Jensen Interceptor storia del più tragico delitto di Buckingam Palace

Per gli Inglesi più ortodossi ed integerrimi sul versante Automotive è un poco come un Sacro Graal a quattro ruote, la cui fine industriale trova tuttora tantissimi nostalgici che persino mezzo secolo dopo – nonostante i ridottissimi numeri di diffusione commerciale registrata nella sua storia – ne celebrano il ricordo. Sotto l’aspetto dell’effetto avuto nell’industria però una ragione ai tanti devoti la si deve pur concedere. 

Perché Jensen “Interceptor” è stata un poco come una Spada nella Roccia: infinitesimale nei volumi venduti od immatricolati, desideratissima dalla maggioranza di coloro che anche solo si imbattono nella sua immagine immortalata su riviste e Social Media; ed infine tagliente e provocatoria come la celebre spada della leggenda. 

 

Capace persino di far arrossire tanti Marchi Costruttori più tecnologici, strutturati e prestigiosi di questa piccola Casa artigianale in tema di innovazione tecnica e di sperimentazione. Anche se non so a chi imputare “l’onta” di una mia netta impressione: che cioè o la Jensen o la Carrozzeria Touring si siano molto pesantemente e liberamente ispirati alla “Iso Grifo A3L” Concept del 1965 per la “Interceptor”.

Ma, ripeto, questa è solo una mia opinione. Presentata al 51° British Motor Show del 1966, Jensen Interceptor in verità risulta essere la più recente all’epoca esponente della Gamma sportiva del Marchio nato prima dell’ultima Guerra e sposato nell’immagine con una Gamma storica di berline veloci e bellissime.

Interceptor, l’Unicorno automobilistico in puro stile British

Disegnata da Vignale in collaborazione con la Touring, si presentò al pubblico mondiale come una vera e propria opera di rottura con il passato ma soprattutto con il concetto “canonico” di ShootingBrake al quale tuttavia si ispirava.

Come detto, il canone di riferimento è secondo me con la Gran Turismo di eccellenza, in Europa, in quel momento: Iso “Grifo”, se non altro nella simmetria nel disegno del parafango laterale anteriore e della linea di spiovente del cofano, ma anche nella interpretazione fatta da Vignale dello sviluppo posteriore che dalla sorta di rollbar centrale sul tetto della Grifo si “trasforma” in una sezione di carrozzeria chiusa che divide la finestratura laterale dalla coraggiosa fisionomia del lunotto davvero poco usato a livello industriale all’epoca. 

Insomma, la linea ispiratrice della Interceptor sommava dentro di sé una serie di qualità e caratteristiche raramente riscontrabili in una sola auto all’epoca: spazio interno e rifiniture da Ammiraglia, tecnologia da Executive Class, potenza e indole da supersportiva, linea esteriore da Crossover ante litteram con in più la concessione alla tradizione British più elitaria dei quattro fari tondi incastonati nel frontale lineare e imponente, con la coda ad omaggiare la migliore sintesi delle “Shooting Brake” Coupè della produzione artigianale di grande prestigio.

Se ritengo che la Jensen di Vignale ha ripreso in parte la filosofia formale della Iso Grifo di Giugiaro, va anche ipotizzato che a sua volta entrambe abbiano pesantemente ispirato la linea di Pietro Frua nella definizione della Monteverdi High Speed S 375 fastback del 1969 anche se, proprio nella “Glas BMW 3.0 V8” del 1967 il grande Pietro traccia un layout che sembra a sua volta la linea di confine tra Grifo e Interceptor. Sensazioni, certo, dentro un periodo che esprimeva in tema di Design una effervescenza incredibile.

L’equilibrio complessivo della carrozzeria era superbo e, a differenza di molte GT rivali dell’epoca, l’Interceptor aveva quattro posti e molto spazio per i bagagli in una carrozzeria lunga 4,57 metri, contro rivali decisamente più imponenti; ad esempio la Bristol 410 con cui Interceptor condivideva la base meccanica del V8 Chrysler, era lunga 490 cm e non offriva lo spazio che poteva esprimere Jensen al posteriore. 

La Interceptor tuttavia era anche un esercizio di genio industriale: la “piattaforma”, lo schema delle sospensioni e lo schema meccanico era assimilato dalla “CV8”, Gran Turismo formalmente e stilisticamente diversa dalla Interceptor.

Stile, potenza e taglio sartoriale. Ma che prezzo! Il prodotto giusto al tempo sbagliato

Con i 330 CV dichiarati dalla Chrysler (probabilmente più vicini ai 280 CV in realtà), l’Interceptor era molto veloce. Tuttavia, con il peso elevato per la nuova carrozzeria in acciaio saldata al telaio esistente le pur ottime prestazioni erano in parte “contestate” dal pubblico sportivo più esigente. 

