Da Livorno a Le Mans 1965: Bizzarrini sul tetto del mondo

Lo scorso anno, sessanta anni fa, Giugno 1964

Avevamo salutato un gruppo di avventurosi scalmanati partiti sulla Via Aurelia per andare a cercare gloria a Le Mans accompagnando una belva rosso corsa pronta a mordere l’asfalto della pista come anche, mesi prima, aveva fatto tremare i muri portanti delle due palazzine affacciate su Via Ippolito Nievo a Livorno, dalla cui autorimessa “Autostar” nell’estate del 1963 quel mostro satanico aveva fatto urlare a pieni polmoni gli otto cilindri del suo motore Chevy 5,3 litri al centro di una sorta di “chiostrino” tra i palazzi in Via Ippolito Nievo tra il civico 106 ed il 118 (dove oggi si trova un carinissimo Bar d’angolo e poco distante un monumentale Iper del Lidl) 

Il 20 Giugno del 1964, in un altro Sabato che già resta alla storia, dallo Start numero 32 della “24 Ore di Le Mans” parte per la prima volta una vera e propria “belva” rossa, bassa, attraente e muscolosa con un bel numero “1” in campo bianco.

Pochi mesi prima, ad Aprile 1964, Renzo Rivolta (brillante, flemmatico, elegante e davvero stimabile Capitano di Industria con la sua “Iso” a Bresso) aveva annunciato, forse con sua stessa sorpresa, la partecipazione alla “24 Ore di Le Mans” per un Marchio che pur destinato a “rompere le scatole” a Ferrari, Aston Martin, AC Cobra, Jaguar o Chevrolet nel campo delle Super Gran Turismo era comunque interessato al mercato delle auto sportive ma di grande prestigio, quelle insomma che a Maranello corrispondevano ad una parte limitata della Gamma del Cavallino idealmente nato per andare a correre in Pista; mentre per Rivolta la sportiva ideale – seppur potentissima e veloce – era quella entro cui si doveva poter entrare “con il cappello sulla testa” (come con una formula verbale furba e popolare lui stesso aveva saputo definire le sue auto) tanto per inquadrare come Cliente tipo delle creature di Bresso il Manager ed il ricco industriale che cercava nella sua “DreamCar” non solo la sportività ma anche il comfort ed il prestigio.

 

Cosa aveva dunque spinto il ricco Industriale di Bresso (pur nativo di Desio) a cedere al fascino delle Gare con un mostro spinto da un V8 Chevy da 5,3 lt. per 400 cv chiamato “IsoA3/C”?

Renzo Rivolta e Giotto Bizzarrini: sinonimi e “contrari” sul futuro della Iso

Il Commendator Renzo aveva ceduto alla amabile autorevolezza, all’entusiasmo ed all’indubbio pedigree tecnico del suo Consulente Giotto Bizzarrini che, a fianco di Pierluigi Raggi aveva da poco partecipato alla nascita della “GT 300/340” come prima Gran Turismo della Iso: una pietra miliare sia a Bresso che nel mercato delle sportive di alto rango uscita fuori dalla revisione totale e copernicana operata sulle ceneri della Gordon Keeble cui Renzo Rivolta si avvicinò superandone i concetti chiave tenendo tuttavia per sé tre degli elementi discriminanti che caratterizzeranno la “GT” Iso: linea tre volumi classica e sportiva, motore Chevrolet, identità allo stesso tempo sportiva e signorile.

 

Ma forte dello slogan maranelliano “Chi vince la Domenicaha tanta pubblicità gratis” coniato da Enzo Ferrari e, soprattutto, ossessionato dalla ambizione di battere le Ferrari nel loro stesso campo di battaglia, Giotto Bizzarrini vedeva l’impegno sportivo di Iso quasi come un “mantra”: 

e per questo, finanziato parzialmente da Renzo Rivolta, aveva avuto in concessione lo sviluppo e la gestione del suo Team sportivo, la “Scuderia Bizzarrini”, che derivava a sua volta dalla evoluzione della “Autostar” trasformata dal 1964 in “Società Prototipi Bizzarrini 

S.rl. – Livorno” traslocata in Via G.B. Lulli – zona Salviano – in un locale più ampio della ex Autorimessa di Via Nievo.

