Pio Manzù troppo presto immortale: cinque anni di una rivoluzione

Ho sempre pensato che chi sa immaginare, governare, plasmare la materia per farne qualcosa di attuale nel futuro possa essere in un certo senso padrone del tempo; e che dunque le lancette dell’orologio non siano un riferimento oggettivo, ma che chi sa prefigurare e modellare il futuro diventi a sua volta un incidente temporale attore e destinato ad essere scandito in modo speciale.

E’ il destino onorevole ed impegnativo dei Designer, immersi dentro un mondo nel quale avrei volentieri voluto abitare e dove tempo e spazio sono variabili dipendenti dalla capacità del genio di vedere oltre la curva dell’orizzonte, dove lo sguardo umano si ferma inesorabilmente, fotografando nel contemporaneol’esatta dimensione di quel che avverrà domani.

E credo che immersi dentro la loro dimensione futuristica i Designer del passato abbiano superato il vincolo della ripetitività scadenzata del tempo terrestre, edi opporre al Tempo Assoluto la sfida più drammatica, quella di costruire l’immortalità loro e delle loro opere, oltre ogni protocollo industriale concorrente a vincolare e sfidare, piuttosto che ad esaltare, la loro creatività.

Ho detto “Designer del passato” perché quelli attuali al massimo sanno disegnare bene il proprio tempo, ma non sanno dominarlo ed anticiparlo come alcuni loro predecessori.

Io credo di appartenere ad una generazione fortunata, di quelli nati con lo sbarco sulla Luna e delle lunghe corse della fantasia umana verso il futuro. 

Per questo Vi racconto la storia di uno di loro, di uno di questi padroni del futuro; e lo faccio partendo dal punto nel quale invece, purtroppo, le storie di noi gente comune finiscono: è quel punto in cui invece il destino dei Designer incontra l’eternità.

La mia storia inizia nella tarda mattinata di Lunedì 26 Maggio 1969 e nel momento in cui a diventare eterno è Pio Manzoni, in arte Pio Manzù, il figlio del leggendario scultore Giacomo.

E’ un Lunedì, quel 26 Maggio del 1969; la Domenica prima Paolo VI nel messaggio “Regina Coeli” dedicato alla solennità della Pentecoste ricorda il soffio delle fiammelle dello Spirito Santo nei suoi e invoca per tutto il mondo il privilegio e la prerogativa della luce. 

E quel Lunedì 26 Maggio, Lunedì del Santo Spirito, il mondo attende il rientro dallo Spazio dell’Apollo 10 dopo otto giorni di gravitazione intorno alla Terra. 

Ma lui, Pio, quando si prepara con giacca e cravatta ed esce di casa, ha ben altro pensiero per la testa. Non sono neppure le sei di mattina, tutto intorno San Vigiliodomina il “Parco dei Colli” ed è l’antica Residenza dei Governatori succeduti alla guida di Bergamo, e in quella zona Pio risiede, dove – per distinguere il papà Giacomo da due omonimi contemporanei – il dialetto dei suoi concittadini lo aveva ormai ribattezzato come Manzù.  

Quel Lunedì una temperatura media di 19 gradi scalderà la penisola in un clima di tarda primavera che accompagnerà Pio da Bergamo fino a Torino : l’abito buono, il rotolo dei lucidi di progetto e la valigetta piena di appunti servono per incontrare la massima Dirigenza FIAT a Corso Marconi con l’Ingegner Giacosa, L’Avvocato Gianni, Vittorio Valletta; e per fare i 190 chilometri che separano la sua abitazione dalla Fiat, quella mattina Pio Manzù parte – come suo solito – davvero di buon’ora avvolto da una nebbiolina immancabile persino in bella stagione.

Lasciando la sua Fiat Dino a riposo, Pio sceglie la piccola “500” di Lola, la sua amata moglie: quella “Fiat Dino” che i figlioletti e i concittadini di Pio avevano imparato a riconoscere da lontano per il rombo bello pieno del motore Ferrari dentro una sportiva davvero rara sulle strade in salita ed i tornanti di Bergamo Alta.