Senza contare, in un regime di prossima e crescente Austerithy, il consumo di benzina elevato. Quel che accompagnava la Interceptor e la qualificava al Top della dotazione tecnica più evoluta e ricercata del tempo (pensate, esisteva persino già un sistema antibloccaggio) era allo stesso tempo anche il biglietto da visita della essenza stessa di Jensen, Marchio creato dai fratelli Alan e Richard Jensen di Birmingham. 

Partendo nel 1928 da una piccola roadster costruita sulla base di una Austin Seven (all’epoca una delle inglesi a quattro ruote più popolari), nel 1930 i fratelli esordirono nel settore automobilistico vero e proprio entrando alla carrozzeria W. J. Smith & Sons a Carters Green, West Bromwich.dove rimasero per i successivi 35 anni, assumendo il controllo dell’azienda dopo la morte di William Smith e ribattezzandola Jensen Motors nel 1936. In verità quest’anno festeggia già il 90° anno dalla prima vera “Jensen”: “White Lady” del 1935, una decappottabile con telaio autoctono e motore Ford da 3,5 litri. Per incrementare i guadagni di vendite e manutenzione i fratelli Jensen si cimentano anche nei Rimorchi e nelle carrozzerie per Camion, poi la Guerra fermò la produzione civile; alla ripresa della catena di montaggio arrivò nel 1946 la “PW”, una grande Ammiraglia di Lusso pensata più per ripopolare le Flotte della famiglia Reale e del Governo che non per i privati.

Poi dal 1950 arrivano la prima “Interceptor”, poi la “541”; mentre però la concorrenza alla quale Jensen puntava (AC, Bristol, AstonMartin) si dotavano di motorizzazioni “big Size” in diversi casi di derivazione americana, il Marchio dei due fratelli restava fedele al sei cilindri in linea della Austin. Arriva però il giorno in cui si scombinano le carte: con la “CV8” la taglia della Jensen diventa “Premium” e arriva un grosso motore Chrysler V8 da 6000 cc. “Autocar” la celebre rivista inglese di settore, decreta la CV8 come la berlina quattro posti stradale più veloce d’Inghilterra dell’epoca. Siamo nel 1965: anno straordinario per l’Automotive europeo di alte prestazioni; ma anche l’anno, sessanta primavere fa, in cui alla Jensen le cose cambiano radicalmente: vicini più o meno all’ottantina, i fratelli Alan e Richard si ritirano e cedono controllo ed azionariato ad una nuova proprietà

Della quale non si può non apprezzare il coraggio di osare, ma che forse azzarda un po’ troppo nel momento sbagliato. 

Jensen passa di mano, il sogno dei fratelli Alan e Richard inizia a sfumare

Il mondo si sta avviando ad una crisi energetica, sociale e industriale epocale soprattutto in Europa: il momento peggiore, in casa della nuova Jensen, per lanciare i primi due esemplari di una nuova famiglia discriminante per il futuro del Marchio. Arriva la nuova “Interceptor” in due versioni: “Classica” GT ed “FF”, cioè con corpo vettura un poco modificato per far spazio alla trazione integrale brevettata dalla “Ferguson Formula, filiale della Harry Ferguson che proponeva un differenziale centrale a ripartizione di coppia. Il brevetto, che trovò persino spazio nel 1969 nelle Matra e Lotus di F1 a trazione integrale, fu lanciato sulla “FF” fino al 1971, quando la stessa viene tolta dal mercato in curiosa concomitanza con la chiusura della “Harry Ferguson ResearchLtd.”

Il primo Costruttore al mondo ad adottare la Trazione integrale su un’auto di serie prodotta seimi – industrialmente è dunque la Jensen, tra le prime Case anche a dotare una Coupè sportiva di sistema antibloccaggio della Maxaret, come detto.

Il Maxaret di Dunlop è stato il primo sistema frenante antibloccaggio (ABS) ad essere ampiamente utilizzatonell’industria automotive, soprattutto su trasporti pesanti. 

Introdotto nei primi anni ’50, il Maxaret fu rapidamente adottato nel mondo dell’aviazione, dopo che i test dimostrarono una riduzione del 30% degli spazi di frenata e l’eliminazione degli scoppi o degli appiattimenti degli pneumatici dovuti a slittamento . Installazioni sperimentali su auto e moto dimostrarono prestazioni alterni, e i sistemi ABS non sarebbero comparsi sulle auto più diffuse, non sportive, fino agli anni ’70, quando i controlli elettronici si svilupparono progressivamente.