Oggi questa Officina, un edificio a parallelepipedo circondato da un giardino perimetrale, esiste ancora attiguo ad una Palestra, un Supermercato ed altro; ma tra il 1964 ed il 1966 era qualcosa a metà tra un palcoscenico di eccellenza visitato da ragazzi ed abitanti del luogo che si ponevano in religioso silenzio intorno alla struttura per vedere e sentire quei diavoli a quattro ruote; dall’altra – come sede anche della “Scuderia Bizzarrini”- Via G.B. Lulli era l’area di parcheggio, movimentazione e carico/scarico anche dei mezzi di servizio di Giotto: un furgone Fiat 238, un furgone “Alfa Romeo F12” e sporadicamente un bilico.

E la “Prototipi Bizzarrini” comincia anche a muoversi come una vera “Factory”: elabora  motori ed assetti per Clienti esterni (continuando a collaborare anche con la “Campagnolo Amadori” per la quale aveva mantenuto un mandato di rappresentanza insieme all’amico e collega Ingegner Maltinti) ma soprattutto Giotto – pur continuando a collaborare con la Iso a Bresso, come Consulente Tecnico esterno – si dedica allo sviluppo ed evoluzione delle “sue” specifiche e indiavolate creature motorizzate.

Certo, la settimana lavorativa di Giotto è abbastanza “sofferta”, ancora in rapporto professionale con Renzo Rivolta e, è bene ricordare, in un’epoca in cui Internet, posta elettronica e teleconferenze non esistevano: il Lunedì mattina presto partenza per Bresso, e ritorno a Livorno il Venerdì sera per supervisionare il lavoro dei suoi collaboratori in Officina e – se occorre – darci giù di martello e fiamma ossidrica per finire o perfezionare un lavoro.

Inizia la programmazione della famosa “Barchetta” P538, pensata per mettere in posizione posteriore centrale il V8 Chevy della A3/C e disegnata – come sempre dalla sinergia di Giotto con Pietro Vanni – in forma “aperta” e molto più muscolosa della stessa Iso A3/C; 

Tempi avventurosi, in cui Giotto rendeva frullini, presse e trapani concorrenti poveri ma dignitosi dei macchinari da sogno di cui potevano disporre i suoi avversari a Maranello, a Coventry, a Newport Pagnell, a Stoccarda. 

Giotto Bizzarrini, la Factory “avventurosa” e il miracolo livornese

Tempi in cui per le parti di vetroresina le factory preferite da Giotto erano i cantieri navali di Livorno e Cecina, e i “Suppliers” erano rettificatori e meccanici artigianali “assoldati” di volta in volta secondo bisogno.


Tempi in cui il Circuito “ufficiale” di Bizzarrini era il Mugello solo in casi estremi e necessari, ma la vera “Fiorano” di Giotto era il famoso ed epico “Circuito delle Spianate” tra Castiglioncello e Rosignano, in provincia di Livorno.

Spianate” era un circuito per modo di dire: intorno e vicino all’omonimo “Laghetto delle Spianate” – oggi oggetto di riqualificazione da parte delle Amministrazioni territoriali competenti – era stato avviato ed attrezzato (limitandolo al traffico circostante) un Cantiere comprensivo di una zona edificabile immaginata ai tempi come Centro residenziale di alto rango, vicino alle zone balneari della famosa e rinomata “Riva degli Etruschi”.  

Oggi il cosiddetto circuito è facile da localizzare: se percorrete Castiglioncello diretti al Laghetto, potete approfittare delle evoluzioni curvilinee di Via delle Spianate che si incrocia ai due estremi con Via del Solferino. Un Circuito impegnativo di circa due chilometri a forma di “boomerang molto sofferto.

La via di accesso al Cantiere, in quel periodo vicino al 1965,immetteva in un tragitto perfettamente asfaltato che perimetrava lo stesso laghetto nella sua circonferenza; in certi giorni in cui il traffico era quasi inesistente, i giovani appassionati di auto e moto si radunavano chiudendo l’accesso al circuito. 

Piccolo palcoscenico di un mondo perduto fatto di passione ed avventura, e dove passione ed avventura si uniscono c’era e non poteva mancare Giotto, che alle “Spianate” a costo zero testava le sue Concept, le auto dei Clienti e valutava giovani talenti cui affidare potenzialmente un volante.

Qui si tenne anche qualche edizione del “Gran Premio Riva degli Etruschi”, per promuovere proprio la zona residenziale: si tenevano Gare di Formula “4” definita anche Formula “K250”, con piccole monoposto. In una di queste Gare, tra un trofeo, un pranzo veloce al Ristorante storico “Le Spianate” di Nello Sartori, Giotto Bizzarrini adocchia Giuseppe Nieri, un giovane talento di solo 25 anni che proviene da una famiglia di ottimi Pasticcieri di Cecina, e che diventerà il Tester di fiducia di Giotto ed episodicamente Pilota ufficiale della “Scuderia”.