 

Alla base di questa scelta una passione, un desiderio che lo anima: Pio ha saputo la sera della Domenica che a Torino era arrivato anche Karl Abarth per far visita alla sua Factory; e la passione di Pio per la meccanica e per la sperimentazione lo aveva spinto a farsi accompagnare dalla piccola 500, che quel Lunedì mattina, evidentemente, avrebbe sottoposto all’attenzione ed alla cura sapiente del mago austriaco.

 

Bergamo – Torino in 500, forse stava già per nascere una nuova auto…

“Lola” in realtà è Eleonore Liebl, la giovane tedesca segretaria della scuola creata ad Ulm dal genio TomasMaldonado: lei e Pio si erano conosciuti proprio quando il nostro genio era studente, si erano attratti subito ed erano diventati una solida e giovane coppia.

La 500 – piccola creatura di Dante Giacosa, il nume tutelare di Pio in Fiat e che conosceva il giovane da quasi nove anni prima – scende verso Bergamo “bassa”, e ne esce immettendosi nella Autostrada “A4”: certo, la “Dino” sarebbe l’auto ideale per questo viaggio, così potente e sicura per i limiti stradali del tempo trotterebbe a regimi da riposo, quasi come una corsetta in giardino per chi di carriera fa il centometrista; e forse la storia, questa storia, prenderebbe una piega ben diversa.

Ma invece no, Pio quella mattina ha deciso di guidare laiper utilitaria di famiglia, e forse la risposta globale è non solo nella passione motoristica che abbiamo anticipato sopra (l’idea di elaborazione di Abarth) ma anche nella innata ricerca sperimentale e nello spirito democratico e ribelle del giovane Manzù: quella mattina del 26 Maggio 1969 Pio deve presenziare in Fiat al “briefing” (oggi si dice così) manageriale per definire il ciclo di vita della nuova e prossima “127”, l’utilitaria che proietta Fiat nel futuro abbracciando trazione anteriore e corpo vettura due volumi adatto alla città, alla famiglia ed al carico professionale; e dopo le sperimentazioni su Autobianchi “Primula” e “A111” la trazione anteriore a Corso Marconi non è più un tabù, mentre Autobianchi A112 è la battistrada per quel che riguarda la “mix” tuttoavanti su vettura utilitaria dentro al Gruppo torinese. Di tutto questo percorso la “127” prende solo la meccanica: il resto lo pensa Pio Manzù ed il suo staff, per affrancare la nuova creatura da tutto il percorso precedente, al punto da creare una vera e propria porta generazionale – la “127” – tra passato e futuro del Marchio e della Gamma Fiat.

Rivale di “127” non è e non sarà la vecchia “Mini” di Issigonis (ed Innocenti) come per “A112”, ma in modo molto meno icònico la concorrenza nascerà soprattutto dalla preannunciata Renault “Type 122” ossia la “R5” e dal suo creatore Michael Bouè, uno dei dieci Stilisti interni alla Renault in quel momento. 

Renault ha iniziato dal 1967 a pensarla, ma è Michael che ha dato una svolta, il 26 Aprile di quello stesso anno presentando dei Layout fondamentalmente definitivi per la nuova piccola francese.

Proprio quel che ha fatto Pio alla Fiat, e proprio dal 1967, quando diventando Consulente del Gruppo inizia a “innestare” dentro il DNA di Corso Marconi il suo genio. 

Ed entrambi, Pio e Michael, fanno prevalere nel concetto dell’auto la componente sociale universale di un’auto per tutti, dall’operaio al professionista e soprattutto per la dimensione femminile in pieno sviluppo. Utilitaria non deve fare rima con rinuncia, ma con innovazione, progresso, bellezza e anche comfort.

