Site icon Autoprove.itxse se

Mini Turbo Innocenti: l’ultima piccola italiana di De Tomaso

Ha compiuto mezzo secolo nel 2024 la “Mini 90”, la piccola di casa Innocenti che superò, dopo averla affiancata, la serie su licenza ripresa esattamente dalla “Mini Morris” per effetto dell’accordo industriale nato oltre dieci anni prima tra il Marchio di Lambrate e la British Motor Corporation;

 

e che alla data del 1974, appunto, vide la serie “Mini 90” e “Mini 120” diventare di fatto la prima vera alternativa nazionale alla “Autobianchi A112” in termini di classe, utilità e glamour.

L’accordo di licenza tra Innocenti e BMC (che prevedeva la produzione di veicoli Austin e Morris in Italia con marchio Innocenti) si era nel frattempo “incagliato” quando British Motorse British Leyland furono accorpate a seguito di nazionalizzazione del Governo. 

 

E se dapprima vi fu un “interregno” di Innocenti sotto Leyland(nasce il Marchio Innocenti Leyland) alla fine si arriva alla liquidazione nel novembre 1975 con il “salvataggio” di Alejandro De Tomaso aiutato finanziariamente dalla GEPI. 

Si chiude quell’anno un calvario iniziato a Luglio del 1959 con la firma dell’accordo tra Innocenti (un colosso dell’acciaio e delle sue lavorazioni, con in più un Ramo di Impresa dedicato alla produzione della gamma diretta e derivata delle “Lambretta”) e BMC. 

Un vero e proprio contratto assolutamente sbilanciato a favore di BMC nei diritti, nelle facoltà, e penalizzante per Innocenti sotto l’aspetto di vincoli ed obblighi, a partire dal divieto di esportazione in Europa ed in altri diversi mercati della Gamma di Innocenti come vincolo di non concorrenza con gli inglesi. 

E si arriva anche – un po’ troppo tardi – alla concessione produttiva su licenza della Mini Morris, che esce dalla catena di montaggioInnocenti per la prima volta a fine 1965

Ovviamente una best seller ma davvero sofferta, peraltro simbolica di un vero e proprio viatico di declino e profonde crisi per Innocenti: nel 1966 muore il capostipite Ferdinando, lasciando ancora più solo il figlio Luigi (volenteroso e brillante ma davvero inesperto); dopo di che arrivano le crisi in successione: quella energetica, quella sociale ed operaia, ed infine il crollo dei consumi.

Nel frattempo il 1967 è l’anno in cui Innocenti inizia a pensare ad un modello “autoctono”: una utilitaria con motore da 750 che consenta a Lambrate di superare possibilmente il rapporto ormai zoppicante con British Motors il cui rinnovo ormai è uno stillicidio: ogni anno, dal 1965, Birmingham e Lambrate ridiscutono i termini dell’accordo per prorogarlo al massimo di dodici mesi. 

Questa sorta di condanna a morte per impossibilità a programmare è evidentemente un espediente del Gruppo britannico per portare Innocenti alla canna del gas ed acquisirla. Motivo per cui Luigi Innocenti inizia una vera e propria “asta” per vendere il Marchio a partner esterni ma in Italia soprattutto è un coro di “No, grazie”. 

E in fondo rivolgersi a Fiat, Alfa Romeo e persino, si dice, alla Piaggio dimostra tutta la debolezza ed inadeguatezza di Luigi Innocenti rispetto al “Boss” Ferdinando: Luigi era, appunto, un giovane industriale innovativo e persino onirico ma, ahimè, poco attrezzato rispetto ai volponi con pelo arricciato sullo stomaco che rappresentarono la BMC nell’accordo di licenza.

Sembrava ripetersi la storia triste di quindici anni prima che aveva portato il figlio di Edoardo Bianchi a dilapidare tutto il sogno imprenditoriale del padre, ma a peggiorare le cose c’era che Luigi Innocenti non aveva dalla sua parte un novello e geniale Dottor Quintavalle a togliergli le castagne dal fuoco, creando di sana pianta “Autobianchi”. 

E così il progetto “750” affidato per le linee di stile in un confrontro tra Giovanni Michelotti e Marcello Gandini per Bertone, inizia ad ondeggiare tra ipotesi, blocchi, rinvii, problemi. 

E pertanto la onirica piattaforma “750” (quattro cilindri trasversale, pianale nuovo, sospensioni Mc Pherson davanti e bracci oscillanti dietro, una utilitaria capace di far tremare i polsi ad almeno tre modelli in Gamma nella Fiat ed a diverse auto di importazione) rimane un sogno. 

