono anche i fantastici Telai Moretti ed altri, che riescono a presentare nel Campionato “TT1” (mondiale e nazionale) entro i 600 cmc realizzazioni variegate.

 

E che portano la “NCR Ducati 750 TT1” a diventare il Benchmark assoluto per “iconizzare” – secondo Cagiva – la possibile portabandiera della Casa di Borgo Panigale in una disciplina e cilindrata dal fortissimo eco rappresentativo e simbolico: nel “TT1” gareggiano tutti i Big Player della produzione stradale, ed essere in grado di risaltare lì significa dare una mano importante alle vendite. Insomma, Cagiva non lascia nulla di intentato o di incompleto. 

Occorre per Ducati ricreare una immagine Corporate che surroghi quella ormai un poco appannata della famosa “900 HailwoodReplica” o della 200 Miglia di Imola 1972, insomma….. Arriva la “750 F1” alla fine del 1984, fortemente derivata dalla 750 TT1 del 1984 made by NCR. 

Spinta da un motore bicilindrico a L di 90 gradi raffreddato ad aria la F1 ha una potenza “base” di 70 CV a 9.000 giri nelle versioni targate (ma dichiarando fino ad 80 Cv per le versioni da Pista) un telaio eccellente, delle sospensioni Marzocchi ed una carena semichiusa tricolore che “acchiappa” subito.

Con un peso a vuoto 175 Kg e cambio a 5 rapporti garantisce una velocità massima di 215 Km/h, una delle Ducati più veloci dell’epoca. Viene prodotta anche una piccola serie stradale ad oltre 11 milioni di Lire con messa su strada. Sapete a quanto corrisponderebbero oggi? A circa 18.000,00 Euro, secondo Istat. Ma credo che se fosse prodotta oggi, una “750 F1” supererebbe senza problemi i 30.000,00 Euro.

Sette e mezzo, la formula magica dei Castiglioni per la “nuova” Ducati

Pochi riusciranno a interpretare questo concetto: la magia dei fratelli Castiglioni, in particolare di Claudio, si scontra con alcune “mostruosità” che le recensioni finanziarie, la storia sportiva ed alcune “tare” personali hanno riversato su un progetto di Impresa, il Gruppo Cagiva, che fino ad un certo momento ha avuto tutto dalla sua parte, inclusa la ragione di approfittare di una legge medievale e commercialmente scorretta come quella dei superdazidoganali voluti da De Tomaso.

Probabilmente la sopravvivenza di Cagiva (di fatto attualmente inattiva e ceduta come diritto di sfruttamento del Marchio ad un Imprenditore americano) sarebbe stata diversa se invece che comprare Husqvarna  e Moto Morini la famiglia Castiglioni si fosse concentrata su una sola delle due Case, senza “stuprarle” entrambe a forza per evitare una concorrenza inesorabile con il “core” di Schiranna. In particolare “tarpare le ali” a Moto Morini lasciandole solo la titolarità del motore Lambertini da 350 cc; oppure declinare per Husqvarna un percorso preferibilmente di Regolarità per evitare lo scontro diretto con Cagiva nel Motocross; tutte queste sono state, con il senno di poi, delle stupidaggini più tipiche da Avvocato sabaudo che non da “Padani” duri e puri. 

Addirittura su questo, il Gruppo Facebook “Ducatisti Integrali” richiama una intervista a Carlo Pernat nella quale lo storico protagonista del mondo a due ruote ricorda che fu Gianfranco Castiglioni a voler acquisire la Husqvarna dal Gruppo Elettroluxma non per la Gamma di moto o per un futuro target commerciale, ma per sfruttare la rete vendita europea e Service del Marchio svedese, molto capillare in Europa, per diffondere ed espandere il territorio alla Ducati.

Ma non è su questo che ci concentriamo a raccontare, quanto sulla piramide didascalica e geniale con cui i Castiglioni hanno costruito il percorso di arrivo a Lei, alla “Ducati Paso”. Perché “Paso” arriva dopo un percorso in cui, come si è visto, i Castiglioni hanno usato una artigianale pietra filosofale trasformando in oro quel che Ducati aveva già. E’ persino incredibile ricordare oggi quel che chi ha la mia età si trovò di fronte quaranta anni fa. 

Per la prima volta i Media strombazzarono un dato che, in effetti, il Pantah aveva dalla sua nascita ma che nessuno aveva avuto la ventura di amplificare: quello di Borgo Panigale, Made in Italy100%, era il “Bicilindrico più potente al mondo” in ogni sua cilindrata da 350 fino a 750 cc. Un altro indizio di come i Castiglioni sapessero bene cosa era la comunicazione: e questo fece una eco incredibile nonostante l’evidenza che al mondo, in quel momento, i “bicilindrici” erano fondamentalmente di tre tipologie elementari: c’era il Boxer BMW notoriamente stradista e dunque poco potente; c’era la concorrenza massiccia degli italiani (Moto Morini, Moto Guzzi, Laverda) a cui Ducati dichiarò guerra senza confini; ed infine, nella scelta commerciale dei giapponesi, c’erano i due cilindri del Sol Levante che tuttavia, detto banalmente, corrispondevano alla gamma “entry level” e popolare. Se all’epoca qualcuno avesse fatto una didascalia del genere, quel claim (il “Bicilindrico più potente al mondo”) si sarebbe ridimensionato decisamente. 

Eppure anche qui, nella forte suggestione che le Redazioni della Stampa e della TV avevano verso i Castiglioni, si può dedurre quanto “incombente” fosse il Gruppo Cagiva a confronto, ad esempio, di De Tomaso e Piaggio.