Tutto molto avventuroso e coraggioso, senza praticamente nulla della dotazione strumentale e dei macchinari con cui la concorrenza ambita da Bizzarrini costruiva le proprie Supercar: Giotto aveva come macchinario speciale il suo genio, il talento e la creatività sua e dei giovani avventurosi che lo seguivano: Paolo Niccolai,  Prampolini, Vanni, Sancasciani, Corradini. Siamo ancora tra Via Nievo e Via Lulli, e la squadra di Giotto ha ancora pochi ma preziosi adepti

Le Mans, si replica: Giotto sul tetto del mondo (a modo suo)

Tra quel gruppetto si trovano gli eroi che tentano la prima Le Mans del 1964 e rischiano persino di segnare davvero la storia: la Iso A3/C numero “1” durante la notte si mette al nono posto, e sembra averne ancora, con una dote di velocità che imbarazza persino la Ford GT40, la più veloce del lotto. 

Insomma, ad un passo dal miracolo (se si fosse posizionata un poco più su e vi fosse stato qualche prezioso abbandono ai primi posti, Giotto e la sua squadra avrebbero potuto persino chiudere la 24 Ore sfiorando il Podio) durante una ultima sosta al Box all’alba si incastra una pasticca nel freno posteriore all’atto della sostituzione. Quasi un’ora persa per chiudere, comunque, in modo dignitoso ed eroico quella prima edizione da debuttanti alla Le Mans.

Solo che la “Le Mans” del 1965 non inizia sotto i migliori auspici: la “Iso” da un lato deve affrontare il problema commerciale delle nuove norme anti emissione statunitensi, per potersi adeguare alle quali servono un sacco di soldi; dall’altra parte il confronto tra diverse visioni strategiche di Renzo Rivolta da un lato e da Giotto dall’altro porta alla rottura definitiva: a Rivolta le Gare non interessano, mentre Giotto al contrario sembra non poterne fare a meno. 

La rottura tuttavia deriva dalla incompatibilità ormai tra un concetto di lusso sportivo che Rivolta continua a voler ricercare, e la dissacrante concezione sportiva estrema che anima Giotto nelle sue realizzazioni: forse mai Bizzarriniavrebbe dato vita alla “S4” ovvero “Fidia” e dall’altro lato Rivolta cominciava a vedere quella “A3/C” come un corpo estraneo alla sua filosofia commerciale ed industriale.

Soprattutto mai Renzo Rivolta avrebbe permesso nella sua fabbrica di Bresso la realizzazione del numero minimo di 100 esemplari previsti dalla “FIA” per poter omologare ed iscrivere la “A3/C” nella Categoria “Gran Turismo” uscendo dalla iscrizione “Prototipi”. La differenza non era solo regolamentare o parametrica, ma marcava la differenza con la possibilità reale di battersela direttamente con le Ferrari nella leggendaria “Divisione III” sopra i due litri di cilindrata. Chiamatelo dente avvelenato, chiamatela ossessione, ma Giotto non voleva essere “l’ombra” del Drake nella Categoria Gran Turismo (varata dalla FIA nel 1961) ma al contrario fare delle rosse del Cavallino l’ombra delle sue “Iso/Bizzarrini”; ed in particolare come un moderno “Urano” avrebbe voluto che la sua “A3/C” divorasse la “figliastra” 250 GTO cui aveva contribuito attraverso la famosa “Papera”.

Perché almeno una volta a Giotto questa impresa era già riuscita con la “BreadVan” Drogo proprio su base GTO: la più “Papera” di tutta la storia della mitica Gran Turismo di Maranello.

Giotto e l’avventura da Costruttore: ma con “Le Mans” 1965 nel carniere

A quel punto le strade tra l’Ingegnere livornese e Renzo Rivolta iniziano a divergere: quella “Le Mans” 1965 è l’ultima di un quasi “ex sodalizio” che porterà alla fine del rapporto di consulenza e ad una sorta di parziale integrazione liquidatoria verso Giotto, da parte di Rivolta, consistente nella concessione a prezzo di costo di materiale tecnico e componenti utili per la realizzazione di una miniserie di circa cinquanta “evoluzioni” della Iso A3/C che, negli accordi reciproci, Rivolta cede a Bizzarrini come diritti della “A3/C” affinchè questi possa avviare una nuova linea produttiva – ovviamente ridenominata “5300 GT” – a Livorno; mentre a sua volta Giotto cede a Rivolta i diritti di uso di un Marchio, “Grifo”, che Bizzarrini aveva tempo prima registrato e brevettato per il mercato automobilistico.

