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Nel 2027 morirà l’auto in Italia per rinascere peggio di prima?

Pagani Huayra Tricolore, 840 CV di Italia allo stato puro

“Non so come si svolgerà la Terza Guerra mondiale. Ma so come si combatterà la Quarta: con la Clave”: pare sia stata una affermazione di Albert Einstein. Che non sono io, umile e sgangherato osservatore di un mondo Auto che piace sempre a meno persone e che, in un modo o nell’altro, cerca di sopravvivere a sé stesso. 

Abbiamo ricordato il 2023 come l’ultimo anno della Santa Inquisizione ecologista di Bruxelles, con le ultime sparate (sempre ampiamente disattese) di Commissione e Parlamento per corroborare la Crociata contro l’endotermico. La “mazzata” elettorale del 2024, l’esito e lo svolgimento della Guerra in Ucraina ed il crollo socioeconomico delle tradizionali locomotive dell’Unione (Francia e Germania) ha spinto le Istituzioni europee ad una tregua lungo un crinale di guerra che al momento non ha più senso. Il problema non è più rendere ecologiche le auto nuove ma consentirne l’acquisto per riavviare il ciclo di sostituzione che ormai è completamente slegato dai trends di immatricolazione del nuovo a causa del “doppio binario” di autoimmatricolazioni e permute che restano in strada riducendo per effetto collegato i numeri medi di alienazioni e demolizioni. 

Il problema in Europa non è più migliorare le emissioni delle auto di prossima uscita ma gestire la coda sempre più lunga dell’usato che resta in circolazione. I diversi mercati dell’Unione rispondono con dati e trends parzialmente differenti tra loro ma con un filo conduttore: tutti ribassisti, tutti in frenata e tutti ampiamente lontani dai numeri che dominavano negli anni d’oro; e con una proiezione a macchia di leopardo nella diffusione elettrica, ormai chiaramente inabile – con i trend di immatricolazione attuale – a costituire la chiave di volta nella riduzione delle emissioni. Dietro Front: a ridurre le emissioni ci deve pensare la catena combinata di tutto il ciclo industriale, commerciale, pensieri opere ed omissioni, del comparto Auto: inclusi produttori di cappellini, gadgets e adesivi  con su scritto “Forza Ferrari”. 

La campagna eurocomunitaria basata sul Doping dell’Industria tedesca come portabandiera dell’auto continentale è fallita; a farla fallire non è stata la deriva elettrica. 

Cazzate. 

Quella della opzione elettrica (improvvisata e farlocca fin da quando nel solo 2010 quasi tutti i Marchi Costruttori preannunciavano multipli di nuovi modelli elettrici in arrivo, con promesse in  moltissimi casi disattese) è stata ampiamente concertata e presa a riferimento come male minore per abbattere il cancro commerciale del “Diesel Low cost”, quello che più si impreziosiva tecnologicamente e meno costava, e che più si aggiornava più conveniva rispetto alla precedente versione che da usata finiva per non valere più nulla; per poi proseguire con la supercazzola dei “Mobility Provider”, una sorta di minestrone commerciale – impossibile da concretizzare in tempi celeri – attraverso il quale “resettare” nella coscienza dei Consumatori la percezione e l’esperienza del corretto rapporto tra “Prezzo/Valore/Bene/Servizio” legato tradizionalmente al prodotto Auto; trasferendo così – dunque – sul mondo dell’Automobile la stessa modalità incomprendibile ai più che domina nel mondo dei servizi elettronici e telematici.

Mild Hybrid : l’acqua e zucchero a tempo determinato, per resettare le certezze dei Clienti

Quello che doveva accadere, dalla esplosione del Crack Lehman fino ad almeno un lustro successivo, era la reale esigenza di sgonfiare la bolla creditizia impossibile da sostenere ulteriormente con l’Ingegneria finanziaria pre-crisi Subprime: si trattava cioè di “congelare” a quel punto un modello commerciale universalmente proliferato in tutto Occidente per sostenere diffusione, consumo e ciclo di sostituzione accelerato del parco auto, scaricando sul ciclo del credito l’erosione dei margini e dei listini che progressivamente i diversi Costruttori si contrapponevano vicendevolmente; questo modello commerciale poteva “scivolare” solo su un falsopiano creato dal monte di credito erogato, da cui sono scaturiti fior fiore di cartolarizzazioni e di assunzione di rischio. Lo abbiamo ripetuto all’infinito: ad uccidere il Diesel “moderno” non fu il DieselGate che – al limite – è stato l’escamotage ufficiale per rimetterlo nel cassetto, ma il Credit Crunch post 2007. E lo abbiamo detto in tempi non sospetti: la soluzione “pane e burro” dei Costruttori per poter rivendere piu’caro quel che fino a prima di allora gli Automobilisti avevano imparato ad avere tra le mani è stato il “Mild Hybrid”. 

