Se Vi dovessero raccontare che era un personaggio poco adatto dal lato cinematografico o mediatico, Vi racconterebbero una balla colossale.
In Europa, dove è stato testimonial per Marchi Auto, per Riviste specializzate, per Spot TV di varia natura e di un numero spropositato di Documentari storici, oltre che ospite svariate volte di Programmi di intrattenimento ha lasciato un segno non solo nelle cronache sportive. Ma il vero “boom” mediatico – in positivo o negativo – l’ha stabilito in Italia, fin dagli inizi della sua scalata ai vertici della Formula Uno.
Da metà anni Settanta l’Italia si trasfigurò in questo giovanotto che incarnava a sua insaputa (forse) un concentrato di metafore, simbologie, vulgate popolari e neologismi al punto tale da diventare molto di più di un Campione sportivo: un fenomeno sociologico.
Niki con il suo berrettino sempre calcato sulla testa, Niki con quella curiosa sporgenza degli incisivi, Niki con quel suo “slang” italo-prussiano che a noi italici ricordava decenni di satira e di macchiette; ma soprattutto Niki che incarnava il primato sportivo tricolore prendendo idealmente il testimone dalla coppia nazionale più blasonata dalla seconda metà degli anni Sessanta: Giacomo Agostini e la MV Agusta. Quando Niki entra in Ferrari per la prima Stagione e contribuisce a far tornare grande la Rossa è il 1974; Phil Read vince l’ultimo Titolo Piloti con la rosso-argento MV Agusta dopo che “Ago” aveva stabilito l’ultima sua firma vincente l’anno prima.
Con l’arrivo dei giapponesi nel Motomondiale e la perdita del feudo MV, Ferrari e Lauda si mettevano di nuovo sul tetto del mondo dopo anni regalando nuovo orgoglio; nasceva a Maranello la nuova e fenomenale famiglia “312 T” che superava la poco efficace B; e nel 1974 Enzo Ferrari richiamando Clay Regazzoni al volante delle sue monoposto seguiva il suggerimento dello svizzero e assumeva il giovane Lauda che Clay aveva conosciuto l’anno prima in BRM.
Senza che, probabilmente, né Regazzoni né la Ferrari potessero solo immaginare cosa Niki Lauda sarebbe stato in grado di generare: dal lato sportivo, una sfilza di Pole Position alla sua prima Stagione in Ferrari, con piazzamenti e la prima vittoria personale in Spagna; dal lato umano e mediatico cominciando a triangolare con reporter e videogiornalisti; dapprima con fare timido e scherzoso per poi rivelare mano a mano la grande forza dirompente della sua comunicativa; le parole italiane “stuprate”, le pause interperiodiche inarrivabili, le battute fulminanti come i giudizi, ma soprattutto con la sua innata comunicatività che partiva dall’espressione e dallo sguardo. Niki è comunque un ragazzetto di circa 25/26 anni eppure riesce a catalizzare ed a suggestionare i suoi interlocutori.
Famoso e riportato su uno dei suoi libri biografici il momento in cui al Box di un Gran Premio butta per terra urlando letteralmente il borsone di un fotografo reo di averlo appoggiato sull’alettone posteriore forse persino inavvertitamente – come unico posto sicuro dalle possibili ruotate delle auto in movimento; tuttavia per Niki (ed a ragione) quell’ala non è un tavolino ma il risultato di ore ed ore di prove per azzeccare l’inclinazione e le regolazioni giuste, a rischio di sputtanare tutto con un peso imprevisto e fuori luogo sulla superficie.
Niki un fenomeno di massa
Per tutti, dunque, Niki Lauda diventa “LAUDA”: Il suo arrivo alla ribalta cambiò di colpo anche le consuetudini, le piccole usanze o le tradizioni di noi gente comune.
“Ah Lauda, vai piano !!!!!” Chi ha tra 40 anni e passa deve per forza aver sentito questa esclamazione, tra il traffico delle città; chi ha circa la stessa età non credo che ricordi altro gioco “must” diverso dalla pista Polystil con la foto di Niki accanto alle 312.
Quelle stesse, soprattutto la “T2”, che hanno invaso le vetrine di giocattolai e Tabacchi con repliche perfette e accattivanti in miniatura. E che nonostante il mezzo secolo passato sono ancora di attualità.
E che dire degli Spot “Parmalat, Latte da Campioni” e similari che imperversavano in TV? A mia memoria in una programmazione nazionale dove, prima degli anni Ottanta, mi ricordo – a memoria – di Pelè con Aqua Velva, di Mazzola con il Duplo, e di altri atleti, non ho lo stesso ricordo per altri Piloti di F1 così esposti alla piazza mediatica.
E che dire degli articoli sul suo preparatore – Willi Dungl, un vero e proprio “santone” all’epoca del fitness e della preparazione psico-fisica – e sulle rivoluzionarie tecniche atletiche, sui menù ed i regimi dietetici, sul massaggio con polvere d’oro per la circolazione e tutto il frasario di storie e leggende alimentate intorno a lui?
Delle sue immagini così perfettamente anni Settanta con collettoni alari, pantaloni con riga e zampa d’elefante “interrotti” tuttavia – così magistralmente – da improbabili e tirolesi maglioni di lana e mocassini stile impiegato del Catasto?
Che dire delle sue frasi celebri diventate “cult” per milioni di tifosi?
Niki era più di un Campione: era diventato l’essenza stessa dell’Automobilismo sportivo, la sua spezia immancabile, il piatto Gourmet in un Menù che presentava comunque, tra tanti piloti vincenti, di già dei bei piatti da gustare. Ma solo lui, Niki, era in grado di soddisfare qualunque palato.
Nessuno come lui, né prima né dopo: se vogliamo, sotto l’aspetto della sua immagine e notorietà ha avuto dalla sua un talento ed una fortuna.
La fortuna è stata quella di iniziare, interrompere, riprendere e terminare la sua carriera al Top sotto i riflettori della televisione italiana che – tuttavia – erano in pochi a saper “maneggiare” davvero bene come lui all’epoca.
Quando, per precisare, gli unici piloti di Formula Uno in grado di “bucare lo schermo” erano secondo me solo Emerson e Clay Regazzoni: nulla potevano al confronto un velocissimo ed intrattabile Jody, gli eterei ed indecifrabili Peterson e Depailler e neppure il nuovo arrivato eroe dei fotoromanzi, quel Sir “Maria” James che pur ottimo per generare fremiti ormonali nel gentil sesso, davanti a microfono e telecamera sapeva declamare frasi e rutti con la stessa inimitabile poesia.