“127” è dunque la prossima utilitaria europea due volumi destinata al mondo intero ed alla città, ma uno come Pio – abituato ad anticipare il futuro – ha appena deciso un nuovo colpo storico: dopo la 127 ha già in mente l’evoluzione del prodotto “minicar” in Fiat, partendo dalla 500. 

Ma nella ricerca sperimentale del geniale Designer l’esperienza ed il pragmatismo si associano benissimo alla innovazione stilistica, e magari in quel viaggio autostradale sulla “500” Pio sta mentalmente catalogando limiti e peculiarità della piccola per definire gli standards superiori della sua sostituta.

 

Perché in effetti, nei programmi di Pio Manzù, la sostituta della “500” già esiste, quel Lunedì 26 Maggio. Ma non è la “126”, che Sartortelli definirà sulla ispirazione determinante della 127 e della concept “City Car”; l’idea di Pio Manzù è ancora più rivoluzionaria a partire dal nome ipotizzato: quello recuperato e reso attuale di “Topolino”. 

E dunque da perfezionista quale è, magari ha appena deciso di programmare qualcosa che superi i limiti della futura piccola, provando la sua progenitrice di persona come un qualunque automobilista, per relazionare al management di Corso Marconi e dettagliare il da farsi per una vettura molto migliore.

Ad attenderlo a Torino quella mattina, come detto, il suo “talent Scout” Dante Giacosa che aveva conosciuto Pio appena studente alla scuola tedesca di Ulm, la “Hochschule fur Gestaltung” (attualmente “THU”) da cui sarebbe uscito da primo italiano sia ad essere iscritto alla Sezione “Produktgstaltun” sia a conseguire la Laurea nella storia dell’Istituto; questa scuola di progettazione di Industrial Design aveva ereditato il

filone Bauhaus tedesco e Vchutemas sovietico di fine anni Venti (con le conseguente e positiva contaminazione boema su aerodinamica e volumetria) e fu proprio il padre Giacomo ad iscriverlo in Germania segnalandolo all’attenzione dell’amico argentino TomasMaldonado (che aveva fondato la scuola nel 1954) subito dopo aver ottenuto la maturità Classica nel 1959.

La strada da Bergamo a Torino, fatta già decine di volte dal suo inizio di rapporto con Fiat, forse è un laboratorio a cielo aperto ideale per lo spirito pionieristico del giovane abituato a domandarsi sempre i tanti perché di quel che vuole creare.

Ma che soprattutto è abituato a “smembrare” mentalmente la realtà per poterla migliorare vestendo spesso i panni di chi quella realtà la abita. Non può esserci altro approccio che questo fin dalla sua Tesi di Laurea di esordio professione, ad Ulm: solo immedesimandosi nella dimensione reale delle lavorazioni agricole Pio aveva potuto inventare ed industrializzare il primo “Rollbar” ovvero gabbia protettiva della storia per i trattori, un accessorio assolutamente inesistente fino ad allora in un settore dove tuttavia gli incidenti erano considerati un nesso di causa inevitabile ed erano dacisamente gravi.

Sembra incredibile, ma curando di non anteporre mai il cognome tanto impegnativo per aiutare il suo percorso professionale (persino in Fiat presero l’abitudine di chiamarlo solo per nome pur dandogli del “Lei”, ben sapendo Giacosa che il papà Giacomo mal sopportavache in un contesto tecnico ed industriale fosse usato il nome d’arte “Manzù”) il nostro giovane Designer con le sue sole forze si era fatto largo ed a solo trenta anni aveva già compiuto con la mente diecimila giri del mondo e dello spazio; altro che “Apollo 10”; e pur avendo avviato la sua strada in Germania e nonostante un background che prima della Laurea industriale lo vede studente di Liceo Classico, Pio Manzù ha già in quel Lunedì 26 Maggio 1969 percorso molta più strada di quei 190 chilometri che lo stanno portando a Torino.