Una volta iconizzato il Marchio di Borgo Panigale sul gotha agonistico del “TT1” con la F1 750, in parallelo inizia un lungo percorso di studio sulla futura Paso che simbolicamente parte quando 40 anni fa Cagiva rileva la Ducati dal Gruppo Statale EFIM.

Tamburini alla Cagiva. Nasce Paso, e nulla sarà mai più come prima

Siamo arrivati ormai nel 1985 e si formalizza un passaggio di consegne importante, anche se su alcuni passaggi “Autoprove” non può fare a meno di rendicontare annessi e “sconnessi” di memoria storica: sembrerebbe, dal ricordo sempre di Carlo Pernatsulla pagina FB di “Ducatisti Integrali” che a volere l’acquisizione di Ducati fosse il solo Gianfranco Castiglioni, mentre Claudio era contrario. Tuttavia l’ingresso a Borgo Panigale avvenne, e questo nemmeno troppo progressivamente rivoluzionò la struttura industriale sia qui che a Varese. 

 

Perché nell’ingresso di Ducati dentro la Cagiva si consuma un altro arrivo fondamentale e leggendario: Massimo Tamburini, il “TA” della famosa “BIMOTA” (Bianchi, MOrri, Tamburini) ha da poco lasciato la Factory di Rimini cedendo a Bianchi le sue quote societarie da cofondatore. 

Motivi diversi e soprattutto divergenze portano ad uscire quello che dei tre è forse il vero e proprio “Creator” capace di interiorizzare e sviluppare nella propria mente il “corpus” globale delle realizzazioni riminesi, nate e concepite per riversare la eccellenza sartoriale e dell’oreficeria dentro al Design di ogni moto: nelle BIMOTA ogni particolare svolge il doppio ruolo di forma e funzione, fornendo ottima prestazione strutturale e funzionale e la bellezza visiva di pezzi torniti, sagomati, saldati e fusi con una maestria dei veri gioiellieri.

 

Quasi in coincidenza con l’acquisto della Ducati, Claudio Castiglioni contatta Massimo Tamburini e gli offre un incarico strutturale ed apicale dentro lo Staff creativo della Cagiva.

In quel momento (fine Inverno del 1985) Massimo è ancora in collaborazione con il Team di Roberto Gallina, impegnato nel Motomondiale Velocità classe 500 cc con le Suzuki RGB. Proprio per ridare smalto a queste 2T un poco superate e ormai distanti dalla concorrenza vincente di Yamaha ed Honda, i Team che adottano in rapporto ufficiale con Suzuki (che non partecipa direttamente al Motomondiale ma fornisce direttamente gli Importatori) le vecchie RGB seppure aggiornate alla versione “XR45” si trovano facilitati e liberi di sviluppare qualsiasi ritrovato tecnico utile a migliorare le prestazioni. E mentre la Suzuki britannica (il Team Heron) sviluppa un innovativo telaio in fibra di Carbonio della Ciba Geigy, il Team Gallina decide di percorrere e “stressare” la via dell’aerodinamica. 

 

Per questo Massimo Tamburini si affaccia a Ceparana, in Liguria, alla Factory di Roberto: per disegnare e sviluppare la onirica “TGA1”: la prima Moto del Mondiale Velocità Classe 500 con carenatura integrale. 

Un gioco di incastri e di sapiente lavorazione dei materiali per unire e rendere una sorta di “castone” aerodinamico la carenatura della “vecchia” RGB. 

Fiberglass, Kevlar e Carbonio si associano tra loro per ottenere una carena che non esondi troppo dalle dimensioni limite degli ingombri della RGB, che garantisca solidità e rigidità strutturale (assenza di vibrazioni, resistenza alla torsione ed alle altissime temperature di esercizio) e che in quel bellissimo punto di giallo interrotto dal logo “HB” possa presentare le giuste feritorie di accesso di aria per raffreddamento ed alimentazione motore. 

A frenare l’utilizzo della “TGA1” nelle Gare è presumibilmente il problema della manutenzione: a fronte dei (pochi) vantaggi in termini velocistici il problema della accessibilità alle parti meccaniche ai Box o – peggio – la riparazione di parti di carenatura in caso di incidente avrebbe reso quasi nullo dal punto di vista pratico il piccolo vantaggio cronometrico. Dunque, Tamburini lascia la “TGA1” allo stadio di bellissimo prototipo e accetta la proposta di Claudio Castiglioni dando presto vita al “CRC” (Centro Ricerche Cagiva). La “mission” di Tamburini è in primo luogo rivolto alla configurazione di una nuova immagine di lungo corso per Ducati. Abbiamo detto: il problema di BrgoPanigale in quel momento è la assoluta mancanza di appeal per il “mass Market”: Ducati è un prodotto di nicchia, acquistato o da appassionati del Marchio o più semplicemente da tanti che usano la moto in Pista o nelle Gare di velocità in Montagna. 

 

Il successo esplosivo di Cagiva Alazzurra ed Elefant ha dato alla dimensione motoristica del Pantah “L” una diffusione fino a quel momento impensata, visto che in solo un anno e mezzo i modelli varesini con motore bolognese hanno raddoppiato le vendite canoniche di Ducati fino a quel momento.

La “F1 750” a sua volta ha gettato le basi per una identità nuova della Ducati oltre la vecchia immagine della “MHR 900” a coppie coniche, dando ai Piloti ed agli appassionati una opzione di scelta “Trendy” e vincente. Era arrivato il momento di calare l’asso: la “Ducati” turistico – veloce da grande massa.

E qui, cari amici, si consuma lo “Yin” e lo “Yang”, l’Alfa e l’Omega, il Dottor Jackill ed il Mister Hyde di Cagiva, di tutta questa storia e del futuro schizofrenico del Gruppo di Schiranna

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