Degli altri la TV si interessava ancor meno: gli eroi di inizio decennio Stewart, Rindt e Cevert non c’erano più e persino in Ferrari quell’Arturio Merzario non faceva sufficientemente fenomeno di costume per superare l’incombenza mediatica del Grande Vecchio.
Niki invece sotto le telecamere ci aveva iniziato la carriera, ed erano dunque più a portata della massa di spettatori il suo esordio, i rari ma significativi momenti chiave del suo non troppo scintillante esordio.
Ma intanto cominciava a circolare nelle immagini, nelle istantanee, nei commenti il profilo “sottocasco” di questo piccolo ed allampanato ragazzo, simile a qualcosa a metà tra un sottotenente Prussiano pronto a difendere con la vita un presidio bellico sui Carpazi ed un figlio soffuso della “Beat Generation”.
Certo che all’alba degli anni Settanta, con quel popò di debuttanti allo sbaraglio che sapeva accogliere la F1 del tempo – molto lontana dall’inquadramento marziale e dalla selezione dei decenni successivi – quasi nessuno si accorse di quel giovanotto ventiduenne che aveva pagato a caro prezzo la sua passione da corsa.
No, non tanto e non solo per debiti personali, ma perché il volante gli era costato l’abbandono dell’Università e la scomunica familiare operata dal patriarca nonno della nobile famiglia di banchieri, ai quali Niki purtuttavia – nonostante le malelingue – non aveva chiesto neppure un centesimo.
Una storia che rimarrà per un po’ di tempo nascosta nelle pieghe della cronaca di un giovanotto che ovviamente non può che prendere al suo esordio una evidente “paga” da un fenomenale compagno come Ronnie Peterson dentro la March: argomento questo che i fancazzari NIKI-LISTI useranno pietosamente contro il ragazzo, per farne il proprio giudizio storico. Proprio vero, la mamma dei coglioni è sempre incinta.
E ce ne vuole davvero, di stupidità elettiva, per provare sentimenti negativi verso qualcuno che ha strappato solo applausi in carriera: Niki che non si è tirato indietro verso nessuna battaglia giusta della F1, dicendo a chiare lettere le cose che andavano dette; Niki che con il suo calvario post Ring ha segnato l’immaginazione di tutti tornando al volante dopo l’estrema unzione; Niki che – e sono in pochi a saperlo – con le sue piaghe ed il suo dolore messo a dura prova nel voler conseguire il Titolo era diventato una sorta di manifesto di appartenenza anche nelle sempre piu’ crescenti diatribe sindacali tra Corso Marconi e le maestranze che vedevano in quel ragazzo austriaco sanguinante un simbolo di resistenza quasi operaia.
Non ce lo dimentichiamo che era l’epoca delle lotte in fabbrica, delle serrate, degli attentati, delle Brigate Rosse. L’agonia di Niki era riuscita ad interrompere il respiro ad una Nazione ferita, come la vittoria di Bartali vi era riuscita dopo l’attentato a Togliatti. Niki, in quel gesto, raccoglieva l’ansia di un intero Paese rappresentato dalla Ferrari.
Fu l’altro suo Compagno leggendario, Gianclaudio, a suggerirlo ad un Drake che forse immaginava – trovandosi di fronte lo sbarbatello di talento e semisconosciuto – di poter usare su di lui martello e scalpello come Michelangelo, attratto dalla aspirazione di rendere capolavoro la materia informe oppure – alla bisogna – dargli una sonora mazzata per rimprovero ed esercizio del comando.
Invece nella Ferrari Niki diventa una specie di nuovo mondo da esplorare e su cui fantasticare: Niki il “Computer” seguendo la suggestione che le prima informatizzazione mondiale sta regalando a tutti; oppure Niki l’atleta che- secondo alcuni – si sottoporrebbe a massaggi con polvere d’oro. Ed anche in questo, accompagnato dalla celebre figura del suo preparatore atletico di fiducia Willi Dungl, comincia la sventagliata di mitologia atletico-salutista su di lui: Niki che si allena con costanza, Niki che fa esercizi per vista e riflessi, Niki che mangia sano e non beve e non fuma; Niki che soprattutto “non sembra” abbandonarsi alla bella vita come molti suoi colleghi e con Clay Regazzoni in testa di questa classifica.
Insomma, Niki Lauda (anche grazie a quel suo nome così “liscio” nella pronuncia italiana) diventa un fenomeno di massa, un beniamino dei bambini, un benemerito degli adulti appassionati di auto, e forse un ideale per qualche nonna in cerca di pretendenti per le nipoti.
Ma nel frattempo Niki è anche un piccolo “mistero”: è ricco? Ha i soldi di papà? E’ sposato, è single, si diverte, fa una vita monastica…Insomma, “CHI E’” Niki Lauda?
E cominciano sulle riviste i retroscena anche scandalistici, pruriginosi, irritanti quasi, che toccano a tutti coloro che salgono alla ribalta: Niki Campione che va ad Ibiza a costruirsi una villa; Niki che fa motocross a dispetto dei consigli della Ferrari; Niki che sacondo alcuni sarebbe un comodo rampollo di famiglia aiutato dai soldi del patriarca banchiere.
Occorreranno diversi libri e cronache contrarie per sfatare un mito che all’epoca nell’automobilismo era un bollino infamante :”Seiricco di famiglia”. Il Proletariato arrembante che pioveva sulle spalle dei vincenti accusati di perbenismo ed agiatezza economica sembrava quasi una macchia “ad orologeria” da appioppare a chiunque non avesse – faccio un esempio – il pedigree di un onesto Alan Jones che si era guadagnato le prime monoposto in Inghilterra facendo il meccanico e dormendo nel retro dell’officina; o del buon Jaques Laffite che prima di essere pilota era il meccanico di suo cognato, tale Jean Pierre Jabouille. Senza contare l’esempio didascalico di un altro mito in terra della Formula Uno, quel Jackie Stewart prelevato letteralmente da KenTyrrell dall’autorimessa familiare ove il giovane re del volante lavorava come garzone.