Solo 30 anni, e già un mondo nuovo di invenzioni

Ma Pio Manzù era resiliente a tutto, persino allo stupore ed alla diffidenza degli ambienti industriali che venivano colti di sorpresa dal suo approccio innovativo ed anticonformista alla produzione di serie.

Un anticonformismo che lo aveva portato fin dai suoi vent’anni di età alla corte di Dante Giacosa: proprio lui nella sua biografia si concentra sulla figura di Pio. Il Direttore Tecnico di tutto il Gruppo Fiat conosceva il giovane dal 1960 quando – appena ventunenne – precisamente il 20 Settembre era stato portato nell’ufficio di Giacosa da Carlo Felice Bona. 

Questo ragazzino, con occhi pensosi e sguardo intenso, fece intuire subito all’Ingegnere quanto volitivo e coraggioso fosse nell’indole il giovanotto che Bona ammirava più per la parentela con il grande artista Giacomo che non per i meriti reali che già all’epoca Pio meritatamente deteneva. Ad Ulm ad esempio Pio realizza disegni di pregio (il suo “Triangolo” ad esempio) e Layout di Design (l’estintore, uno dei suoi primi lavori di Istituto).

Meriti che lo portano appena un anno dopo l’iscrizione alla scuola di Ulm a conseguire il suo primo “alloro”: e’il 1961, un amico e poi socio prezioso di Pio è Michael Conrad.

Insieme ai due giovanotti si unisce Henner Werner ed i tre formano uno Staff che si iscrive ad un concorso internazionale per nuove promesse del Design, organizzato dalla Rivista svizzera “Annèe Automobile”: oggetto del concorso è la realizzazione di una nuova linea di carrozzeria per sportiva inglese sulla base del telaio (classicamente a longheroni, piastre e traversine) della Austin Healey 100. 

Siamo in un periodo piuttosto frizzante ma critico per l’automotive inglese, la gloria del decennio precedente scopre il fianco a prodotti di alta Gamma che progressivamente vengono asfaltati dalla concorrenza tedesca, e da un settore sportivo dove le italiane e le francesi cominciano a diventare incombenti. 

E guarda caso anche l’industria di Sua Maestà deve adeguarsi, e cercare sinergie con le firme italiane. 

Infatti il concept vincente avrà in premio, salvo adeguamenti necessari per l’industrializzazione, la messa in opera da parte di Pininfarina. Pochi mesi di lavoro sui lucidi e sulle misure canoniche ricevute dalla Rivista come base per lo svolgimento del compito, e il trioManzù/Conrad/Werner lancia davvero un sasso nello stagno.

 

Austin Healey 3000: l’inizio della specie “Autonova”

Dante Giacosa racconta nella sua biografia, tra l’ammirato ed il divertito, che dopo quell’incontro del 20 Settembre del 1960 il giovane Pio non si era più fatto vivo, a Torino, nonostante l’interesse del genio carismatico di Fiat ad immetterlo fin da subito nel vivaio di giovani talenti che all’epoca crescevano a Mirafiori. 

Tanto per fare un nome, l’occhio lungo di Giacosa aveva già fatto esordire un ancora diciassettenne Giorgetto Giugiaro, e dunque aveva presso l’Avvocato il lasciapassare per qualunque assunzione di giovani promesse. E, per inciso, credo e posso liberamente ritenere che l’ispirazione di Giugiaro nel suo percorso professionale abbia tratto elementi forti e caratterizzanti dall’esperienza pur breve di Pio Manzù.

Due anni dopo il primo incontro, è proprio Pio a tornare a Torino – con cui intanto collaborava in qualità di “freelance” Fiat a distanza su attività pubblicitarie del Gruppo – per invitare Giacosa al Salone di Torino a vedere la vittoria di quel concorso internazionale: l’Austin che Pininfarina esporrà anche al Saloni di Londra nel 1962 oltre che a quello di Ginevra del 1963. 