Peccato solo che un effetto sul pedale del freno davvero poco piacevole avesse pregiudicato nei media la reputazione e la valutazione del sistema: infatti all’azionamento in frenata del sistema antibloccaggio il pedale forniva la poco piacevole sensazione al piede del guidatore di una vera e propria “botta” all’indietro del pedale freno che tornava in posizione alta…

Troppo tecnologica, poco “classica” o troppo cara? Le reazioni del mercato alla Interceptor

Perché, a meno di  nuove scoperte e rivelazioni, la caratteristica della “FF” – a detta di molti”- di non essere un allestimento particolare della “Interceptor” ma un modello parallelo ne fa il primo esempio industriale europeo di produzione di serie di un’auto a trazione integrale. Chi obbietta che questo titolo spetti sia alle “Munga” che alle Steyr a partire già da fine anni Cinquanta, dimentica però che la vendita di questi due modelli – benchè dotati di trazione integrale in qualche allestimento – è stata avviata dopo il debutto della “FF”. Che aveva anche un innovativo e poco conosciuto sistema frenante antibloccaggio progettata all’epoca dalla Maxaret, una novità mondiale per la piccola azienda di West Bromwich, ma soprattutto la potenza garantita dal V8 Chrysler che rende la “FF” e la “Interceptor” dei mostri elegantissimi da strada.

Certo, il mostro da solo non può cambiare le sorti del mercato e di “Jensen”: crisi mondiale, problemi di messa a punto della “Interceptor”, e la fine del contratto di fornitura per Austin HealeyNORCROS; e così la holding di Jensen, chiamò dei consulenti per sistemare la situazione, tra i quali Carl Duerr. che rivitalizzò la Jensens, dando all’azienda una prospettiva di vita sufficiente a mantenerla attiva per un altro po’ di tempo. Entra nel controllo di Jensen la Brandts Bank; e si arriva al 1969. Ricordate? Ne abbiamo parlato in tanti altri Post di Autoprove perché il mercato auto inglese ci piace parecchio. 

Il sistema industriale Automotive in Gran Bretagna, all’esordio degli anni Settanta, è al tracollo: il programma di nazionalizzazioni del Governo laburista ha lasciato gli stabilimenti in ostaggio delle forze sindacali e degli operai facinorosi con scioperi, danneggiamenti, sabotaggi, furti nei magazzini. I Clienti inglesi voltano le spalle ad una Gamma in stato di abbandono e precaria, di fronte alla concorrenza giapponese ed europea. In questo il Governo è doppiamente colpevole ed inetto: completa le nazionalizzazioni facendo entrare ben 14 Costruttori inglesi dentro il minestrone dei raggruppamenti pubblici ma non fa nulla per proporre una salvaguardia a Marchi artigianali come AC, Bristol, od appunto Jensen. 

E mentre il novanta per cento della produzione auto inglese comincia a vivere di fondi pubblici, gli altri artigiani inglesi affondano. 

Il delitto perfetto, perpetrato nella idiozia politica e mediatica.

Nel 1970 Brandts Bank cede il pacchetto di controllo alla “QvaleAutomotive” dell’americano Kjell Qvlae, quello che poi a metà anni 90 cercherà di rianimare la De Tomaso: l’idea di Kjell è quella di ricreare negli USA una linea di piccole sportive a seguire la vendutissima Austin Healey. Lo stesso Donald Healey si insedia in America per disegnare e profilare la “Jensen Healey” del 1971: motore Lotus 16 valvole, taglio molto più “leggero” e classico della “FF” che viene ritirata dal mercato. Resta in campo solo la “Interceptor” classica che per fornire un taglio di Gamma superiore alla Jenesen Healey viene potenziata con la versione “SP” da quasi 400 cavalli. Colpo di genio davvero, nel momento in cui un motore classicamente Chrysler consuma uno sproposito già con “appena” 330 cavalli ed in confronto con il più rinomato gruppetto di motori molto più apprezzati nel mondo sportivo (lo Chevy V8 Corvette o il Ford Cleveland) che a parità di cubatura sono molto più sportivi e consumano persino meno. E si sta per aprire la crisi energetica mondiale…

Con la Jensen-Healey che entra in produzione nel 1972, e l’introduzione di versioni Cabrio e Coupé nella Gamma Interceptor, più una versione station wagon della Healey nota come GT, la crisi morde e taglia numeri di vendita alla Jensen. Qvale alla fine si rende conto di non avere altra scelta che staccare la spina. Nel settembre del 1975, esattamente mezzo secolo fa, e soprattutto quando Jaguar presenta al mondo la diretta concorrente della “Interceptor” (cioè la XJS) la Jensen viene avviata alla curatela fallimentare. Si continua nella produzione limitata della sola Interceptor “classica” fino alla cessazione dell’attività della Jensen Motors Ltd. nel maggio del 1976.

Peccato, ci sarebbe piaciuto, altrimenti, leggere nelle cronache classiche e delle Riviste prestigiose dei confronti epici ed infiniti tra le due Coupè Gran Turismo Executive più iconiche e rappresentative del classico canone eretico dell’Union Jack. Il confronto tra Jaguar XJS e Jensen Interceptor, un confronto rispetto al quale tante altre Gran Turismo blasonate tedesche ed italiane avrebbero dovuto rivolgere un inchino.

Riccardo Bellumori

Redazione
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