Altri tempi, altra storia, quella italiana che comincia a colpire Niki. Iniziano i tempi delle contestazioni sociali e studentesche, CGIL e lavoratori di Pomigliano e Mirafiori diventano attori di storie che si macchiano sempre più di violenza; ed ecco che il “Campione “Niki per tutti diventa per alcuni il “Rampollo Niki” che genera qualche invidia e pettegolezzo.
La Piscina ad Ibiza, e quel “controcanto” che annebbia la luce di Niki sulla Ferrari
Per questo persino i commenti generalmente favorevoli da Ottobre 1975 fino a Febbraio 1976 diventano dopo questa data un poco altalenanti e controversi. Niki che fa la primadonna, Niki che polemizza con DT, DS, e persino con Sua Maestà il Drake, Niki che sarebbe persino avaro e arcigno con i soldi e le proposte contrattuali di ingaggio per gli anni a venire; e poi Niki e non solo Niki: che ci fa quella Marlene ai Box a scocciare il lavoro e la concordia dentro l’ambiente tipicamente maschile dei Box??? Ed infine, dove si trova Niki quando non è Maranello? Tutta una “pruderie” volutamente architettata e non solo perché Niki non si sforza affatto di essere piacente a cronisti e fotografi. Forse c’è dell’altro, e forse la risposta è nella sindrome assolutista ed evangelica del Grande Vecchio Enzo che si manifesta ogni qualvolta qualcosa di più luminoso del Sole di Maranello arriva a generare rischiosi coni d’ombra.
Niki, da quell’inizio 1974 in cui si appalesò in tutto in suo carattere definendo la “312 B” letteralmente una “merda” parlando direttamente a Piero Lardi Ferrari, diventa nei due anni successivi il vero e proprio vessillo del Cavallino. Ottimo pretesto nella indole del Drake per cominciare a –benevolmente – mobbizzarlo.
E la prima vera occasione di crisi è quando poco prima dell’inizio estate 1976 Niki Lauda dichiara un infortunio avvenuto in Spagna: quei”dolori intercostali” frutto di incrinazioni della gabbia toracica ottenute non in un campo di battaglia (la pista) ma in regime di libera uscita tra un Gran Premio e l’altro diventano in poco tempo dei capi di indagine e di accusa sommaria, chissà se e quanto con l’ausilio dell’efficiente centro PR di Maranello. E forse nell’animo più recondito degli ambienti di Maranello, aver ottenuto (anche grazie a Niki) una monoposto praticamente perfetta agevola l’idea, o forse solo un piccolo miraggio, di poter eventualmente fare a meno di un Campione che inizia a diventare “scomodo”.
Un Campione, un professionista che ha rischiato di sputtanare una stagione trionfale alla guida della “T2” del 1976, semplicemente perché – si dice – avrebbe subito gli effetti del ribaltamento di una pala meccanica mentre spalava la terra dal luogo ove far nascere una piscina nella Villa ad Ibiza? Capito il signorino, mentre le maestranze Fiat (ma anche quelle della Ferrari) cominciano a fare le serrate per gli aumenti salariali e i diritti in fabbrica ? “Lui” si fa la villa ad Ibiza; ma poi arrivano incontrollati i pettegolezzi, i possibili retroscena, le ricostruzioni posticce e le insinuazioni: sarebbe stato lui alla guida del miniescavatore ribaltato, così per gioco; sarebbe stata anche Marlene in quell’escavatore con lui; ma no, anzi., Marlene e Niki erano in escursione campestre nei boschi di Ibiza con una moto da cross (passione di Niki e metodo parziale di allenamento); e tralascio altre derivazioni di commenti molto più pseudo intimi o piccanti sulla natura delle incrinazioni. Insomma, per un attimo su Niki si addensano nuvoloni. Vorrei dirVi di più: ma all’epoca ho ancora tra sei e sette anni. Difficile chiedermi una traccia storica mentre, piano piano , arriva quella Domenica Primo Agosto 1976.
Domenica Primo Agosto 1976: quando cambiò il mondo della Formula Uno
Per Jo Schlesser fu una scena fulminante: quel magnesio dentro alla sua Honda cominciò a prendere fuoco come si trattasse di un deposito di fuochi di artificio. In pochi lampi lo chassis fu consumato da un fuoco che neppure mille idranti avrebbero potuto spegnere. Ma all’epoca la Tv era un miraggio in Formula Uno. Anche per Lorenzo Bandini quel rogo fu solo parzialmente un evento pubblico alla TV. Nel 1970 la De Tomaso con dentro PiersCourage fu a tal punto preda delle fiamme che i Commissari dovettero (per fortuna ancora con una TV rarefatta nelle Gare automobilistiche) tirare palate di sabbia a coprire le parti e l’abitacolo con dentro il povero ragazzo imprigionato pur di ridurre la massa di fuoco. Roger Williamson fu al contrario lo spettacolo terrificante della stupidità e della insensatezza di un certo modo di correre, e senza David Purley, ripreso a mostrare la sua immensa carica umana a contrasto, forse la Formula Uno da allora sarebbe finita alla sbarra.
Ma in quella Domenica Primo Agosto 1976 davvero il mondo si prepara a cambiare.
Rush non l’ho visto, lo ammetto: ma rappresentare da subito come antagonista di Stagione di Niki nel 1976 l’inglese James Hunt non è una licenza: è una scorrettezza storica.
Perché trascura due cose: Niki arriva al “Ring” forte comunque (nonostante il problema intercostale) di una bella serie di punti di vantaggio sul secondo in classifica parziale; che però non è Huntma un miracoloso e meritevole Jody Scheckter sulla “lunare”Tyrrell P34 a sei ruote. Motivo in più, anche in un film monotematico come “Rush” per fare alcuni approfondimenti storici. Non fosse altro che per il fatto almeno fino a quel punto di Stagione il buon Ken Tyrrell aveva visto giusto: il vero limite delle antagoniste alla Ferrari all’epoca era la scarsa velocità di punta, visto che il motore “Flat” 12 cilindri della 312 T2 riusciva a frullare così più in alto e con maggiore potenza rispetto agli otto cilindri Ford da garantire al duetto Ferrari di eccellere. Con la sezione frontale ridotta grazie alle quattro “ruotine” e con quel particolare assetto, alla vigilia del Gran Premio di Germania al Nurburgring la “P34” è di fatto seconda dietro a Niki. Hunt? Huntè molto più vicino al quarto posto che al terzo poiche’ ci si attende una risposta anche da parte di Clay Regazzoni, un poco altalenante fino a quel punto.