Curioso ricordare che mentre fuori dell’Italia il nostro Pio macinava records e riconoscimenti, in Italia dopo la proclamazione del team vincitore al Salone di Ginevra 1962 la stessa Pininfarina saluterà l’avvio di realizzazione del prototipo dentro uno dei ricorrenti scioperi dei metalmeccanici che ostacoleranno la fase dei lavori. E se in pochissimi mesi il prototipo Healey su specifiche di Manzù è pronto per l’Earls Court Motor Show del 1962, è anche grazie alla grande capacità progettuale dentro le sue realizzazioni: massima semplicità e massima efficienza.

Il “plus” è un premio di 10.000 franchi svizzeri per i vincitori, ma il premio più prestigioso per Pio ed il suo Team è il seguito che la concept ottiene a livello internazionale: l’effetto è tale che non solo si vedranno diversi particolari della Healey su studi successivi di Pininfarina (didascalico è il posteriore ripetuto quasi identico su coupè Peugeot successive), sebbene quella “Haley sarà influente su molta più produzione stilistica mondiale.

Il fatto è che fin da subito Pio associa alla creatività personale l’approccio scenografico e visuale grazie all’Hobby della fotografia, ma unisce anche capacità critiche che derivano dalla sua precoce collaborazione con Redazioni e Media rivolti allo studio ed alla descrizione del mondo del Design Auto nel suo complesso (ad esempio Auto Style, rivista trimestrale dedicata, nasce nel 1963 con l’apporto da subito di Pio, che già però collaborava con il “Corriere della Sera”, e che ancora giovanissimo riceve un importante spazio su “Marcatre” di Maggio 1965 per descrivere l’esperienza ad Ulm).

Nel 1963 Manzù riceve, come riconoscimento per la “Healey” di Pininfarina, il premio speciale dell’Associazione degli Industriali tedeschi per il Design.

E tanto per non perdere l’abitudine, la stessa Associazione gli conferisce un premio per il design di un modello di strumentazione per auto innovativa.

Insomma, ancora prima della Laurea Pio è già un simbolo del Disegno Industriale, attraverso linee e concetti rivoluzionari, in grado di scombinare strategie e politiche aziendali di marchi anche prestigiosi. 

Chissà se, in questo Lunedì 26 Maggio 1969, appena superata Chivasso, Pio sta ricordando tutto questo guidando la sua Fiat 500. 

Chissà se pensa a quando Rolls Royce voleva affiancareai prototipi Bengala e Rangoon una versione Coupè per Bentley (nome in codice: Alpha) usando proprio come base quella “Healey” Pininfarina: se fosse avvenuto, forse per Manzù si sarebbe aperto un altro mondo da subito; fu però l’ingresso nel Gruppo BMC di Jaguar a frenare la nascita di un modello di auto che sarebbe diventato leggendario oltre quel che poi è stato. 

Per Pio Manzù, che sta guardando la strada dritta scorrere davanti al cruscotto della “500” così simile apparentemente al suo “Cronotime”, infrangere le regole era di per se’ LA regola. Forse avete incrociato distrattamente diverse ventiquattr’ore in totale plastica nera o brunita che girano in mano a tanti sulle strade odierne? 

Pensate che la mamma di tutte queste risiede in un progetto che Fiat commissionò sempre a Pio Manzù nel 1965, per valigette rigide da regalare ai propri rappresentanti di articoli tecnici e di componenti…

La grande conoscenza di Pio sulla lavorazione e genesi dei materiali, (eredità amanuense del grande papà Giacomo), la capacità di modellare e la visione futuristica fecero il resto come su tutto il suo mondo di Design che debutta nel 1964 quando fonda lo Studio “Autonova” insieme a Michael Conrad (coetaneo di Pio) e Bob Busch (più anziano di 17 anni ed all’epoca il più importante giornalista automotive in Germania).

E proprio in questo 1969 quel giovane allievo di Giacosa, Giugiaro, sta per dare vita ad un modello societario molto simile ad Autonova, la “Italdesign”. 