Cioè “l’acqua e zucchero” ovvero il palliativo ecologista propinato a caro prezzo ai consumatori per convincersi tutti che si poteva diventare belli, puliti ed innovativi dando la classica “romanella” a tempo determinato valida per passare la nottata e per dissuadere anche i più pervicaci che la scaletta tariffaria alla quale si erano assuefatti lungo un quindicennio era roba da mandare al macero. 

Torniamo per un attimo al vessillo eurotedesco sull’auto continentale di rappresentanza: se c’è qualcosa che ha inceppato la invincibile armata sassone alla conquista del mondo è stato semplicemente il sollevamento da parte cinese del ponte levatoio verso il mercato della Grande Muraglia: anni ed anni di JV, partnership, progetti comuni e ammiccamento alla conversione elettrica di Pechino per racimolare, nella migliore delle ultime proiezioni statistiche, il 20% di quota di mercato nella parte che i consumatori cinesi hanno riservato ai cosiddetti “Costruttori esteri” (quelli che fino a ieri erano Partners…). 

Oggi anche Berlino deve recuperare quote alle quali forse faceva affidamento, e nel contempo i Costruttori tedeschi con il documento congiunto con l’Italia hanno certificato la “ri-conversione” endotermica post 2035.

 

Questo in contrasto con Francesi e Spagnoli che, come abbiamo scritto ampiamente, forse vedono nell’Industria cinese ben più e ben diversamente di un potenziale concorrente, e magari confidano nella mano provvidenziale delle catene di montaggio su licenza del Dragone per correggere la crisi produttiva generata in Francia dall’altalena di Stellantis e in Spagna dalla fila di dismissioni industriali dei Costruttori tedeschi e francesi.

Mantenere l’auto, una passione ritornata lusso. Anche per i meccanici

Problema che si riverbera non solo su produzione di auto nuove ma  anche sull’aftersales relativo, benche’ la interruzione della Supply Chain dall’Asia e la moltiplicazione di tecnologia proprietaria legata alle Ibridazioni abbiano un poco alleggerito la feroce concorrenza del mondo IAM con una particolarità: l’aumento sensibile dei costi di Service management, evento che sta manifestandosi in diversi mercati europei. 

Tracciabilità, originalità e a breve riciclabilità della componentistica e del ciclo di aftersales in Europa stanno rapidamente resettando abitudini e consuetudini del consumatore europeo costringendo d’altro canto il settore della Manutenzione a doversi trasformare ed evolvere per rispondere professionalmente alle nuove regole in parte favorite ed in parte “imposte” dai nuovi protocolli ecologisti: saper operare in modo “pulito” rispettando le sempre più pressanti normative (gestione rifiuti, ambiente di lavoro, ruoli ed incarichi operativi dello staff di officina, recupero e gestione delle componenti dell’auto sostituite o riparate, etc.) è sacrosanto, occupare di nuovi obblighi e sanzioni le incombenze dell’autoriparatore affinchè diventi obtorto collo “Meccatronico” anche solo per poter aprire il cofano di una MHEV è meno comprensibile. 

Di fatto l’avvento delle elettriche e delle Ibride, al momento, ha generato più di una incognita nelle possibilità dell’Autoriparazione indipendente di poter operare nella stessa autonomia e ampiezza di azione garantita dal settore endotermico “puro”, e l’effetto spiega anche solo parzialmente l’aumento che in Italia – ad esempio – c’è stato nei costi di manutenzione lungo l’ultimo triennio.

Costi che, in proiezione, saranno incrementati dal nuovo probabile impegno della rete di autoriparazione di favorire sempre di più tracciabilità, recupero e rigenerazione delle componenti.

Settore che nel nostro Paese mostrava picchi di eccellenza fino a poco prima della grande “fuffa” del ciclo programmato di sostituzione: rettificatori, rigeneratori e meccanici capaci sia di riparare che di sostituire erano un fiore all’occhiello dell’autoriparazione nazionale. 

Un quarto di secolo dopo la moda del ciclo di rinnovo la cultura della domanda e dell’offerta di servizi di manutenzione è cambiata ed in questo è degenerata, al punto da aver interrotto di colpo un passaggio generazionale chiave insieme a tutto il corredo di supporto formativo e professionale. 

Oggi, per dirla breve, i nuovi rigeneratori, rettificatori “green” vanno ricreati e coltivati quasi da zero e non è un programma a costo zero, come non lo è un modello distributivo della componentistica che fino a ieri è cresciuto nella modalità commerciale della surroga di ricambi “IAM” nuovi sacrificando sia dal lato dell’offerta che dell’approvvigionamento e catalogazione il mondo del rigenerato e dell’Usato garantito. 

Insomma, se da un lato comprare “nuovo” di qualità sarà più difficile nel medio termine; dall’altro lato anche gestire, implementare, rinnovare, trasformare il parco usato costerà proporzionalmente di più. Forse soprattutto in Italia dove ad un ri-allungamento del parco Auto si somma la soglia media di anzianità piuttosto alta ed una non proprio perfetta attitudine alla manutenzione che si può registrare in altri Paesi europei.