Alle 11 di Domenica mattina Primo Agosto 1976, sotto il cielo plumbeo e mutevole del Nurburgring lo scenario non era di sicuro quello di RonHoward e del suo “Rush”.
La Tyrrell “P34”, quella creatura fatta scoprire astutamente da Zio Ken, alla presentazione di inizio Campionato, arrotolando il telo dal lato posteriore della vettura (affinchè, mossa dopo mossa scenograficamente lenta e cadenzata, il sonoro e unanime “OOOHHHHHH!!!” della platea potesse scoccare al momento in cui dopo aver scoperto abitacolo e specchi retrovisori quel telo avrebbe finalmente mostrato il primo treno di “ruotine” anteriori della monoposto) stava vincendo almeno due delle tre scommesse di inizio Stagione: essere tra le Protagoniste di vertice e riportare la Tyrrell tra le Squadre Top dopo il buio di quel terribile ed estasiante 1973.
La terza scommessa poteva materializzarsi proprio al Ring sbugiardando l’anatema di Enzo Ferrari: l’aerodinamica è l’arma bianca di chi (i Garagisti) non ha a disposizione un grande motore.
Ebbene, proprio l’aerodinamica e la velocità di punta, per colmare il divario prestazionale dei 485 Cv del Cosworth contro i 500 ed oltre del 12 cilindri italiano, erano alla base della ricerca della “P34”.
Che con una andatura da Orsetto lavatore aveva portato dopo già nove Gare l’ottimo Jody Scheckter al secondo posto provvisorio del Mondiale a meno ventisei punti da Niki.
Detto in parole povere, nonostante la condotta extraterrestre di Lauda fino ad allora (oltre 6 punti conquistati a Gran Premio di media) era come se dietro di lui, costantemente, si fosse piazzato sul terzo gradino del Podio il sudafricano. Una sorta di uomo ombra che aveva quel certo sapore di pericolo inaspettato. E indecifrabile: la Tyrrell così com’era poteva o implodere su sé stessa vittima di uno stallo di Stagione in corso; oppure poteva “deflagrare” esprimendo un potenziale incognito dopo il “rodaggio”.
E molto bene aveva fatto anche Depailler, terzo provvisorio in Classifica a pari merito: solo Podi, tra secondi e terzi Posti, e 35 punti di distacco da Niki prima di quel “Ring”.
Come, guarda caso, quello che Rush (nella struttura infantile del film) dà come predestinato fin dall’inizio, rendendo la narrazione di quella Stagione un semplice carrozzone mitologico e poco rappresentativo. James Maria Hunt era solo terzo/quarto, in quella Domenica di Vigilia del Ring.
Aveva però la Pole Position, in quella maledetta partenza di quella maledetta Domenica; ma Niki era secondo, e francamente “quel” Ring era un po’ casa sua anche se non era sereno; anzi, testimoni del tempo e del paddock lo indicavano come decisamente inquieto ed elettrico. Oggi provo a ipotizzare che Depailler, terzo in Griglia e in Classifica in quello Start del Ring e la coppia di Tyrrell alle spalle di Niki potessero essere “IL”problema generato dal “più garagista” di tutti i Team di F1 in quel momento; e mi sorprendo a pensare che l’unica monoposto imprevedibile ed incognita di quella Stagione – la Tyrrell P34 – aveva perso “solo” 2 punti e mezzo a Gran Premio nei confronti di quell’iradiddio che era il tandem “T2/Lauda” mentre in confronto James Maria Hunt (tra l’altro neo prima guida al posto di Fittipaldi in Mc Laren) aveva lasciato per strada ben quattro Punti a Gran Premio: e sinceramente quella sua M23 poteva dirsi appena sufficiente a pretendere le posizioni di testa, rispetto a Ferrari ed a “quella” Tyrrell.
Qualcuno può obbiettare che Clay Regazzoni, arrivato sulla Griglia del GP di Germania con in tasca solo 16 punti, era un poco il protagonista assente di quella parte di Stagione, e che il supporto o l’appoggio verso Niki si era un poco sfumato.
E forse aver perso il Titolo 1976 da parte della Ferrari equivalse ad una sorta di gesto di sfregio contro una immagine votiva, o meglio ad un trittico di immagini: Niki, Clay, e forse Daniele Audetto come DS a Maranello.
Dopo aver collezionato tre punti a Gran Premio fino al Nurburgring, James Maria Hunt ne conquista sei in media nelle restanti sette Gare conclusive con quattro vittorie, mentre nel frattempo per fortuna dell’inglese e della Ferrari la “P34” si “sgonfia” per la serie di problemi noti: fa una media di due soli miseri punticini a Gara dal Ring fino alla fine.
Nel 1970 con 9 punti di vantaggio a Gran Premio fino a fine Stagione, Colin Chapman ha messo il cosiddetto Pullman davanti alla porta nel 1970. E forse non ne aveva neppure bisogno, ma ha avuto rispetto di sé e dell’avversario, temendolo.
Con soli 3 punti da conquistare a Gran Premio, nel 1982 Keke Rosberg ne ha totalizzati 4 per ogni Gara residua, insabbiando anche Watson, Lauda e Prost. Non è solo merito del Pilota, ma soprattutto della tendenza alla perfezione organizzativa della Williams. Che ha avuto rispetto di sé e dell’avversario, temendolo.
Non dovrei aggiungere altro: alla Ferrari sarebbe bastato TEMERE Huntper tenerlo fuori dalla vittoria per quattro volte e qualche rara volta fuori dal secondo posto.
Il resto lo avrebbe fatto (forse) l’autolesionismo endemico di Hunt. La “312 T2” – miglior monoposto del decennio ’70 dopo la Lotus 72 – aveva tutte le capacità di tenere dietro chiunque, specialmente un vecchio schema come la Mc Laren M23.