Stessa esigenza primaria, rivendicare indipendenza creativa e mentale rispetto ai vincoli produttivi; per questo Giorgetto si allea con un esperto di Workflowindustriale come Mantovani, ed è per questo che Pio convenziona il meglio dell’industria italiana e tedesca in tema di supply e di piattaforme tecniche (inclusa la storica carrozzeria “Sibona & Basano); ma pur dandovita a concept straordinarie non riesce ad imporre ai suoi Partners e Committenti la nuova via per la industrializzazione di prototipi di avanguardia, che dunque rimangono tali: parliamo ad esempio della “Autonova GT” NSU del 1964 con quei suoi “Frog’sEyes” che sembra intercettare ed anticipare tendenze e volumetrie che diventano un “must” allo scoppio della crisi energetica 1969, quando “piccolo è bello” fa rima anche con Sport.

Poi arriva la “FAM” che in fondo è il testamento filosofico di Pio e della Autonova: regalare in tre metri e mezzo abitabilità da “MPV” moderno, spazio, comodità, lusso, praticità di intervento e bellezza, quella bellezza che i Costruttori classici soprattutto tedeschi e francesi volevano negare ai ceti meno abbienti.

Quella bellezza che ora Pio sta per raccontare ai vertici Fiat che incontrerà ormai tra meno di un’ora, in questo Lunedì 26 Maggio 1969.

Anche loro, pensa, rimarranno affascinati dal suo modo di concepire il mondo, dopo essere spesso rimasti a tal punto scossi dalle sue tesi e dalle tante idee al punto da avergli strutturato un ufficio “tutto suo” in Fiat per farlo lavorare in piena libertà da vincoli esterni.  

E la Fiat 500 intanto comincia a vedere in lontananza il casello di Brandizzo…

Il “ritorno” di Pio Manzù in Italia

Lo studio di progettazione Autonova fa un piccolo terremoto in solo due anni per poi chiudere la sua esperienza, nel 1966: ma c’è anche da dire che lo staff formato intorno a Pio non era del tutto affine al genio del nostro ragazzo, basta vedere la carriera immediatamente successiva alla “Autonova” compiuta da Conrad insieme a Werner con la “Delta Design”.

Probabilmente invece Giacosa e Fiat non avevano mai perso di vista il lavoro del giovane Pio,anche se uno dei Partner tecnologici di Autonova – la “NSU” – non era più partecipata all’epoca da Fiat ma da Audi. 

Sciolto il rapporto con Conrad e Busch – in Germania – il genio bergamasco “rientra” in Italia, ed apre una proficua parentesi nel Design Industriale dedicato al “Living”: 

la Lampada da terra Parentesi con Achille Castiglioni, che apre un altro percorso magico, dato che i due non si sono mai conosciuti di persona: Achille trova negli archivi di Flos  quel vecchio bozzetto grafico di Pio e ne fa un trofeo di Design; quel bozzetto sarà consegnato da “Lola” Liebl alla moglie del presidente di Flos per mezzo di una sua amica. 

Parentesi arriva a stupire il mondo nel 1971, postuma proprio come la Fiat “127”. Dalla matita di Pio arriva anche la bottiglia di Cinzano, l’orologio elettronico da tavolo di Ritz Italora, il “Cronotime” esposto al Moma di New York, primo orologio a transistori prodotto in Italia, il portaoggetti/portamatite “Kartell”;

A seguire: la Poltrona fisiologica disegnata per “La Rinascente” (altro marchio della galassia Fiat) e derivata dalla esperienza automobilistica; anche se nel caso di Pio mito e realtà si confondono ancora oggi su questa poltrona: alcune storie ci parlano di un progetto per poltrona sportiva per auto, mai entrato in produzione ma a tal punto attuale da spingere chi ne ha reperito i bozzetti a farne un oggetto di arredo;  ed infine persino un tavolo monogamba; mentre per la casa di Gianni Agnelli Pio disegna due scale a chiocciola.

Ma siamo più o meno al 1967, due anni prima di questo Lunedì mattina già soleggiato. 