Da “Mobility Provider” ad “Energy Partner”: il ruolo dei Brand per i carburanti alternativi

Probabilmente impossibile da perseguire nel passato con i Produttori di Carburanti fossili (vista la imposizione dall’alto ed in modo centralizzato il costo netto ed il modello distributivo dibenzina e gasolio), un rapporto più simbiotico dei Costruttori con Biofuel ed e-fuel è (o sarà) plausibile ed in fondo “legalizzato” dal processo di profonda trasformazione della filiera commerciale e di servizio connessa all’auto elettrica e più in generale alla famosa teoria del mobility provider: “allungare” l’ambito ed il focus di competenza dei Costruttori, mediante sinergie e Joint Ventures, molto oltre la fase di vendita e consegna dell’auto al Cliente finale; fino praticamente ad interagire direttamente con la somministrazione di servizi finora ritenuti come complementari quali appunto l’erogazione di fonti di alimentazione e di gestione dell’auto. 

Qualcosa che potrà, e vedremo come, legare i Costruttori con il mondo della produzione di e-fuel così come delle componenti vegetali dei biofuel al fine di sommare alla produzione di auto anche filiere produttive a basso indice di emissione al fine di ridurre il carbon footprint generale coinvolgendo i consumatori finali. Questo probabilmente accelererà la diffusione dei carburanti alternativi ma probabilmente aumenterà anche il costo al litro del carburante alternativo rispetto a quelli fossili; tuttavia è probabile che la “Oil Strategy” non si fermerà alla erogazione e somministrazione di carburanti, poiché in ballo c’è tutta la trasformazione del mondo dei lubrificanti e dei liquidi generali delle auto da coinvolgere nel processo di riduzione delle emissioni; e dunque si prospetta uno scenario di maggior integrazione e vincolo nei rapporti continuativi postvendita tra Costruttore e Cliente anche nella gestione dell’aspetto petrolifero, e persino di pneumatici e freni. 

Ricordate lo Step Euro 7 appena entrato in vigore e la prossima applicazione “BER 2028”? Ebbene la interpretazione ed attuazione possibile di entrambe – ai fini di riduzione emissioni, scambio dati e circolarità – implica piuttosto chiaramente, secondo il sottoscritto, la necessità di un maggior vincolo virtuoso tra OEM ed Automobilista.

 

Costerà di più l’auto nuova, costerà di più la vecchia, costeranno di più i servizi, e per tacere delle Assicurazioni e delle voci collaterali (servizi di connettività sempre più obbligatoria, pedaggi, sanzioni ed attività di gestione amministrativa dell’auto come ad esempio le revisioni); dopo una previsione così funerea cosa potrebbe esserci di ancora peggio? Potrebbe piovere.

Il 2027 dell’Italia dell’Auto? Un paese su Licenza

Pare che negli USA lo spauracchio sia, dal prossimo anno, il ritorno in buy back di lotti pesantissimi di BEV alla fine di un numero cospicuo di contratti di Leasing e noleggio che l’Amministrazione Biden avrebbe promosso nella struttura pubblica ed amministrativa: un contingente il cui valore residuo già gravato dal crollo di gradimento del nuovo Governo Trumpsarà giocoforza calmierato al fine di accelerare il processo di dismissione e di rivendita. Da noi, in Italia, il problema potrebbe essere il valore residuo delle Mild Hybrid, l’architettura condannata ad essere “sacrificata” sull’altare della ecologia e prima o poi ad essere soppiantata da una buona fetta di Costruttori. Il ricambio possibile di questa marea di permute potrebbe essere con auto di categoria “Entry level” per quel che ciò significa a livello di listini. 

Ed è evidente che per quanti sforzi potrà fare il sistema produttivo ed europeo, la concorrenza asiatica sarà temibile in termini di listini, fino a quando (speriamo mai) prenda corpo la onirica per ora proposta di Bruxelles per una linea di “K-Car” elettriche 100% Made in Europe; più probabile, dalla fine del prossimo anno, una controcolonizzazione di linee di montaggio di BEV ed Ibride, sia in serie che in parallelo, che dai Paesi asiatici presumibilmente saranno allocate nel territorio europeo ed ovviamente anche in Italia. 

Difficile esultare per ipotesi del genere, che renderanno la nostra Industria nazionale sempre meno caratterizzata, sempre meno testimone delle sue radici e probabilmente sempre meno riconoscibile all’estero. Questo in attesa che si perfezioni, o si sciolga in ipotesi, il destino di Stellantis: questo rassemblement – di cui Autoprove.it ha già parlato in diverse occasioni provando ad abbozzare ipotesi che finora non sono state molto lontane dal vero – probabilmente vedrà il 2026 come anno di bilancio per decidere cosa fare di sé stesso dall’anno successivo. Un anno che, come ho sintetizzato in queste pagine, per tutti noi Italiani farà scattare un indistinto, incondizionato ed ineluttabile “caro Auto”.

Riccardo Bellumori

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