Ronnie Peterson? Magari. Dicono che Enzo Ferrari lo avessepersonalmente cercato, e che le sfuriate telefoniche da un ipotetico telefono dell’Ospedale da parte di Niki, amplificate dall’amico Luca Cordero di Montezemolo, avrebbero spinto Corso Marconi a dire a Maranello: “Non ci provate”. Ma ammesso e non concesso che davvero Ferrari, con quel suo “Cavallinocentrismo” volesse davvero un Pilota ugualmente difficile come Ronnie in Squadra (a rischio di dover attribuire solo allo svedese il Mondiale conservato), avrebbe pouto– di fronte ad un Mondiale e se avesse avuto le idee chiare e la caratura di rango – chiudere l’accordo con Peterson dicendo a Lauda: “amico mio, Se vuoi perdere questo Titolo accomodati; ,ma questo Titolo deve essere della Ferrari e allora te lo garantisco io, e il prossimo anno vediamo”; ed avrebbe risposto alla FIAT: “Cari amici di Torino, io posso ancora vincerlo il Titolo. Se volete farmelo perdere Voi, Vi ricordo che a Dicembre io ho la solita “Conferenza di fine anno”. No, non è accaduto nulla di tutto questo.
A Niki è toccato di tornare dall’aldilà per difendere con tutte le piaghe e gli occhi doloranti il suo primato. E’ solo un ricordo romanzato questo?
Da Monza, fino alla fine della Stagione quando Niki ritorna nell’abbraccio di un mondo che lo decreta Campione del millennio, il mitico conquista sette punti che nelle sue condizioni valgono mille.
A Monza James Maria va a bagno, guarda caso. Ma dopo Monza, qualunque cosa abbia fatto Niki, Hunt l’ha fatta molto meglio; ed alla vigilia del Fujii Niki fa quello che nemmeno Nostradamus poteva prevedere: torna a + 3 punti da Hunt, torna in testa al Mondiale.
…AZZO!!!! Ma allora non è finita, allora basta davvero un nulla, per…
Basta che Hunt non arrivi a tagliare il traguardo oltre il quarto postoqualora Niki resti a bocca asciutta, per intanto; sarebbe bastato questo invece che sacramentare contro la legittima paura di un ragazzo che aveva già visto la morte due mesi prima. Invece, guarda caso, la pioggia imballa anche James che però arriva terzo.
Davanti a lui, bastava una 312 T2, per vincere quella Stagione. Come accadde per la Lotus nel 1970. Ed infatti Hunt, con ben poco merito in quel Fuji 1976 vince il Titolo per un solo punto. Niki, a sua volta, NON E’ il Campione che la storia vorrebbe per un solo misero punto. E purtroppo in Giappone né Jody Schecker né il pur arrembante Alan Jones riescono ad accompagnare il miracolo che ha visto protagonisti Mario Andretti e Patrick Depailler salire sul Podio davanti a James Maria Hunt. Ma soprattutto nulla è riuscito a fare Clay Regazzoni, che forse sa già di dover salutare Maranello la stagione successiva.
Certo, disertare il Gran Premio d’Austria da parte del Cavallino appare sempre più anno dopo anno una michiata; come rimane da chiarire se davvero prima del Gran Premio del Giappone al Fuji, sotto l’acqua, vi sia stata una riunione dei piloti in cui venne stabilito che la gara sarebbe partita, per non contravvenire alle pressioni di Ecclestone. Ma dopo due giri tutti si sarebbero fermati. Cosa che fece solo Lauda. Se fosse, ed appare sempre più, verosimile, ci sarebbe da scrivere una pagina di improperi.
Ma di più si è materializzata, nei commenti e nelle impressioni del dopo Fuji, quella dinamica da “Soccorso Rosso” che porta ancora, inesorabilmente, tanti all’indulgenza plenaria verso modalità suicide o peggio demenziali che possono essere state concepite dentro Maranello.
Mi ha sempre colpito, negativamente, il tono di commenti di alcuni che “Chi tocca il Rosso muore”; perché un poco mi mettono tristezza modalità del genere ancora in giro; in quel periodo colpirono Niki, che nel 1977 affermò la lapidaria frase : “Vediamo dove sarà io tra due anni e dove sarà la Ferrari”. Chi aveva memoria lunga e lingua un poco biforcuta non si è lasciato sfuggire il commento acido e becero pro-Drake dopo Monza 1979: “Ferrari è sul tetto del mondo e Niki Lauda è semplicemente in fondo classifica”
La vendetta è un piatto che si serve freddo: tra il 1978 ed il 1979 il passaggio di Niki è in chiaroscuro, passando dall’exploit della “BT46 Fan di Brabham (una vera e propria schiacciasassi se non fosse stata giudicata irregolare) fino ad un onestissimo quarto posto Iridato che vale triplo se si considera che arriva pur con nove ritiri in Stagione per colpa di architetture fragili; nel 1979 probabilmente Niki è solo stanco, e non abbiamo mai considerato che dalla prima settimana di Settembre 1976 fino al suo addio agonistico nel 1979.Lauda svolge il calendario di qualunque altro Pilota “in salute”: ma lui nel frattempo si era sottoposto a cicli di aspirazione di tutta la spazzatura di fumo ed esalazioni imprigionata nei suoi polmoni; aveva seriamente compromesso la funzionalità renale (al punto da doversi sottoporre in due tempi al trapianto totale negli anni di vita); aveva forti problemi ad occhi e vista e soprattutto era stato costretto ad un programma di vera e propria ricostruzione epidermica su quel volto sfigurato dalle fiamme.
Il ritiro, il ritorno, l’Eternità di un Record
Il suo ritiro, sussurrato e mai urlato, senza alcun cenno polemico verso chicchessia fu salutato invece da tanti maggiordomi di Stampa e di redazioni sparse in Italia come la conferma del delitto di lesa maestà verso la Maranello Campionessa del mondo. Sarebbe bastato il troiaio celato dietro la “312 T5” del 1980 per rimettere un grande Vecchio sempre più vecchio al centro di nuovo della sassaiola della Stampa e di Corso Marconi. Ma nel frattempo, a fine Agosto 1981, non si fa in tempo a finire l’estate che dalla TV impazza la notizia del rientro possibile di Niki con la Mc Laren per il 1982. E il fenomeno Niki ricomincia
“Niki, allora: sei davvero pronto al ritorno?”, chiede il giornalista britannico all’ironico e divertito uomo che, a dispetto del mese ancora pienamente estivo, fa capire come dalle parti di Donington Park sia già quasi autunno.
Stretto in un giubbino leggero che copre la sua ignifuga, mani in tasca e postura ironicamente impettita, Niki risponde a favore di telecamera: ”Te l’ho già detto: NON – LO – SO”; e chiosa, con un sorrisetto rivolto ad un uomo dello staff Mc Laren : “He’s CRAZY” (questo qua è matto).