Forse Pio, con il volante tra le mani, rivede in scaletta mentale l’inizio del suo rapporto in Fiat e ne farà elemento di valore quando tra pochissimo dovrà spiegare a tutti la nuova “127”: ricorderà gli occhi strabuzzati dei Dirigenti di Torino – decisamente più conservatori in generale del sommo Capo Dante Giacosa – con il “City Taxi” nel mentre con il suo già ex collega Conrad vince un concorso per Pullman innovativo Magirus Deutz ad Amburgo, cura la mostra di automobili per la Biennale di San Marino e viene ammesso nella Giuria del premio “Compasso d’Oro: tra l’altro sarà anche lui a premiare un’opera di Achille Castiglioni. 

Per poi ricevere lui stesso, postumo, quel compasso d’Oro nel 1979….

Fiat, i concorsi, gli arredi: un mondo di invenzioni

Ma Fiat non ha intenzione di lasciare Pio a riposo, e gli apre un “ufficio laboratorio” dove il giovane consulente esterno per il Design (ed è la prima volta per la storia di Fiat in un incarico del genere) può dare sfogo alla sua inventiva. 

Si parte con il “City Taxi”, commissionatogli direttamente dal Centro Stile Fiat e basato sulla meccanica “850 Idromatic – Idroconvert” a convertitore di coppia che elimina la frizione per azionare le quattro marce.

Il “family feeling” classico di Corso Marconi vede l’anteriore come una proiezione aggiornata del muso della “850” ma il posteriore diventa un’ipoteca per la futura “126”; ed al Salone dell’Auto di Torino di Ottobre1968 la “City” sorprende per il rapporto straordinario tra spazio interno ed ingombri esterni, nello spirito filosofico della “FAM” Autonova.

A quel punto Dante Giacosa, consultando Paolo Boanodel Centro Stile, propone a Pio Manzù una sfida epocale: affiancare Sartorelli ed Holbl nella creazione della concept forse più iconica di casa Autobianchi prima della futura “Runabout”, la “G31”. 

Il primo prototipo concepito con la OSI non convince, e sulle tracce di una sottile guerra a distanza tra Innocenti e Fiat (con Lambrate che per un soffio, nel 1964, avrebbe potuto marchiare la “ASA 1000” Bertone poi finita alla famiglia De Nora; e che ci stava riprovando  con la “GT 186”) Giacosa si ricorda evidentemente del piccolo miracolo “Autonova GT” e impegna Pio a ripeterlo sulla base del nuovo motore “124AC” Fiat.

Il risultato è a tal punto epocale da ispirare Tom Tijardaper le “De Tomaso Mangusta” su profilo laterale posteriore e per la coda, e la “Pantera” per il muso ed il rapporto volumetrico e dimensionale laterale. In realtà, a volerle elencare, le Supercar che si ispirano nel mondo alla “G31” di Pio non riescono a stare nelle dita di due mani.

Ancorchè, nel mondo Fiat, la “G31” a motore posteriore centrale sarà la piattaforma delle successive “X1/9” e “Beta Montecarlo”.

La prima sportiva totale di Desio, la firma di Pio Manzù

La prima concept di berlinetta sportiva di Desio – G31-porterà per sempre la firma di Pio Manzù, la cui stella è ormai consacrata nel viaggio che ormai lo sta avvicinando, Lunedì 26 Maggio 1969, a vedere le colline torinesi. 

Peccato che da quelle panoramiche manchi il paesaggio di Pontedera: anche Piaggio, affascinata dal talento del giovane, commissiona a Pio Manzù alcuni progetti: un monovolume a tre ruote, Scooter e moto di piccolo taglio che influenzeranno stile e produzione del marchio negli anni successivi. 