Ovviamente alla data del 19 Giugno 1965 (giorno di partenza della Le Mans) tutto questo è ancora un futuro prossimo e in procinto di esitare alla fine dello stesso anno: adesso è Mercoledì 16 Giugno, il sole è ancora tiepido e i fronti di battaglia che si animano sono ben due, verso quella Le Mans in partenza il Sabato.

1965, l’allegra brigata riparte: da Modena, da Livorno, direzione Le Mans

Era un ragazzino, Paolo Niccolai, quando nell’estate del 1963 Giotto Bizzarrini lo aveva chiamato a lavorare dentro Via Ippolito Nievo: primo incarico, ripassare a china i disegni tecnici. 

Da quel momento per Paolo inizia un rapporto professionale e di amicizia sincera con il genio livornese e con la “Autostar” della quale Paolo è di fatto il dipendente numero due dopo Mauro Prampolini

Come per la edizione del 1964, anche nel 1965 Niccolai è in prima linea nella fase preparatoria della Scuderia verso Le Mans. Quel Mercoledì Paolo, concordati precedentemente tutti i passaggi con “Patron Giotto” rileva da Via Lulli il furgone “F12” e si dirige in direzione Modena, alla Carrozzeria “Neri & Bonacini”. 

Il motivo è semplice: presso la storica Carrozzeria e’giàarrivato l’esemplare di “Iso A3/C” prescelta da Giotto ed inviata alla Carrozzeria per le lavorazioni e gli affinamenti preliminari alla Gara; e se l’anno prima Giotto aveva cercato di replicare genuinamente Alfred Nebauer (lo storico D.S. Mercedes) cercando di grattare via la vernice rossa dalle sue Iso per risparmiare peso lasciando la carrozzeria in alluminio satinato e battuto (una velleità però impossibile a norma di regolamento che stabiliva la riconoscibilità di ciascuna auto attraverso la pigmentazione con il colore nazionale stabilito dalla Federazione Internazionale) nella edizione dal 1965 il problema è risolto alla radice dalla nuova carrozzeria in fiberglass dei Cantieri Catarsi: 20 chili risparmiati sull’avional alluminio che, certo, mantiene la peculiarità di essere più “riparabile” rispetto alla vetroresina ma purtroppo pesa. 

 

La Iso A3/C per Le Mans arriva ad avere oltre 400 cv per un peso a secco di poco più di mille chili. E guardate che berlinette chiuse biposto da circa due chili e mezzo per cavallo erano rare all’epoca.

Come detto, Mercoledì 16 Giugno Paolo si mette in viaggio verso Modena: è pomeriggio e l’obbiettivo è quello di raggiungere in serata il convoglio che dirigerà alla volta di Le Mans; dentro quell’Alfa Romeo “F12” che ha già sulle spalle qualche giro del mondo in termini di percorrenza svolta, il giovane collaboratore di Giotto ha stipato quello che può occorrere a supporto dell’Assistenza in Gara: dischi, pinze e pasticche freno, parti di motore, differenziali e semiassi, e tutto quello che da un lato potrebbe dover essere cambiato sulla “A3/C” e che dall’altro può entrare a forza nel vano di carico.

Un bolide pronto corsa, ed un furgone su strada. E si rompe il furgone!!!

Sembrerebbe tutto normale, per quei tempi, ma una volta raggiunta la Carrozzeria “Neri & Bonacini” in tarda serata, il tempo di un pasto e di un veloce riposo perché alla mattina presto di Giovedì 17 Giugno la zona artigianale modenese (dove era insediata la Carrozzeria) viene svegliata dal rombo del V8 elaborato corsa con batteria di Weber da 45, teste lavorate con valvole maggiorate e profili camme rialzati più tutta la serie di ritocchi che portano la potenza della Iso A3/C fin poco sopra i 400 Cv. 

Potenza ragguardevole per prototipi destinati a percorrere, tra prove e 24 Ore, almeno 4500 chilometri: ma la vera impresa, come sempre, nasce al momento della partenza “da casa”.

Perché per le risorse finanziarie all’osso e nella piena fiducia nella indistruttibilità delle sue “Iso” seppure pronte corsa, Giotto decide ancora una volta di affrontare i circa 1400 chilometri e le 15 ore di viaggio (che all’epoca coprono la distanza stradale da Modena/Carpi e Le Mans) con un convoglio formato da una belva rossa A3/C, il furgone “F12” ed una auto al seguito.

E qui comincia l’avventura raccontata meravigliosamente da Paolo Niccolai: lui, partito da Livorno con l’Alfa “F12” verso Modena inizia a sentire un rumore poco piacevole provenire dal motore, in un crescendo che non rassicurava di certo. 