La traduzione in sottofondo, dentro al servizio SCOOP di “Ruote in Pista” su TVA40 di un mercoledì pomeriggio di fine Agosto, risveglia il sogno. Niki Lauda, stavolta, fa sul serio, dice l’anchorman Giulio Schmidt, e chiunque sia e qualunque peccato abbia commesso, quell’anonimo collega di Andrea De Adamich al primo “Grand Prix” diventa per tutti gli adoratori di Niki un Babbo Natale anticipato.
Niki torna. Nella Stagione 1982 tra le più infernali della storia Ferrari: vince davanti alla Rossa a Long Beach, ma quello che a lui interessa non è la lotta per lo strapuntino tra terzo e quinto posto. Il suo non è un ritorno da Gentleman Driver, in una Stagione dove lasciano Andretti, Fittipaldi, Reutemann suoi ex compagni od avversari. In quel ritorno – affiancato dal fido e simpatico John Watson – Niki deve costruire la macchina da Guerra destinata ad affossare sia l’immagine stantia dei Garagisti, sia l’effige stessa del Cavallino che sarà in breve battuto da un altro cavallo proveniente da Stoccarda.
La guerra a distanza tra Niki e tutta la Ferrari, in quei quattro anni di ritorno, è appannaggio di Niki. A lui rimane il merito di aver contribuito a trasformare la McLaren da Squadra a Network vincente.
Alla Ferrari non rimarrà che un mesto Purgatorio che durerà fino all’arrivo di uno dei “discepoli elettivi” di Niki, cioè Schumi.
Che purtuttavia, benchè degno di ammirazione e di leggenda, per quelli come me non riesce ad essere paragonabile a quella divinità terrena che è diventato Niki. Che, in quel 1982, si riprende da subito la sua vendetta in tre tempi: il primo quando vince il Gran Premio di USA West a Long Beach davanti a Villeneuve sulla Ferrari che verrà squalificata subito dopo; il secondo momento di vendetta “riflessa” è il giorno dopo quel 15 Agosto 1982 nella “sua” Austria: E mi immagino un mondo possibile, che nessuno mi ha raccontato ma che potrebbe essere realmente accaduto. Potrei raccontare quel “16 Agosto 1982, dopo l’ultimo Ferragosto garagista” Enzo Adelmo Ferrari. Si era alzato, caffellatte e fetta di ciambellone di Rina, la sua Governante.
Forse, dico forse, come diverse mattine nella settimana, era passato a salutare Dino, al cimitero.
Forse, dico forse, aveva anche salutato il suo Barbiere di fiducia; del resto, era 16 Agosto anche nella industriosa valle emiliano romagnola e nell’andatura un poco pigra del periodo il poco traffico consentiva di raggiungere facilmente luoghi agli antipodi tra di loro.
Poi però, era arrivato a Maranello: là dove il giorno prima, 15 Agosto, Lui come ogni volta, aveva pranzato dal lato opposto dello Stabilimento a Via Abetone Inferiore; insieme ad un gruppo di meccanici – di turno ma accuratamente selezionati – come ogni Ferragosto in cui “Lui”sicompiaceva di ricordare che, là dove lavoravano i suoi meccanici, vi era la sua casa, il suo lavoro, le sue ferie, le sue gite fuori porta; ed ovviamente – dopo la sigla della “Eurovisione” – Rai Uno avrebbe trasmesso anche quel Gran Premio che “Lui” avrebbe seguito nel segreto del suo Studio. Come sempre.
L’anno precedente Gilles, partito terzo, si trovò subito in testa in uno dei suoi classici “Start”, anche se si ritirò dopo tre giri; in quella Domenicainvece, il “27 Rosso” dell’Aviatore non c’era più, affidato invece ad un francese – distinto e semisconosciuto – relegato al ruolo scomodissimo di sostituto di Gilles e scudiero “dell’altro”, il francofriulano, il Giuda. Didier.
Ma in quel 15 Agosto 1982, in quella Domenica, non c’era più neppure Didier fino al Venerdì della Gara precedente leader irrecuperabile di una Stagione assurda, irripetibile, maledetta; e l’illustre guardiaspalle, vincente quasi per compensazione divina in Germania, da quel momento diventava il vessillo di Maranello.
Austria 1982, persino Niki Lauda era tornato ad aggrovigliare ricordi e pensieri di quel vecchio uomo, in un clima dove quel “Vedremo dove sarò io e dove sarete Voi” sembrava essere diventato un anatema semplicemente con il fuso orario sbagliato perché partito con cinque anni di ritardo; in quella Domenica forse neppure Enzo Ferrari sapeva più dov’era la sua creatura, stravolta da una serie di eventi e attraversata da una sorte che neppure il più visionario dei suoi peggiori nemici avrebbe potuto prevedere.
E neppure noi Tifosi e telespettatori dell’epoca sapevamo più davvero dov’eravamo, ormai pervasi da quello stato d’animo di chi, al buio e verso sera, perduto all’improvviso il sentiero ed i segnali cruciali rivolge sguardo ed attenzione allarmata verso qualunque ombra, movimento o rumore provenga da intorno a noi. Avevamo perso tutti i riferimenti in F.1.
Dopo Hockenheim la platea al seguito del Circus non sapeva più davvero quali sarebbero diventati i protagonisti determinanti in quell’anno: forse sarebbe tornata sugli scudi la Renault della coppia “scoppiata” francese ? Bah, viste le premesse, ormai non ci credevano più neppure a casa loro…E con la terza forza turbocompressa (Brabham) sacrificata in un anno sabbatico, ecco che a questo punto tornavano alla ribalta loro, i “Garagisti”: come sempre in un sovraffollamento di nomi e storie e con Williams, Mc Laren, Lotus, Ligier in primo piano.
I Garagisti: chissà se il Drake avrà riavvolto l’audio di sé stesso, e di quando così li aveva appellati con un certo disprezzo bollandoli come adepti di un culto aerodinamico privo di altari motoristici, e per questo relegati ad un piano filosofico a metà tra una setta satanica ed una combriccola da sagra paesana…..