E forse, mentre sono ancora le otto e mezza di mattina, lui quelle tante strade le sta ripercorrendo con la memoria, come una sequenza di fotografie

Già, la fotografia: dalla prima metà degli anni Cinquanta le istantanee sono fedeli compagne di Pio con i  ritratti(Giacomo Manzù, Cesare Brandi, Quasimodo, Salvadori, Giorgio Morandi ed altri) per poi passare ovviamente ad auto ed architetture. E verso il padre Giacomo paiono le foto di ritratto uno scambio di affetto, dopo il “Busto” ed il ritratto che Manzù patriarca aveva dedicato al figlio a 10 anni. 

Nel frattempo Chivasso è dietro le spalle, e la 500 ha appena superato lo svincolo autostradale per Brandizzo: ma qualcosa di imprevisto e terribile accade, la Fiat 500 si scompone, a poca distanza da Torino.

Esce di strada, si schianta e nonostante la velocità relativamente ridotta (date le prerogative della minicartorinese), il suo involucro di metallo non riesce a proteggere Pio. 

E in una Società senza cellulari né black box lo schianto trova il suo allarme solo attraverso un umano passaparola e dopo diversi minuti il traffico richiama sul luogo dell’incidente ambulanza, Polizia e volontari che aprono letteralmente la carrozzeria della Fiat per estrarre l’ancora giovane, straordinario e speciale Pio Manzù. 

E’ agonizzante, il nostro giovane eroe, ma respira: forse la Pentecoste ha ancora un miracolo da spendere quella mattina. Forse. Purtroppo invece le conseguenze dell’incidente fanno spirare Pio poco dopo.

Dante Giacosa ed i Dirigenti riuniti a Torino lo attenderanno invano, nelle ore successive, per poi celebrarlo con la realizzazione ed il lancio della “sua” 127; 

lo attenderà forse anche la giuria del Musee des ArtsDecoratifs, che lo aveva appena nominato unico membro non francese nella commissione della rassegna “Bolide Design” al Louvre. 

L’appuntamento con il destino, l’eternità della figura di Pio Manzù

Lo attenderà, forse, anche Filiberto Dasi che alla memoria di Pio dedica un Centro Ricerche apertoVerrucchio (Rimini) il 13 Aprile del 1969 denominato poi proprio “Centro Pio Manzù”. 

Lo attenderanno a casa, fino alla notizia terribile,Eleonore con i figli e – nel tempo – proprio loro ne ricorderanno la memoria con la “Fondazione Pio Manzù”. 

Lo attenderanno il cielo e l’eternità, con il monumento che papà Giacomo gli ha dedicato nel Cimitero monumentale. 

Qui, su frasi e scenari del genere di solito una storia convenzionale si chiuderebbe secondo il timing della gente comune, quello che segna la “fine”. 

Ma i Designer ed i geni non sono gente comune, e questa storia allora inizia proprio da qui: dall’attimo in cui nulla può più togliere a Pio Manzù l’immortalità del suo messaggio e delle sue opere. 

Quella immortalità di storie e gemellaggi incredibili, involontari ed a loro modo parte della magia e del fascino di questo tipo di mondo. Ed infatti non posso chiudere “questa” storia senza richiamarne un’altra.

Pochi anni dopo Pio Manzù anche Michael Bouè muore poco più che trentenne: è il giorno di Natale del 1972 e il papà della Renault 5, proprio la più acerrima rivale della “127”, muore per un brutto male poco dopo la presentazione della piccola del Marchio francese. 

Sarà la suggestione, sarà una sorta di onore delle armi: ma per anni la storia ufficiale di casa Renault descritta in una Brochure della Casa riporterà, prima di essere corretta, la versione che Michael fosse deceduto poco prima di vedere il lancio ufficiale di “R5”. La sorte identica toccata a Pio Manzù, incredibile a dirsi. 

Potere della suggestione, o della magia di un mondo straordinario: quello dove c’erano uomini che sapevano governare il tempo, e regalarsi l’eternità come premio.

Riccardo Bellumori

(Si ringraziano per la disponibilità e per le preziose informazioni Giacomo Manzoni e la Fondazione Pio Manzù)

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