Per cui, arrivato a Modena quel “F12” il gruppetto di avventurosi decide una mossa azzeccata per un verso ed assurda per un altro: quel furgone rischia di non riuscire a superare neppure il confine italofrancese; deve perciò tornare indietro quella sera stessa…..Già: ma i ricambi?

Che problema c’è? 

Prendi la Iso “A3/C” pronto corsa, con il minimo irregolare, il regime da idiosincrasia sotto i 4000 Giri/min ed una volumetria appena sufficiente per un pilota: riempila dei ricambi che puoi stiparvi dentro, ed il resto distribuiscilo per il seguito del convoglio ricreato di emergenza: è il gioco è fatto!

Che problema vuoi che sia, per il bolide da Pista preparato per fare 4500 chilometri a medie superiori ai duecento orari, percorrere ulteriori 1400 chilometri sulle strade pubbliche e pieno zeppo di componenti meccaniche? 

Ma proseguiamo con il racconto di Paolo che nella notte tra Mercoledì 16 e Giovedì 17 Giugno del 1965 sta tornando da Modena verso Livorno sulla Autostrada del Sole con quel “F12” pericolante: il suono ed il rumore poco rassicurante diventa, alla altezza di Pian del Voglio, un incubo. 

L’albero motore del furgone si spezza di netto e l’Alfa Romeo si pianta di colpo in mezzo all’Autostrada: ad essere superstiziosi con quel “17”, ci sarebbe da dire; ma Paolo riesce a condurre al bordo esterno il mezzo e, pur senza cellulari ed altro, riesce a reperire un vecchio carro attrezzi per caricarlo e con cui, mestamente, fa ritorno alle sette di Giovedì mattina a Via Lulli……Una esperienza che Paolo non scorderà mai più e che porta dentro al cuore ancora oggi. Dunque, forse anche l’orecchio e il feeling “predittivo” di Giotto aveva spinto alla mossa giusta e surreale di riempire quelle due Iso A3/C di ricambi ed arrivare, in tempo per l’inizio della kermesse, a Le Mans.

Le Mans 1965: 300 chilometri orari, la Iso A3/C fa davvero paura

Iso A3/C numero “3”, equipaggio tutto francese con RegisFraissinet e Jean de Montemart, Squadra Iso Grifo Prototipi Bizzarrini, Sabato 19 Giugno 1965. Si inizia la Le Mans più assurda della storia: il caldo pazzesco del giorno, la nebbia surreale la notte; ma anche la lotta tra Ford e Ferrari, la vittoria inimmaginabile della Ferrari 275 LM NART di Luigi Chinetti con Jochen Rindt e Masten Gregory al volante contro le Ferrari ufficiali; e su tutto il “pilota fantasma” Ed Huges, che avrebbe guidato (da pilota di riserva nella Scuderia Chinetti) nella notte annebbiata perché Gregory non ci vedeva bene e perché Rindt quella notte non si trovava ai Box. E poi l’eutanasia Ford che vede ritirate prima della sera tutte le sue auto; insomma una Le Mans davvero unica e leggendaria.

Dove la velocissima Iso A3/C numero tre conquista finalmente tre soddisfazioni: è tra le dieci auto più veloci sullunghissimo rettilineo delle Hunaudieres; è arrivata a battersela faccia a faccia con le più blasonate; ed è arrivata nona assoluta su solo quattordici vetture delle oltre trenta che avevano preso parte alla Gara. In una 24 Ore massacrante la Iso Rivolta avrebbe ben potuto pubblicizzare la sua “IsoA3/C” come l’auto da corsa più affidabile al mondo con quasi seimila chilometri (tra viaggi, prove e gara) sulle spalle in solo quattro giorni.

Ma il nono posto assoluto, che piazza la Iso prima delle Rover-BRM, o delle AC Cobra (tanto per fare esempi) è non solo un piccolo smacco inferto al Cavallino (dopo la vittoria del Team Satellite) ma anche un primato da Albo d’Oro: se infatti nel 1964 la A3/C pur arrivata oltre il quindicesimo posto era “putativamente” la vincente nella Categoria Prototipi oltre i 5000 cc poiché le sole iscritte all’edizione erano state le due Iso; nel 1965 la concorrenza è più marcata e ciononostante Giotto conferma la sua creatura PRIMA Ufficiale di Categoria con menzione in Albo d’Oro. 

Storie di cuore, storie di avventura, storie di uomini mossi dalla passione più bella. Come Giotto.

Riccardo Bellumori

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