Di certo loro, dopo Hockenheim, avevano sorprendentemente spostato le lancette all’indietro, a quel 31 Dicembre del 1981 in cui le sorti mondiali e le posizioni di testa erano ancora loro da quando – a partire dal 1968 – il geniale Ford Cosworth aveva accompagnato 11 titoli di Piloti di monoposto inglesi su 14 Stagioni fino ad allora senza alcun timore reverenziale.
Questo voleva dire che era meglio una ottima aerodinamica che un gioiello di motore?
No, voleva semplicemente dire che aver rovesciato il tavolo da gioco presentando il primo Turbo di Maranello era un modo snob per Enzo Ferrari di fare il Garagista senza darlo a vedere: se non puoi batterli unisciti a loro: i buoi dietro al carro, il turbo sopra i buoi e l’effetto suolo intorno a loro. E da Gennaio 1982, quando al Paul Ricard era apparsa la “126 C2” per i test invernali, gli stessi Garagisti si erano dedicati l’incipit manzoniano “Ei fu” a ricordo di un’epopea vincente che quella sorta di “Ottobre Rosso” stava per cancellare.
Quella Ferrari – una delle più discusse e controverse Rosse della storia – era come lo gnocco fritto Take away, l’olio extravergine monodose, le fette singole di cotechino modenese: un modo Smart di proporre qualcosa che – se non fosse Smart – tornerebbe tradizionale; ma che non può che rimanere Smart per non far capire al contrario – che non ha proprio più nulla di tradizionale. E come ogni “Smart Revolution”, quella monoposto era il segno di un cambio.
Dopo la “126 C2” infatti nulla a Maranello era e sarebbe stato mai più come prima, in una sfida a duello in cui il Drake per la prima volta combatteva i Garagisti con le loro stesse armi poco prima che le armi diventassero di lì a poco uguali per tutti; forse questo è il vero habitat in cui era maturata la tragedia di un Gilles che nella nuova Ferrari S.P.A. “Senza Preferenze Affettive poteva solo scegliere se adeguarsi al nuovo cinismo aziendale, o alzare i tacchi a fine Stagione forse ripetendo l’anatema che già aveva espresso Niki in faccia al Drake.
1982-1984: Niki crea la macchina da Guerra Mc Laren, e dov’è la Ferrari?
Il destino aveva creato la terza drammatica opzione: Gilles era andato via, per sempre lasciando nelle mani di un rampollo francese (nato agonisticamente nei Rallyes per non spaventare la mamma sulle monoposto) che da Imola di quell’anno aveva dovuto indossare un abito con cappio incorporato, che stringendosi sempre più attorno al suo stato emotivo lo ha di certo portato in crisi.
La batteria a Monaco è stato l’unico guaio stagionale estraneo alla sua interazione; ma lo spegnimento del motore alla partenza (guarda caso nella terra di Gilles) e lo schianto in Germania (casualità, dopo che un settimanale nazionale aveva distribuito il disco con la voce di Gilles….) lasciano ancora il dubbio sullo stato d’animo che poteva attraversare Didier dopo Zolder. Giuda aveva anche un’anima, in fondo. Ma tutto questo, il 15 Agosto del 1982, era un capitolo passato e ne serviva uno nuovo a Maranello per continuare a scrivere il libro.
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La Ferrari numero 28 di Didier quella Domenica era la battistrada: 39 Punti a quattro Gare dalla fine con 9 punti di vantaggio su Watson (che quasi nessuno fino a fine Luglio avrebbe mai iscritto tra i potenziali Iridati), e ben 12 e 15 Punti di divario dagli altri due più possibili avversari Rosberg e Prost.
Pur fantasticando di un eventuale ed improbabile “boom” del simpatico irlandese della McLaren (che nemmeno un Bookmaker d’assalto avrebbe avuto l’immaginazione di quotare) sarebbe stato fin troppo ovvio predisporre alla stregua di Colin Chapman nel 1970 una “trincea di guardia” in grado di togliere via dalla disponibilità del Gruppone almeno i primi due posti fino a fine Stagione: la bagarre e la assoluta anarchia che regnava dietro avrebbe fatto il resto.
Sembrava infatti questa una nuova situazione alla “Rindt” del 1970, o addirittura alla “Lauda” nel 1976: dove nel primo caso un “Garagista” aveva ricreato una Squadra di contenimento contro il rimontante Ickx, che proprio grazie ad una Lotus interposta tra il belga ed il Podio aveva di fatto perso il Mondiale alla penultima Gara; e dove nel secondo caso, con la regia del “Grande Vecchio” nel ’76, un adepto della tribù dei piedi neri aveva firmato il suo unico insperato sigillo storico grazie in fondo alla estrema e virale vigliaccheria (e arrogante stupidità) insita nell’Adelmo che ogni giorno combatteva la sua battaglia contro Enzo che, a sua volta, doveva tenere a bada il Drake.
Perché Ferrari quando era Enzo si dimostrava più cinico e micidiale di un Garagista, mentre quando tornava anche per poco Adelmo diventava umano, teatrale, patetico. E perdente. Era invece quando si tramutava in “Drake” e “mammasantissima” che ultimamente rischiava il fallimento totale; perché i tempi cambiano, e anche i totem possono vacillare.
Fu “Drake” nel 1976, fu “Enzo” nel 1979 e tornò ad essere “Drake” quando con il “Patto della Concordia” del 1981 mise finalmente d’accordo Bernie e Balestre davanti a cappelletti al burro e cabaret di carni bollite.
Ma nel 1982, forse perché incapace di comprendere appieno quell’Angelo della Morte chiamato “126 C2” si comportò da “Adelmo” fino a dopo Zolder. Da quel momento era rimasto al massimo “il Drake”: quello che da Hockenheim 1982 (quando decise di perdere attenzione al Mondiale Piloti semplicemente perché probabilmente non ci aveva mai creduto) chiamò d’urgenza Mario Andretti solo quando il rimontare delle due Mc Laren (e con il Podio proprio di Niki a fine Agosto) diventò minaccioso per la Classifica Costruttori.
Ma in quella Domenica 15 Agosto 1982, in un’Italia festiva ed abbandonata al riposo di metà estate, probabilmente quello seduto davanti alla TV nel suo Studio non è più né Enzo, né Anselmo, né più il Drake : Ferrari è soprattutto un uomo vecchio che di lì a poco dirà al suo ennesimo figlio prediletto Forghieri “Và, non ti tengo”; il messaggio concordato anni prima tra i due, secondo il quale dal momento in cui Enzo avesse capito di non poter più guidare la sua creatura avrebbe consentito ai suoi più stretti collaboratori di abbandonare la nave.