Arriva il 1969 e dopo aver venduto i diritti della Lambretta ad un Gruppo indiano, Luigi Innocenti inizia davvero a franare. 

Italsider si compra la parte metalmeccanica di Lambrate che il 6 Maggio del 1972 cede (o svende, fate Voi) la divisione Automobili della Innocenti alla BMC nel frattempo accorpata con Leyland

Innocenti, dall’orlo dell’abisso al rilancio: British Leyland e Gruppo De Tomaso

E’ Geoffrey Robinson, il nuovo CEO di Innocenti, a “sbloccare” il progetto della nuova Mini 90/120, ma per motivi di Budget la proposta vincente di Gandini/Bertone viene allestita su pianale e meccanica della Morris “Mini”. 

Per questo la “90” monta il motore da 1000 cc e la “120” quello da quasi 1300: su questa versione , quando arriva il passaggio di mano, il geniale Alejandro De Tomaso mette le mani dopo aver acquisito Innocenti nel 1975 dagli inglesi: l’argentino, un vero e proprio “scout” di trend vincenti sul mercato, legge benissimo la “fame” di gran parte degli automobilisti sportivi e giovani per le “griffe” cariche di grinta che qualificano e distinguono piccole utilitarie come la vecchia Renault R8 Gordini, le A112 e Fiat 127 Abarth, o la capostipite Mini Cooper.

Nasce per questo la “Innocenti Mini De Tomaso” con oltre 70 cv: A112 Abarth e Fiat 127 Sport ed Abarth sono avvertite, il loro monopolio nel campo delle piccole auto pepatissime è agli sgoccioli; e nel frattempo “Mini 90” si posiziona piuttosto saldamente nelle preferenze degli italiani nel novero delle utilitarie cittadine perfette per superare la crisi energetica e favorire la mobilità urbana e le attività di piccole famiglie e neolavoratori e – bisogna dirlo – la creatura quasi perfetta di Marcello Gandini diventa un vero “cult” per la nascente classe lavoratrice e automobilistica nazionale dentro un Belpaese estremamente ancora patriarcale oltre che, come si usa dire, …”Fiattaro”.

Ho detto “creatura quasi perfetta” di Gandini perche’ il Maestro riesce a rendere ancora più belle ed eterne le linee della Mini Morris di Sir Alec Issigonis e persino più dinamico e sicuro il suo assetto dinamico su strada grazie a linee più aerodinamiche, ma rimane il “gap” con una meccanica particolarmente “marziana” nella concezione italiana, abbastanza invecchiata e sempre meno competitiva con la concorrenza più aggiornata.

Eppure De Tomaso e Gandini fanno il miracolo, visto che nel 1978 Innocenti cresce più di ogni altro Marchio in Europa. Stanno maturando i tempi per la definitiva sostituzione del modello inglese ormai perdente ed il “nuovo che avanza”, cioè il Giappone: nel passaggio di fase proprietaria al Gruppo De Tomaso, e con la serie inenarrabile di sfighe che attanagliano il mondo Auto inglese (ne trovate ampia traccia nell’Articolo dedicato alla Triumph Acclaim), da inizio anni ’80 la produzione Innocenti si affranca sempre di più dalla linea originaria BMC, ma contemporaneamente la Gamma di prodotto si concentra sulla nuova serie Mini, senza altri affiancamenti. 

E qui, purtroppo, si scontra la visione davvero “emergenziale” di De Tomaso che aveva finito per occupare la Fabbrica di Cristallo di Lambrate con linee di produzione della Maserati, della Moto Guzzi e persino parte delle lavorazioni della “TC Chrysler”. 

Insomma, spazio per nuove auto di Marchio Innocenti, dentro un mercato in cui le Segmento “B” e “C” andavano alla grande (la Mini era in effetti una “A” ovvero una “Sub B”) ce ne sarebbe stato. Di più: una eventuale Joint Venture con Marchi giapponesi, alla stregua di ARNA e di British Leyland – Honda, sarebbe stata forse azzeccata. Dunque, come spesso gli è capitato in vita e negli affari, De Tomaso da un lato tira la coperta nel verso del filone vincente, dall’altro finisce per lasciare morire di freddo altre opportunità o risorse che porteranno inevitabilmente a nuovi problemi.

L’opportunità ed il filone vincente, come detto, è l’accordo con Daihatsu: marchio produttore fortissimo e apprezzato nel segmento delle “piccole”, con forte predilezione alle prestazioni ed alla immagine sportiva. Grazie a questo arrivano a Lambrate nuovi cambi a cinque marce ed una gamma di motori eccellenti, superiori senza dubbio a tante piattaforme di Fiat ed Alfa Romeo.Alcuni esempi? Monoblocco in ghisa e testata in alluminio, distribuzione SOHC e DOHC, e una cura costruttiva esemplare.

La “saga” delle piccole sportive: arriva la Mini De Tomaso e la Turbo De Tomaso

Contemporaneamente però, a causa della sua gestione autoritaria e monopolista, De Tomaso perde lo slot più favorevole per arrivaread una possibile JV in stile “ARNA” soprattutto sul versante nel quale Daihatsu avrebbe fatto da eccezionale apripista nei confronti di Lambrate: il mercato nascente dei piccoli fuoristrada. Insomma, è chiaro che con la sola “Mini” in listino la Innocenti non può certo sperare granchè. Tuttavia il problema di inizio anni ’80, come per l’Alfa Romeo e l’Alfasud con il Gruppo IRI, è che lo Stato inizia ad avere le braccine corte. 

E nel caso di De Tomaso, come abbiamo recensito in diversi pezzi e video, la frattura con la GEPI e la riduzione dei Budget si aggrava con la tendenza “furba” dell’argentino di coprire i buchi della Maserati con gli attivi – sempre spesso notevoli – di Innocenti. 

Il che frena ogni possibile strutturazione di provviste finanziarie per dare vita a nuovi modelli e ad un allargamento di Gamma.

Intanto, dunque, arrivano: un 650 cc bicilindrico per Innocenti Mini S ed SE, alla base della Gamma, per fare concorrenza alla Visa ma anche alla nuova 126 Steyr Puch 700; e nasce la serie “MiniTre” con il tre cilindri da 1000 cc. della Charade.  

Le estensioni sono nella “Diesel 1000” sempre 3 cilindri da 37 Cavalli (il più piccolo Diesel mai montato in Italia) e nella cattivissima “Turbo De Tomaso” 3 cilindri da 74 Cv, a sua volta (credo) il primo turbo a benzina arrivato in Italia dal Giappone ed il più piccolo Turbo benzina per l’epoca commercializzato nel nostro Paese, visto che anticipo’ di diversi mesi l’uscita della Autobianchi “Y10 Turbo”.

Tra l’altro, con la Mini Turbo De Tomaso, il buon Alejandro in questo caso fa Strike: rafforza la partnership con la fornitrice di turbocompressori anche per la Maserati Biturbo, la giapponese I.H.I; entra nel ristrettissimo Club dei Costruttori europei che propongono utilitarie turbocompresse, molto desiderate dai giovani, ed infine gioca la carta “bonsai” visto che per consumi (limitatamente alla prerogativa di un’auto sportiva) e per cavalli fiscali e costi di gestione si porta un poco in vantaggio rispetto alla concorrenza varia di Fiat, Autobianchi, Peugeot, Renault, Ford.

Design italiano dunque e cuore giapponese per la  piccola di Lambrate, quel tanto snob ed unica per “mascherare” una potenza minore rispetto a Uno e Supercinque Turbo, ma davvero bella da vedere.

Tecnicamente la piccola adotta il motore Daihatsu – Sanyo CB21con turbo e carburatore “soffiato”, monta sospensioni ed ammortizzatori diversi con taratura sportiva: 72 cavalli e 165 km/h possono sembrare pochi ma provate a conquistarli alla guida di una vetturetta da 3,14 metri di lunghezza, 1,53 di larghezza ed una altezza di 1,34 che per grazia di Dio ha uno tra i baricentri più bassi del mercato auto mondiale. Allestimento e dotazioni ovviamente da berlina di lusso: Alzacristalli elettrici, cruscotto con tachimetro, contagiri e manometro del turbo; volante Momo a tre razze rivestito in pelle con inclinazione specifica per questo modello. Certo, ebbe vita breve, visto che i 6000 esemplari coincidono con la riduzione dei volumi prodotti dopo l’ingresso in Fiat della Innocenti e con la chiusura dei giochi nel 1993. 

Oggi la Mini De Tomaso Turbo resta da un lato un bell’emblema della epopea dignitosissima della Innocenti, un esempio di creatività italiana e l’ultima vera piccola sportiva tricolore “griffata” De Tomaso, il genio. Dopo, saranno ben altre le genialità alla guida dell’Automotive nazionale. 

Come quella, indiscussa ed inarrivabile, di Paolo Cantarella.

Riccardo Bellumori

Exit mobile version