Quel momento era ormai in arrivo, Marco Piccinini era l’avampostovoluto dal Gruppo Fiat per iniziare ad espugnare la fortezza Rossa. Chissà che Enzo, avendo capito, non volesse consegnare loro una Cattedrale nel Deserto?
Proprio Forghieri alla vigilia di Zeltweg aveva dichiarato quanto fosse difficile reperire un sostituto anche per la seconda / prima / neosecondaFerrari; ma chi crede a questo, dopo la immediatezza con cui a Monza Andretti salì sulla 126, appartiene al pubblico ideale di Ferrari.
Un popolo di onesti ed amabili bambini, una buona fetta di Ferraristi degli anni Ottanta: altro che la sventagliata di buoni ricordi (il tifoso che si cuoce la gamba contro lo scarico di Regazzoni, le bandiere e altro) In verità una cerchia protettiva del Drake che cominciava a barcollare.
Ognuno la pensi come vuole: io, cercando il mio momento di riconciliazione con un uomo che non ho mai avuto in simpatia (da perfetto nessuno quale sono, ma da Tifoso che ha diritto di esprimere il suo gradimento), voglio credere che libero da ogni figura retorica ed obbligo protocollare, quell’uomo solo davanti alla TV abbia voluto cedere al sentimento: se non di Gilles, quel Titolo non doveva essere di nessun’altra Ferrari in quell’anno 1982.
E come forse capziosamente disse Frank Williams: “Noi abbiamo vinto il Titolo che la Ferrari ha perso”; ci sono almeno tre sottotitoli che possono scorrere nella traduzione di quella frase, nessuno dei quali ha una motivazione o un effetto cordiale o amichevole.
Perché in quel 1982 non c’era un cretino, dico uno, che non avrebbe pagato per correre su una monoposto che poteva vincere persino radiocomandata. A parte Alan Jones, con cui Maranello non trovò l’accordo per motivi contrattuali, vorrei chiedere ai saputoni del momento chi fu a dire “No, grazie: non mi va di vincere”…
Ma al di là di questo, la Gara di quella Domenica 15 Agosto 1982 fu anche la vendetta di un Campione straordinario a cui pure Ferrari disse di no: Elio De Angelis avrebbe potuto nel 1978 guidare la “Rossa”, ed era ad un passo quando tutto sfumò.
Davanti al Drake, in Eurovisione, quel fotofinish storico tra Elio e Keke lascia nell’anziano Boss forse una strana sensazione di stomaco: sovrappone le immagini di Pironi al traguardo di Imola davanti a Gilles; e si chiude con la immagine di quel Go-Kart bianco numero 5 che facendo capolino da dietro Elio sul traguardo, clicca i lampeggianti anche sul retrovisore a Maranello.
Quella Domenica di metà Agosto 1982 a dominare erano stati quei tre Garagisti: Colin, Frank e Guy. Quello di loro che porterà a casa il Titolo dirà, come ricordavo : “Abbiamo vinto il Mondiale perso dalla Ferrari”…. No, non era una frase di riconoscimento o di abbraccio fraterno, ma lo schiaffo di un Garagista a chi lo aveva sprezzatamentedefinito come tale.
Uno scambio di cortesie al veleno, da parte di un quasi “ex Garagista” che grazie anche ai buoni uffici di Michael Edwardes (suo main Sponsor alla British Leyland) passerà a breve alla dimensione del “Trust vincente” con la Honda; destino già toccato in quella Domenica alla Lotus che aveva appena chiuso l’accordo con la Renault.
Quel Karma tra Niki e Ferrari
Tra Lauda e la Ferrari, tra Niki ed il Grande Vecchio, ci sono almeno quattro binari storici e leggendari che durano esattamente undici anni: si parte con il Niki sorpresa del secolo, capace di salire posizioni, di regalare alla Ferrari il Titolo ’75, undici Stagioni dopo quello di Surtees, e di far sognare un ciclo virtuoso in grado di tenere la Rossa e l’Italia in vetta per chissà quanto tempo; si passa al dramma del Ring, con Maranello in bilico tra la voglia di far fronte agonisticamente parlando alla tragedia del Ring e la sensazione agli occhi dei tanti di un tradimento verso un ormai beniamino delle folle; si arriva alla assurda “guerra dei Roses” fatta dal confronto personale tra Lauda ed Enzo, una guerra rusticana che annichilisce Team, meccanici, Media e pubblico.
“Vedremo dove sarete tra due anni, e dove sarò io”: e giù tutti a spargere “veleno” (per non dire altro) gli allegri ospiti del gallinaio giornalistico ben foraggiato di granturco da parte dell’allevatore di capre di Maranello.
Era in corso il “soccorso rosso” di Francoliniani, Sabbatini e Zigliottoidi a favore del povero vecchio RE incompreso e contro la iena austro-ungarica.
Tutti a ricordare, sotto il Podio di Monza 1979, che la Ferrari era di nuovo in vetta al Mondo, mentre Niki raccoglieva i pezzi ancora fumanti dell’accrocchio anglo italiano chiamato Brabham-Alfa, e diceva addio al Circus. Sentendo le risate alle sue spalle.
Ma la storia è sempre sovrana ed il tempo quando occorre sa essere galantuomo: nel 1983 Niki inizia a scrivere le pagine di un nuovo Diario, quello della Mc Laren MP4 TAG Turbo Porsche. L’anno dopo on ce ne sarà per nessuno, e si aprirà una nuova era, dove nessun “Garagista” sarà più tale ma dove sarà la Ferrari per tanti anni a dover rincorrere. Nel 1984 Niki vince il suo Terzo Titolo mondiale, e il 25 Agosto del 1985 vince per l’ultima volta un Gran Premio nel Circus, in Olanda.
Sul Podio con lui c’è un compagno di Squadra e al terzo posto un brasiliano. Curiosa nemesi: esattamente come fu nel Podio della sua prima vittoria in Spagna 1974. Un compagno di Squadra secondo sia nel ’74 (Regazzoni) che nel 1985 (Alain Prost); e un brasiliano al terzo posto (Fittipaldi nel 1974 e Senna nel 1985). Anche questa è magia.
Riccardo Bellumori